regionalismi
s. m. pl. – In architettura, insieme di pratiche e teorie basate sul carattere identitario (fisico e culturale) di singole regioni, in reazione all'international style, a partire soprattutto dalle critiche rivolte dall'architettura postmoderna nei confronti degli assunti dell'universalizzazione, standardizzazione, omologazione degli usi e delle funzioni, nonché della presunta purezza formale proposti dal movimento moderno nel suo main stream. All'interno di questa critica radicale che ha riportato al centro dell'architettura le tradizioni costruttive e le specificità dei luoghi, le memorie e le forme espressive proprie della storia di una comunità – critica del resto già presente nella riscoperta di un'architettura vernacolare proposta negli anni Sessanta del 20° sec. da autori quali B. Rudofsky (Architecture without architects, 1964), A. Rapoport (House, form and culture, 1969) e L. Prussin (Architecture in Northern Ghana, 1969) –, particolare rilievo ha assunto negli anni Ottanta il concetto di regionalismo critico che, introdotto da A. Tzonis e L. Lefaivre nel 1981 (ora in Critical Regionalism: Architecture and identity in a globalized world, 2003), è stato ampiamente sviluppato da K. Frampton (a partire dal saggio Prospects for a critical regionalism, 1983) quale ipotesi alternativa sia al mito del progresso illuminista, sia agli eccessi del vernacolismo e dell'eclettismo postmoderno che, nelle forme più spregiudicate, finivano per contraddire la stessa idea di tradizione, regredendo in uno storicismo nostalgico e/o in un formale decorativismo. Si tratta di dar forma, nelle parole di Frampton, a una «architettura della resistenza», emblematizzata dall'opera di A. Siza – cui potremmo affiancare, nei diversi ambiti geografici, figure quali H. Fathy, L. Barragán, C. Correa, R. Rewal, G. Bawa, R. Erskine, S. Fehn, J. Pallasmaa –, capace di interpretare i contesti di appartenenza (la topografia, il clima, la storia e la cultura locale) attraverso un 'luogo-forma' in cui l'immediatezza tattile dell'esperienza spaziale e il corretto uso di strategie tettoniche siano in grado di trascendere la sola apparenza del tecnico, opponendosi alla modernizzazione globale. Contro un'architettura concepita come oggetto di design, i r. rappresentano oggi un approccio progettuale alternativo, sia quando si pongono quale obiettivo primario la minimizzazione dell'impatto ambientale attraverso l'uso di tecnologie e materiali appropriati a ogni specifico luogo e clima, sia quando mostrano di saper elaborare le invenzioni morfologiche e costruttive del passato adattandole agli stili di vita locali attuali. Particolarmente interessanti, da questo duplice punto di vista, sono le sperimentazioni che, a cavallo del nuovo secolo, hanno proposto un significativo ampliamento di prospettiva spazio ‒ temporale nell'analisi dei contesti, privilegiando piuttosto che singole manifestazioni della tradizione locale (tipologiche e/o stilistiche) e particolari momenti della sua storia, le proprietà e le caratteristiche ambientali, dove l'ambiente – nel doppio significato ecologico e storico-culturale – costituisce un insieme complesso di interazioni difficilmente disgiungibili. In questo senso i r. si identificano spesso con la ricerca di una maggiore sostenibilità, dove questa, intesa quale pratica legata al luogo – come nel regenerative regionalism di Steven A. Moore (2005), dove l'ambiente costruito è concepito quale artefatto sociale e tecnico – diviene catalizzatrice di ricerche capaci di rispondere al benessere degli abitanti in una consapevole e necessaria integrazione dei sistemi ecologici e simbolici. Da un lato si assiste a un ampliamento di scala con un'attenzione particolare al paesaggio quale luogo privilegiato di riferimento per un'eloquente architettura regionale, come nel reflexive regionalism di Timothy Cassidy (2000) a sottolineare l'esperienza collettiva, partecipata e vissuta, presente nella stratificazione di un particolare territorio; dall'altro si evidenzia il carattere intrinsecamente dinamico della cultura e della vita di una regione che deriva i propri significati dalle pratiche locali, come nel performative regionalism di Barbara L. Allen (2005) in cui l'identità dei luoghi, piuttosto che costrutto preformato, diviene attività performativa che produce, in una dialogica continua, il luogo, gli individui, la comunità.