REGGIO E BRANCIFORTE, Michele
REGGIO E BRANCIFORTE, Michele. – Nacque nel 1682 ad Aci Catena, secondogenito di Stefano Reggio Saladino, principe di Campofiorito e di Aci Ss. Antonio e Filippo, e di Dorotea Branciforte Colonna.
Venne ammesso nel 1689 insieme al fratello Andrea tra i cavalieri del Real Ordine di Malta, dove assunse il titolo di fra Michele. Grazie alle sue capacità divenne balì e priore del Sovrano militare Ordine di Malta.
Dopo il trattato di Utrecht (1713) che assegnava la Sicilia al Regno sabaudo, il fratello Luigi, legato da vincoli di fedeltà alla Spagna, si trasferì insieme alla famiglia presso la corte madrilena per conseguire una prestigiosa carriera. Anche i fratelli beneficiarono della protezione borbonica: Andrea entrò nella marina militare spagnola, mentre il trentunenne Michele fu nominato comandante di una delle due galee impegnate a contrastare la pirateria nel Mediterraneo. Partecipò a numerose spedizioni navali e a 36 anni fu nominato tenente generale della Real armada e comandante in seconda delle galee spagnole.
Nel 1731, a seguito della rivendicazione spagnola sul Ducato di Parma e Piacenza e sul Granducato di Toscana a favore dell’infante don Carlos di Borbone, Filippo V ordinò a Reggio e al marchese Stefano de Mari di sbarcare a Livorno 7500 soldati. In seguito Michele salpò alla volta del porto di Antibes in Francia, per prendere a bordo don Carlos e condurlo a Livorno. Nel 1734, quando questi conquistò il Regno di Napoli, Reggio condusse nel Salento le truppe spagnole del conte di Montemar per sottomettere la Puglia occupata dagli austriaci. Nel giugno del 1735, a 53 anni, lasciò la Real armada di Spagna e offrì i suoi servizi al giovane sovrano, che gli concesse la carica di capitano generale delle galee e dell’armata navale del Regno. Nel luglio del medesimo anno sbarcò le truppe in prossimità di Palermo e, occupata l’isola, Carlo di Borbone venne proclamato re di Sicilia.
Preoccupato delle carenti difese del Regno, il sovrano gli affidò il consolidamento delle roccaforti urbane e regnicole come il torrione del Carmine, Castel Capuano, S. Elmo, Castel dell’Ovo e le piazzeforti di Gaeta, Pescara, Baia e Ischia. In seguito gli ordinò di occuparsi della darsena, dell’arsenale, di riordinare la vecchia fonderia di cannoni e avviare la ristrutturazione del fortino di S. Gennaro al molo.
Per agevolare lo sviluppo economico e rendere più sicuri gli scambi commerciali minacciati dai corsari barbareschi, Carlo di Borbone decise di creare una forza navale nazionale in sostituzione della flotta napoletana, portata a Trieste durante il conflitto bellico dal nobile genovese Giovan Luca Pallavicini. Allo scopo di realizzare una flottiglia leggera e veloce Reggio incaricò il cardinale Troiano Acquaviva, ambasciatore dei Regni di Spagna e di Napoli presso il pontefice, di acquistare a Civitavecchia nello Stato pontificio due legni a scafo nudo, completati e armati nell’arsenale navale militare del Regno di Napoli. Dopo aver creato una sovrintendenza dei Porti e dei Moli furono istituite apposite giunte per seguire i progetti delle nuove opere: Carlo incaricò Reggio della ristrutturazione dell’area orientale della città, priva di adeguate strutture portuali. Realizzò così la strada che dall’Arsenale conduceva al forte del Carmine, abbattendo tra il 1740 e il 1749 le antiche mura difensive della città e avviando l’opera della nuova via Marina su progetto di Giovanni Bompiede, coadiuvato da Giovanni Antonio Medrano. Per il suo impegno fu insignito il 18 dicembre 1737 a Madrid da Filippo V del titolo di cavaliere del Real Ordine del Toson d’oro. Poco dopo, l’11 febbraio 1738, il pontefice Clemente XII promulgò in Roma nella basilica di S. Maria Maggiore un breve, e gli concesse di cumulare i benefici e le rendite con quelli dell’Ordine di Malta, cui già apparteneva. Il 6 luglio 1738 fu decorato dal re Carlo con l’Insigne Real Ordine di S. Gennaro, istituito proprio in quell’anno.
In seguito alla guerra di successione austriaca e alla campagna militare che Carlo intraprese contro le forze asburgiche, il 25 marzo 1744 Reggio fu nominato luogotenente generale, ossia vicario dei Regni di Napoli e Sicilia. Coadiuvato da una giunta composta dal marchese Giovanni Brancaccio, dal marchese Gaetano Maria Brancone, segretari di Stato di Grazia e giustizia e degli Affari ecclesiastici, nonché dal segretario conte Bartolomeo Pighetti, affrontò nei mesi in cui era in carica problemi di ordine pubblico, amministrativi e sanitari. Curò i rifornimenti di vettovaglie e di cavalli per l’esercito, fronteggiò la terribile epidemia che aveva colpito la Calabria, fissando un cordone sanitario marino per le navi provenienti dal Levante e un cordone militare per contrastare il contrabbando che danneggiava le entrate della Corona. Per evitare ogni forma di agitazione popolare a Napoli rinnovò le grazie e i privilegi di cui godeva la capitale e dopo un tentativo di fuga dalla Vicaria dei carcerati, che avevano incendiato le loro celle, emanò l’indulto regio per i rei. Cercò di assicurare più introiti allo Stato, prelevando oro dal Banco pubblico di S. Giacomo e ottenendo un donativo di 400.000 ducati, che non tutti i seggi della capitale avevano approvato.
Dal 1750 al 1752 Reggio mise in atto altre opere di ristrutturazione dell’Arsenale navale di Napoli, che permisero la costruzione di nuove fregate. In qualità di comandante generale della Marina militare sovrintese per ordine regio alla costruzione del Real albergo dei poveri, destinato a ospitare, curare e istruire i numerosi mendicanti sparsi nel Regno. Terminati i lavori fu tra i primi governatori della pia istituzione.
Nel 1759, quando Carlo di Borbone salpò da Napoli per andare a prendere possesso della Corona di Spagna, Reggio, già consigliere di Stato, fu nominato membro del Consiglio di reggenza, organo destinato alla rappresentanza legale e all’educazione del futuro re Ferdinando IV fino al raggiungimento della sua maggiore età. Fondamentale fu il suo ruolo svolto all’interno del Consiglio perché fu in grado di controbilanciare quello del baronaggio siciliano rispetto a quello continentale. Insieme al nipote Stefano Reggio e Gravina, figlio del fratello Luigi, principe di Aci, e al cugino Pietro Bologna e Reggio, principe di Camporeale, poté infatti contrastare la politica del governo ispirata da Bernardo Tanucci.
Appassionato numismatico, collezionò monete antiche e studiò le iscrizioni e le lingue morte, mantenendo un’ininterrotta corrispondenza con insigni studiosi spagnoli, tra cui Gregorio Mayans e don Manuel Martí, decano di Alicante, senza però riuscire nell’impresa di decifrarle.
Morì a Napoli nel 1772, a 90 anni, ed è sepolto nella chiesa di S. Giovanni a Mare, dove aveva sede la prioria napoletana dell’Ordine di Malta.
Le disposizioni testamentarie circa la trasmissione del suo patrimonio, composto non solo dalle rendite delle commende, ma anche dalle entrate procurate dai favori concessi dal sovrano, furono messe in discussione dagli eredi che avviarono un procedimento giudiziario contro l’Ordine di Malta. I Reggio contestarono lo Statuto dell’Ordine che consentiva ai suoi cavalieri di disporre a favore dei congiunti solo per un quinto, e pretesero di entrare in possesso dei beni e dei gioielli del defunto, perché li stimavano guadagnati con i proventi delle cariche concesse da Carlo di Borbone a titolo personale. Finora le fonti non hanno rivelato il prosieguo del procedimento.
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