Curve, regine e bolle di sapone: il calcolo delle variazioni
Nell’ordinario calcolo differenziale, massimizzare o minimizzare una funzione (per esempio una funzione di una variabile) significa trovare un valore x0 che rende appunto massima o minima la funzione y = ƒ(x). Il calcolo delle variazioni è il “capitolo” dell’analisi matematica che tratta la massimizzazione (o la minimizzazione) di un funzionale J [y], cioè di una quantità reale J che dipende dalle funzioni y = ƒ(x) che variano in un certo dominio funzionale: si tratta di trovare la funzione y0 = ƒ0(x) che rende appunto massima o minima la quantità J [ y].
Il calcolo delle variazioni nasce alla fine del Seicento. Nel libro ii dei suoi Principia mathematica, I. Newton studia la forma che deve avere una superficie di rotazione che si muova nella direzione del suo asse con velocità costante in modo comunque da offrire la minima resistenza al moto. Assumendo che la resistenza del fluido in ciascun punto della superficie del corpo sia proporzionale alla componente della velocità normale alla superficie, Newton arriva a quello che in termini moderni può essere espresso come il problema di trovare la funzione y(x) da far ruotare intorno all’asse x e che renda minimo l’integrale:
Nel 1696 Johann i Bernoulli propone la ricerca di una curva che renda minimo il tempo impiegato da un grave che, cadendo lungo questa curva, percorra il tratto compreso tra due punti non posti sulla stessa verticale. È il problema della brachistòcrona, che ammette una cicloide come soluzione.
Nel Settecento i matematici dedicano una discreta attenzione al problema geodetico della ricerca del cammino di lunghezza minima tra due punti situati su una superficie, con particolare riferimento a quella terrestre. Sul finire del secolo un’altra classe di problemi – detti isoperimetrici – si affaccia sulla scena di quella che comincia a essere una vera e propria teoria, al di là dei metodi risolutivi adottati nei singoli casi. Si tratta di trovare, fra tutte le curve piane chiuse e di perimetro assegnato, quella che racchiude l’area massima. Il problema poteva vantare anche un riferimento mitologico. Una leggenda narra infatti che la regina Didone volesse stabilirsi sulla costa nordafricana del Mediterraneo. Qui pagò una certa cifra per l’acquisto di una pelle di toro, in cambio della possibilità di occupare tutto il terreno che sarebbe stata in grado di cingere con quella pelle. L’astuta regina tagliò allora la pelle in strisce sottilissime, legandole l’una all’altra, e con esse recinse un’area che aveva come perimetro la lunghezza totale delle strisce. Scelse anche il terreno lungo il mare in modo che non fosse necessaria alcuna striscia sulla linea di costa. Sempre secondo la leggenda, Didone capì che le strisce dovevano formare un semicerchio, che in effetti è la forma esatta perché l’area inclusa sia massima.
Nell’Ottocento il fisico belga J.A.F. Plateau porta all’attenzione della comunità scientifica lo strano caso delle bolle di sapone. Il problema matematico che esse sottendono è quello delle superfici minime: è vero (come la pellicola di sapone mostra sperimentalmente) che ogni curva chiusa nello spazio può essere sottesa da almeno una superficie di area minima?
Tutti questi problemi, pur molto diversi tra loro, possono essere ricondotti a un’unica forma. Come nel caso della formula che permette di risolvere il problema posto da Newton, si tratta di trovare una funzione y = ƒ(x), tra tutte quelle considerate in un certo dominio funzionale, che renda massimo o minimo un funzionale J [y] del tipo
Inizialmente (e fino a quasi tutto il xix secolo) questo, che viene classificato come il problema più semplice del calcolo delle variazioni, è stato affrontato sfruttando la sua analogia con gli ordinari problemi di ottimizzazione del calcolo differenziale e quindi cercando anzitutto una condizione necessaria basata sull’annullamento della derivata prima (o di qualche cosa che rivesta analogo ruolo nel caso dei funzionali). È la cosiddetta equazione di Eulero. Se y0 dà a J [y] il suo (per esempio) minimo, deve in particolare risultare J [y] ≥ J [y0] per tutte le curve y(x) = y0(x) + th(x) sufficientemente regolari che passano per gli stessi punti iniziale e finale: y(a) = y0(a), y(b) = y0(b), cioè con l’incremento h scelto arbitrariamente ma tale che sia h(a) = h(b) = 0. Questo vuol dire che la funzione g(t) = J [y0 + th] ha un minimo per t = 0 e deve quindi risultare g′ (0) = 0. Derivando J [y0 + th] rispetto a t (e integrando per parti), si ottiene l’equazione di Eulero:
cioè
Nel caso finora visto di un’unica variabile indipendente, quella di Eulero è un’equazione differenziale ordinaria del secondo ordine, per la quale si può spesso dimostrare l’esistenza di soluzioni del problema ai limiti (soluzioni dell’equazione differenziale passanti per due punti assegnati) che talora possono essere scritte anche esplicitamente. Quando invece le variabili indipendenti sono più di una, si ha a che fare con un’equazione alle derivate parziali, la cui soluzione è in generale molto meno agevole. Si inseriscono qui, all’interno di queste difficoltà, i metodi diretti che seguono un altro percorso. Evitano così le questioni problematiche che sorgono con l’approccio classico: la riduzione dei problemi del calcolo delle variazioni a problemi di equazioni differenziali con la conseguente difficoltà del calcolo e, ancor prima dell’esistenza della soluzione di un problema ai limiti, la forte limitazione impressa alla classe funzionale dalla considerazione delle equazioni differenziali, il privilegio accordato agli estremanti relativi, la ricerca di opportune condizioni sufficienti (a meno di non sapere a priori che il funzionale in questione sia convesso).
I metodi diretti non sono un’invenzione di L. Tonelli. Li si ritrova in altri autori tra cui Riemann, Hilbert, Arzelà, Hadamard, Lebesgue. In ogni caso il matematico italiano vi ha apportato indubbiamente una serie di notevoli contributi – legati soprattutto ai teoremi di esistenza – raccolti poi nel suo Fondamenti di calcolo delle variazioni (pubblicato in due volumi nel 1921 e nel 1923). Il procedimento seguito da Tonelli si basa sul concetto di semicontinuità e su condizioni di compattezza. Il funzionale
che caratterizza il problema più semplice del calcolo delle variazioni, se pone seri problemi dal punto di vista della continuità, risulta invece semicontinuo nella topologia uniforme sotto condizioni di regolarità non particolarmente restrittive. Questo è sufficiente, sempre sotto certe ipotesi, ad assicurare l’esistenza di una curva che lo rende, per esempio, minimo. Infatti, una volta verificato che all’interno della classe funzionale considerata risulta finito inf J = J0, si può costruire una successione minimizzante di curve di equazioni y = yn(x) tali che J [yn] tende a J0 e da questa, mediante teoremi di compattezza, estrarre una sottosuccessione convergente a una funzione y0. La semicontinuità del funzionale permette infine di concludere che risulta J [y0] = J0.