RECO (‛Ροῖκος Poixog, Rhoecm)
Architetto e bronzista greco, figlio di Filea, nativo di Samo, che fiorì poco prima della metà del secolo VI a. C. Erodoto (III, 60) attribuisce a lui l'essere stato capoarchitetto ('αρχιτέκτων πρῶτος) del tempio ionico di Samo' il più grande di tutti quelli che allora si conoscevano.
Si opina che esso corrisponda al Labirinto falsamente detto samio di cui parla la tradizione. Per la tornitura delle basi (turbines) delle sue numerose colonne furono inventati leggerissimi congegni che potevano manovrarsi anche da un ragazzo (Plinio, Nat. hist., XXXVI, 90). Vitruvio (VII, praef., 12) specifica che su tale tempio, dedicato alla dea Era, lasciò uno scritto Teodoro. Quest'artista fu compagno di Reco. Reco e Teodoro furono inoltre considerati dagli antichi come conoscitori per primi della fusione del bronzo e, di conseguenza, come i primi fonditori di statue (Pausania, VIII, 14, 8). Pausania, appunto, tutte le volte che si trova di fronte ad opere di bronzo ritenute antichissime, pensa subito di attribuirle a loro. Così per il cratere bronzeo che si trovava a Patara nella Licia, nel tempio di Apollo, ed era creduto dai Lici lavoro dello stesso Efesto; così per l'Atena in bronzo nel tempio sull'acropoli di Amfissa; così per la statua della Notte, che adornava l'altare di Artemide Prototronia in Efeso (Pausania, X, 38, 6).
Reco, com'è naturale per un bronzista, fu anche coroplasta (Plinio, Nat. hist., XXXV, 152).,
Gli scavi condotti dal Buschor per mettere in luce l'Ereo di Samo hanno dimostrato, anche nei minuti particolari, l'ardua concezione e la ricca fantasia dell'architetto, fornendo documenti monumentali che poche altre volte è possibile trovare per arricchire la conoscenza delle antiche personalità artistiche. Anzi si è potuto assegnare in più a R. la nuova sistemazione che tutto il santuario ebbe intorno alla metà del sec. VI a. C. Un vaso di Naucrati porta la dedica di un R., non da tutti ritenuto lo scultore stesso.
La fusione in bronzo, in verità, prima di R. e Teodoro, era nota nel mondo orientale da tempo antichissimo; fu poi introdotta nelle Isole Egee. Pare che il vero valore dell'iniziativa di R. e Teodoro sia consistito nell'avere sostituito alla tecnica della fusione in pieno quello della fusione alla sabbia, che permetteva di dare al bronzo lo spessore che si voleva. Il nuovo metodo fu agevolmente applicato a statue grandi al vero e più.
Naturalmente più tardi ancora, con il processo della cera perduta, che fu poi ripreso in Italia nel 1400, si poté, grazie alla scuola dei bronzisti del Peloponneso, fare ancor meglio, perché si evitò la fusione con la suddivisione in varî pezzi e relativa saldatura.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, Lipsia 1868, nn. 262, 273, 275-77, 279, 282; H. Brunn, Gesch. d. griech. Künstl., Stoccarda 1889, 30-35; II, 324, 381; W. Klein, Gesch. d. griech. Künstl., I, Lipsia 1904, p. 196 segg.; C. Weickert, Typen d. arch. Archit., Augusta 1929, p. 115 segg.; E. Buschor, in Ath. Mitt., LV (1930), pp. 49-94, tavv. 13 e 19 (piante); W. Klein, Arch.-epigr. Mitt., IX (1885), p. 183 segg.; W. M. Flinders Petrie ed E. A. Gardner, Naucratis, II, 1888-1889, pp. 65, 778; P. Jacobsthal, in Ath. Mitt., XXXI (1906), p. 420; C. Weickert e M. Bieber, in Lexik. d. bildend. Künstl., XXVIII, p. 224 segg.; B. Pace, Introduzione allo studio dell'archeol., Napoli 1934, pp. 155-57.