Regimi penitenziari differenziati. Esecuzione delle pene detentive non superiori ad un anno
Biennio drammatico per il sistema penitenziario italiano, il 2010-2011 ha registrato indici di sovraffollamento indecenti per un paese civile e da tempo censurati dai massimi consessi europei (cfr. C. eur. dir. uomo, sez. II, 16.7.2009, Sulejmanovic c. Italia). Le direttrici lungo le quali si è mosso il legislatore hanno riguardato i condannati a residui di pena brevi e la tutela dei c.d. soggetti deboli. Quanto al primo aspetto, il Parlamento ha approvato la l. 26.11.2010, n. 199, istitutiva di una nuova forma di detenzione domiciliare, riservata a condannati che debbano scontare un anno di reclusione.
Alla data del 31.8.2011 (Fonte DAP), a fronte di una capienza regolamentare pari a 45.647 unità, i detenuti presenti negli istituti italiani erano 67.104 (24.155 stranieri), di cui 27.808 (11.712 stranieri) in stato di custodia cautelare, dati, questi, che evidenziano un tasso di sovraffollamento pericolosamente vicino al 150%, che pone l’Italia al terzo posto in Europa, dopo la Bulgaria e Cipro. Nel corso dell’ultimo ventennio la popolazione detenuta è sostanzialmente raddoppiata, passando dalle 35.469 unità del 1991 ai numeri attuali. Particolarmente rilevante, poi, appare la crescita percentuale degli stranieri nelle carceri italiane: dal 17,3% nel 1991 al 44% del 2010. La costante ed ingestibile crescita del numero dei detenuti evidenzia due aspetti: l’elevata percentuale di persone in custodia cautelare (41,4% del totale, che diventa il 48,4% per gli stranieri, a fronte di una media europea del 24% che scende al 15% in Germania e Gran Bretagna) e la crisi delle alternative alla detenzione (al 30.6.2011, il 61,5% dei condannati doveva ancora scontare una pena inferiore ai 3 anni (dei quali il 26,99% inferiore ad un anno). La normativa penale e penitenziaria del decennio 2000-2010 è stata pesantemente condizionata dal massiccio ricorso alla pena detentiva, per effetto del quale sono stati vanificati quei fermenti riformatori che, venticinque anni orsono, avevano incoraggiato la promulgazione della cd. legge Gozzini. Attraverso la l. 23.12.2002, n. 279 sono stati, infatti, stabilizzati i capisaldi dell’emergenza penitenziaria (artt. 4 bis e 41 bis ord. penit.)1, determinando la conseguente cristallizzazione del processo attraverso il quale, a far data dal 1990, erano state restituite al sistema penale quelle presunzioni di pericolosità sociale proprio abrogate dall’art 31 l. 10.10.1986, n. 663; la l. 5.12.2005, n. 2512 ha, successivamente, elevato a potenza la recidiva, configurandola, a guisa di «moltiplicatore» penale e penitenziario, quale punizione «per» la punizione. Non solo i tempi di accesso ai benefici penitenziari sono stati notevolmente rallentati a causa di questa inedita forma di «anatocismo» penitenziario, ma si è registrata una prima, profonda modificazione del meccanismo della sospensione dell’ordine di esecuzione (art. 656 c.p.p.), ove le preclusioni (co. 9), inizialmente riferite ai condannati per i gravi delitti di cui all’art. 4 bis ord. penit. (lett. a) e a quelli già in custodia cautelare per il fatto oggetto della condanna da eseguire (lett. b), sono state estese al «tipo» normativo dei recidivi reiterati (lett. c). Tale «sconfinamento» verso arcaiche e superate concezioni soggettivistiche del diritto penale è stato suggellato dalla l. 24.7.2008, n. 125, che ha incrementato la lett. a) dell’art. 656, co. 9, c.p.p.3, inserendo, accanto alle «classiche» categorie ostative disciplinate dall’art. 4 bis ord. penit., le ipotesi eterogenee contemplate dagli artt. 423 bis (incendio boschivo), 624, quando ricorrono due o più circostanze tra quelle indicate dall’art. 625 c.p. (furto pluriaggravato), 624 bis c.p. (furto in abitazione e furto con strappo)4, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell’art. 89 d.P.R. n. 309/1990. Ancora, la l. 23.4.2009, n. 38 ha operato profonde modificazioni agli artt. 275, co. 3 c.p.p. e 4 bis (ord. penit.), a conferma di una progressiva osmosi tra custodia cautelare e detenzione esecutiva5. Con specifico riferimento all’art. 275 c.p.p., l’inversione di tendenza rispetto alla l. 8.10.1995, n. 332 è particolarmente evidente. Notevoli i nomina delicti che impongono la cattura obbligatoria, sostanzialmente vanificando la discrezionalità cautelare del giudice che procede: oltre ai delitti di cui all’art. 51, co. 3 bis e 3 quater c.p.p., la custodia cautelare gode di una presunzione assoluta di adeguatezza6 anche qualora si proceda in ordine ai delitti di cui agli artt. 575 (omicidio), 600 bis, co. 1 (prostituzione minorile), 600 ter, escluso il comma 4 (pornografia minorile), 600 quinquies (c.d. turismo sessuale), 609 bis (violenza sessuale), 609 quater (atti sessuali con minorenne) e 609 octies (violenza di gruppo) c.p., salvo che ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate. Del pari, l’art. 4 bis ord. penit., oltre ad una razionalizzazione del testo normativo7, registra la trasposizione dei medesima nomina delicti, tra le ipotesi ostative alla concessione dei benefici. Infine, l’incisivo restyling cui è stato sottoposto l’art. 41 bis ord. penit. per effetto dell’art. 2, co. 25, 26 e 27, l. 24.7.2009, n. 94, mostra come l’opzione custodialistica si sia imposta con vigore incontrastato rispetto a percorsi alternativi di politica criminale e penitenziaria8. I summenzionati interventi in materia carceraria evidenziano, invero, precise scelte di politica criminale e penitenziaria, volte a configurare quali nuovi «briganti » sia i recidivi reiterati (anche autori seriali di bagatelle), sia i clandestini (per lo più paria già nei territori d’origine, ma non necessariamente criminali): soggetti nei cui confronti il sistema non investe più, precludendo loro qualsivoglia opzione trattamentale e rieducativa.
Nella consapevolezza che il piano-carceri9 possa svelare effetti positivi sul sovraffollamento penitenziario solo in una prospettiva di medio-lungo periodo, il Parlamento, dopo un lungo e dibattuto iter, ha approvato la l. 26.11.2010, n. 199, diretta a lenire l’emergenza «sovraffollamento» attraverso una nuova forma di detenzione domiciliare, assolutamente peculiare rispetto alle figure già operative nel microsistema delle alternative alla detenzione. Trattasi, invero, di una misura «tampone» operativa, «comunque, non oltre il 31 dicembre 2013», volta a convertire in esecuzione domestica «la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena» (art. 1, co. 1)10. La l. n. 199/2010 evidenzia chiaramente una nuova species di detenzione domiciliare11, prestando il fianco ad inevitabili ipoteche di coerenza sistematica per aver affiancato una disciplina «parallela» (denominata: Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a dodici mesi) a quella già operativa e non avere, al contrario, privilegiato la scelta di interpolare direttamente la normativa penitenziaria (art. 47 ter ord. penit.). Le difficoltà interpretative emergono dalla lettura del pot-pourri contenuto nel co. 8, art. 1 del d.d.l., che prevede l’applicabilità, in quanto compatibili, delle «disposizioni previste dagli articoli 47ter, co. 4, 4 bis, 5, 6, 8, 9 e 9 bis, 51 bis, 58 e 58 quater, ad eccezione del co. 7 bis ord. penit., emblema, quest’ultimo, della legge n. 251/2005, che sancisce il divieto di pluries in idem nei confronti del recidivo reiterato. L’art. 1, co. 1 della legge, nel prescrivere che «la pena detentiva […] è eseguita presso l’abitazione […]» suggerisce, all’interno del microsistema delle alternative alla detenzione, un inedito connotato di «obbligatorietà» che, nel corso del dibattito parlamentare, ha suscitato taluni interrogativi12. Appare infatti eterodosso, rispetto ad una lettura costituzionalmente orientata delle alternative alla detenzione, che il condannato non possa optare per una diversa misura, connotata da minore afflittività. In differente prospettiva, la compressione della discrezionalità giurisdizionale per effetto di un rigido automatismo imposto dalla legge, priverebbe il giudice del necessario potere di apprezzamento del petitum, per imporgli un’unica scelta, che potrebbe, in concreto, rivelarsi lesiva del necessario equilibrio tra l’esigenza rieducativa e quella deflativa. In tale prospettiva, la Corte costituzionale, con la sent. 4.7.2006, n. 255, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 1 della legge n. 207/2003 (cd. indultino), nella parte in cui non prevede che il giudice di sorveglianza possa negare al condannato la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva quando ritiene il beneficio non adeguato alle finalità previste dall’art. 27, co. 3, Cost.13. L’art. 1, co. 2, l. n. 199/2010 declina, innanzi tutto, le esclusioni oggettive, sostanzialmente riproduttive di quelle operative per il c.d. indultino (art. 1, co. 3, l. 1.3.2003, n. 207): non possono accedere al beneficio a) i condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis ord. penit.; b) i delinquenti abituali14 professionali o per tendenza c) i detenuti sottoposti15 al regime di sorveglianza particolare di cui all’art. 14 bis ord. penit., salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dal successivo art. 14 ter. Quanto alle esclusioni di carattere soggettivo, invece, la misura non può essere disposta «quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti ovvero quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato» (lett. d). È agevole rilevare come dette esclusioni si differenzino sensibilmente dalla regola generale, contenuta nell’art. 656, co. 9, c.p.p., notevolmente dilatata nel corso dell’ultimo lustro: quale esplicita sconfessione della legge n. 251/200516, la novella consentirà l’accesso alla detenzione domiciliare annuale ai condannati recidivi reiterati. Si è detto di come la regolamentazione delle modalità esecutive sia ricalcata sulla disciplina operante in materia di detenzione domiciliare «ordinaria», stante il parziale rinvio operato agli artt. 47 ter, 51 bis, 58 e 58 quater, ord. penit. (art. 1, co. 8). Pertanto, anche nella detenzione domiciliare annuale il fulcro è costituito dal divieto di allontanamento dal luogo di privata dimora, e viene legittimato, altresì, il magistrato di sorveglianza all’elaborazione di ulteriori prescrizioni limitative, la cui osservanza potrà essere verificata, compatibilmente con la disponibilità, attraverso mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. È importante evidenziare come, a differenza di quanto previsto dai commi 4 e 4 bis dell’art. 47 ter ord. penit., la statuizione delle modalità esecutive venga demandata all’organo monocratico anziché a quello collegiale. Ove il condannato ponga in essere un comportamento contrario alla legge17 o alle prescrizioni, che risulti incompatibile con la prosecuzione della misura, la stessa verrà revocata e la pena residua non può essere sostituita con altra misura (art. 47 ter, co. 6 e 9 bis ord. penit.)18; lo stesso risponderà, altresì, del delitto di evasione, laddove si allontani dal luogo di esecuzione, salvo l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 385, ult. co. c.p.19. La sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà comporta la sospensione della misura; in tale ipotesi il direttore del centro di servizio sociale informa immediatamente il magistrato di sorveglianza, il quale, a seguito di una mero accertamento «aritmetico», verificherà se, tenuto conto del cumulo, permangano le condizioni legittimanti, disponendo con decreto la prosecuzione, ovvero la sospensione. In tale ipotesi, peraltro, la novella non contempla una successiva investitura del tribunale di sorveglianza, di tal che il provvedimento adottato dall’organo monocratico non avrà carattere interlocutorio ma definitivo. Il rinvio all’art. 58 ord. penit. prescrive, a cura della cancelleria, l’immediata comunicazione all’autorità provinciale di pubblica sicurezza dei provvedimenti adottati dal magistrato o dalla sezione di sorveglianza. Viene estesa, inoltre, la disciplina delle preclusioni di cui all’art. 58 quater ord. penit., ad eccezione del co. 7. Inscritte nell’ambito di operatività dell’art. 656 c.p.p., e diversificate in relazione allo status libertatis del condannato, le cadenze procedimentali impongono, per i casi in cui non operi il meccanismo della sospensione dell’ordine di esecuzione contemplato dal co. 5 della disposizione codicistica e la pena da eseguire non superi i dodici mesi, che il p.m., previa sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione, trasmetta gli atti al magistrato di sorveglianza20 «affinché disponga che la pena venga eseguita presso il domicilio». Rispetto al testo originario del d.d.l., le modificazioni introdotte attraverso gli emendamenti consentono di evitare una sovrapposizione di piani con l’art. 656, co. 5 c.p.p. ove già si prevede la sospensione dell’ordine di esecuzione, al fine di consentire al condannato libero di inoltrare gli atti al tribunale di sorveglianza. Per altro verso, viene attenuato il carattere obbligatorio del beneficio, nel senso che, ove ricorra il dovere di sospensione, il condannato potrà aspirare a benefici meno restrittivi. Per l’eventualità, invece, che il condannato sia detenuto, sarà la direzione dell’istituto penitenziario, a chiedere all’organo monocratico la dimissione coatta dall’istituto, con la trasmissione di una «relazione sulla condotta tenuta» dal condannato durante la detenzione, corredata da un verbale di accertamento della idoneità del domicilio21. Trattasi di un’istruttoria amministrativa «delegata», della quale è difficile coglierne l’utilità, a fronte della sostanziale obbligatorietà connotante la concessione del beneficio, e della irrilevanza della condotta nelle ipotesi ostative. Analogamente a quanto previsto in riferimento al cd. indultino, il magistrato di sorveglianza provvede ai sensi dell’art. 69 bis ord. penit., che riconosce, senza limitazioni alcune, legittimazione attiva al condannato ed al suo difensore, mentre il p.m. è legittimato solo se il condannato si trova in libertà, posto che nell’ipotesi di cui all’art. 1, co. 4, l. n. 199/2010 è la direzione dell’istituto ad essere investita di un inedito potere d’impulso. La competenza giurisdizionale è determinata dallo status libertatis del condannato, operando, in via alternativa, l’art. 656, co. 6, ovvero l’art. 677, co. 1, c.p.p. Il legislatore delinea in proposito una procedura de plano per certi versi atipica in ragione del fatto che la statuizione finale, pur in carenza di un contraddittorio effettivo tra parti che si confrontino al cospetto di un giudice terzo e imparziale, non viene emessa inaudita altera parte, bensì solo dopo aver richiesto e acquisito il parere, obbligatorio ma non vincolante, dell’organo requirente22 e comunque non prima che siano decorsi inutilmente cinque giorni23 dal momento in cui la suddetta richiesta sia stata inoltrata, verificandosi altrimenti una nullità a regime intermedio. Benché l’art. 69 bis ord. penit. nulla disponga in ordine alle dinamiche istruttorie, qui si prevede espressamente che la direzione produca una «relazione sulla condotta tenuta dal condannato [...] medesimo durante la detenzione», probabilmente al solo fine di evidenziare l’assenza di provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 14 bis ord. penit. Deve, peraltro, ritenersi che il magistrato di sorveglianza sia tenuto ad acquisire d’ufficio principalmente le relazioni dell’amministrazione penitenziaria circa la condotta intramuraria dell’interessato e gli sviluppi del percorso trattamentale, unitamente ad ogni altra risultanza utile ai fini della decisione, elementi tutti che dovranno, peraltro, essere inoltrati al magistrato requirente richiesto del prescritto parere in ordine alla concessione del beneficio. L’ordinanza di accoglimento o di rigetto della richiesta di concessione della detenzione domiciliare annuale può essere censurata dal p.m., dall’interessato e dal suo difensore entro dieci giorni dalla sua notificazione o comunicazione mediante reclamo al tribunale di sorveglianza territorialmente competente secondo i criteri enunciati dall’art. 677 c.p.p. Il legislatore delinea in tal senso un vero e proprio mezzo di impugnazione per il quale vengono in rilievo, quali cause di inammissibilità del proposto reclamo, il mancato rispetto del termine previsto ex lege, pur se non qualificato come perentorio, per il quale comunque opera la sospensione feriale24; la mancata esposizione di specifici motivi di doglianza25, nonché l’omessa indicazione di tutto quanto è necessario per identificare il provvedimento censurato. Quanto alla composizione del collegio deputato alla definizione del gravame, la norma in commento esclude espressamente che ne possa far parte il magistrato che ha emesso la statuizione censurata. Le regole del relativo procedimento vengono individuate attraverso il richiamo al disposto di cui all’art. 678 c.p.p., il che per un verso implica la possibilità di un iter abbreviato nel caso di reclamo inammissibile, per altro verso consente al giudice procedente di acquisire ex officio risultanze ulteriori rispetto al compendio istruttorio vagliato dal giudice di prima istanza. La statuizione con la quale il giudice del reclamo riforma direttamente l’ordinanza impugnata, in accoglimento totale o parziale del gravame, ovvero rigetti o dichiari inammissibile il reclamo proposto, è ricorribile per cassazione. Deve peraltro ritenersi inammissibile il ricorso per saltum avverso il provvedimento del magistrato di prime cure, deponendo in tal senso sia la puntualità della previsione di cui al co. 3 della norma in commento, sia il fatto che il codice di rito ammette il ricorso immediato solo nei riguardi delle sentenze e non delle ordinanze26.
La soluzione governativa intrapresa per arginare il sovraffollamento carcerario appare poco più che un palliativo, a fronte di una politica carcerocentrica che continua ad evidenziare forti contraddizioni di fondo27. Dalle statistiche ufficiali risulta che, alla data del 31.8.2011, erano 3.175 le persone detenute che hanno ottenuto il beneficio previsto dalla l. n. 199/2010. Trattasi di un dato a dir poco modesto, a fronte delle previsioni ottimistiche del Governo, che individuavano tra gli otto e i diecimila i presumibili beneficiari della novella. Quali, in via di estrema sintesi, le contromisure da adottare? Se proprio non è possibile ripensare il doppio binario penitenziario, gli indifferibili interventi da operare all’interno del sistema punitivo dovrebbero tradursi, innanzi tutto, in un rilancio delle misure alternative alla detenzione, quanto meno attraverso una neutralizzazione degli impedimenti frapposti dalla l. n. 251/2005 alla recidiva, sino ad ipotizzare – con estrema cautela – forme di probation processuale, già sperimentate nel microsistema minorile. In secondo luogo, sarebbero da modificare sia la legge Fini-Giovanardi, in senso antiproibizionista28, sia la legge sull’immigrazione, eliminando, da un lato, le difficoltà estreme di accesso alle misure alternative e, dall’altro lato, adeguando seriamente la normativa interna ai dicta della Corte di giustizia dell’UE in tema di ingresso e trattenimento sul territorio nazionale. Sul versante stricto sensu processuale, poi, sarebbe da modificare la normativa in tema di custodia cautelare nel senso percorso dalla Consulta, tendente a restituire al giudice procedente il fisiologico potere giurisdizionale de libertate. Infine, un «intervento chirurgico » dovrebbe essere operato proprio sul testo dell’art. 656, co. 9, c.p.p., da riportare alla sua originaria formulazione, al fine di evitare l’ingresso in carcere ai recidivi, quando il quantum sanzionatorio non ecceda i tre anni di reclusione. Tutto questo senza trascurare l’indifferibile esigenza di modificare il codice penale, riprendendo dai cassetti del ministero della giustizia tutti i progetti elaborati dalle recenti Commissioni ministeriali – relativamente omogenei in riferimento alle coordinate sanzionatorie – i quali, caratterizzandosi per una maggiore diversificazione delle pene rispetto a quanto previsto dal codice vigente, garantirebbero, oltre ad una sensibile limitazione della popolazione penitenziaria, interventi tesi alla risocializzazione più credibili e mirati rispetto alla situazione attuale.
1 Cfr., specialmente, Ardita, Il regime detentivo speciale 41 bis, Milano, 2007, passim; Bernasconi, L’emergenza diviene norma: un ambíto e discutibile traguardo per il regime ex art. 41 bis comma 2 ord. penit., in Di Chiara (a cura di), Il processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, Torino, 2003, 285 s.; Montagna, Il regime carcerario differenziato verso nuovi equilibri, in Dir. pen. e processo, 2004, spec. 1287 s.
2 V. Pavarini, The Spaghetti Incapacitation. La nuova disciplina della recidiva, in Insolera (a cura di), La legislazione penale compulsiva, Padova, 2006; Scalfati (a cura di), Nuove norme su prescrizione del reato e recidiva, Padova, 2006, passim; nonché, volendo, Fiorio, Le disposizioni esecutive e penitenziarie, in Dir. pen. e processo, 2006, 315.
3 In ordine alle modificazioni apportate al codice di rito dall’art. 2, lett. m), l. 24.7.2008, n. 125, v. Diddi, Innovazioni al processo penale, in Scalfati (a cura di), Il decreto sicurezza, Torino, 2008, 140-141; Ricci, Ancora una modifica all’art. 656 c.p.p. nell’ottica del pendolarismo, in Lorusso (a cura di), Le nuove norme sulla sicurezza pubblica, Padova, 2008, 167 s.; Sturla, Carcere: dentro il clandestino, fuori la Costituzione? Nuovi ritocchi all’art. 656 c.p.p., in Mazza -Viganò (a cura di), Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, Torino, 2008, 347 s.
4 Sino all’intervento correttivo operato da C. cost., 8.7.2010, n. 249, la preclusione era operativa anche per i delitti «in cui ricorre[va] l’aggravante di cui all’art. 61 co. 1, n. 11 bis, c.p.» (cd. aggravante della clandestinità).
5 Cfr., specialmente, Marandola, I profili processuali delle nuove norme in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e stalking, in Dir. pen. e processo, 2009, 958.
6 Tale automatismo è stato recentemente oggetto di tre interventi di legittimità costituzionale (C. cost., 22.7.2011, n. 231, in relazione all’art. 74 del d.P.R.. n. 309/1990; C. cost., 12.5.2011, n. 164, in relazione all’art. 575 c.p.; C. cost., 21.7.2010, n. 265, in relazione agli artt. 600 bis comma 1, 609 bis e 609 quater c.p.).
7 A seguito della razionalizzazione dell’art. 4 bis ord. penit da parte della legge n. 38/2009, i singoli «gironi» sono stati opportunamente disciplinati da commi autonomi (1, 1 ter ed 1 quater), abbandonandosi l’unico comma-monstre, caratterizzante la quasi ventennale stratificazione normativa.
8 Sul punto sia consentito rinviare a Fiorio, La stabilizzazione delle “carceri-fortezza”: modifiche in tema di ordinamento penitenziario, in Mazza-Viganò (a cura di), Il “pacchetto sicurezza” 2009, Torino, 2009, 395 ss.
9 Cfr. l’art. 44 bis d.l. 30.12.2008, n. 207, conv. con mod. nella l. 27.2.2009, n. 14. Sui «quattro pilastri» che compongono il piano carceri, v. AA.VV., Rapporto sui diritti globali 2010. Crisi di sistema e alternative, Roma, 2010, 495 ss.
10 Cfr., specificamente, Della Casa, Approvata la legge c.d. svuota-carceri: un altro “pannicello caldo” per lingravescente piaga del sovraffollamento carcerario?, in Dir. pen. e processo, 2011, 5. In argomento v., altresì, Caprioli-Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, II ed., Torino, 2011, 172 ss.; Filippi- Spangher, Manuale di diritto penitenziario, 3° ed., Milano, 2011, 270 ss.
11 Stando alla Relazione al d.d.l. ( 2), i tratti distintivi poggerebbero sia sulla «minor durata della pena da eseguire (non superiore a dodici mesi, anziché a due anni o, in casi particolari, a quattro), sia su di «una diversa procedura».
12 V. l’intervento dell’On. Ferranti, nella seduta in Commissione Giustizia dell’8 marzo 2010, cit., 26, secondo la quale «l’obbligatorietà della [detenzione domiciliare annuale potrebbe] porre seri dubbi di costituzionalità».
13 In prospettiva correlata, v., altresì, C. cost., sent. n. 253/2003, che, nel dichiarare illegittimo l’art. 222 c.p. nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale, aveva stigmatizzato «il vincolo rigido imposto al giudice di disporre comunque la misura detentiva anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, che è accompagnata da prescrizioni imposte dal giudice, di contenuto non tipizzato (e quindi anche con valenza terapeutica), «idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati» (art. 228, co. 2 c.p.), appaia capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale.
14 Rileva Pavarini, L’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, Relazione svolta all’Incontro di studio sul tema La magistratura di sorveglianza, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura (Roma, 15.2.2011), in www.csm.it., 17, come la legge richiami la sola figura dell’abitualità presunta dalla legge (art. 102 c.p.), e non, invece, quella ritenuta dal giudice (art. 103 c.p.).
15 Stando alla nota del Governo, tale criterio sarebbe «ovviamente da riferirsi ai soli detenuti sottoposti al regime al momento della valutazione dell’ammissione al beneficio».
16 Evidenzia come «la marcia indietro del legislatore rispetto alla scelta operata con la l. n. 251/2005 assume i contorni di una vera e propria ritirata a largo raggio», Della Casa, Approvata la legge c.d. svuotacarceri: un altro “pannicello caldo” per l’ingravescente piaga del sovraffollamento carcerario?, cit., 7.
17 L’art. 3 l. n. 199/2010 inserisce, nel corpo del codice penale, di una nuova circostanza aggravante, integrata dall’aver commesso «un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere» (art. 61, n. 11 quater, c.p.).
18 Anche il provvedimento di revoca è adottato dal magistrato di sorveglianza anziché dall’organo collegiale.
19 Attraverso l’art. 2 della legge n. 199/2010 viene notevolmente aumentata la sanzione edittale per il delitto di evasione, la cui rilevanza nel microsistema penitenziario è imponente (artt. 30, 47 ter, 47 sexies, 51, 58 quater ord. penit.). Il presumibile aumento della carcerazione che dovesse derivarne solleva qualche dubbio sull’intrinseca coerenza del provvedimento.
20 È da ritenere, stando alla regola generale di cui all’art. 656, co. 6 c.p.p., che il magistrato di sorveglianza competente sia quello «in relazione al luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero».
21 Pleonastico, invece, appare il riferimento alla documentazione di cui all’art. 94 d.P.R. n. 309/1990.
22 In questo senso, Coppetta, Art. 54, in Grevi-Giostra- Della Casa, Ordinamento penitenziario, 3° ed., Padova, 2006, 715.
23 A differenza dei quindici giorni previsti dall’art. 69 bis comma 2 ord. penit.
24 Cfr. Cass., sez. I, 15.5.2008, Niccolini, in CED, 240027.
25 V. Cass., sez. I, 18.11.2008, Trasmondi, in CED, 242655.
26 Cfr. Cass., sez. I, 3.7.2008, Provenzano, in CED, 240483.
27 Sottolinea efficacemente Stasio, Le questioni sul tappeto, in Cass. pen., 2008, 4497: «[d]elle due l’una: o si chiude la porta d’entrata o si apre quella d’uscita. L’emergenza, come al solito, non consente di affrontare le situazioni in una prospettiva di lungo periodo e di razionalità».
28 Il fenomeno di maggior impatto sul sistema penitenziario italiano è certamente quello delle droghe e della scelta proibizionista e punizionista del nostro Paese, rafforzata nel 2006 dalla legge Fini-Giovanardi. Le statistiche evidenziano che oltre il 40% della popolazione penitenziaria (a fronte di una media europea che si assesta al 15,9%) è composta da autori di reati commessi in violazione della legge sulle droghe, percentuale che, peraltro, non comprende i reati commessi dai tossicodipendenti per sostenere la propria dipendenza. D’altronde, la circostanza che annualmente il numero dei tossicodipendenti che transitano dalle carceri italiane sia superiore a quello di coloro che transitano dalle comunità terapeutiche, fa dell’Italia un unicum in Europa.