Record di gas serra: il campanello delle Hawaii
Concentrazione record di anidride carbonica nell’atmosfera: negli ultimi 50 anni il ritmo di crescita è triplicato. Lo ha rilevato l’osservatorio delle Hawaii e indica che l’intero emisfero rischia non solo un maggiore riscaldamento dell’atmosfera ma anche l’aggravarsi del cambiamento climatico.
Il 9 maggio 2013 gli strumenti dell’osservatorio ai bordi del vulcano Mauna Loa, nelle Hawaii, registravano una concentrazione record di anidride carbonica (CO2) nell’aria: 400 parti per milione. Il dato della stazione
della NOAA (National oceanic and atmospheric administration) suonava come un allarme che già altri centri di rilevamento avevano annunciato come prossimo. Mai si era raggiunto un livello così alto dal 1958 quando iniziarono le registrazioni sulle vette del vulcano, nell’unico osservatorio a compiere da tanto tempo simili sondaggi. L’aumento della CO2 è generalmente ritenuto la causa del riscaldamento dell’atmosfera e quindi del cambiamento climatico. La NOAA ha una rete globale per questo genere di misurazioni e nel 2012 aveva riscontrato lo stesso livello di 400 parti per milione nell’Artico: prima volta in assoluto. Era un segnale che mostrava il manifestarsi di una pericolosa soglia di rischio, per il momento limitata all’area polare ma che poteva estendersi a latitudini più basse. Ciò avrebbe dimostrato che il problema stava per interessare l’intero emisfero settentrionale. Ed è quello che sta accadendo a distanza di nemmeno un anno perché la stazione di Mauna Loa si trova in una zona subtropicale. Ciò succede nell’emisfero Nord perché è maggior consumatore di idrocarburi rispetto all’emisfero meridionale. Prima della rivoluzione industriale nel 19° secolo la concentrazione globale era in media di 280 parti per milione. Ma si sa che nella storia della Terra ci sono state delle fluttuazioni in base alle diverse condizioni del pianeta, per cui il valore negli ultimi 800.000 anni ha oscillato tra 180 parti per milione durante le epoche glaciali a 280 parti per milione durante i periodi caldi interglaciali.
Da quando, oltre mezzo secolo fa, sono iniziate le misurazioni a Mauna Loa il ritmo di crescita della concentrazione annuale è aumentato passando da 0,7 parti per milione inizialmente, negli anni Cinquanta, a 2,1 parti per milione negli ultimi dieci anni. Oggi, quindi, la concentrazione di CO2 sale con una velocità cento volte superiore a quella esistente alla fine dell’ultima era glaciale, circa 10.000 anni fa.
Secondo la maggioranza degli scienziati i dati raccolti testimoniano come la consistente lievitazione delle emissioni di anidride carbonica generata bruciando carbone, petrolio e gas naturale, sia responsabile nel determinare l’accelerazione nella sua concentrazione. A controllare questo aspetto aveva iniziato nel 1958 Charles David Keeling della Scripps Institution of Oceanography di San Diego (California) e man mano che gli anni passavano le cifre mostravano un grafico con una linea in salita che fu battezzata ‘Keeling Curve’. Charles morì nel 2005 e il suo lavoro venne continuato dal figlio Ralph.
La NOAA nel 1974 creava la Global Monitoring Division estendendo i sondaggi a livello planetario. Ma per essere certi che i dati siano credibili sono stati organizzati 2 programmi sui gas serra completamente indipendenti consentendo gli indispensabili confronti.
Il record hawaiano ha reso ancora più acceso il confronto sul riscaldamento globale legato all’aumento di CO2. Soprattutto dopo che il Met Office britannico assieme a 12 centri di ricerca internazionali aveva diffuso una revisione dei dati sull’aumento della temperatura dimostrando come nell’ultimo decennio la curva stesse diventando piatta, il termometro non è più salito. E per il 2017 si prevedeva un aumento della temperatura di 0,43 gradi invece dei 0,57 gradi ipotizzati in precedenza. Inoltre, si affermava che la tendenza era quella di una linea stabile per il prossimo ventennio.
La ricerca pubblicata sulla rivista Climate Dynamics era stata avviata nel 2004 e serviva alla redazione del nuovo documento dell’IPCC (Intergovernmental panel on climate change). Il cambiamento nella tendenza, secondo gli esperti del Met Office, non metteva tuttavia in discussione il riscaldamento climatico. Intanto fiorivano altri studi e notevole clamore suscitavano le conclusioni di un lavoro del fisico canadese Qing-Bin Lu della Waterloo University di Ontario, il quale dimostrava come il global warming non fosse determinato dall’aumento della CO2 ma dalla diminuzione dei clorofluorocarburi (CFC) e di altri gas simili nell’atmosfera. La salita nella concentrazione di CFC, affermava Lu, era stata favorita dal Protocollo di Montreal del 1987 in seguito al quale numerose nazioni avevano eliminato la produzione dei CFC ritenuti responsabili della distruzione della fascia di ozono che circonda la Terra. Proprio per questo il picco della temperatura si sarebbe registrato nel 2002 e per i prossimi 50-70 anni dovrebbe esserci un progressivo e costante abbassamento. I dati ambientali possono variare facilmente sia cambiando i modelli di valutazione sia ampliando i possibili sondaggi nelle varie zone della Terra, tuttora limitati. Resta poi un problema di base ancora più arduo. L’indagine ambientale richiede un’integrazione di conoscenze che gli scienziati non sono ancora in grado di assicurare completamente. Tutto ciò lascia, quindi, legittimi e inevitabili margini di discussione.
La parola
CO2
Gas incolore e inodore, detto genericamente anidride carbonica o biossido di carbonio oppure, più correttamente, diossido di carbonio. Più pesante dell’aria, è il principale prodotto della combustione del carbone, degli idrocarburi e in generale delle sostanze organiche.
Nell’atmosfera terrestre, la CO2 è presente in una concentrazione media di 396,72 ppm (media mensile globale sulla superficie del mare, aprile 2013); dall’epoca preindustriale (1880 circa), quando aveva un valore di 280 ppm, la concentrazione è andata costantemente aumentando a causa del consumo crescente dei combustibili fossili e della
deforestazione, fattori che hanno portato a un aggravamento significativo dell’effetto serra. Anche se le attività antropiche determinano una forte perturbazione nel ciclo globale del carbonio, gli esperti non concordano sull’esistenza di una netta e ben definita correlazione tra l’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e l’innalzamento della temperatura media atmo- sferica globale.
ppm
Sigla dell’ingl. parts per million, ‘parti per milione’, espressione largamente usata nella terminologia scientifica e tecnica (inizialmente solo nei paesi di lingua anglosassone) per misurare una limitata concentrazione di sostanze inquinanti presenti nell’aria, acqua o in altri fluidi. Si ricava facendo il rapporto tra la massa dell’inquinante (in kg) e quel- la del fluido che lo contiene (an- ch’essa in kg) e moltiplicando poi il risultato per 1 milione. Più semplicemente, si può anche dire che 1 ppm equivale alla percentuale dello 0,0001%.