WILLA, regina d'Italia
WILLA, regina d’Italia. – Figlia di Bosone di Provenza, marchese di Toscana (931-936), figlio di Berta di Tuscia e di Tebaldo dei Bosonidi, e di Willa (II), aristocratica borgognona, nacque probabilmente nel secondo decennio del secolo X forse in Provenza dove in quegli anni governava il padre Bosone.
L’origine di Willa (II), attestata da Liutprando di Cremona (Antapodosis, IV, 12), potrebbe indicare un collegamento con i Rodolfingi, detentori del potere regio in Borgogna. Suggestiva, ma non verificabile, è l’ipotesi di collocarla tra i figli di re Rodolfo I e sua moglie Willa (I), appartenente a sua volta alla discendenza dei Bosonidi e che dunque sarebbe la prima con quel nome in questa linea di discendenza. L’unione matrimoniale di Bosone con una donna dell’alta aristocrazia borgognona potrebbe essere avvenuta quando suo fratello Ugo (in seguito re d’Italia) prese in sposa la vedova di Rodolfo I, subito dopo la sua morte nel 912: una doppia unione matrimoniale con la regina e con una delle sue figlie ben si inquadrerebbe nel tentativo politico di Ugo e del fratello minore di ampliare la loro influenza verso il Regno vicino. Il legame con la Borgogna sembra essere confermato anche dalle vicende che ebbero come protagonisti i discendenti di Willa (III): dopo la definitiva sconfitta contro le truppe ottoniane nel 965 il figlio Adalberto si rifugiò in Borgogna, terra d’origine anche della moglie Gerberga di Chalon e, al principio del secolo XI, il nipote Ottone Guglielmo contese il Ducato di Borgogna al re di Francia Roberto II.
Sono incerti i dati riguardanti il periodo della sua vita precedente al matrimonio con Berengario II, marchese d’Ivrea, che avvenne nella prima metà degli anni Trenta del secolo, forse all’incirca nel 931.
Il primogenito della coppia, Adalberto, al momento dell’associazione al trono con il padre, il 15 dicembre 950, doveva avere tra i quattordici e i diciotto anni di età: fu infatti subito attivo in campagne militari per la difesa del Regno.
Al 931 circa rinvia invece il contesto politico di quegli anni: l’unione matrimoniale sarebbe avvenuta in corrispondenza dell’eliminazione dell’ultimo fratellastro di re Ugo, Lamberto, marchese di Toscana, e della sua sostituzione al vertice della marca con Bosone, fratello del re e padre di Willa. Lo stesso Liutprando (Antapodosis, IV, 8) ricorda che fu lo stesso re a predisporre il matrimonio tra la nipote e Berengario, così da consolidare il nuovo potere marchionale del fratello attraverso il legame con la parentela degli Anscarici, i soli grandi aristocratici italici fino a quel momento sopravvissuti alle politiche di Ugo. Al contrario Hagen Keller (1971) interpreta il matrimonio della figlia di Bosone alla luce dello scontro tra i due fratelli, consumatosi nel 936 con l’accusa di cospirazione per Bosone e la sua sostituzione con Uberto, figlio di re Ugo.
Fatta eccezione per la notizia delle nozze, la figura di Willa non emerge nelle fonti del periodo del regno di Ugo (926-947). Ella dovette tuttavia seguire la parabola politica del marito, che dall’apice cadde rapidamente in disgrazia presso il re, timoroso che tanta influenza politica si trasformasse in concreta aspirazione al trono, legittimata oltretutto dal sangue di ascendenza carolingia che scorreva nelle vene del marchese d’Ivrea. Secondo il racconto di Liutprando (Antapodosis, V, 10), dopo che nell’estate del 941 Berengario II (temendo la cattura da parte di Ugo, che aveva già eliminato il suocero Bosone e il fratello Anscario II) fuggì precipitosamente in Germania presso il duca Ermanno di Svevia, Willa raggiunse il marito attraversando a piedi e incinta il valico innevato del San Bernardino (Mons Avium).
Berengario II tornò in Italia nella primavera del 945, quando una congiura collettiva delle aristocrazie italiche ridusse re Ugo all’impotenza, lo costrinse ad abdicare a favore del figlio Lotario II e, un anno dopo, a ritirarsi definitivamente in Provenza. Il perno di tutta l’operazione fu proprio Berengario che nel primo diploma emanato da Lotario è designato come regni summus consors (I diplomi di Ugo e di Lotario..., a cura di L. Schiaparelli, 1924, n. 8). Dopo la morte improvvisa di Lotario il 22 novembre del 950, Berengario II fu incoronato re a Pavia, insieme con il figlio Adalberto, il 15 dicembre. Da quel momento Willa fu associata al potere regio del marito e del figlio come regina e consors regni.
Il solo diploma conservato indirizzato a lei risale al 25 ottobre 960 (I diplomi di Berengario II e di Adalberto, 1924, n. 14), con il quale la donna ricevette la corte di Obiano presso Rivarolo Canavese nel Torinese, in precedenza confiscata a un certo Rogo per infedeltà. Il documento attesta le relazioni della donna a corte, poiché, oltre al figlio Guido, marchese di Ivrea, intervenne con il ruolo di intercessore anche un certo giudice Rozo; il diploma, inoltre, segnala l’intento regio di accrescere il patrimonio della regina nelle vicinanze del notevole complesso fiscale incentrato nella corte regia dell’Orco, attuale Cortereggio.
Probabilmente nel corso del periodo ottoniano, il diploma – e dunque presumibilmente anche la corte – giunse nell’archivio del monastero regio di S. Salvatore di Pavia; nel secolo XI, tuttavia, anche l’abbazia canavese di Fruttuaria cercò di ottenere il controllo della corte dal potere imperiale.
Oltre alla corte di Obiano, Willa possedette e gestì diverse proprietà, situate in varie aree del Regno, derivanti sia dal fisco regio, sia dal proprio patrimonio familiare. Se ne trova traccia in due successivi diplomi di Ottone I, che disponevano la distribuzione dei beni confiscati alla famiglia di Berengario II. Si tratta in particolare di beni che Willa possedette con i figli Guido e Corrado nella cosiddetta iudiciaria Mutinensis, corrispondente ai territori reggiano, modenese e bolognese (Conradi I., Heinrici I. et Ottonis I. diplomata, a cura di T. Sickel, 1879-1884, n. 260) e di beni ubicati nel comitato bergamasco (n. 272).
Ottone I li assegnò rispettivamente al vescovo di Modena Guido e al vescovo di Bergamo Olderico, attorno al 963, prima ancora di aver catturato la coppia regia.
La cattiva fama scontata da Willa è principalmente opera di Liutprando di Cremona, il quale iniziò nel 945 la sua carriera di funzionario di corte proprio al servizio di Berengario II come signator epistolarum e legato a Costantinopoli (949). Egli scrisse l’Antapodosis con l’intento precipuo di delegittimare tutti i re italici dopo l’888 e prima di Ottone I, e soprattutto la coppia regia Berengario II - Willa: i due erano, infatti, discendenti diretti per via femminile dei due rami della parentela carolingia – quello lotaringio e quello franco-orientale – che risalivano direttamente a Carlomagno.
Il figlio della coppia, Adalberto, associato al trono del padre quello stesso dicembre 950, poteva dirsi consanguineo e discendente diretto del fondatore dell’Impero, un argomento straordinariamente legittimante, che il nuovo pretendente al Regno e signore del vescovo cremonese, Ottone I, non poteva esibire. La feroce satira del vescovo mirava quindi a colpire in modo particolare la moralità delle donne, perno fondamentale della struttura cognatizia delle aristocrazie italiche postcarolinge.
Il particolareggiato racconto dell’adulterio di Willa, secondo il quale ella tradì suo marito con un rozzo prete di campagna da lei scelto come istitutore delle figlie (Antapodosis, cit., V, 32), ha, dunque, lo scopo di gettare una pessima luce sulla donna e, soprattutto, di sollevare dubbi sull’effettiva discendenza del figlio Adalberto. Il motivo dell’immoralità della regina è trasformato poi dallo stesso Liutprando in quello della crudeltà (saevitia), che nella Historia Ottonis (cap. I) diviene caratteristica comune della coppia regia e del figlio. Il tema della crudeltà dei tre regnanti rimarrà così nella tradizione storiografica – compare in questi termini anche nel Chronicon Salernitanum (cap. 169) – e sarà ripreso ancora più di un secolo dopo da Arnolfo di Milano (Liber gestorum recentium, cap. 6), che attribuisce l’odio che gli italici provavano nei confronti di re Berengario II alla straordinaria avarizia e crudeltà della moglie Willa.
L’intervento diretto di Ottone I in Italia nel maggio del 960 e l’impossibilità di fronteggiare il nemico in campo aperto costrinsero Berengario II, Willa e i figli ad abbandonare Pavia e a rifugiarsi in fortezze poste in zone strategiche del Regno dalle quali tentare la resistenza (Continuatio Reginonis, a cura di F. Kurze, 1890, ad annum 962). Mentre Berengario si ritirò a San Leo e i figli operarono nel territorio dei grandi laghi prealpini (il Garda, il lago Maggiore e il lago di Como) e nelle roccaforti ivi ubicate, Willa si rifugiò nel castello dell’isola di San Giulio nel lago d’Orta. Ma pochi mesi dopo l’incoronazione imperiale del febbraio 962 a Roma, il rifugio di Willa fu assediato e in pochi mesi capitolò.
La donna, tuttavia, fu lasciata libera di riunirsi al marito a San Leo, dove insieme sopportarono l’assedio di Ottone per due anni, fino alla fine del 964. Quando la fortezza fu presa, Willa fu catturata e inviata in esilio con il marito a Bamberga, in Baviera (ad annum 964).
Due delle loro figlie furono condotte presso l’imperatrice e aggregate al suo seguito (ad annum 965). Una delle due figlie era Rozala Susanna, che nel 978 circa fu data in sposa ad Arnolfo II, conte delle Fiandre (Genealogiae comitum Flandriae Bertiniana, a cura di G.H. Pertz, 1851, p. 306).
Oltre ai citati Adalberto e Rozala, detta Susanna, Willa ebbe altri due figli maschi, Corrado Cono e Guido, e altre due figlie femmine, Gisla e Gerberga.
Dopo la morte di Berengario II (6 agosto 966), ancora prima di seppellirne il corpo, Willa prese i voti e si ritirò in monastero (Continuatio Reginonis, cit., ad annum 966). Non si conosce la data di morte.
Fonti e Bibl.: Chronicon Salernitanum, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptores, III, Hannoverae 1839, cap. 169; Genealogiae comitum Flandriae Bertiniana, a cura di G.H. Pertz, ibid., IX, Hannoverae 1851, p. 306; Conradi I., Heinrici I. et Ottonis I. diplomata, a cura di T. Sickel, in MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, I, Hannoverae 1879-84, nn. 260, 272; Continuatio Reginonis, in Reginonis abbatis Prumiensis Chronicon cum continuatione Treverensis, a cura di F. Kurze, in MGH, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, L, Hannoverae 1890, ad annos 962, 964, 965, 966; Hrotsvitha, Gesta Ottonis, in Hrotsvithae opera, a cura di P. de Winterfeld, ibid., XXXIV, Berolini 1902, p. 228; Liutprando di Cremona, Antapodosis, in Die Werke Liudprands von Cremona, a cura di J. Becker, ibid., XLI, Hannover-Leipzig 1915, III, 1; IV, 8, 11, 12; V, 10, 11, 32; Id., Historia Ottonis, ibid., capp. I e VI; I diplomi di Ugo e di Lotario…, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1924, n. 8; I diplomi di Berengario II e di Adalberto, ibid., n. 14; Arnolfo di Milano, Liber gestorum recentium, a cura di C. Zey, in MGH, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, LXVII, Hannover 1994, cap. 6.
G. Fasoli, I re d’Italia (888-962), Firenze 1949, pp. 149-204; H. Keller, Bosone di Toscana, in Dizionario biografico degli Italiani, XIII, Roma 1971, pp. 277-279; P. Buc, Italian hussies and German matrons. Liutprand of Cremona on dynastic legitimacy, in Frühmittelalterliche Studien, XXIX (1995), pp. 207-225; C. La Rocca, Liutprando da Cremona e il paradigma femminile di dissoluzione dei Carolingi, in Agire da donna. Modelli e pratiche di rappresentazione (secoli VI-X), a cura di C. La Rocca, Turnhout 2007, pp. 291-307; P. Cammarosano, Nobili e re. L’Italia politica dell’alto Medioevo, Roma-Bari 2009, pp. 244-253; G. Vignodelli, Per stemmata regum. Discendenza femminile e legittimazione nel regno italico post-carolingio (888-962), in Figli delle donne. Forme di identità familiare in un mondo senza cognomi (secoli IX-XI), a cura di T. Lazzari, in corso di stampa.