di Antonio Villafranca
Esistono due modi di interpretare la relazione tra regionalizzazione e globalizzazione. Il primo considera questi due fenomeni come antitetici in quanto la regionalizzazione introdurrebbe un elemento di frammentazione nel mondo globalizzato, tanto addirittura da lasciarne presagire la fine. Ciò deriva principalmente da una lettura ‘ciclica’ della storia che sembra veder alternare (oggi come più di un secolo fa, durante il dominio dell’Inghilterra vittoriana) momenti di globalizzazione - e quindi di apertura dei mercati, di stabilità politica e di pace - a momenti di frammentazione in cui gli stati smettono di collaborare, si chiudono in se stessi (o al massimo nella regione geografica di loro appartenenza) e cercano nella guerra un momento di riaffermazione dei loro interessi nazionali. In questo modo possono essere letti i due conflitti mondiali. La seconda interpretazione sottolinea invece il carattere fisiologico che i fenomeni di regionalizzazione assumono nell’era globale, nel senso che la presenza di attori e accordi regionali non solo è inevitabile, ma costituisce un elemento caratterizzante la globalizzazione stessa. In altri termini, non esiste globalizzazione senza quell’elemento di frammentazione che la regionalizzazione rappresenta. Se si guarda alla realtà, gli accordi e gli attori regionali sono presenti in varie parti del mondo: dal continente americano (per esempio il Mercato comune del Sud, MERCOSUR in America Latina o l’Accordo nordamericano di libero scambio, NAFTA, tra USA, Messico e Canada) fino all’Asia (con l’ASEAN, l’Australia-New Zeland Closer Economic Relations Trade Agreement, ecc.). Tra tutti questi attori quello certamente più significativo, che ha rivoluzionato il concetto stesso di attore regionale e ispirato molte delle altre organizzazioni regionali, è l’Unione Europea (EU). Si tratta di un vero e proprio ‘esperimento’ politico che non conosce pari nella storia dell’uomo sia in termini di poteri e competenze rispetto ai propri paesi membri che in termini di rappresentanza degli interessi comuni rispetto al resto del mondo.
Dunque l’osservazione della realtà e, in particolare, la presenza di un attore regionale così ‘ingombrante’ come l’EU, verso quale delle due interpretazioni sopra esposte può spingere?
Va anzitutto rilevato che, sebbene il commercio intra-europeo rappresenti una quota ancora significativa dell’interscambio commerciale dei paesi del Vecchio continente (pari al 67% per l’EU a 27 nel 2010), le prospettive di crescita dei singoli paesi membri dipendono in buona parte dalla capacità di aumentare le loro esportazioni a livello globale e, in misura crescente, verso i paesi emergenti. Tale consapevolezza ha fatto sì che la Germania intraprendesse un decennio di politiche orientate al rilancio della produttività del lavoro e alla moderazione salariale, che le permettono oggi di registrare tassi di crescita superiori al 3%. Risultato impossibile se ci si fosse limitati all’angusto e, per molti versi, saturo mercato europeo.
Da un punto di vista politico-istituzionale va inoltre ricordato che ormai da diversi anni l’EU è un attore equiparato di fatto agli stati in diverse istituzioni internazionali, a cominciare da quella che meglio esprime la volontà di creare un mercato globale, ovvero il WTO, in cui i 27 paesi membri dell’EU parlano con una sola voce. Una presenza e una forza che a livello internazionale non potrà che aumentare nel futuro anche grazie all’articolo 46 del Trattato di Lisbona, che attribuisce all’EU una vera e propria personalità giuridica. Ma anche a prescindere dall’eccezionale caso europeo, va ricordato che il WTO (già all’articolo 24 dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio, GATT) riconosce pienamente gli accordi regionali, in quanto questi permettono agli stati che ne fanno parte di commerciare tra di loro ancora più liberamente di quanto gli stessi accordi WTO prevedano, a patto ovviamente che non abbiano carattere discriminatorio nei confronti dei paesi terzi. Nel corso degli anni centinaia di questi accordi sono stati presentati e accettati dal WTO, al punto che nel 1996 è stato creato un organo ad hoc (il Committee on Regional Trade Agreements). Temi quali la proprietà intellettuale, i servizi, gli standard ambientali, le politiche di competizione e di investimento sono nati proprio nell’ambito degli accordi regionali prima di divenire veri e propri tavoli di discussione all’interno del WTO.
Molteplici altri esempi potrebbero essere fatti, ma ciò che la realtà in Europa e nel resto del mondo sembra indicarci in modo chiaro è che la coesistenza tra regionalizzazione e globalizzazione è un dato di fatto, una caratteristica del sistema economico mondiale, e non rappresenta più una semplice ipotesi accademica.