Fabbisogni, reclutamento e stabilizzazioni
La disciplina dell’organizzazione degli uffici e dell’accesso al lavoro pubblico, sottratta alla competenza della contrattazione collettiva e affidata al monopolio della legge e degli atti normativi e ammnistrativi, è una delle materie su cui la cd. “riforma Madia” ha posto maggiore attenzione, con l’obiettivo di semplificare e razionalizzare le regole, oltre a superare definitivamente l’annoso problema del precariato. Il contributo che segue analizza sinteticamente le nuove regole del d.lgs. 25.5.2017, n. 75 (a partire dagli atti preliminari di programmazione e organizzazione degli uffici che servono a rilevare il fabbisogno del personale passando per le procedure concorsuali, fino ai contratti flessibili e alle procedure di stabilizzazione) evidenziando le novità rispetto al passato, i profili di criticità e le questioni ancora aperte.
Le norme sull’organizzazione degli uffici pubblici e il reclutamento sono state modificate più volte negli ultimi anni, limitatamente però a singoli profili (come la revisione delle competenze della Scuola nazionale della p.a.) [1] e con interventi troppo spesso frammentari; da tempo oramai si reclamava una riforma più complessiva e organica. Il tema è stato posto al centro della l. delega di riforma della pubblica amministrazione (l. 7.8.2015, n. 124), con l’obiettivo di ridisegnare le modalità operative dei concorsi pubblici e degli atti di macro organizzazione a essi sottesi, nella logica della semplificazione e razionalizzazione delle regole, eliminando, ove necessario, alcune rigidità burocratiche. In questa cornice la novella ha inteso puntare anche a una maggiore qualificazione professionale del personale e alla valorizzazione, per le assunzioni in ruolo, del lavoro prestato con contratti flessibili, nell’ottica di un progressivo assorbimento delle forme di lavoro precario, unitamente al contenimento delle assunzioni dettato dall’equilibrio della finanza pubblica. A tali principi ha cercato di dare attuazione il d.lgs. 25.5.2017, n. 75, con gli artt. 4, 5, 6, 7, 9, modificando in più parti il d.lgs. 30.3.2001, n. 165 (d’ora in poi t.u.) e l’art. 20 che invece non ha inciso direttamente sul t.u.
Ai limitati fini del presente studio, l’analisi delle norme può essere schematicamente ripartita tra le innovazioni sugli atti di organizzazione degli uffici (dal superamento della dotazione organica all’adozione delle linee di indirizzo per la pianificazione dei fabbisogni), le regole del concorso pubblico e la riformata disciplina dei lavori flessibili insieme all’ennesimo tentativo di superare il precariato con nuove procedure di stabilizzazione.
La valorizzazione del piano del fabbisogno a scapito della dotazione organica costituisce uno degli elementi che più caratterizzano la riforma del t.u. In attuazione del criterio guida («progressivo superamento della dotazione organica come limite alle assunzioni fermi restando i limiti di spesa anche al fine di facilitare i processi di mobilità») [2], l’art. 4, d.lgs. n. 75/2017, riscrive in toto l’art. 6 del t.u., pur senza modificare nella sostanza l’architettura originaria [3]. L’organizzazione degli uffici rimane, infatti, ancora incentrata su un sistema incardinato sull’adozione di atti di alta amministrazione previsti dagli ordinamenti di ciascuna amministrazione e di pertinenza dei diversi organi di governo. Le novità si registrano piuttosto sul piano procedurale, laddove si introducono diversi elementi di semplificazione che mirano a sburocratizzare il sistema e a velocizzare gli interventi di revisione organizzativa interna a ogni p.a.
Nella riscrittura della rubrica del nuovo art. 6, (organizzazione degli uffici e fabbisogni di personale), scompare il riferimento alle dotazioni organiche – subentrate da tempo alle vecchie piante organiche e rivelatesi poco funzionali a una autentica flessibilità organizzativa [4] – che, invero, di fatto non vengono superate, essendone prevista semmai una differente disciplina. L’elemento centrale sul quale ruota l’organizzazione degli uffici diviene ora il «piano triennale dei fabbisogni di personale», documento che deve essere redatto «in coerenza con la pianificazione pluriennale delle attività e della performance» e che assorbe la vecchia programmazione triennale dei fabbisogni.
Il piano indica le risorse finanziarie destinate alla sua attuazione, nei limiti delle risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quella connessa alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente. Il tutto deve avvenire sempre curando «l’ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento», anche con riferimento alle categorie protette (art. 6, co. 2, t.u.). La dotazione organica è sostituita dal personale in servizio al netto dei dipendenti che cessano dal servizio ai quali vanno aggiunti i contenuti del piano assunzionale. In questo modo si cerca di superare un elemento distorsivo insito nello strumento della dotazione organica, costituito dall’automatismo nel mantenimento dei posti nella struttura dell’ente una volta che i dipendenti abbiano cessato dal servizio, il che ha portato le p.a. nel corso degli anni ad accumulare posti vacanti nelle dotazioni organiche.
Sul piano attuativo, rispetto al passato, si assiste a un alleggerimento delle sequenze procedimentali, per garantire maggiore rapidità nell’attuazione delle determinazioni riguardanti la provvista di personale, compresa la sua variazione periodica e la sua articolazione interna [5]. Scompaiono, infatti, i rinvii ai regolamenti governativi di delegificazione [6], previsti sia per l’organizzazione degli uffici e la determinazione della consistenza delle dotazioni organiche, sia per eventuali variazioni delle dotazioni medesime; così come viene abrogata la partecipazione dei dirigenti al processo di elaborazione del piano, i quali erano tenuti a individuare «i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture cui sono preposti» (vecchio art. 6, co. 4-bis, t.u.) [7]. Il piano dei fabbisogni, pur redatto su base triennale, deve essere adottato annualmente dall’organo di vertice dell’amministrazione. Per le amministrazioni statali, è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (o da un Ministro delegato), di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze; per le altre p.a. è deliberato in conformità alle modalità previste dalla disciplina dei propri ordinamenti. In entrambi i casi continua a essere garantita l’informazione sindacale preventiva (ove prevista nei contratti collettivi) [8].
Le p.a. che non provvedono a tali adempimenti non possono assumere nuovo personale (art. 6, co. 6, t.u.), fatte salve le categorie protette non più incluse in questo divieto; ne consegue l’obbligo di procedere alle assunzioni di tali categorie, nelle percentuali fissate dalla legge, anche qualora la p.a. non abbia adottato il piano triennale. Si stabilisce inoltre che, in fase di prima applicazione, il divieto per le p.a. di effettuare assunzioni di personale in caso di mancata adozione del piano triennale del fabbisogno entrerà in vigore solamente a partire dal prossimo 30.3.2018 e, comunque, decorsi almeno 60 giorni dalla pubblicazione delle linee di indirizzo [9]. Nuova anche la previsione che fa salve le procedure di reclutamento del personale docente e ATA delle istituzioni scolastiche e universitarie (art. 6, co. 6-ter, t.u.). Novità, infine, meramente formali (per eliminare ogni riferimento alle «dotazioni organiche») contiene l’art. 6 bis, secondo cui le p.a. a impiego privatizzato, nonché gli atti finanziati direttamente o indirettamente a carico del bilancio dello Stato, possono eseguire procedure di esternalizzazione dei servizi già prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione e di adottare le necessarie misure in materia di personale.
Ai fini dell’adozione dei nuovi piani triennali, la riforma prevede la definizione di linee di indirizzo, per orientare le amministrazioni anche con riferimento a fabbisogni prioritari o emergenti di nuove figure e competenze professionali (art. 6 ter, t.u.). Per le amministrazioni statali le linee di indirizzo sono adottate con decreti non regolamentari del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica. Con riguardo alle regioni, agli enti regionali, al sistema sanitario nazionale e agli enti locali, i medesimi decreti sono adottati previa «intesa» in sede di Conferenza unificata [10], mentre per le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale di concerto anche con il Ministro della salute. Tuttavia, si prevede che, in sede di prima applicazione, le amministrazioni possano adottare il piano triennale dei fabbisogni anche in assenza delle linee di indirizzo.
La previsione delle linee di indirizzo è strettamente funzionale anche all’attuazione del criterio della l. delega della rilevazione delle competenze dei lavoratori pubblici [11], che il decreto affida al «sistema informativo del personale» di cui al novellato art. 60, t.u. Si dispone pertanto l’implementazione delle modalità di acquisizione dei dati del personale al fine di censire informazioni riguardanti le professioni, le competenze e i dati correlati ai fabbisogni. Il tutto è reso cogente attraverso un preciso obbligo di comunicazione in capo alle amministrazioni, con riferimento sia ai nuovi fabbisogni sia al censimento delle professionalità presenti nell’intero sistema pubblico, da rendere tempestivamente al Dipartimento della funzione pubblica, cui segue un secondo obbligo di comunicare i contenuti dei piani entro 30 giorni dalla loro adozione. Il mancato assolvimento di tali obblighi è espressamente sanzionato con il divieto per le p.a. di procedere alle assunzioni (art. 6 ter, co. 5, t.u.).
Non di così ampia portata sono le modifiche in tema di procedure concorsuali (con modifiche all’art. 35 t.u.), avendo attuato solo in parte i principi e i criteri generali fissati nella l. delega [12].
Una prima novità è rappresentata dalla facoltà, per ciascun’amministrazione, di limitare nel bando il numero degli eventuali idonei in misura non superiore al 20% dei posti messi a concorso (art. 35, co. 3, lett. e-bis, t.u.), consentendo così di porre un limite allo scorrimento delle graduatorie, attraverso l’assunzione di idonei non vincitori di concorso, non considerato favorevolmente nell’interesse della gestione della cosa pubblica e spesso foriero anche di contezioso (basti pensare all’annosa questione circa la sussistenza o meno dell’obbligo per la p.a. di coprire un posto vacante attraverso lo scorrimento di una graduatoria ancora valida piuttosto che indire una nuova procedura concorsuale) [13].
Altra novità è data dalla possibilità di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento, il possesso del titolo di dottore di ricerca, che deve comunque essere valutato, ove pertinente, tra i titoli eventualmente rilevanti ai fini del concorso (art. 35, co. 3, lett. e-ter, t.u.). L’intento è selezionare personale particolarmente qualificato, anche se, rispetto al criterio di delega di «valorizzazione del titolo di dottore di ricerca» ci si aspettava una previsione più incisiva, come osservato dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato nel parere reso in data 11.4.2017, che parla di «attuazione timida».
Si precisa, poi, che le determinazioni sull’avvio delle procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione sulla base non più della programmazione triennale del fabbisogno di personale deliberata dal Consiglio dei ministri, ma del nuovo piano dei fabbisogni (cfr. art. 35, co. 4, t.u.). Di maggiore rilievo appare il superamento della precedente regola della cd. regionalizzazione del reclutamento (vecchio art. 35, co. 5, t.u.) puntando ora a una gestione accentrata e unitaria. Si dà la possibilità alle amministrazioni di rivolgersi, per lo svolgimento delle proprie procedure selettive, al Dipartimento della funzione pubblica e di avvalersi della Commissione RIPAM (che a tal fine potrà utilizzare il personale messo a disposizione dal Formez p.a.) e in tal caso si consente anche di fissare nel bando un contributo di ammissione al concorso (in misura non superiore a 10 euro). Sono comunque fatte salve le competenze delle Commissioni esaminatrici. Stante la nuova regola di accentramento, non si comprende la permanenza del principio di «decentramento delle procedure di reclutamento» di cui all’art. 35, co. 3, lett. d), t.u. La più generale revisione delle modalità di espletamento dei concorsi è demandata dal legislatore delegato a successive «Linee guida di indirizzo amministrativo» (di natura non regolamentare, come peraltro suggerito dal citato parere del Consiglio di Stato), per lo svolgimento delle prove concorsuali e sulla valutazione dei titoli, ispirati alle migliori pratiche a livello nazionale e internazionale in materia di reclutamento del personale, nel rispetto della normativa vigente in materia (cfr. art. 35, co. 5.2, t.u.). Le linee guida devono essere predisposte dal Dipartimento della funzione pubblica (anche avvalendosi del Formez e della Commissione RIPAM), previo «accordo» (non un’intesa, in questo caso) in Conferenza unificata e di concerto con il ministero della Salute per quanto riguarda il personale sanitario, tecnico e professionale. Modifiche sono state introdotte anche all’accertamento delle conoscenze informatiche e delle lingue straniere nei concorsi pubblici di cui all’art. 37 t.u.: si valorizza in modo particolare la conoscenza della lingua inglese (e non, dunque, come prima previsto, di una lingua straniera a scelta dell’amministrazione), nonché, ove opportuno in relazione al profilo professionale richiesto, di altre lingue straniere.
L’art. 9, d.lgs. n. 75/2017, riscrive la disciplina sul lavoro flessibile e, cioè, del «personale assunto a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile», secondo la nuova dizione dell’art. 36 t.u., fermo restando che per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le p.a. devono assumere esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Non poche sono le criticità presenti nella nuova formulazione, come già da altri puntualmente osservato [14], specie se si considera il principio di delega di cui all’art. 17, co. 1, lett. o), l. n. 124/2015, secondo cui il legislatore delegato avrebbe dovuto individuare limitate e tassative fattispecie di lavoro flessibile con l’obiettivo di armonizzare la regolamentazione di queste tipologie contrattuali con le modifiche introdotte dal d.lgs. 15.6.2015, n. 81. Spiace constatare come manchi ancora una ricostruzione sistematica della disciplina del pubblico impiego flessibile [15], coerente e coordinata con le recenti riforme in materia di lavoro privato alle cui disposizioni si fa riferimento invece solo in modo frammentario.
La novella dispone che le p.a. possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi «delle altre forme flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa», che continuano a poter essere utilizzate solamente per comprovate esigenze di carattere temporanee ed eccezionali e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall’art. 35. Rispetto alla disciplina vigente per il lavoro privato, sussistono alcune deroghe ed eccezioni: nei contratti a tempo determinato stipulati dal datore di lavoro pubblico il diritto di precedenza trova applicazione solo nei confronti del personale appartenente alle categorie protette, mentre i contratti di somministrazione di lavoro, per i quali si rinvia espressamente al d.lgs. n. 81/2015, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente dettata dalla contrattazione collettiva nazionale, sono esclusi per l’esercizio di funzioni direttive o dirigenziali.
Viene riformulato l’obbligo di inviare (ai nuclei di valutazione e agli organismi di valutazione, nonché al Dipartimento della funzione pubblica) un analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile, con la finalità di combattere gli abusi nel loro utilizzo. Sul piano procedurale cambia la periodicità (il rapporto va trasmesso entro il 31 gennaio di ciascun anno e non più il 31 dicembre) ed è previsto il coinvolgimento del sindacato (nella redazione del rapporto deve essere data informazione alle organizzazioni sindacali tramite l’invio all’osservatorio paritetico presso l’Aran [16]).
Tutti i contratti di lavoro – e non più soltanto quelli a termine – posti in essere in violazione delle disposizioni sul lavoro flessibile sono nulli e determinano responsabilità erariale. Nuova, infine, la disposizione (art. 36, co. 5-quinquies, t.u.) che prevede la non applicazione della normativa vincolistica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario a tempo determinato presso le istituzioni scolastiche ed educative statali e degli enti locali, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica; per gli enti di ricerca pubblici rimane ferma la normativa speciale.
La stabilizzazione dei lavoratori precari, individuato come uno strumento di intervento che le p.a. potranno utilizzare al fine di realizzare le politiche occupazionali in riferimento al triennio 2018-2020 [17], costituisce il tratto caratterizzante di maggiore rilievo della novella e si connota per una maggiore ampiezza rispetto alle procedure utilizzate in passato [18], fermo restando il rispetto di numerosi vincoli. La disciplina è contenuta nell’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017 (norma che si ascrive tra le disposizioni transitorie e finali del decreto di modifica del t.u.) che, di fatto, trasforma in norma giuridica un impegno politico che il governo pre-referendario aveva sottoscritto con le organizzazioni sindacali nell’ambito del protocollo d’intesa del 30.11.2016 [19]. Sono individuate due distinte procedure. La prima si concretizza in una assunzione diretta (senza concorso), destinata a personale in possesso di precisi requisiti (da intendersi posseduti cumulativamente) e cioè: a) risultare in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della l. n. 124/2015 (28.8.2015) con contratti a tempo determinato presso la stessa amministrazione che intende procedere all’assunzione; b) essere stato reclutato a tempo determinato (anche in passato e presso un’altra amministrazione) con procedure concorsuali pubbliche per le stesse mansioni per le quali si candida; c) aver maturato, al 31.12.2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. Ai fini di tale assunzione diretta ha priorità il personale in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 75/2017 (22.6.2017). Anche se questa prima procedura non prevede alcun tipo di selezione, le p.a. potrebbero esser costrette ad adottarle qualora le risorse finanziare non fossero capienti per l’assunzione di tutti i precari in possesso dei requisiti di legge. In tal caso, dovranno esser individuati criteri suppletivi rispetto alla mera anzianità di servizio, tenendo conto dell’esigenza espressa dal legislatore di valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato. La seconda modalità prevede un concorso riservato, da utilizzare nei confronti di chi risulti titolare, al 28.8.2017, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso e abbia maturato, al 31.12.2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso. Questa procedura “chiusa”, in ogni caso, non può interessare più del 50% dei posti disponibili nell’ambito del programma delle assunzioni e fermo restando l’adeguata copertura finanziaria intesa quale quantificazione degli oneri e individuazione delle risorse necessarie a farvi fronte.
Entrambe le procedure sono applicabili anche al personale tecnico-professionale e infermieristico del Servizio sanitario nazionale, nonché al personale delle amministrazioni finanziate dal Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca, anche ove lo stesso abbia maturato il periodo di tre anni di lavoro negli ultimi otto anni rispettivamente presso diverse amministrazioni del Servizio sanitario nazionale o presso diversi enti e istituzioni di ricerca.
Sono esclusi, invece, i somministrati (dal momento che il loro rapporto non risulta instaurato con la p.a., bensì con l’agenzia fornitrice), i dirigenti, la scuola e il servizio prestato negli uffici di staff di organi politici di qualunque p.a. e, negli enti locali, gli assunti ex artt. 90 e 110 del t.u.e.l. per incarichi dirigenziali o di alta professionalità, oltre al personale medico, tecnico-professionale e infermieristico del Servizio sanitario nazionale, cui continuano ad applicarsi alcune disposizioni speciali.
Inoltre, fermo restando le norme di contenimento della spesa di personale, si consente alle p.a. di disporre ulteriori assunzioni con le procedure indicate solo utilizzando a tal fine le risorse previste per i contratti di lavoro flessibile, debitamente certificate da un punto di vista finanziario, purché riducano di conseguenza tali capitoli di spesa e al netto delle risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato per reclutamento con concorso pubblico. Tali prerogative
sono precluse ai comuni che non abbiano rispettato i vincoli di finanza pubblica per l’intero quinquennio 2012-2016.
È bene precisare che le misure sperimentali introdotte dal decreto legislativo non sanciscono un diritto alla stabilizzazione con relativo obbligo in capo alla p.a., ma solo una facoltà: l’effettiva immissione nei ruoli dell’Amministrazione potrà, infatti, essere disposta, nel triennio 20182020, sempre in conformità al piano triennale dei fabbisogni ed entro i vincoli di finanza pubblica.
Nelle more del completamento delle procedure di stabilizzazione, le Amministrazioni potranno prorogare i contratti di lavoro dei soggetti interessati alle procedure medesime, dando così continuità alle attività per le quali sono stati assunti, nei limiti delle risorse utilizzabili per le assunzioni a tempo indeterminato.
Allo stesso tempo, non potranno instaurare nuovi rapporti di lavoro flessibile.
Si conferma anche la possibilità di procedere (per il triennio 2018-2020) a quelle assunzioni, sempre a tempo indeterminato, previste dalle disposizioni speciali in tema di lavoratori socialmente utili con relativa proroga dei contratti a favore degli interessati [20].
Non è chiaro, poi, se possano essere stabilizzati i contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) che testualmente non sono inclusi nelle nuove procedure, a differenza delle precedenti regolamentazioni [21] ma che potrebbero essere ricompresi attraverso una interpretazione sistematica, visto che l’art. 20, d.lgs. n. 75/2017, richiama testualmente la disciplina della spesa del lavoro flessibile nelle p.a. (l. 30.7.2010, n. 122), che include espressamente i co.co.co. tra i possibili contratti di lavoro flessibili. Non solo. L’interpretazione più sostanziale che formale appare essere quella meglio conforme allo spirito della norma con la conseguenza che appaiono essere ricomprese tra le tipologie destinate alla stabilizzazione anche le co.co.co., malgrado il diverso e più ristretto significato attribuito a esse dalla novella rispetto alle tipologie di lavoro flessibile [22].
Il processo di riforma non si è ancora concluso: si attendono le linee di indirizzo e guida [23] che andranno a completare il quadro normativo e che si auspica contengano una serie di precisazioni, così come occorrerà monitorare le prime sperimentazioni per verificare la reale capacità delle astratte previsioni normative di trovare concreta attuazione nel contesto organizzativo/istituzionale delle p.a. È prematuro dunque esprimere giudizi definitivi, tuttavia è ben possibile far emergere alcuni profili problematici, posto che dalla breve disamina ne è risultato un quadro a tinte fosche, soprattutto non soddisfacente rispetto alle aspettative e agli obiettivi dettati dalla l. delega del 2015.
Si è già detto della parziale attuazione di alcune parti della delega [24] e delle perplessità circa il ricorso a fonti atipiche del diritto (linee guida) per la disciplina di dettaglio di alcune materie di particolare rilevanza e delicatezza, come le procedure concorsuali e i piani di fabbisogno del personale. A ciò si aggiunga che molte criticità del sistema previgente, da tempo segnalate nel dibattitto dottrinale [25], di cui pure sembrava essersi fatta carico la l. delega nei suoi principi direttivi, non sono state affrontate adeguatamente. Oltre al fatto che le nuove disposizioni non brillano sul piano della tecnica legislativa; diverse sono le incongruenze presentiti nel t.u. novellato e molte nuove disposizioni sono caratterizzate dalla presenza di elementi non sufficientemente chiari (si pensi alla definizione del rapporto tra piano del fabbisogno e dotazione organica) oltre a essere mancato un coordinamento complessivo delle norme dell’ordinamento che attengono alle risorse umane. C’è poi una questione completamente ignorata ma che pure avrebbe richiesto un puntuale intervento normativo; si tratta del controverso principio di “territorialità” (rectius: luogo di residenza) come requisito di accesso a una procedura concorsuale, introdotto dalla riforma Brunetta, all’art. 35, co, 5-ter, ultimo periodo, t.u.
Sin dal Protocollo d’intesa sul lavoro pubblico del 3.5.2012, le parti concordarono di «individuare misure volte a favorire il più ampio accesso ai pubblici uffici da parte dei cittadini degli stati membri dell’Unione europea, senza limitazioni derivanti dal luogo di residenza dei candidati». Ma tale auspicio non ha ancora avuto seguito e la riforma Madia rappresenta una occasione persa per eliminare dal nostro ordinamento una previsione che presenta profili di illegittimità costituzionale e di recente censurata anche dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui «non è ammissibile qualificare il requisito della residenza presso il Comune che ha indetto la selezione come aprioristica condizione di partecipazione alla procedura concorsuale» [26].
Sempre sul piano delle problematicità non si può, infine, non registrare la presenza di reiterate clausole di invarianza finanziaria. Come auspicato dal parere del Consiglio di Stato, sarebbe stato necessario per rinnovare e riorganizzare la p.a. e rendere effettiva ed efficace la riforma, procedere a un adeguato investimento e impegno finanziario nella p.a. medesima. In definitiva, resta l’impressione che il legislatore delegato abbia in qualche misura depotenziato la riforma rispetto alle finalità che essa intendeva perseguire, essendosi limitato troppo spesso a disordinati innesti (che rischiano di rivelarsi, in sede attuativa, mere operazioni di restyling) piuttosto che procedere a un complessivo e organico ridisegno delle regole, come pure i principi di delega sembravano richiedere.
[1] V. il mio scritto La formazione dei dipendenti pubblici ancora cenerentola tra esigenze di razionalizzazione e contenimento della spesa, in Riv. giur. lav., 2015, I, 585 ss.
[2] Art. 17, co. 1, lett. q), l. n. 124/2015.
[3] Matteucci, A.M., Commento sub artt 6 e 6-bis, in Fiorillo, L.Perulli, A., Diritto del Lavoro. Il lavoro pubblico, III, Milano, 2011, 134 ss.
[4] Cfr. Ales, E., La programmazione “impossibile”? I vincoli legali ai percorsi organizzativi delle pubbliche amministrazioni nella strategia del “ridimensionamento” delle risorse umane, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2005.
[5] Riccobono, A., Organizzazione amministrativa e mobilità del personale nel lavoro pubblico privatizzato, Napoli, 2017.
[6] Ex art. 17, co. 4-bis, l. 23.8.1988, n. 400.
[7] Non è stato invece abrogato e neppure modificato l’art. 16 del t.u. che annovera nelle funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali ancora la proposta delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono preposti, al fine dell’elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale.
[8] Non si fa, invece, più riferimento nell’art. 6 alle procedure di consultazione sindacale per le mobilità del personale conseguente a esuberi derivanti dalla ricognizione dei fabbisogni, che resta comunque nell’art. 33 t.u., espressamente richiamato.
[9] Cfr. art. 22, co. 1, d.lgs. n. 75/2017.
[10] In conformità con C. cost., 7.10.2016, n. 251, meglio sarebbe stato prevedere «l’accordo», anziché «l’intesa», come pure aveva suggerito il richiamato parere del Consiglio di Stato.
[11] Cfr. art. 17, co. 1, lett. i), l. n. 124/2015.
[12] Cfr. art. 17, co. 1, lett. a), b), c), d), e) e f), l. n. 124/2015.
[13] Fra le più recenti, cfr. Con. St., 18.9.2017, n. 4353.
[14] Si rinvia amplius al contributo in questo volume, Diritto del lavoro, 3.1.1 La “riforma Madia” del lavoro pubblico.
[15] Per una ricostruzione delle diverse questioni cfr. Pinto V., Lavoro subordinato flessibile e lavoro autonomo nelle amministrazioni pubbliche. Politiche legislative e prassi gestionali, Bari, 2013.
[16] Su tale organismo, di nuova istituzione, V. in questo volume, Diritto del lavoro, 3.3.2 Rapporto tra le fonti e ruolo della contrattazione.
[17] Secondo le stime del Governo il «piano straordinario di stabilizzazione» dovrebbe interessare, nel triennio 20182020, circa 50 mila precari.
[18] Cfr., da ultimo, Lozito M., Nuove regole di reclutamento del personale pubblico, in diritti lavori mercati, 2015, spec. 325 ss.
[19] Il Protocollo, al riguardo, così recitava (Parte 4, lett. c): «Il governo si impegna ad assicurare il rinnovo dei contratti precari con la pubblica amministrazione, attualmente in essere e di prossima scadenza, in vista di una definitiva regolamentazione da realizzarsi con la riforma del testo unico del pubblico impiego».
[20] Si tratta di quel canale preferenziale già previsto dalla l. di stabilità per il 2014 (l. 27.12.2013, n. 147, co. 209 e ss.).
[21] Si veda, ad es. art. 1, co. 401, l. 24.12.2012, n. 288 (l. di stabilità 2013).
[22] Sulle novità del 2017 in materia di collaborazioni coordinate e continuative, inserite nell’art. 7 del t.u., si v. in questo volume, Diritto del lavoro, 3.1.1 La “riforma Madia” del lavoro pubblico.
[23] Ai sensi dell’art. 22, co. 1, d.lgs. n. 75/2017, le linee di indirizzo per la pianificazione di personale dovevano essere adottate entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto cioè entro il 22.8.2017, termine che non è ovviamente imperativo.
[24] La delega risulta non del tutto attuata, ad es., quanto alla previsione di prove concorsuali che privilegino la capacità di risolvere casi pratici e alla soppressione del voto minimo di laurea (art. 17, co. 1, lett. b e d, l. n. 124/2015).
[25] Da ultimo si veda Gentile, G., Commento sub art. 35, in Fiorillo, L.Perulli A., op. cit., 460 ss.
[26] TAR Toscana, Firenze, 27.6.2017, n. 891, in www.giustiziaamministrativa.it.