Recesso dal contratto dopo la stipula dell’aggiudicazione
Con la sentenza n. 14 in data 20.6.2014, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nell’esaminare la questione del rapporto tra revoca del provvedimento di aggiudicazione e recesso dal contratto stipulato per l’affidamento dell’appalto di lavori pubblici, ha affermato il principio secondo cui nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163/2006.
La questione posta alla attenzione della A.P. dalla V sez. del Consiglio di Stato con la sentenza non definitiva n. 5786/2013 concerne il profilo relativo ai limiti all’esercizio del potere di revoca dell’atto di aggiudicazione in ipotesi di intervenuta stipulazione del contratto e, in particolare, la verifica della possibilità che l’amministrazione – per il tramite dello strumento della revoca di cui all’art. 21 quinquies, l. 7.8.1990, n. 241 – possa incidere sul contratto stipulato a seguito della intervenuta aggiudicazione e come ciò si concili con il carattere paritetico delle posizioni fondate sulla intervenuta stipulazione1.
La ricognizione normativa evidenzia una pluralità di disposizioni regolanti la materia della revoca e del recesso.
Sotto tale profilo, infatti, occorre prendere in considerazione da un lato gli artt. 21 quinquies e 21 sexies della l. n. 241/1990 che regolano le fattispecie della revoca e del recesso e, dall’altro, le disposizioni specifiche di cui all’art. 134 del d.lgs. 12.4.2006, n. 163 che, per gli appalti di lavori pubblici, attribuisce all’amministrazione «il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto» – ed all’art. 1, co. 136, della l. 30.12.2004, n. 311, per il quale l’annullamento volto a «conseguire risparmi o minori oneri finanziari» regola il caso in cui incida «su rapporti contrattuali o convenzionali con privati»; potere quest’ultimo che, al di là del nomen dell’atto, appare peraltro vicino allo schema della revoca sul presupposto della rivalutazione della convenienza di contratti già stipulati.
Il quadro normativo deve essere completato, infine, con il richiamo dell’art. 11 della l. n. 241/1990, che fa salvo il potere di recesso dell’amministrazione «per sopravvenuti motivi di pubblico interesse» in caso di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, e degli artt. 121 e 122 c.p.a. quanto ai poteri del giudice amministrativo di incidere sul contratto.
Il sottolineato profilo problematico connesso all’esercizio del potere di revoca in ipotesi di intervenuta stipulazione del contratto ha avuto origine dalla introduzione del co.1-bis dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990, che ha previsto la specifica fattispecie in cui «la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali».
Il dato letterale della norma, in particolare, prevedendo che la revoca possa essere esercitata anche nei confronti di atti ad efficacia istantanea – incidendo in tal modo su rapporti negoziali – sembrerebbe ammettere che la revoca possa essere disposta anche successivamente alla stipula del contratto tra il privato e l’amministrazione.
Tale interpretazione, tuttavia, condurrebbe ad una sovrapposizione tra la fattispecie della revoca e quella del recesso di cui all’art. 21 sexies l. n. 241/1990; posta, infatti, l’identità del risultato conseguito dall’art. 21 quinquies rispetto all’art. 21 sexies – scioglimento del contratto – ne deriverebbe che la p.a. possa svincolarsi dal contratto non solo nelle ipotesi in cui è consentito il recesso, ma anche attraverso l’esercizio del potere di revoca.
In ordine alla possibilità che l’amministrazione – una volta stipulato il contratto con la aggiudicataria – possa revocare gli atti amministrativi della gara e, eventualmente, anche la aggiudicazione, si riscontra in giurisprudenza un netto contrasto di opinioni.
In particolare, mentre secondo l’indirizzo maggioritario del Consiglio di Stato, sarebbe legittimo l’esercizio del potere di revoca degli atti amministrativi del procedimento ad evidenza pubblica anche se sia stato già stipulato il contratto2, secondo la impostazione della Corte di Cassazione, al contrario, tutte le vicende successive alla stipulazione del contratto darebbero luogo a questioni relative alla validità ed efficacia del contratto anche se dovute all’esercizio di
poteri pubblicistici in autotutela; con la stipula del contratto si costituisce, infatti, tra le parti – pubblica e privata – un rapporto giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici. Il riscontro di sopravvenuti motivi di inopportunità della realizzazione dell’opera dovrebbe, quindi, essere ricondotto all’esercizio del potere contrattuale di recesso previsto dalla normativa sugli appalti pubblici, senza possibilità di operare per il tramite della revoca3.
L’esigenza di riconsiderare la possibilità che l’amministrazione – una volta stipulato il contratto – non possa più agire in autotutela a mezzo del potere di revoca della aggiudicazione scaturisce, in particolare, dal riconoscimento di una netta scissione tra aggiudicazione e stipulazione del contratto; con la prima, infatti, si conclude la fase pubblicistica del perseguimento dell’interesse pubblico alla selezione della migliore offerta mentre la seconda si colloca già nel diverso quadro del rapporto paritetico tra i contraenti con predominanza del diritto privato.
In tale prospettiva, dunque, con la stipulazione del contratto si esaurirebbe la fase pubblicistica e l’amministrazione si porrebbe in una situazione paritetica rispetto al soggetto privato. Soltanto laddove l’amministrazione non abbandoni la posizione di supremazia successivamente alla stipulazione del contratto (ad es. nella concessione-contratto), quindi, si potrebbe prospettare la permanenza del potere pubblicistico.
Emerge, in tale prospettiva, la distinzione tra contratti di diritto pubblico (o ad oggetto pubblico) – nei quali, fermo il ricorso alle regole civilistiche per la disciplina generale del rapporto contrattuale tra amministrazione e privati, l’amministrazione mantiene una posizione di supremazia – e contratti di diritto privato rispetto ai quali l’amministrazione si pone su di un piano paritetico con il privato4.
Al contrario, nelle ipotesi di stipulazione del contratto in posizione paritaria con il soggetto privato, l’amministrazione potrebbe operare soltanto per il tramite del recesso, avuto anche riguardo al principio di cui all’art. 1, co. 1 bis, l. n. 241/1990, per il quale «La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente»5.
Secondo la ricostruzione operata dall’AP. occorre, dunque, distinguere l’atto di aggiudicazione (fase pubblicistica) dal successivo contratto intervenuto tra le parti (fase privatistica), con la conseguenza che una volta intervenuto l’incontro delle volontà deve escludersi che l’amministrazione possa ritirare il provvedimento amministrativo in via unilaterale e tanto meno mediante il riesame dell’aggiudicazione in autotutela, essendo il detto consenso confluito con quello della parte privata nell’accordo di cui all’art. 1325, co. 1, c.c.; sarà, quindi, possibile soltanto il mutuo dissenso di cui all’art. 1372 c.c. ovvero le specifiche ipotesi di recesso previste dalla normativa.
La natura privatistica del contratto stipulato tra l’amministrazione e l’aggiudicataria dell’appalto pubblico a seguito dell’incontro delle volontà delle parti, consente di riscontrare una completa scissione tra la fase pubblicistica e quella privatistica e di ritenere che l’amministrazione non possa più incidere sugli atti amministrativi per il tramite dello strumento generale della revoca, essendo tenuta ad utilizzare gli strumenti di tutela offerti dalle specifiche disposizioni di legge6.
Peraltro, si è anche sottolineato come ritenere che la revoca dell’aggiudicazione possa intervenire successivamente alla stipulazione del contratto – con conseguente scioglimento dello stesso contratto – significherebbe riconoscerle il potere di incidere su di un atto (aggiudicazione) che ha ormai esaurito i propri effetti, con conseguente indebita sovrapposizione alla facoltà di recesso7.
Rimane, tuttavia, il profilo problematico riguardante il diverso regime di applicazione del potere di autotutela annullatorio rispetto alla revoca del provvedimento amministrativo.
Sotto tale profilo, infatti, gli artt. 121 e 122 c.p.a. delineano le conseguenze dell’annullamento giurisdizionale sul contratto e non si dubita, in dottrina ed in giurisprudenza, che tali conseguenze possano essere applicate alla ipotesi di annullamento dell’aggiudicazione in autotutela da parte dell’amministrazione.
L’annullamento dell’aggiudicazione, sia in sede giurisdizionale che d’ufficio, quindi, sarebbe sempre possibile. Esso non determinerebbe l’automatica inefficacia del contratto, dovendo questa essere accertata dal giudice che sarà chiamato a pronunciare l’inefficacia del contratto attenendosi alle indicazioni contenute negli artt. 121 e 122 c.p.a. che richiedono di apprezzare anche gli interessi delle parti.
Appare quindi, corretta l’equiparazione della revoca all’annullamento sotto il profilo della impossibilità di configurare una caducazione automatica del contratto.
L’efficacia ex nunc del provvedimento di revoca, in uno con la considerazione che il potere in questione è esercitato solo per ragioni di opportunità (e non per vizi di legittimità), inducono a considerare che la non automatica inefficacia del contratto non potrebbe che essere riscontrata, appunto, e a maggior ragione, nel caso dell’esercizio del potere di revoca8.
Profili di dubbio, al contrario, sussistono in relazione alla dichiarata impossibilità di esercizio, da parte della amministrazione, del potere di revoca, assorbito, secondo quanto emerge dalla sentenza della A.P. n. 14/2014 nel recesso dal contratto in relazione alla assenza di poteri pubblicistici.
E se appare vero che il recesso, in assenza di profili di funzionalizzazione dell’interesse pubblico estrinsecati per il tramite della motivazione, appare maggiormente ampia rispetto al potere di revoca, occorre pur sempre rilevare come il recesso della pubblica amministrazione sia assoggettato al disposto di cui all’art. 21 sexies, l. n. 241/1990, per cui potrà essere esercitato solo laddove previsto dalla legge o dalla convenzione stipulata tra le parti9.
1 Sulla revoca in generale si vedaMauro, E., Osservazioni in tema di revoca del provvedimento amministrativo e di recesso dagli accordi procedimentali, in Foro amm.-Tar, 2004, 557 ss.; Stammati, S., La revoca degli atti amministrativi. Struttura e limiti: linee dell’evoluzione, con una parentesi sull’annullamento d’ufficio, in Studi in onore di V. Bachelet, Milano, 1987, II, 663 ss.; Sticchi Damiani, E., La revoca dopo la l. n. 15 del 2005, in Foro amm.-Tar, 2006, 1547; Paparella, F., Appunti sulla revoca degli atti amministrativi, Bari, 1980; Immordino, M., Cavallaro,M.C., Revoca del provvedimento amministrativo, in Diz. dir. pubbl. Cassese, Milano, 2006, 5203.
2 Cfr. Cons. St., sez. VI, 17.3.2010, n. 1554; Cons. St., sez. VI, 27.11.2012, n. 5993; Cons. St., sez. IV, 14.1.2013, n. 156; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 9.7.2007, n. 1775, secondo cui «il comma 1-bis dell’art. 21-quinquies si spiega allora con la circostanza che la revoca, incidendo – come insegna la migliore dottrina – non sull’attoma sugli effetti dell’atto, [...] allorché intervenga su provvedimento dal quale dipenda un rapporto negoziale, produce effetti assimilabili sul piano meramente fattuale a quelli di un recesso, pur sulla base di presupposti radicalmente diversi, essendo del tutto irrilevanti nella fattispecie del recesso i motivi d’interesse pubblico».
3 Cass., S.U., 26.6.2003, n. 10160; Cass., S.U., 17.12.2008, n. 29425.
4 Sul contratto di diritto pubblico si rinvia agli scritti di Ledda, F., Il problema del contratto nel diritto amministrativo, Torino, 1965; Greco, G., Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto,Torino, 2003;Maviglia,C.,Accordi con l’Amministrazione pubblica e disciplina del rapporto, Milano, 2002; Manfredi, G., Accordi e azione amministrativa, Torino, 2001; Fracchia, F., L’accordo sostitutivo, Padova, 1998; Bruti Liberati, E., Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico (tra amministrazione e privati), Milano, 1996; Sticchi Damiani, E., Attività amministrativa consensuale e accordi di programma,Milano, 1992.
5 Secondo l’A.P. n. 14/2014, dunque, «La posizione dell’amministrazione nella fase del procedimento di affidamento di lavori pubblici aperta con la stipulazione del contratto è definita dall’insieme delle norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando l’amministrazione, in forza di quest’ultime, in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l’amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono. Ciò rilevato ne consegue che deve ritenersi insussistente,
in tale fase, il potere di revoca, poiché: presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità (Cass. n. 391 del 2011 cit.; Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2008, n. 4455); la specialità della previsione del recesso di cui al citato art. 134 del codice preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca. Se infatti, come correttamente indicato dal giudice rimettente, nell’ambito della normativa che regola l’attività dell’amministrazione nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti di lavori pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale); richiamato anche che, quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca “per motivi di pubblico interesse” a contratto stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158 del codice). In caso contrario la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile, risultando nell’ordinamento, che per definizione reca un sistema di regole destinate a operare, una normativa priva di portata pratica, dal momento che l’amministrazione potrebbe sempre ricorrere allameno costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio, conservando in tale modo nel rapporto una posizione comunque privilegiata; fermo restando, come anche richiamato dalla V Sezione, che per l’amministrazione la maggiore onerosità del recesso è bilanciata dalla mancanza dell’obbligo di motivazione e del contraddittorio procedimentale».
6 Cfr. art. 134, d.lgs. n. 163/2006 in tema di recesso dal contratto in tema di appalti di lavori pubblici; l’art. 158, d.lgs. n. 163/2006 in tema di revoca delle concessioni di lavori pubblici in finanza di progetto; si pensi, ancora, pure in ipotesi di contratto stipulato, alla speciale previsione in ordine al recesso della stazione appaltante qualora si verifichino i presupposti previsti dalla normativa antimafia che la giurisprudenza (Cass., S.U., 11.1.2011, n. 391) ha riferito alla nozione dell’autotutela autoritativa; si pensi, infine, all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva ai sensi dell’art. 1, co. 136, della l. n. 311/2004 con automatica caducazione degli effetti negoziali del contratto (Cfr., sul punto, Cass., S.U., 8.8.2012, n. 14260; Cons. St., sez. III, 23.5.2013, n. 2802; Cons. St., sez. V, 7.9.2011, n. 5032; Cons. St., sez. V, 4.1.2011, n. 11).
7 Fantini, S., La revoca dei provvedimenti incidenti su atti negoziali, in www.giustamm.it.
8 Cfr. La Rosa, G., Lo scioglimento del contratto della pubblica amministrazione: alla ricerca di un punto di equilibrio tra il recesso e la revoca incidente su rapporti negoziali, in Dir. proc. amm., 2012, 1453.
9 Sotto tale profilo viene in primo luogo in rilievo la disposizioni di cui all’art. 134, d.lgs. n. 163/2006 che, con riguardo all’appalto di lavori, stabilisce che «la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite». Ancora, con riferimento al contratto di servizi, la facoltà di recesso della p.a. trova fondamento nell’art. 1671 c.c., mentre, in mancanza di una esplicita previsione di legge, il recesso dai contratti di fornitura si ritiene possa essere esercitato dalla p.a. solo laddove tale facoltà sia espressamente prevista in convenzione.