Regimi penitenziari differenziati. La tutela delle detenute madri con figli minori
Nell’ambito della direttrice di intervento legislativo relativo alla tutela dei soggetti deboli in regime carcerario, la l. 21.4.2011, n. 162 ha tentato di eliminare quegli ostacoli che ancora non consentono alle madri e ai loro figli, di età compresa tra zero e tre anni, di scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere.
Attraverso un intervento «orizzontale», la l. 21.4.2011, n. 62, ha rivisitato la normativa, processuale e penitenziaria, cui è affidata la tutela delle detenute madri e della loro prole. Sul versante cautelare1, la novella si caratterizza per una modificazione del testo degli artt. 275, co. 4, e 284 c.p.p., cui si aggiunge l’inserimento di un inedito art. 285 bis c.p.p., relativo alle ipotesi di custodia cautelare in istituti a custodia attenuata per detenute madri. In ambito penitenziario, invece, le innovazioni riguardano alcune modifiche apportate alla disciplina della detenzione domiciliare, ordinaria (art. 47 ter ord. penit.) e speciale (art. 47 quinquies ord. penit.), nonché l’introduzione, nel corpo della l. n. 354/1975, di un inedito beneficio penitenziario, denominato «visite al minore infermo». Sul piano dell’edilizia para-penitenziaria, infine, la novella disciplina l’istituzione delle «case famiglia protette», destinate all’accoglienza delle madri con minori. Nell’originario testo dell’art. 275, co. 4, c.p.p. il legislatore del 1988 aveva stabilito che il diritto fondamentale alla salute dell’individuo cedesse al peso delle esigenze cautelari, laddove, nel bilanciamento imposto dal rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, ispiratori dell’originario ordito normativo in tema di misure cautelari, le particolari situazioni soggettive ivi declinate2 ricevevano tutela sin quando dette esigenze non avessero raggiunto il tasso dell’«eccezionale rilevanza»3. Travagliata, per effetto di ripetute modificazioni legislative, espressive di un compiuto ribaltamento della prospettiva cautelare, la disposizione in esame costituisce, in chiave storica, metro di verifica dell’effettività di un diritto, espressamente definito dall’art. 32 Cost. come «fondamentale», nei confronti di un individuo assistito, sino alla condanna definitiva, dalla presunzione di non colpevolezza. L’originaria formulazione del co. 4 dell’art. 275 c.p.p., il cui contenuto «specificativo» risultava perfettamente armonizzato con un sistema cautelare capace di privilegiare l’adeguatezza e la proporzionalità delle cautele ante iudicatum, stabiliva il divieto di procedere a custodia cautelare in carcere nei confronti di quegli individui, i quali, a causa di particolari condizioni fisiche o psichiche, avessero manifestato una pericolosità attenuata, necessitando, comunque, un trattamento diverso e più favorevole rispetto a quello ordinario, proprio in considerazione delle peculiarità del loro status4. Per converso, in presenza di tali condizioni, il giudice procedente avrebbe visto accentuarsi l’onere di motivazione sulle esigenze cautelari, rimanendo esse le medesime dei casi «normali», ma dovendo assurgere a livello di «eccezionale rilevanza» per giustificare la misura cautelare carceraria5. I successivi interventi urgenti hanno completamente stravolto l’originario assetto del sistema cautelare e, più in generale, carcerario: la tendenza è stata quella di introdurre, analogamente a quanto verificatosi in executivis, forme presuntive di pericolosità sociale desunte dal titolo del reato, da inibire con l’obbligatoria custodia carceraria6. Di più, è stato mortificato il potere discrezionale dei giudici nel modulare l’afflittività della cautela, a favore di un potenziamento dei poteri coercitivi dell’accusa7 ovvero di organi non appartenenti al potere giudiziario8; è stato, infine, invertito l’onere della prova relativo alla sussistenza/insussistenza delle esigenze cautelari9. Attraverso l’art 5 l. 8.8.1995, n. 332, venne apportata una prima, profonda modificazione in ordine all’assetto dei rapporti correnti tra cattura obbligatoria e strumenti deputati alla tutela del diritto alla salute dell’individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere10. Quanto al primo aspetto, l’ambito applicativo dell’art. 275, co. 3, c.p.p. venne ridotto a livello contenutistico, rimanendo operante nella sua formulazione previgente solo con riguardo al delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso e per i delitti – consumati o tentati – commessi con metodi o finalità mafiose (art. 5, co. 1, l. n. 332/1995)11. Ampliamento, invece, delle ipotesi previste dal co. 4. Ferma restando la clausola dell’«eccezionale rilevanza», furono, infatti, ridefinite le categorie di individui nei confronti dei quali l’ordinamento rinuncia alla detenzione carceraria. Oltre a precisazioni meramente terminologiche, quali l’inserimento della «donna» in luogo della «persona» incinta, era stata sostituita la locuzione «persona che allatta la propria prole» con «madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente», di contenuto maggiormente esteso e fondato non più sul rapporto naturale dell’allattamento, ma su quello sociale della convivenza12. Nell’interesse del bambino, poi, tali prerogative sono state estese dal legislatore al «padre, quando la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata13 a dare assistenza alla prole»14. Attraverso la l. 12.7.1999, n. 231, il legislatore ha nuovamente ridisegnato la disciplina a tutela del diritto alla salute della persona sottoposta a misure cautelari personali, distinguendo, anche in prospettiva sistematica, le condizioni fisiologiche meritevoli di salvaguardia (art. 275, co. 4, c.p.p.) da quelle patologiche (art. 275, co. 4 bis, c.p.p.)15. Con riferimento a queste ultime, l’ambito di tutela della salute della persona detenuta è stato espressamente esteso dal momento genetico («non può essere disposta») a tutte le successive vicende interessanti la cautela stessa («né mantenuta»), rendendosi, in tal modo, cogente una previsione che in precedenza veniva ricavata dalla dottrina in via interpretativa16. Sullo specifico terreno penitenziario, poi, è intervenuta la l. 8.3.2001, n. 40, alla quale, oltre l’inserimento della detenzione domiciliare speciale (artt. 47 quinquies e 47 sexies ord. penit.) e l’assistenza all’esterno dei figli minori (art. 21 bis ord. penit), si deve il deciso ampliamento dell’ambito di operatività del differimento, obbligatorio e facoltativo, dell’esecuzione (artt. 146 e 147 c.p.), attraverso il quale è stato evidenziato un particolare favor verso la tutela dei bisogni naturali e primari del bambino, quali il completamento del ciclo di allattamento ed il conseguente svezzamento.
Proprio nel dichiarato fine di eliminare quegli ostacoli che ancora non consentono alle madri e ai loro figli, di età compresa tra zero e tre anni, di scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere, le proposte di legge d’iniziativa parlamentare C-2011, C-52 e C-1814 prevedevano l’istituzione di case famiglia protette, al fine di fugare l’obbligatorietà della coercizione in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Detto altrimenti, qualora, in ragione del nomen delicti, non avesse operato il divieto di disporre o mantenere la custodia carceraria nei confronti della donna incinta o della madre di prole di età inferiore ai tre anni, il giudice procedente avrebbe potuto optare per la custodia in una casa famiglia, al fine di sottrarre la donna ed i bambini dall’ambiente carcerario. Analogamente, per la fase esecutiva, l’espiazione della pena in una casa famiglia protetta avrebbe surrogato la carcerazione domestica, laddove il titolo di reato avesse evidenziato un particolare allarme sociale. L’unificazione delle tre proposte di legge nel testo unificato, sostanzialmente trasfusa nel provvedimento definitivo, sembra, però, aver tradito le aspettative: oltre a registrare un considerevole impoverimento delle alternative ipotizzate a tutela dei soggetti cd. deboli17, il quadro complessivo pare evidenziare una situazione addirittura deteriore rispetto alle vigenti soluzioni normative. Nello specifico, si è assistito, nel corso del dibattito parlamentare, ad una trasformazione delle originarie vocazioni di tutela demandate dalle proposte d’iniziativa parlamentare alle case famiglia protette, in aneliti alla sicurezza rappresentati dagli istituti a custodia attenuata. In altri termini, se le case famiglia potevano efficacemente fungere da elemento «specificativo» della tutela accordata ai soggetti deboli18, altresì funzionale ad una più ragionata ponderazione delle esigenze cautelari, nel testo definitivo esse sono divenute «solo» un luogo protetto19, a disposizione del giudice della cautela, fermo restando che per le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza l’unica risposta ordinamentale sarà ancora quella custodialistica. Le modifiche apportate al testo dell’art. 275, co. 4, c.p.p., oltre all’innalzamento dell’età del minore tutelabile (che passa da tre a dieci anni) si sono concretizzate nella dilatazione della tutela, che è stata estesa, analogamente a quanto avviene per i casi di malattia (contemplati nel comma successivo), dal momento genetico alle fasi successive. Nondimeno, sul piano del drafting, si registra un deciso ribaltamento lessicale, per effetto del quale il precetto (divieto di custodia cautelare) è stato posposto alla declinazione delle categorie di soggetti deboli tutelabili20. Analogamente alle previgenti formulazioni, le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza continuano a giustificare il mantenimento dello status detentionis. In tali eventualità, la novella tenta di attenuare il disagio derivante dalla detenzione carceraria, prevedendo che il giudice possa disporre la carcerazione presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri. L’art. 285 bis c.p.p., di nuovo conio, nel disciplinare il potere del giudice di disporre la custodia della donna incinta ovvero dei genitori di prole di età non superiore a sei anni21 «presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri», rischia però di costituire un peggioramento rispetto alla situazione attuale. È di tutta evidenza, infatti, come l’aspetto legato alla sicurezza prevalga su quello della tutela: se, nelle previgenti formulazioni, il giudice della cautela era chiamato a sciogliere l’alternativa tra custodia carceraria ed arresti domiciliari, la creazione di istituti a custodia attenuata, incrementando il «ventaglio» di possibilità a disposizione del giudice, condurrà presumibilmente a prognosi sfavorevoli in ordine alla concessione degli arresti in casa, con inevitabile pregiudizio per il bambino, suo malgrado, detenuto. Anche le interpolazioni alla l. 26.7.1975, n. 354, sembrerebbero evidenziare un arretramento rispetto alle linee-guida emergenti dalle proposte di legge di iniziativa parlamentare.
Il triplice intervento sul testo della legge penitenziaria si è concretizzato, infatti, in una rivisitazione dei presupposti della detenzione domiciliare, ordinaria e speciale, nonché nell’introduzione di un inedito art. 21 ter ord. penit., concernente le «visite al minore infermo». Le tre proposte di legge, invece, articolando la tutela dedicata a madri e minori tra modifiche strutturali (istituzioni delle case famiglia protette) ed ampliamento di istituti già esistenti (permessi e permessi premio), tendevano a diversificare l’esecuzione penitenziaria nei confronti dei soggetti deboli secondo direttrici maggiormente articolate. Con riferimento alle modificazioni apportate alla disciplina della detenzione domiciliare ordinaria (art. 47 ter ord. penit.), un’opportuna interpolazione di natura «logistica» è stata operata per quelle ipotesi, assolutamente frequenti, di mancanza di risorse economiche, e quindi di fissa dimora, ovvero di una comunità familiare di riferimento. Trattasi, come si è detto, dell’istituzione delle case famiglia protette22, che affiancheranno i tradizionali loci detentivi, attualmente previsti dal co. 1 dell’art. 47 ter ord. penit. («propria abitazione» ovvero «altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza»). Notevoli, invece, le innovazioni apportate alla disciplina della detenzione domiciliare speciale (art. 47 quinquies ord. penit.), che risulta completamente riscritta. La novella stabilisce, infatti, che, eccezion fatta per i delitti di cui all’art. 4 bis ord. penit., le condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni possano scontare ab initio la detenzione in un istituto a custodia attenuata, ovvero, in assenza di pericoli di reiterazione criminosa o di fuga, nella propria abitazione, in altro luogo di privata dimora, in luogo di cura, assistenza o accoglienza, ovvero in una casa famiglia protetta, ove istituita. Deve, peraltro, ricordarsi che per la concessione della misura alternativa è necessario che il tribunale di sorveglianza accerti la condizione negativa dell’insussistenza di un «concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti»23, nonché quella, di marca positiva, concernente «la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli». A tali condizioni, da sempre contemplate dal co. 1 dell’art. 47 quinquies ord. penit., si accompagna la previa espiazione di almeno un terzo della pena ovvero di almeno quindici anni. Ed è proprio sul quomodo del «presofferto» che incide la legge in commento: ai sensi del nuovo co. 1 bis, l’espiazione di tale porzione di pena può avvenire, sin dall’inizio dell’esecuzione, in forma extracarceraria, all’interno dei luoghi protetti cui si è fatto cenno. L’ultima e maggiormente rilevante innovazione, riguarda l’inserimento di un nuovo istituto, denominato «visite al minore infermo» ed inserito all’art. 21 ter ord. penit. A differenza di quanto previsto nelle proposte di legge, le quali avevano decisamente optato per l’ampliamento dell’operatività di permessi e permessi premio, il nuovo istituto disciplina due ipotesi autonome. In primo luogo, qualora il minore, anche non convivente, versi in «imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute», i genitori in vinculis, ed indipendentemente dal titolo privativo della libertà, sono autorizzati a visitare il figlio infermo24 «con provvedimento del magistrato di sorveglianza o, in caso di assoluta urgenza, del direttore dell’istituto». Desta talune perplessità l’individuazione di tale competenza funzionale anche in riferimento alla persona in custodia cautelare. Probabilmente sarebbe stato più opportuno mutuare i criteri dell’art. 30 ord. penit., che prevede una competenza differenziata in ragione della fase procedimentale. La seconda ipotesi presa in considerazione dalla norma, invece, riguarda l’autorizzazione «ad assistere il figlio» – anche non convivente – «durante le visite specialistiche, relative a gravi condizioni di salute». Legittimata ad ottenere il beneficio, in questa eventualità, è solo la madre, mentre al padre è riconosciuto analogo potere solo se la prima «sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole»25. Quanto alle cadenze procedimentali, qui rivive il «giudice competente», abbandonandosi, pertanto, l’idea del magistrato di sorveglianza quale organo funzionalmente deputato a decidere sulle domande dei detenuti. In ambedue le ipotesi disciplinate dall’art. 21 ter ord. penit., problemi interpretativi di non poco conto incontrerà la decifrazione dell’espressione «gravi condizioni di salute», la quale richiederà inevitabilmente un approccio non restrittivo, in un’ottica di favor per il minore. Con riferimento alla latitudine della discrezionalità, la norma opera riferimento ad un «provvedimento da rilasciarsi da parte del giudice competente non oltre le ventiquattro ore precedenti alla data della visita e con le modalità operative dallo stesso stabilite». Quid nel caso di diniego? Se per le persone in stato di custodia cautelare potrà ragionevolmente ipotizzarsi l’esperibilità dell’appello ex art. 310 c.p.p., problemi potrebbero porsi, invece, per le domande di competenza del magistrato di sorveglianza, i cui provvedimenti in materia di salute non sono suscettibili di controllo di legittimità26. L’art. 36, co 1, delle Regole penitenziarie europee stabilisce che «[i] bambini in tenera età possono restare in carcere con un genitore, unicamente se ciò è nell’interesse del bambino. Non devono essere considerati come detenuti». I commi successivi precisano che «quando i bambini in tenera età sono autorizzati a restare in carcere con un genitore, devono esser adottate misure speciali per disporre di un nido d’infanzia con personale qualificato, dove poter collocare il bambino quando il genitore pratica un’attività alla quale non è autorizzata la presenza del bambino», e che un alloggio «speciale deve essere riservato per proteggere il benessere di questi bambini in tenera età». Se nelle intenzioni delle originarie proposte legislative, il bene da tutelare in via prioritaria era quello della salute del bambino, nel coro della navette parlamentare l’orizzonte del dibattito si è progressivamente spostato, in senso securitario, denotando una prevalenza per le esigenze della collettività rispetto a quelle del minore detenuto. Inevitabile, pertanto, un giudizio negativo sulla legge in commento, che provvede solo a dilatare dal punto di vista quantitativo il raggio di operatività dell’art. 275, co. 4, c.p.p., senza però garantire migliore qualità della vita al minore. Anzi, peggiorandola negli istituti a custodia attenuata.
1 L’entrata in vigore delle disposizioni contenute all’art. 1, l. n. 62/2011 è procrastinata alla «completa attuazione del piano straordinario penitenziario, e comunque al 1° gennaio 2014, fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata», i quali, allo stato attuale, sono solamente i reparti e gli istituti a «custodia attenuata» per tossicodipendenti (ICATT).
2 L’art. 275, co. 4, c.p.p., accomunava, sulla scorta di risalente tradizione, condizioni fisiologiche meritevoli di tutela, quali la gravidanza e la vecchiaia, a condizioni patologiche individuate dalla locuzione «condizioni di salute particolarmente gravi».
3 Cfr., in proposito, Marzaduri, Misure cautelari personali (princìpi generali e disciplina), in Digesto pen., VIII, Torino, 1994, 74 e 77, nota 129, secondo cui «nella logica seguita dal legislatore delegato, alle situazioni psico-fisiche così determinate non potrà mai essere ricondotto un peso davvero assorbente ai fini dell’esclusione della custodia carceraria».
4 Testualmente, Amato, Art. 275, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da Amodio, Dominioni, III, parte 2, Milano, 1990, 43.
5 Così Chiavario, Art. 275, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coord. dal medesimo, III, Torino, 1990, 70, il quale rilevava come, «in un contesto che già “normalmente” configura come un’extrema ratio il ricorso alla custodia carceraria, viene ad essere non molto facile ricondurre a parametri oggettivi questa regola di particolare rigore garantistico. Presumibilmente, qui, la gravità del reato per cui si procede finirà per vedersi riconoscere uno spazio d’incidenza maggiore che altrove, nelle valutazioni giudiziali».
6 V. le modificazioni apportate all’art. 275, co. 3, c.p.p. nel corso dell’ultimo ventennio prima dall’art. 5 d.l. 13.5.1991, n. 152, poi dall’art. 1 d.l. 9.9.1991, n. 292, (successivamente neutralizzate per effetto della rilettura, in senso garantista, operata dalla l. n. 332/1995), e, più di recente, dall’art. 2 d.l. 23.2.2009, n. 11. Da ultimo, la Corte costituzionale, con le sentenze nn. 165/2010 e 164/2011 ha drasticamente eroso la «carica» presuntiva della disposizione codicistica, restituendo al giudice la fisiologica discrezionalità in punto di adeguatezza cautelare.
7 V. gli artt. 291, co. 1 bis, e 299, co. 4 ter, c.p.p. nei testi rispettivamente introdotti dagli art. 12 e 14 lett. b) d.lgs. 14.1.1991, n. 12.
8 Cfr. l’ art. 4 bis ord. penit.
9 V. gli artt. 275, co. 3, c.p.p., 4 bis, co. 1, e 58 ter ord. penit.
10 Cfr., specialmente, Garuti, Brevi note in tema di rapporti tra condizioni di salute dell’imputato e custodia cautelare in carcere, in Cass. pen., 1996, 2297; Grevi, Più ombre che luci nella L. 8 agosto 1995 n. 332 tra istanze garantistiche ed esigenze del processo, in Misure cautelari e diritto di difesa nella L. 8 agosto 1995, n 332, a cura dello stesso, Milano, 1996, spec. 10-14; Illuminati, Presupposti7.1.2 delle misure cautelari e procedimento applicativo, in Misure cautelari e diritto di difesa nella L. 8 agosto 1995, n 332, cit., 95-96.
11 Tale rilettura in senso garantista è stata vanificata dall’art. 2 d.l. 23.2.2009, n. 11, conv., con mod., dalla l. 23.4.2009, n. 38, il quale ha nuovamente incrementato le ipotesi di cattura «obbligatoria».
12 Così, testualmente, Riviezzo, Custodia cautelare e diritto di difesa, Milano, 1995, 63-64. Secondo Bresciani, in Marzaduri, Bresciani, Art. 5 L. 8/8/1995 n. 332, in Legisl. pen., 1995, 630-631, «l’inserzione di questa nuova categoria [...] sembra rispondere a una logica di garanzia non integralmente estensibile alle altre: più che una maggiore attenzione per la tutela della salute del detenuto, una previsione di questo tenore sottende, infatti, la preoccupazione di salvaguardare l’integrità psicofisica di soggetti diversi dalla persona di assoggettare a custodia in carcere, nella consapevolezza dei gravi effetti che le mutazioni del rapporto effettivo con la madre – prevedibilmente riconducibili allo stato detentivo di quest’ultima – possono provocare su soggetti in tenera età».
13 La giurisprudenza tende da sempre ad interpretare restrittivamente la locuzione normativa: cfr., tra le altre, Cass., sez. VI, 8.7.2009, Chianchiano, in CED, 245196; Cass., sez. V, 28.5.2009, P., ivi, 244485; Cass., sez. I, 5.3.2009, A., in Arch. nuova proc. pen., 2009, 484, tutte in tema di attività lavorativa della madre per più di otto ore al giorno.
14 Esprimeva perplessità fondate sul timore di una formulazione che, «in mancanza di ulteriori e più rigorosi riferimenti, delinea una situazione assai vaga, ed oltretutto suscettibile di essere artificiosamente predeterminata per meri interessi contingenti», Grevi, Più ombre che luci nella L. 8 agosto 1995 n. 332 tra istanze garantistiche ed esigenze del processo, cit., p. 11. In senso critico v. anche Zappalà, Commento agli artt. 4 e 5, in AA.VV., Modifiche al codice di procedura penale. Nuovi diritti della difesa e riforma della custodia cautelare, Padova, 1995, 91; D’Ambrosio, La riforma dell’8 agosto 1995, in Documenti Italia-Oggi, 9 agosto 1995, 1179.
15 Sulla portata della disposizione, v. Canevelli, Tutela dei soggetti affetti da AIDS o da altre malattie gravi e misure alternative al carcere. (A) Aspetti giuridici, in Dir. pen. e processo, 1999, 1224; Magliona, Tutela dei soggetti affetti da AIDS o da altre malattie gravi e misure alternative al carcere. (B) Aspetti medico-legali, ivi, 1231; Nappi, Commento all’art. 1 della L. 12 luglio 1999, n. 231, in Gazz. giur., 1999, fasc. 33, 4; Nuzzo, Il regime di custodia cautelare in carcere e la tutela della salute in base alla disciplina della L. 12 luglio 1999, n. 231, in Cass. pen., 2000, 773.
16 Cfr. Grevi, Gravi condizioni di salute dell’imputato e custodia cautelare in carcere, in Dir. pen. e proc., 1995, 160.
17 L’art. 8 proposta di legge C-2011 prevedeva la revoca dell’espulsione dello straniero, genitore di figli di età non superiore a dieci anni.
18 Cfr., sul piano strutturale, gli artt. 6 e 7 proposta di legge C-2011, gli artt. 5 e 6 proposta di legge C-52 e l’art. 5 proposta di legge C-1814, tutti relativi all’inserimento della disciplina delle case-famiglia protette all’interno della legge fondamentale di ordinamento penitenziario.
19 Alternativo alla «propria abitazione o [...] altro luogo di privata dimora ovvero [...] luogo pubblico di cura o di assistenza» (art. 284, co. 1, c.p.p.).
20 Il testo definitivo della legge sposa l’opzione proposta di legge C-2011, quando, al contrario, le altre due proposte unificate (C-52 e C-1814) mantenevano la previgente struttura lessicale.
21 Il padre può accedere al beneficio cautelare solo nell’eventualità in cui «la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole».
22 L’art. 4 della legge in commento ne demanda l’istituzione ad un decreto del ministro della giustizia, d’intesa con la conferenza Stato-città ed autonomie locali.
23 L’art. 4 proposta di legge C-2011 e l’art. 4 proposta di legge C-1814 prevedevano, invece, la soppressione di tale presupposto.
24 L’art. 21 ter, co. 1, ord. penit. precisa, per il caso di ricovero ospedaliero, che le modalità della visita siano disposte tenendo conto della durata del ricovero e del decorso della patologia.
25 Cfr. gli artt. 275, co. 4, c.p.p. e 47 ter, co. 1, (lett. b), ord. penit. In prospettiva generale, con riferimento al rapporto paternità-carcere, cfr., volendo, Fiorio, Detenzione domiciliare speciale e padre detenuto: una pronuncia di manifesta inammissibilità che lascia irrisolte le questioni di fondo, in Giur. cost., 2009, 2447.
26 La giurisprudenza della S.C. è consolidata nel senso dell’inoppugnabilità del diniego di domanda «sanitaria» ex art. 11 ord. penit., sulla scorta dell’asserita inidoneità dello stesso ad incidere sullo status libertatis dell’individuo: in tal senso, per tutte, v. Cass., sez. VI, 25.3.2009, S.L., in CED, 243314.