Recenti arresti in tema di esecuzione penale
La Corte costituzionale (sentenza 1.6.2016, n. 125) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, co. 9, lett. a), c.p.p., laddove stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti dei condannati per il delitto di furto con strappo. Tale declaratoria deriva dal fatto che il divieto della sospensione dell’esecuzione, basato su una “presunzione di pericolosità” concernente i condannati per specifici delitti, non può sussistere per il furto con strappo e non per la rapina, tenuto conto che gli indici di pericolosità ravvisabili nel furto con strappo si rinvengono, incrementati, anche nella rapina. La disparità di trattamento, pertanto, non si giustifica, non tanto per la maggiore gravità della rapina rispetto al furto con strappo, quanto per le caratteristiche dei due reati, che non consentono di assegnare all’autore di un furto con strappo una pericolosità maggiore di quella riscontrabile nell’autore di una rapina attuata mediante violenza alla persona. La medesima Corte (sentenza 21.7.2016, n. 200) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui secondo il diritto vivente esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale.
Le sezioni unite della Suprema Corte (Cass. pen., S.U., 8.6.2017, n. 28659, in CED rv. n. 270073) hanno affrontato l’annosa questione dei limiti normativi che circoscrivono i poteri del giudice dell’esecuzione nelle ipotesi in cui sia chiamato ad applicare la disciplina della continuazione tra più reati, accertati con distinti provvedimenti di condanna passati in giudicato. In particolare, mentre l’art. 671, co. 1, c.p.p. accoglie la disciplina del cumulo giuridico, il successivo co. 2 parrebbe invece orientato verso l’opposto criterio del cumulo materiale. La S.C., precisando che «il giudice dell’esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione tra più reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, nel determinare la pena è tenuto anche al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave, oltre che del criterio indicato all’art. 671 co. 2 c.p.p., rappresentato dalla somma delle pene inflitte con ciascuna decisione irrevocabile», escludono la possibilità di applicare in sede esecutiva un regime sanzionatorio più sfavorevole per il condannato rispetto alla continuazione criminosa ex art. 81 c.p. In altri termini, l’art. 671 c.p.p., quale espressione del favor rei, non può che costituire proiezione – e non certo deroga – dell’art. 81 c.p. in executivis.
Sempre in tema di continuazione, le S.U. (Cass. pen., S.U., 24.11.2016, n. 6296, in CED rv. n. 26873), sconfessando l’orientamento maggioritario, hanno statuito che il giudice dell’esecuzione non può quantificare gli aumenti di pena per i reati satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna. Con riferimento alla revoca della sentenza per abolitio criminis, le S.U. (Cass. pen., S.U., 29.9.2016, n. 46688, in CED rv. n. 26788) hanno precisato che, in caso di condanna o decreto irrevocabili, relativi ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del d.lgs. 15.1.2016, n. 7, il giudice dell’esecuzione revoca il provvedimento perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili, atteso che il venir meno della condanna non può incidere sulla cristallizzazione del giudicato riguardo ai capi civili della sentenza. Sempre le S.U. (Cass. pen., S.U., 29.10.2015, n. 26259, in CED rv. n. 266872) hanno stabilito che il giudice dell’esecuzione può revocare, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., una sentenza di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, allorché l’evenienza di abolitio criminis non sia stata rilevata dal giudice della cognizione.