Reclamo e mediazioni tributari
L’art. 17 bis d.lgs. n. 546/1992, che ha introdotto il reclamo e la mediazione tributari, è stato oggetto di significative modifiche ad opera della l. n. 147/2013, nonché dell’importante sentenza della C. cost. n. 98/2014. Lo scritto esamina tali novità, soffermandosi su problemi vecchi e nuovi posti dalla disciplina dei due istituti e sulle possibili soluzioni (tra gli altri, il difetto di terzietà del “mediatore”; la cristallizzazione, con il reclamo, sia dei motivi di ricorso, sia della motivazione dell’atto dell’Agenzia delle entrate; l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso; la tutela cautelare; il regime delle spese del reclamo accolto e della relativa procedura amministrativa).
La disciplina del reclamo e della mediazione tributari di cui all’art. 17 bis d.lgs. 31.12.1992, n. 546, inserito dall’art. 39, co. 9, d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito dalla l. 15.7.2011, n. 111, aveva posto problemi interpretativi (oggetto di un vivace dibattito dottrinale) e dubbi di costituzionalità (che avevano indotto le Commissioni tributarie provinciali di Perugia, Campobasso, Benevento e Ravenna a sollevare numerose questioni di legittimità costituzionale).
Anche al fine di fugare tali incertezze, il legislatore, con l’art. 1, co. 611, lett. a), della legge di stabilità 2014 (l. 27.12.2013, n. 147), ha modificato in modo significativo detto art. 17 bis. Le novità apportate sono, in sintesi, che:
a) la previa presentazione del reclamo all’Agenzia delle entrate è condizione non piú di ammissibilità, ma di procedibilità del ricorso giurisdizionale;
b) il dies a quo dei termini per la costituzione in giudizio delle parti è reso uniforme per tutti i procedimenti, coincidendo con la data in cui decorrono «novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione»;
c) la riscossione e l’obbligo di pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi ex lege in pendenza della relativa procedura;
d) al computo del termine di novanta giorni per lo svolgimento del procedimento di reclamo e di mediazione si applicano le disposizioni sui termini processuali;
e) l’imposta sul reddito determinata all’esito dello stesso procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali.
A norma dell’art. 1, co. 611, lett. b), l. n. 147/2013, tali modifiche «si applicano agli atti notificati a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della presente legge» (cioè, essendo questa entrata in vigore il 1.1.2014, agli atti notificati a decorrere dal 2.3.2014).
Dopo la novella, è intervenuta la sent. n. 98/2014, con la quale la Corte costituzionale si è pronunciata sulle menzionate questioni di legittimità dell’art. 17 bis. La pronuncia ha scrutinato l’articolo «esclusivamente nel suo testo originario», anteriore alle modifiche a esso apportate dalla l. n. 147/2013.
La Corte, infatti, ha ritenuto tale ius novum inapplicabile, ratione temporis (ai sensi del citato art. 1, co. 611, lett. b, l. n. 147/2013), alle fattispecie oggetto dei giudizi principali, «le quali continuano a essere regolate dal testo originario dell’art. 17-bis», ed ha comunque escluso il trasferimento delle questioni allo ius superveniens, perché le modificazioni erano «chiaramente» dirette «a elidere o, comunque, ad attenuare, i profili di censura prospettati nelle ordinanze di rimessione». La Corte ha perciò nettamente distinto il “vecchio” art. 17 bis, oggetto esclusivo della sent. n. 98/2014, e lo ius superveniens: riguardo a quest’ultimo ha chiarito che resta «impregiudicata ogni valutazione in ordine alla sua legittimità». Va peraltro osservato che molte questioni esaminate dalla sentenza concernono contenuti normativi che sono rimasti invariati anche dopo la l. n. 147/2013.
Il fatto che la sent. n. 98/2014 riguardi il testo originario dell’art. 17 bis rende opportuno esaminare innanzitutto tale pronuncia.
2.1 La sentenza della Corte costituzionale n. 98/2014
Un primo gruppo di questioni, riferite agli artt. 3, 24, co. 1 e 2, e 113, co. 2, Cost., aveva a oggetto, da un lato, la previsione, per chi intenda proporre ricorso avverso atti emessi dall’Agenzia delle entrate e di valore superiore a ventimila euro, dell’obbligo di presentare preliminarmente reclamo, con la conseguente preclusione, per il contribuente, della possibilità di agire in giudizio durante il tempo previsto per lo svolgimento della procedura amministrativa di reclamo; dall’altro, più in particolare, la disposizione secondo cui l’omissione del reclamo comporta l’inammissibilità del ricorso. La Corte ha esaminato tali due punti alla luce dei propri precedenti in tema di “giurisdizione condizionata”: ha rigettato le questioni relative al primo punto ed ha accolto quelle relative al secondo. Essa ha anzitutto affermato l’infondatezza delle questioni concernenti l’obbligatorietà del reclamo. Al riguardo O dopo avere ribadito come la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non «implichi necessariamente una relazione di immediatezza tra il sorgere del diritto … e tale tutela …, essendo consentito al legislatore di imporre l’adempimento di oneri (in particolare, il previo esperimento di un rimedio amministrativo) che, condizionando la proponibilità dell’azione, ne comportino il differimento, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale» O ha ritenuto che il reclamo e la mediazione tributari, favorendo la definizione delle controversie nella fase pregiurisdizionale introdotta con il reclamo, rispondono all’interesse generale, in quanto assicurano sia «un più pronto e meno dispendioso (rispetto alla durata e ai costi della procedura giurisdizionale) soddisfacimento delle situazioni sostanziali», sia la riduzione del carico di lavoro della giurisdizione tributaria1.
L’obbligatorietà del reclamo non contrasta con gli artt. 3 e 113 Cost. neppure sotto il profilo che il differimento dell’accesso alla tutela giurisdizionale è imposto soltanto ai contribuenti che sono parti di controversie relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate per un valore non superiore a ventimila euro; secondo la Corte, infatti, tale differimento, poiché riguarda liti (nei confronti dell’Agenzia delle entrate) che costituiscono notoriamente il numero più consistente delle controversie tributarie e, al contempo, quelle di esse che comportano le minori conseguenze finanziarie sia per la parte privata che per quella pubblica, evidenzia una scelta, da parte del legislatore, «congrua rispetto alla ratio dell’intervento normativo » di deflazionare il contenzioso tributario e, «perciò, frutto di un corretto esercizio della discrezionalità legislativa, non censurabile né…sul piano del diritto alla tutela giurisdizionale, né sul piano del rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza». La sentenza ha invece dichiarato incostituzionale, per violazione dell’art. 24 Cost., la previsione del co. 2 del testo originario dell’art. 17 bis, secondo cui l’omissione della presentazione del reclamo determina l’inammissibilità del ricorso (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio). La Corte O dopo avere precisato che, anche quando il differimento dell’azione giurisdizionale è giustificato dal perseguimento di interessi generali, il legislatore «è sempre tenuto ad osservare il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa», «deve contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile», «deve operare un “congruo bilanciamento” tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell’accesso alla stessa intende perseguire»; e dopo avere richiamato i precedenti con cui, «in linea con tale prospettiva», aveva dichiarato l’illegittimità, per contrasto con l’art. 24 Cost., di disposizioni che comminavano la decadenza dall’azione giudiziaria per il mancato previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo O ha affermato che la disposizione censurata, «comportando la perdita del diritto di agire in giudizio e, quindi, l’esclusione della tutela giurisdizionale, si pone in contrasto con l’art. 24 Cost.». La sentenza ha infine rilevato che, con riguardo ai propri effetti sui rapporti non esauriti ai quali sarebbe ancora applicabile il co. 2 dell’art. 17 bis nel testo originario, la dichiarazione di illegittimità rende l’eventuale omissione del reclamo «priva di conseguenze giuridiche».
Un secondo gruppo di questioni, riferite agli artt. 3, 24 e 25 Cost., concerneva la disciplina della mediazione e, in particolare, la mancanza di un mediatore estraneo alle parti. La sentenza rileva che l’attribuzione del compito di valutare la proposta di mediazione del contribuente o di formularne una d’ufficio «a strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili» (co. 5 e 8 dell’art. 17 bis) non vale a escludere che si tratti pur sempre dello stesso soggetto che ha emanato l’atto (l’Agenzia delle entrate), sicché la mediazione tributaria effettivamente «si svolge solo tra il contribuente e l’Agenzia delle entrate …, senza l’intervento di alcun terzo nel ruolo di mediatore»2. La Corte, tuttavia, ritiene non fondate le questioni, sul duplice rilievo che:
a) è inconferente il richiamo, effettuato dal rimettente, all’art. 3, lett. a), dir. 2008/52/CE, posto che tale direttiva si applica «nelle controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale», con l’espressa esclusione della «materia fiscale, doganale e amministrativa», cioè «proprio della materia che viene qui in rilevo»;
b) dalla qualificazione della mediazione tributaria quale «forma di composizione pregiurisdizionale delle controversie basata sull’intesa raggiunta, fuori e prima del processo, dalle stesse parti (senza l’ausilio di terzi), che agiscono, quindi, su un piano di parità», discende che va negato «che un tale procedimento conciliativo preprocessuale, il cui esito positivo è rimesso anche al consenso dello stesso contribuente, possa violare il suo diritto di difesa o il principio di ragionevolezza o, tantomeno, il diritto a non essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge».
Parimenti non fondata, in riferimento all’art. 24 Cost., è stata ritenuta la questione ‒ attinente ai rapporti tra il reclamo e l’eventuale successivo giudizio davanti al giudice tributario ‒ sollevata sotto il profilo che il contribuente deve indicare i motivi del ricorso e l’oggetto della domanda già in sede di reclamo (questo deve infatti contenere tutti gli elementi richiesti per il ricorso dall’art. 18 d.lgs. 31.12.1992, n. 546) e non può modificarli nel caso in cui, esaurita la fase amministrativa introdotta con tale atto, decida di adire il giudice tributario, nonostante che nella suddetta fase «il provvedimento sia ancora da valutare». La non fondatezza deriva dall’interpretazione «costituzionalmente adeguata» dei poteri dell’amministrazione in tale fase pregiurisdizionale, secondo cui «proprio in ragione del fatto che i motivi del ricorso sono già contenuti nel reclamo e non sono successivamente modificabili … deve escludersi che l’amministrazione finanziaria possa avanzare una pretesa che, ancorché inferiore rispetto a quella iniziale, sia diversamente motivata o fondata su nuovi presupposti»; tale interpretazione, conclude la Corte, «esclude, evidentemente, che l’indicata impossibilità di modificare i motivi di doglianza contenuti nel reclamo possa ledere il diritto di difesa del ricorrente». La sentenza precisa peraltro che, anche nel giudizio “predeterminato” dal reclamo, resta «salva» l’integrazione dei motivi di ricorso ai sensi dell’art. 24, co. 2, d.lgs. n. 546/1992.
Il difetto di rilevanza ha invece impedito alla Corte di pronunciarsi nel merito su due questioni di indubbio rilievo. Con la prima, l’art. 17 bis era stato censurato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., in quanto, ammettendo la costituzione in giudizio dei contribuenti solo dopo l’esaurimento della procedura introdotta con il reclamo (ai sensi del 2° periodo del co. 9), precluderebbe agli stessi, durante la fase amministrativa, l’accesso alla tutela cautelare giurisdizionale e, in particolare, la sospensione dell’esecuzione dell’atto (anche se dotato di immediata esecutività), ai sensi dell’art. 47 d.lgs. n. 546/1992. Con la seconda, il medesimo articolo era stato denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., perché O nel caso di accoglimento del reclamo e conseguente annullamento dell’atto O non prevede alcun ristoro delle spese sostenute dal contribuente per il reclamo e la relativa procedura. Mentre il primo problema può ritenersi risolto con la previsione della sospensione ex lege sia della riscossione, sia dell’obbligo di pagamento delle somme dovute in base all’atto reclamato, disposta dal nuovo co. 9-bis dell’art. 17 bis, inserito dalla l. n. 147/2013 (salvo quanto si dirà al § 2.2 con riguardo all’ipotesi di cui al secondo periodo di tale comma); il secondo problema resta tuttora aperto.
Sono infine da menzionare altre tre statuizioni di inammissibilità per irrilevanza. Due riguardano il dedotto contrasto dell’art. 17 bis con l’art. 111 Cost., in relazione, rispettivamente, al principio di ragionevole durata del processo e all’asserita «complicazione processuale» che, nel caso di provvedimenti connessi, per l’impugnazione di alcuni soltanto dei quali debba essere presentato il reclamo, indurrebbe «il contribuente a presentare distinti ricorsi con conseguente vanificazione dei benefici processuali derivanti dalla presentazione di un ricorso cumulativo»; la terza concerne il vulnus che deriverebbe agli artt. 3, 24 e 25 Cost. dall’asserita obbligatorietà della mediazione tributaria.
2.2 Le novità della l. n. 147/2013
La prima novità apportata dalla l. n. 147/2013 all’art. 17 bis3 è la seguente riscrittura del co. 2: «La presentazione del reclamo è condizione di procedibilità del ricorso. In caso di deposito del ricorso prima del decorso del termine di cui al comma 9, l’Agenzia delle entrate, in sede di rituale costituzione in giudizio, può eccepire l’improcedibilità del ricorso e il presidente, se rileva l’improcedibilità, rinvia la trattazione per consentire la mediazione». I due periodi del comma riguardano ciascuno una diversa ipotesi di improcedibilità del ricorso. Il primo periodo si riferisce al caso della mancata presentazione del reclamo, da intendersi non come difetto della materiale produzione all’Agenzia delle entrate ‒ tale omissione, stante l’identità delle modalità di presentazione del reclamo con quelle stabilite per la proposizione del ricorso, si tradurrebbe, infatti, nella mancata proposizione di questo, colpita con l’inammissibilità dall’art. 21, co. 1, d.lgs. n. 546/1992 ‒ ma come presentazione dell’atto, pur con le modalità e nei termini di cui agli artt. 20 e 21 d.lgs. n. 546/1992, nella mera forma del ricorso (cioè senza manifestare la volontà di reclamare). Il secondo periodo riguarda invece l’ipotesi in cui il contribuente, dopo la presentazione del reclamo, si sia costituito in giudizio prima del decorso del termine dilatorio di «novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione » previsto dal co. 9 (data in cui, a norma del 1° periodo dello stesso co. 9, «il reclamo produce gli effetti del ricorso»). Con l’indicato primo periodo ‒ in base al quale la presentazione del reclamo non è più, come nel testo previgente, una condizione di ammissibilità del ricorso (la cui omissione determinava la perdita del diritto di proporre l’azione in giudizio), ma una condizione di procedibilità (la cui mancanza comporta solo un temporaneo arresto del processo in attesa che tale condizione sia integrata) ‒ si è inteso dissipare i sospetti di incostituzionalità (rivelatisi, come visto, fondati) dell’originaria sanzione dell’inammissibilità del ricorso in caso di omessa presentazione del reclamo. La disciplina è, però, lacunosa con riguardo all’indicata omissione, perché se questa comporta, come detto, l’improcedibilità del ricorso, non è previsto alcun meccanismo per superare l’eventuale inerzia del contribuente nell’instaurare il procedimento di reclamo4.
Con il secondo periodo del novellato co. 2, il legislatore ha invece risolto il problema interpretativo, emerso con il testo originario, concernente gli effetti del mancato rispetto del termine dilatorio di novanta giorni per la costituzione in giudizio: in particolare, se tale mancato rispetto determinasse, al pari dell’omissione del reclamo, l’inammissibilità del ricorso5.
La disposizione riguarda, dunque, l’ipotesi del processo instaurato prima dei novanta giorni previsti per lo svolgimento della procedura amministrativa: in tale caso, l’improcedibilità è rilevabile su eccezione dell’Agenzia delle entrate, da proporsi esclusivamente «in sede di rituale costituzione in giudizio»6, con conseguente rinvio della trattazione da parte del presidente per consentire lo svolgimento della detta procedura.
La seconda novità deriva dalla sostituzione degli originari 3° e 4° periodo del co. 9. Tale comma prevedeva che i termini per la costituzione in giudizio delle parti decorrevano, a seconda dei casi, dal novantesimo giorno dalla presentazione del reclamo «senza che sia stato notificato l’accoglimento dello stesso o senza che sia stata conclusa la mediazione» (combinato disposto del 1° e 2° periodo) o dalla data, anteriore, in cui il contribuente avesse ricevuto la notificazione di un atto che respingeva il reclamo in tutto o in parte (3° e 4° periodo). Con l’eliminazione di tali due ultimi periodi, il dies a quo dei termini di costituzione è stato uniformato nel senso che gli stessi decorrono ormai, per tutti i procedimenti, dalla data dello spirare di «novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione» (combinato disposto degli immutati 1° e 2° periodo del co. 9).
La terza novità è la previsione, contenuta nel nuovo co. 9-bis, della sospensione ex lege della riscossione e dell’obbligo di pagamento delle somme dovute in base all’atto reclamato, «fino alla data dalla quale decorre il termine di cui all’articolo 22» per la costituzione del ricorrente, cioè fino alla data in cui siano «decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo e senza che sia stata conclusa la mediazione»7. Come si è anticipato al § 2.1, la disposizione, sospendendo la riscossione durante lo svolgimento della fase amministrativa introdotta con il reclamo, ha risolto il problema della (lamentata) preclusione, per il contribuente, della tutela cautelare giurisdizionale durante tale fase8. Detta sospensione «non si applica», peraltro, «nel caso di improcedibilità di cui al comma 2 dell’art. 17-bis» (secondo periodo del co. 9-bis). Ciò significa che, nel caso di (eccepita e rilevata) improcedibilità per la prematura costituzione in giudizio del contribuente prima del decorso di novanta giorni dalla presentazione del reclamo, l’effetto sospensivo ‒ che si era già prodotto ex lege in conseguenza della presentazione (e a far data dalla stessa) ‒ viene a cessare. Il 2° periodo del co. 9-bis è parso ad alcuni di dubbia costituzionalità9. Esso ripropone, limitatamente all’ipotesi dal medesimo disciplinato, il problema della praticabilità della tutela cautelare giurisdizionale in pendenza della procedura amministrativa introdotta con il reclamo.
Al riguardo, sembra che la rilevata improcedibilità del ricorso, comportando unicamente il dovere di «rinvia[re] la trattazione per consentire la mediazione» (co. 2, 2° periodo), escluda solo il potere del giudice tributario di decidere la controversia nel merito, ma non quello di pronunciarsi O ancorché non sia decorso il termine dilatorio di novanta giorni allo spirare del quale «il reclamo produce gli effetti del ricorso» (co. 9, 1° periodo) O sull’istanza di sospensione proposta ai sensi dell’art. 47 d.lgs. n. 546/1992. A favore di tale soluzione milita anche l’esigenza di un’interpretazione conforme all’art. 24, 1° co., Cost. (tenuto conto della strumentalità della giurisdizione cautelare rispetto all’effettività della tutela giurisdizionale) sulla scorta di quanto deciso, in casi simili, da C. cost., sentt. n. 403/2007 e n. 336/199810.
La quarta novità è la previsione del nuovo 3° periodo del co. 9 ‒ sostitutivo degli originari 3° e 4° periodo ‒ secondo cui, «Ai fini del computo del termine di novanta giorni, si applicano le disposizioni sui termini processuali».Da tale applicabilità ‒ precedentemente esclusa dall’Agenzia delle entrate sul rilievo che detto termine si riferisce a «una fase amministrativa e non processuale»11 ‒ consegue l’operatività della sospensione del decorso dei termini processuali nel periodo feriale prevista dalla l. 7.10.1969, n. 742. L’ultima innovazione è l’inserimento, nel co. 8, di due periodi, gli attuali 2° e 3°, secondo cui «L’esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi». Entrambi i periodi ricalcano la disciplina dell’accertamento con adesione (art. 2, co. 2 e 5, d.lgs. 19.6.1997, n. 218). L’attuale 2° periodo recepisce l’interpretazione che, pur nel silenzio dell’originario art. 17 bis sul punto, aveva prospettato l’Agenzia delle entrate12. Secondo la stessa Agenzia, «Il pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali rileva ai fini del perfezionamento della mediazione»13; questa tesi è stata criticata dalla dottrina, in quanto, in base al rinvio operato dal co. 8 dell’art. 17 bis, alla mediazione «si applicano le disposizioni dell’art. 48» d.lgs. n. 546/1992 in tema di conciliazione giudiziale, secondo cui il perfezionamento dell’accordo è condizionato al pagamento solo di tributo, sanzioni e interessi e non anche dei contributi previdenziali e assistenziali14.
Le illustrate novità non hanno risolto tutti i problemi posti dall’art. 17 bis ed anzi ne hanno proposti di nuovi. Di alcuni si è già detto nel § 2.
Tra essi spicca quello derivante dalla mancata previsione del ristoro delle spese sostenute dal contribuente per la presentazione e la cura del reclamo accolto; aspetto non affrontato né dalla Corte costituzionale né dalla indicata novella (il primo periodo del co. 10 – che prevede, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma, a carico della parte totalmente soccombente, pari al 50 per cento delle spese di giudizio, a titolo di rimborso delle spese del procedimento amministrativo conseguente al reclamo O riguarda solo le ipotesi in cui non sia stato accolto il reclamo o non sia stata conclusa la “mediazione” e, una volta che il reclamo abbia prodotto gli effetti del ricorso, il giudizio si concluda con sentenza). Il dubbio di costituzionalità derivante dalla indicata lacuna legislativa, peraltro, sarebbe superato ove il co. 9, 1° periodo, dell’art. 17 bis fosse interpretabile nel senso che l’accoglimento del reclamo è idoneo ad inibire non tutti gli effetti del ricorso, ma (come si è sostenuto invocando le regole generali in materia processuale15) solo quello di investire il giudice della decisione sul merito del ricorso e consenta, perciò, la costituzione in giudizio del contribuente (dopo l’esaurimento della fase amministrativa) al limitato fine di chiedere la rifusione delle spese, in base al principio della soccombenza virtuale affermato da C. cost., sent. n. 247/2005. Va sottolineato che, per il caso di effettiva soccombenza giudiziale, le vicende della fase amministrativa rilevano O in forza del secondo periodo del co. 10 dell’art. 17 bis – anche sotto un altro profilo, in quanto (fuori dall’ipotesi di soccombenza reciproca) la compensazione delle spese di lite può essere disposta dal giudice soltanto se indichi esplicitamente nella sentenza «i giusti motivi… che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione»: ciò in deroga alla regola generale dell’art. 92, co. 2, c.p.c., che richiede, per detta compensazione, l’esplicitazione nella sentenza di «gravi ed eccezionali motivi». Inoltre, la sopra citata condanna al pagamento di una somma «in aggiunta alle spese di giudizio», prevista dal primo periodo del co. 10 del medesimo art. 17 bis, in quanto dovuta dalla parte totalmente soccombente quale «rimborso delle spese del procedimento» amministrativo, non è incompatibile con l’eventuale (diversa) condanna pronunciata dal giudice ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
1 La Corte ha altresì precisato che la sussistenza di interessi pubblici giustificativi del differimento dell’accesso alla giurisdizione non è esclusa dall’esistenza di altri istituti deflativi del contenzioso, perché «l’obbligatorietà della procedura introdotta dal reclamo (a fronte della facoltatività delle istanze di autotutela e di accertamento con adesione) e la previsione della mediazione quale strumento di composizione delle controversie legato alla valutazione, da parte dell’Agenzia delle entrate, anche dell’economicità dell’azione amministrativa» conferiscono «al reclamo e mediazione tributari una particolare effettività sul piano del più pronto soddisfacimento delle situazioni sostanziali e della deflazione del carico di lavoro della giurisdizione tributaria».
2 La Corte chiosa che tale mancanza «induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’àmbitomediatorio propriamente inteso».
3 Agenzia delle entrate, Dir. centr. aff. leg. e cont., circ. 12.2.2014, n. 1/E.
4 Ipotesi che, a parere di chi scrive, avrebbe richiesto una disciplina analoga a quella stabilita, ad esempio, dall’art. 443 c.p.c., con la previsione che la commissione sospenda il giudizio e stabilisca un termine perentorio per la presentazione del reclamo, nonché un altro termine, del pari perentorio e decorrente dall’esaurimento della fase amministrativa, per la riassunzione del processo.
5 Infatti O nonostante che il testo previgente, nel prevedere l’inammissibilità esclusivamente per la mancata presentazione del reclamo, consentisse di ritenere che il mancato rispetto del termine di costituzione in giudizio comportasse solo l’improcedibilità del ricorso O parte della giurisprudenza e della dottrina si erano orientate nel senso dell’inammissibilità anche per l’intempestiva costituzione (Comm. trib. prov. Aosta, 8.11.2013, n. 24, Comm. trib. prov. Foggia, 26.3.2013, Comm. trib. prov. Rieti, 15.10.2012, n. 112; Carinci, A., Il rispetto dei termini per l’esaurimento della procedura di reclamo condiziona l’ammissibilità del ricorso, in Corr. Trib., 2013, 31, 2456 ss.).
6 Cioè mediante il deposito delle controdeduzioni entro sessanta giorni dal decorso dei novanta giorni previsti per lo svolgimento del procedimento amministrativo (combinato disposto degli artt. 17 bis, co. 9, e 23 d.lgs. n. 546/1992).
7 La sospensione non impedisce, però, la decorrenza degli interessi che, «in assenza di mediazione», sono dovuti nella misura prevista dalle singole leggi d’imposta.
8 PerGlendi,C.,Tutela cautelare e «nuova»mediazione tributaria, in Corr. Trib., 2014, 4, 278, la sospensione non opera nei casi di iscrizione a ruolo e di affidamento in carico straordinari (con la conseguente possibile esigenza, in tali ipotesi, di una tutela cautelare giurisdizionale durante la fase amministrativa).
9 Giovannini, A., La disciplina “riveduta e corretta” del reclamo e della mediazione, in Il Fisco, 2014, 9, 816-817, secondo il quale «L’improcedibilità…esaurisce i suoi effetti in seno al processo nel quale viene pronunciata, lasciando impregiudicata l’attività pregiurisdizionale delle parti e non riverberandosi, per sua stessa natura e finalità, sugli esiti del procedimento nel quale si incardina siffatta attività», di talché «il comma 9-bis è senz’altro censurabile per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111, Cost., violando all’evidenza il principio di eguaglianza e quello della pienezza della tutela, racchiuso, appunto, nell’art. 111»; Carinci, A., Corretta la disciplina di reclamo e mediazione tributaria: risolti i «vecchi» dubbi, se ne profilano altri, in Corr. Trib., 2014, 4, 273-274; Corasaniti, G., Il reclamo e la mediazione tributaria tra la recente giurisprudenza costituzionale e i controversi profili evolutivi della Corte costituzionale, in Dir. prat. trib., 2014, 3, 543.
10 Per la praticabilità della tutela cautelare di cui all’art. 47 d.lgs. n. 546/1992: Giovannini, A., ibid., 817; Glendi, C., ibid., 279-282. Per quest’ultimo, nei casi di iscrizione a ruolo e di affidamento in carico straordinari (v. la nota 8), detta tutela è esperibile sia prima della (eventuale) eccezione di improcedibilità dell’Agenzia delle entrate, quando «il giudice tributario adito trovasi… nel pieno esercizio dei suoi poteri», sia dopo l’intervenuto stato di improcedibilità del ricorso.
11 Agenzia delle entrate, Dir. centr. aff. leg. e cont., circ. 19.3.2012, n. 9/E, § 2.9.
12 Circ. cit. alla nota 11, § 1.4.
13 Circ. cit. alla nota 3, § 3.
14 Giovannini, A., ibid., 817-818, il quale ritiene, perciò, che «il perfezionamento della mediazione continui ad essere vincolato al pagamento del solo tributo (delle sanzioni e degli interessi)».
15 Giovannini, A., Questioni costituzionali sul reclamo tributario, in Riv. dir. trib., 2013, 4, 323-327.