Regime delle ricerche e delle notifiche dell’imputato latitante
Il contributo intende esporre l’iter per le ricerche e le notifiche al soggetto in tale stato, alla luce della peculiarità del presupposto psicologico, sottolineando il favor per l’effettività degli adempimenti.
È da ritenere latitante, ex art. 296 c.p.p., chi si sottrae volontariamente alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio ovvero a un ordine di carcerazione1. Alla luce del silenzio normativo sulle forme della procedura e vista la natura meramente dichiarativa del provvedimento, si ritiene che la latitanza venga disposta con decreto nella forma non motivata, essendo la motivazione dovuta solo ove espressamente prevista. La latitanza cessa nei casi di cui all’art. 296, co. 4, c.p.p. nonché quando la persona sia catturata, si costituisca spontaneamente in Italia ovvero venga arrestata all’estero a fini di estradizione2.
Lo status di latitante è agganciato a due condizioni: la prima, di tipo soggettivo, è l’accertata volontarietà della sottrazione all’esecuzione della custodia cautelare, degli arresti domiciliari, del divieto di espatrio, dell’obbligo di dimora o di un ordine di carcerazione3. La condizione oggettiva, che è di tipo formale, afferendo alla declaratoria di latitanza, è la redazione del verbale di vane ricerche4.
La latitanza ha perso le connotazioni negative, con i connessi aspetti sanzionatori, proprie del pregresso contesto inquisitorio, sicché al ricercato non è ricollegabile altra conseguenza processuale al di fuori della specifica modalità di notificazione degli atti, risultando identica a quella degli irreperibili, come si desume dall’art. 165, co. 1 e 3, c.p.p. e dal combinato disposto dei co. 1 e 2 dell’art. 159 c.p.p., ossia tramite consegna di copia al difensore5.
Se uguale è la modalità delle notificazioni per irreperibile e latitante, differente è il regime delle ricerche, connotato da maggiori garanzie per il primo viste le espresse indicazione dei luoghi delle ricerche, e ciò proprio in ragione del diverso profilo soggettivo dell’interessato6, essendo, il primo connotato all’impossibilità di instaurare un contatto tra l’irreperibile, ignaro del procedimento a suo carico, e l’autorità giudiziaria, mentre il secondo è caratterizzato dalla precisa volontarietà della sottrazione al provvedimento coercitivo7.
Al fine di tutelare l’effettività in ogni procedimento del contraddittorio, lo status di latitante – i cui effetti sono permanenti – non si estende ad altri procedimenti nei riguardi della medesima persona, nei quali non sia stata emessa la relativa declaratoria8.
Se, da questo punto di vista, la disciplina risulta delimitativa, da una visuale endoprocedimentale appare espansiva, estendendosi l’efficacia oltre la fase e per l’intera procedura in corso, a differenza della situazione di irreperibilità, il cui provvedimento ha una limitazione nel tempo.
È opportuno distinguere la condizione di latitanza dalla prova della situazione: la prima è riconducibile al momento della volontaria sottrazione; la seconda alla data del verbale di vane ricerche, ossia del documento che solitamente ne comprova lo status.
Pertanto, nella redazione del verbale di vane ricerche – prodromo della declaratoria di latitanza – devono essere analiticamente indicate le attività svolte dalla competente autorità, di cui il giudice dovrà valutare la necessaria completezza. Gli adempimenti sono assai delicati per le modalità peculiari conseguenti allo stato di latitanza, non solo quanto alla disciplina della notificazione degli atti processuali, ma anche per il rapporto col difensore e per alcuni profili delle impugnazioni.
Il regime delle ricerche è sagomato su due prove: una relativa alla sottrazione alla misura, che non desta problemi, in quanto si risolve in sostanza nella constatazione del fallimento della esigenza coercitiva; l’altra, tanto difficoltosa quanto indispensabile per non confondere latitanza e irreperibilità, consiste nell’accertamento della volontarietà della sottrazione. Ai fini della declaratoria non soccorrono presunzioni, né assolute né relative, in quanto, diversamente, l’onere di provare l’involontarietà della sottrazione graverebbe sull’interessato.
Non bastando l’elemento oggettivo della sottrazione al provvedimento, occorrono altri elementi, quali l’irreperibilità subito dopo il reato o subito prima dell’esecuzione del provvedimento restrittivo ovvero l’anomalia dell’allontanamento dalla residenza, per le condizioni familiari, sociali o personali del soggetto tali da giustificare che si tratti di volontà di darsi alla fuga. In tal senso, si è ritenuto che «non occorre dimostrare la conoscenza dell’avvenuta emissione del provvedimento, ma è sufficiente che l’interessato si ponga in condizioni di irreperibilità, sapendo che quel provvedimento può essere emesso»9, sebbene sia poi emersa una lettura più garantista, nel senso che l’assenza della specifica prova della volontarietà della sottrazione inficia la declaratoria di latitanza, con la nullità degli atti seguenti10.
La mancata indicazione delle tipologie delle operazioni fa sì che la fisionomia dell’accertamento dipenda dalle attività in concreto svolte. La giurisprudenza concorda nel ritenere che la richiesta esaustività di cui all’art. 295 c.p.p. – con la successiva indicazione specifica delle indagini e delle ricerche nel verbale – implichi che le attività devono svolgersi con particolare cura, avendo riguardo alle condizioni personali dell’interessato e a ogni luogo ove possa trovarsi il ricercato. In particolare, si è posto il problema se la dichiarazione di latitanza debba o meno essere necessariamente preceduta dallo svolgimento all’estero delle ricerche tese a rintracciare il soggetto, nel caso di generica notizia che lo stesso possa avere dimora o residenza in un paese straniero. Il contrasto ha riguardato la possibilità di un’applicazione in via analogica delle regole dettate per le ricerche dell’irreperibile dall’art. 169, co. 4, c.p.p.
Sono intervenute le Sezioni Unite penali, con decisione del 27.3.2014, n. 18822. Il vertice di legittimità ha statuito che ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella dell’irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 c.p.p. – pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, co. 4, c.p.p.
Inoltre, la cessazione dello stato di latitanza, a seguito di arresto avvenuto all’estero in relazione ad altro procedimento penale, non implica la illegittimità delle successive notificazioni, eseguite nelle forme previste per l’imputato latitante, fino a quando il giudice procedente non abbia avuto notizia dell’arresto. A tal fine, è compito della polizia giudiziaria, deputata alle ricerche del latitante, di procedere alla costante verifica di tutte le informazioni, desumibili, tra l’altro, dai sistemi informativi nazionali ed internazionali e di comunicare prontamente all’autorità giudiziaria procedente l’eventuale arresto della persona ricercata.
1 Sull’istituto, da ultimo, v. Binetti, M., Latitanza, in Dig. pen., Aggiornamento, I, Torino, 2008, 634 ss.
2 Cass. pen, S.U., 13.5.2003.
3 Per Cordero, F., Procedura penale,Milano, 2006, 520, la formula non è tassativa rientrandovi «le due misure ivi taciute: dimora vietata e obbligo di presentarsi periodicamente alla polizia»; contra, Giuliani, L., Art. 296, in Comm. breve c.p.p. Conso-Grevi, Padova, 2005, 938.
4 Cass. pen., 6.4.2000.
5 Su latitanza e irreperibilità, da ultimo, cfr. Colaicovo,G., Appunti in tema di latitanza e irreperibilità, in Cass. pen., 2014, 996 ss.
6 Cass. pen., 22.08.1996.
7 Colaicovo,G., Appunti, cit., 1003;Morselli, C., Il “render noto”, Milano, 2012, 272.
8 Per Grevi, V.,Misure cautelari, in Conso, G.-Grevi, V., Compendio di procedura penale, Padova, 2010, 398, l’innovazione, di chiaro segno garantistico, non appare del tutto in linea con la logica di snellimento delle attività processuali.
9 Cass. pen., 20.12.2004.
10 Cass. pen., 17.12.2008.