redshift
Spostamento delle frequenze di assorbimento verso valori più bassi di quelli misurati in laboratorio, rivelato nelle osservazioni spettroscopiche delle galassie. Il fenomeno, così chiamato perché nel visibile produce uno spostamento verso il colore rosso, è conseguenza dell’espansione dell’Universo, a causa della quale tutte le galassie, compresa la nostra, si allontanano le une dalle altre. L’effetto è tanto maggiore quanto più velocemente le galassie si allontanano, quindi quanto più esse sono lontane. I valori del redshift vanno da zero a infinito, corrispondenti rispettivamente a velocità delle galassie nulla e uguale a quella della luce; il calcolo tiene conto della differenza tra la frequenza dei segnali in arrivo e quella delle analoghe emissioni prodotte in laboratorio, con correzioni relativistiche nel caso di valori elevati. Conoscendo il tasso di espansione attuale dell’Universo, la misura del redshift permette di valutare l’epoca delle galassie osservate, cioè il tempo impiegato dalla luce delle galassie per raggiungere la Terra. Il redshift è analogo all’effetto Doppler, ma quest’ultimo non ha niente a che fare con l’espansione dell’Universo, perché descrive soltanto l’allontanamento di oggetti nello spazio e non di oggetti (galassie) che si dilatano con lo spazio, per cui nell’ambito cosmologico il redshift richiede la giusta interpretazione. Per la descrizione dell’effetto Doppler è sufficiente utilizzare la geometria euclidea e la relatività ristretta; nel caso dell’espansione dell’Universo la teoria corretta è invece la relatività generale, che lega la presenza di materia alla geometria dello spazio. La differenza concettuale è netta: nel primo caso la velocità non può superare quella della luce, mentre nella relatività generale non c’è un limite alla velocità di espansione dell’Universo, che può tranquillamente superare la velocità della luce perché, come notato, non siamo in presenza di un movimento reale tra oggetti, ma di una dilatazione dello spazio tra essi.
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