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reburrus

di Pier Vincenzo Mengaldo - Enciclopedia Dantesca (1970)
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reburrus

Pier Vincenzo Mengaldo

Con questo aggettivo, che il Marigo traduce con " ispido ", D. indica in VE II VII 2 e 4 l'eccesso di asprezza o ruvidezza, tale per cui i vocaboli, sia pure urbana, che ne sono affetti vanno esclusi dallo stile illustre: l'esempio concreto è corpo (cui si contrappone il sinonimo ‛ stilnovistico ' persona), sentito probabilmente come r., oltre che per la troppo diretta fisicità del significato, per l'asprezza del nesso consonantico che il vocabolo contiene. Come altrove yspidus, così qui l'affine r. denota, con gradazione frequente nel De vulg. Eloq., l'esagerazione viziosa di una qualità in sé pregevole, la virile irsutezza, rappresentata appunto dall'aggettivo yrsutus; allo stesso modo lubricus è l'eccesso riprovevole della positiva levigatezza indicata da pexus (v. le varie voci).

Il vocabolo, abbastanza raro e tuttavia presente nella latinità sia antica che medievale, e tra l'altro in latino scritturale (cfr. H. Rönsch, Itala und Vulgata, Monaco 1965², 512), è riportato e chiosato anche nelle Magnae Derivationes di Uguccione da Pisa: " Reburrus.a.um: hispidus, recalvus, renudatus, discoopertus, scilicet cuius primi et anteriores capilli altius ceteris horrescunt ". Il passo di Uguccione chiarisce che l'ambito metaforico cui allude il vocabolo è lo stesso cui appartiene il vicino pexus. E v. meglio VOCABOLI, Teoria dei.

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