regione
regióne s. f. – Il termine contiene un’inequivocabile connotazione geografica e politica in quanto rimanda a un territorio delimitato da confini frutto di un’azione di appropriazione da parte di una comunità umana. Nella tradizione degli studi geografici, a lungo dominata dalla visione della r. umanizzata di scuola francese, il territorio regionale viene supposto tendenzialmente omogeneo, sia nelle sue componenti materiali sia immateriali, e poco incline a rapidi mutamenti. In questa interpretazione, la combinazione degli elementi culturali e geografico-fisici dà vita a un profilo regionale peculiare e irripetibile, consentendo alla sua popolazione di riconoscervisi e fondarvi la propria specificità. Tuttavia, si è osservato di recente che l’effetto di dinamiche genericamente attribuite alla globalizzazione spinge verso l’attenuazione del carattere dell’omogeneità presentando la r. come un sistema costantemente aperto e mutevole. Oltre a imporre una profonda revisione concettuale, questa considerazione ha introdotto un tema nuovo e recentemente al centro di feconde riflessioni: quello dei rapporti tra la dimensione regionale e quella globale. Se le prime osservazioni seguite all’avvento della cosiddetta globalizzazione avevano ipotizzato l’avvio di una fase dei rapporti tra dimensione locale e globale nella quale la prima era in una condizione di totale sudditanza nei confronti della seconda, è recentemente prevalso un atteggiamento più cauto, con una rivalutazione del ruolo dell’ambito locale, dotato di capacità proprie di inserirsi nelle reti globali diventandone un nodo e influenzandone la dinamica (come esempi di questo attivismo regionale si citano spesso, con particolare riferimento all’ambito economico, la Baviera, la Catalogna e il Nord-est italiano). In altre parole, si è progressivamente fatta strada l’idea che la globalizzazione non abbia cancellato l’importanza del territorio nei processi di creazione della ricchezza, ma ne abbia trasformato il ruolo nel quadro di un rinnovato contesto di competizione economica. Questo approccio valorizza la logica transcalare, solidamente affermatasi nel pensiero geografico contemporaneo, in sostituzione di quella multiscalare espressa, nel corso del Novecento, da rigide classificazioni di soglia. Allo stesso tempo, però, decreta il ridimensionamento del vincolo della contiguità territoriale sollevando il problema della delimitazione regionale e dei poteri connessi alla gestione del territorio (v. ). In tema di politica regionale il caso italiano contiene aspetti molto istruttivi. La ridefinizione in corso dei sistemi geografici, particolarmente avanzata in alcune aree del Paese come le regioni padane, è sospinta dall’operato di un ampio ed eterogeneo ventaglio di soggetti locali che richiedono con forza una nuova legittimazione degli enti territoriali. Tuttavia, l’adozione di forme flessibili di governance che sarebbe da molti auspicata, viene gravemente ostacolata dall’accelerazione dei ritmi del mutamento e dal ritardo sistematico, lamentato da molti, che avrebbe caratterizzato l’azione politica; ciò rivelerebbe un’inadeguatezza di fondo della classe politica del Paese, che nell’effettuare scelte delicate circa l’assetto territoriale da porre a base del funzionamento della macchina statale avrebbe seguito fuorvianti logiche dettate dalle mutevoli congiunture economiche e politiche, passando dalla visione centralista a quella regionalista a seconda di meri interessi particolari (elettorali e clientelari). Molti studiosi, e tra questi diversi geografi (Gambi, Compagna, Muscarà e, più recentemente, Castelnovi, Celata, Ferlaino e Molinari, Galluccio e Sturani), hanno invitato anche a ripensare il ritaglio regionale italiano sulla base dell’attuale situazione del Paese, che suggerirebbe il riconoscimento di quadri regionali allineati all’evolversi dei processi sociali ed economici reali. Tutte queste critiche e proposte si collocano in un contesto ridefinito dalle innovazioni costituzionali stabilite nel 2001: modifica dell’art. 132 nel titolo V della Costituzione, che attenua la rigidità dell’impostazione giuridico-amministrativa prevista dall’art.131, e l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3 che ha definito all’art. 3, sostitutivo dell’art. 117 della Costituzione, una serie lunga e significativa di materie di legislazione concorrente, per le quali la potestà legislativa è devoluta alle r., salvo che per la determinazione dei principi fondamentali. Tuttavia, gli esiti di questo processo di riorganizzazione degli enti regionali sono ancora molto incerti. Un importante riconoscimento al ruolo della r. come soggetto attivo delle dinamiche culturali ed economiche è venuto in questi anni dall’Unione Europea. In proposito, molta enfasi era stata data alla cooperazione interregionale (v. ), dalla quale erano scaturite una quantità di iniziative dalle forme ed etichette varie (comunità di lavoro, conferenze, euroregioni, ecc.). Tra queste iniziative, particolari aspettative avevano generato le esperienze di coesione che davano vita alle cosiddette . Sostenute sul piano istituzionale e finanziario, queste iniziative avevano stimolato un’ampia produzione scientifica, concorde nel riconoscerne l’importanza strategica per il futuro dell’Unione e pronta a fornire analisi teoriche e indagini conoscitive che ne potessero concretizzare le potenzialità. Si sosteneva con fiducia che le r. transfrontaliere erano destinate a vivere dinamiche cooperative di sviluppo e gestione del territorio capaci di attivare fruttifere collaborazioni economiche e culturali nonché rilevanti processi di decentramento organizzativo. Tuttavia, alla prova dei fatti si deve riconoscere che tali esperienze non sempre hanno mantenuto le aspettative, a parte qualche parziale successo nei progetti di prima istituzione (EUROREGIO, Reno-Maas).