recetto (ricetto)
Per descrivere il fragore con cui le acque del Flegetonte si riversano per una ripa scoscesa nell'ottavo cerchio, D. paragona la cascata del fiume infernale a quella che fa il Montone, presso San Benedetto dell'Alpe nell'Appennino emiliano: Come quel fiume... / rimbomba là sovra San Benedetto / de l'Alpe per cadere ad una scesa / ove dovea [dovria nella '21], per mille esser recetto... (If XVI 102).
Il passo riusciva oscuro già ai più antichi commentatori del poema, come comprovano l'incertezza della tradizione manoscritta e gli emendamenti proposti da Pietro e dal Buti (v. Petrocchi, ad l).). Tra i commentatori moderni, alcuni (Mattalia) riferiscono ove a San Benedetto e vedono nel v. 102 un'allusione allo spopolamento di quel monastero, segno di diradatesi vocazioni alla vita monastica; altri (Scartazzini-Vandelli; Bassermann, Orme 187 ss.) vi scorgono invece un accenno ironico alla grassezza delle rendite del monastero, illecitamente godute da pochi monaci: il Nadiani, l'Ungarelli e il Chimenz accolgono l'interpretazione escogitata dal Boccaccio, da Benvenuto e dall'Anonimo, secondo la quale D. alluderebbe a un progetto vagheggiato dai conti Guidi di costruire là un forte castello, capace di accogliere gran numero di persone. Secondo queste interpretazioni, ove sarebbe avverbio di luogo e recetto sostantivo con il significato di " alloggio ", " luogo di ricovero ". Interpretazione del tutto diversa è quella del Torraca e Del Lungo, accolta dal Sapegno e da altri; questi commentatori intendono ove per " laddove " avversativo e spiegano: " invece il fiume dovrebbe esser ricevuto non da una, ma da mille scese, e non rimbomberebbe così ". In questo caso, r. dovrebb'essere considerato un participio passato di ‛ recepere '. Una soluzione analoga a questa sembra la più accettabile al Petrocchi, il quale ritiene però possibile che r. sia un sostantivo; il verso tormentatissimo dovrebbe quindi essere spiegato " laddove doveva essere vaso, letto sufficiente per mille fiumi ".
‛ Ricetto ' occorre nella canzone Morte, poich'io non truovo a cui mi doglia (v. 20), attribuita a D. anche dalla Giuntina e dal Fraticelli, ma ormai concordemente assegnata a Iacopo Cecchi (cfr. N. Sapegno, Poeti minori del Trecento, Milano-Napoli 1952, 181-182, 1143).
Bibl. - P. Nadiani, Interpretazione dei versi di D. sul fiume Montone; con altri due scritterelli del medesimo autore, Milano 1894 (recens. di F. Pellegrini, in " Bull. " II [1894-1895] 107); G. Ungarelli, L'Acquacheta, in " Natura ed Arte " CI (1896-1897) 908-912 (recens. di E.G. Parodi, in " Bull. " VI [1898-1899] 198); F. Torraca, Comunicazione a proposito di Aghinolfo da Romena, in " Bull. " XI (1904) 99; P. Nadiani - E. Casorati, Ricordi danteschi nella Valle del Montone, Argenta 1904 (recens. di F. Torraca, in " Bull. " XII [1905] 70-72).