Regioni e Province
Il nostro ordinamento è caratterizzato dal variare delle relazioni fra Regioni e Province. Nel corso dei decenni, il mutamento, realizzato o proposto, della disciplina costituzionale e legislativa delle Regioni e delle Province ha teso a far procedere nella medesima direzione, oppure in senso opposto, le loro trasformazioni. In particolare, nel 2016 il testo di revisione costituzionale sottoposto al corpo elettorale coordinava le trasformazioni delle Regioni ordinarie e delle Province, nel senso di ridurre le competenze legislative delle prime e quelle amministrative delle seconde. L’esito contrario alla revisione costituzionale del referendum del dicembre 2016 fa sì che nel 2017 si pongano come altrettanti profili problematici le novelle, di grado costituzionale o legislativo, che hanno anticipato il testo costituzionale revisionato, mai entrato in vigore.
Analizzare, nell’ambito della medesima questione, sia le Regioni, sia le Province, permette di evidenziare le interconnessioni fra le trasformazioni – realizzate o soltanto tentate – della disciplina costituzionale e legislativa delle une e delle altre, nel corso dell’ultimo anno. Nel titolo della questione, i due sostantivi (Regioni, Province), uniti dalla congiunzione copulativa “e” sembrano indicare un’armonia fra i due enti territoriali, che a sua volta parrebbe sottintendere un movimento nella medesima direzione delle trasformazioni in discorso. A ben vedere, però, le relazioni fra Regioni e Province caratterizzano da tempo il nostro ordinamento, ponendosi talvolta negli accennati termini di armonia, talaltra invece in termini di contrapposizione; la congiunzione coordinativa da copulativa (“e”) tende allora a diventare disgiuntiva (“o”), anche con valore esclusivo. Si rammentino al riguardo le proposte, formulate in Assemblea costituente e non per nulla riprese nella fase istitutiva delle Regioni ordinarie, volte ad abolire le Province, reputate un’inutile e costosa duplicazione, su scala ridotta, delle Regioni1.
Successivamente all’istituzione delle Regioni ad autonomia ordinaria, i trasferimenti/deleghe di funzioni amministrative statali, attuati nel 1972 (dd.PP.RR. 1415.1.1972, nn. 111), nel 1977 (d.P.R. 24.7.1977, n. 616) e nel 1998 (in particolare col d.lgs. 31.3.1998, n. 112), hanno valorizzato sia la Regione, sia la Provincia, sulla base, almeno in parte, del testo originario dell’art. 118 Cost. Il richiamo al d.lgs. n. 112 permette di evidenziare come gli anni Novanta del secolo scorso siano stati particolarmente favorevoli alle Province: il decennio si apre con la l. 8.6.1990, n. 142 che tende a equipararle ai Comuni, individuando non solo in questi, ma anche in quelle, l’espressione dell’autonomia delle comunità locali, appunto «ordinate in Province e Comuni» (art. 2, co. 1); prosegue con il federalismo amministrativo a Costituzione invariata, realizzato soprattutto dal citato d.lgs. n. 112 e incentrato anche sulla Provincia; può dirsi si chiuda con la l.cost. 18.10.2001, n. 3, laddove introduce il vigente art. 118 Cost. che tende a equiparare, quanto alla potestà amministrativa, le Regioni e le Province, in quanto entrambe titolari di funzioni amministrative sovracomunali, «sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza» (co. 1). Una marcata inversione di tendenza si realizza sullo scorcio della XVI legislatura, quando, nel novero degli enti pubblici territoriali ex art. 114 Cost., la Provincia diviene oggetto privilegiato degli interventi di contenimento della spesa pubblica, resi necessari dalla crisi economico-finanziaria. Così il destino della Provincia sembra allontanarsi da quello della Regione (e degli altri enti pubblici territoriali) in quanto il legislatore governativo, attraverso il decreto-legge (d.l. 6.12.2011, n. 201, convertito dalla l. 22.12.2011, n. 214), priva la Provincia dei propri «poteri e funzioni» (art. 23, co. 14)2, nonché del carattere direttamente elettivo dei suoi organi, ridotti a Presidente e Consiglio (art. 23, co. 15), agevolando così la diminuzione del numero delle Province, disposta dal d.l. 6.7.2012, n. 95 (convertito dalla l. 7.8.2012, n. 135) che all’art. 17 disciplina a tal fine il loro «riordino». Un terzo decreto-legge, il d.l. 5.11.2012, n. 188, all’art. 2, provvede peraltro direttamente al riordino delle Province. La conclusione anticipata della XVI legislatura ha tuttavia bloccato la riduzione del numero delle Province, impedendo di fatto la conversione in legge del d.l. n. 188/2012. D’altra parte, anche gli interventi attuati con gli altri due decreti-legge sono venuti meno, in quanto la giurisprudenza costituzionale (C. cost., 3.7.2013, n. 220) ha censurato il ricorso alla decretazione d’urgenza sia per trasformare l’«intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione», qual è la Provincia (punto 12.1. in diritto), sia per «modificare le circoscrizioni provinciali» (punto 12.2. in diritto), dichiarando costituzionalmente illegittime le relative disposizioni dell’art. 23 d.l. n. 201/2011 e dell’art. 17 d.l. n. 95/2012, qui sopra richiamate. Gli obiettivi di revisione della legislazione relativa alle Province, perseguiti nella XVI legislatura dalla decretazione d’urgenza, sono così affidati, nell’attuale XVII legislatura, alla legge ordinaria: all’indomani della sentenza n. 220/2013 inizia il suo iter legis quella che diverrà la l. 7.4.2014, n. 56 (cd. legge Delrio)3 che – analogamente alla disciplina introdotta dal menzionato d.l. n. 201/2011 – trasforma la Provincia in ente di secondo grado, i cui organi (Presidente e Consiglio) sono eletti da, e fra, i Sindaci e i consiglieri comunali dei Comuni della Provincia (art. 1, co. 58, co. 60 e co. 69, l. n. 56/2014). Rispetto alla decretazione d’urgenza della precedente legislatura, la legge Delrio sembra dettare una disciplina più favorevole alla Provincia, laddove le attribuisce alcune, pur limitate, funzioni fondamentali (art. 1, co. 85 e 86)4; per converso, sembra por fine al carattere di ente necessario della Provincia nelle Regioni ordinarie5, istituendo, in alternativa ad essa, la Città metropolitana, nei territori provinciali che includono le aree urbane (art. 1, co. 5 e 6)6. Gli interventi legislativi successivi al 2011, qui sopra richiamati, paiono dunque porre in contrapposizione le Regioni e le Province in quanto, indebolite le seconde, tendono a far assumere alle prime le funzioni amministrative provinciali non trasferibili ai Comuni.
Nel corso del 2016 sembrava destinato a giungere a compimento il processo di indebolimento e probabilmente di superamento della Provincia, attraverso la sua «eliminazione (…) dal novero degli enti di cui si compone la Repubblica». In questi termini si esprimeva la relazione del d.d.l. cost. n. 1429 soffermandosi brevemente sulla novella all’art. 114 Cost., cui si accompagnava l’abrogazione di ogni riferimento alla Provincia nel testo costituzionale. Ancora più esplicita risultava la rubrica dell’art. 24 del d.d.l. (divenuto art. 29 nel testo approvato dalla Camera), contenente l’ora menzionata modifica dell’art. 114 Cost.: «Abolizione delle Province». Com’è noto, con la comunicazione alla Presidenza del Senato, l’8 aprile 2014, del d.d.l. cost. n. 1429 iniziò l’iter parlamentare dell’ampio progetto di revisione della parte II della Costituzione, promosso dal governo Renzi; iter terminato appunto nel 2016, con l’approvazione in seconda lettura del testo della revisione costituzionale, da parte della Camera dei deputati il 20 gennaio e da parte del Senato della Repubblica il 12 aprile. Peraltro dette approvazioni avvennero a maggioranza assoluta rendendo così possibile la richiesta referendaria e la successiva sottoposizione a referendum ex art. 138, co. 2 Cost. del progetto di revisione costituzionale, che venne respinto dal corpo elettorale il 4 dicembre 2016. Se si legge il tentativo di revisione costituzionale in discorso alla luce della dicotomia sulla quale è costruita la presente questione, può agevolmente individuarsi un movimento nella medesima direzione di Province e Regioni in quanto all’«eliminazione» delle prime (rectius della loro previsione, e dunque copertura, costituzionale) corrispondeva l’indebolimento delle seconde, con particolare riguardo alla potestà legislativa. La ridefinizione della ripartizione della legislazione tra Stato e Regioni si basava infatti sull’abolizione della legislazione concorrente, mediante l’abrogazione del vigente art. 117, co. 3, Cost., cui corrispondeva un significativo incremento delle materie attribuite alla legislazione statale esclusiva ex art. 117, co. 2, Cost.; tanto più alla luce della clausola di supremazia, introdotta al successivo co. 4 che, «su proposta del Governo», permetteva alla legge statale di intervenire «in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale». Sia l’indebolimento delle Province in ambito amministrativo (e forse la loro scomparsa), sia l’indebolimento delle Regioni in ambito legislativo esprimevano il disegno neocentralista sotteso al progetto di revisione costituzione7 respinto dal corpo elettorale. Peraltro, se la revisione costituzionale fosse entrata in vigore, dal punto di vista delle funzioni amministrative avrebbe potuto configurarsi una contrapposizione fra Province e Regioni: al venir meno delle prime o comunque al netto ridimensionamento delle loro funzioni amministrative, in assenza di espressa copertura costituzionale dell’ente provinciale, avrebbe probabilmente corrisposto l’aumento delle funzioni amministrative attribuite alle seconde. In particolare, secondo il novellato art. 118, co. 1, Cost., le funzioni amministrative sovracomunali, non potendo più essere costituzionalmente attribuite alle Province e neppure, al di fuori delle aree urbane, alle Città metropolitane, sarebbero spettate alle Regioni, salva naturalmente la possibilità di ascendere a livello statale. In tal modo, si sarebbe potuta riproporre una nobile gara fra centralismo regionale e centralismo statale, secondo esperienze non ignote alla storia del regionalismo italiano. Neocentralismo amministrativo regionale in qualche modo compensativo della contrazione, prevista dalla revisione costituzionale, della potestà legislativa regionale, in un completo capovolgimento – peraltro in larga parte già realizzatosi – della concezione, emersa dall’Assemblea costituente, che vede(va) nella Regione un ente soprattutto legislatore e di conseguenza «leggero»8 (art. 118, co. 3, testo originario Cost.). La contrapposizione fra Regioni e Province risulta particolarmente evidente nella l. cost. 28.7.2016, n. 1, di revisione dello Statuto regionale friulano giuliano: su conforme iniziativa del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia9, il legislatore costituzionale (statale) espunge da tale Statuto ogni riferimento alle Province, che vengono così private di copertura statutaria/costituzionale. In tal modo, diviene possibile «realizzare un sistema istituzionale dei pubblici poteri locali più razionale, fondato su due soli livelli di governo politico, espressione della sovranità popolare, la Regione e il Comune», come espressamente afferma il Consiglio regionale proponente il d.d.l. cost. nella sua relazione illustrativa. L’assenza di copertura statutaria/costituzionale consente infatti di attuare la «soppressione» delle Province friulano giuliane con legge regionale, prevista dall’art. 12 l. cost. n. 1/2016 e disposta con l. reg. F.V.G. 9.12.2016, n. 20 che appunto disciplina il relativo «procedimento di soppressione». Il «sistema istituzionale dei pubblici poteri locali» sembra non essere immune da fenomeni di centralismo regionale, in quanto le funzioni amministrative provinciali possono essere trasferite non solo ai Comuni, ma anche alla Regione (art. 12, co. 2, l. cost. n. 1/2016), come appare inevitabile per quelle sovracomunali e come comunque ampiamente prevede l’art. 3 l. reg. n. 20/2016. La Regione Friuli Venezia Giulia si è così accodata, buona ultima, alle altre Regioni ad autonomia speciale, nelle quali: la Provincia non è mai stata prevista in Statuto (Sicilia e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste)10; oppure, qualificata come «autonoma» ha assunto una sostanza regionale (anche grazie alle – estese – potestà legislative attribuitele), privando dunque il sistema di un livello intermedio, statutariamente garantito, rispetto ai Comuni (Trentino-Alto Adige/Südtirol); o, infine, il corpo elettorale referendario ha espresso un orientamento contrario alle Province, abolendone direttamente la metà ed esprimendosi a favore della soppressione delle rimanenti (Sardegna)11.
L’esito contrario alla revisione costituzionale del referendum del 4 dicembre 2016 ha lasciato invariato il testo costituzionale che dunque continua a elencare le Province tra gli enti costitutivi della Repubblica, accanto ai Comuni, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato e a qualificarle come «enti autonomi» al pari degli altri enti substatali ora richiamati (art. 114, co. 1 e co. 2, Cost.).
La giurisprudenza costituzionale (C. cost., 24.3.2015, n. 50) pare aver fatto salva la disciplina legislativa delle Province introdotta dalla legge Delrio, utilizzando come parametro della costituzionalità di quest’ultima non solo la Costituzione allora, e ora, vigente, ma anche il testo della revisione costituzionale, successivamente respinto dal corpo elettorale referendario. Il che sembra emergere soprattutto con riferimento al «modello di governo di secondo grado» adottato obbligatoriamente dalla l. n. 56/2014 per le Province (ed eventualmente per le Città metropolitane). Appare infatti dubbia la legittimità delle disposizioni legislative secondo le quali i titolari degli organi provinciali sono scelti da, e fra, i titolari degli organi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia; vale a dire dai titolari degli organi di un ente equiordinato alla Provincia ex art. 114 Cost. A meno che (come appunto pare essersi orientata, con una certa leggerezza, C. cost. n. 50/2015) la legittimità non venga valutata utilizzando quale parametro il testo costituzionale revisionato che, come si è visto, eliminava la Provincia dal novero degli enti costitutivi della Repubblica ex art. 114 Cost. Un indizio in tal senso sembra rinvenibile nella stessa legge Delrio che si ricollega alla revisione costituzionale allora in itinere, laddove si autoqualifica implicitamente come transitoria, in quanto disciplina le Province «in attesa della riforma del titolo V della parte II della Costituzione e delle relative norme di attuazione» (art. 1, co. 51). Ma il risultato referendario del 4 dicembre mantiene la Provincia nel novero degli enti costitutivi della Repubblica, indebolendo la legittimità costituzionale della disciplina legislativa ora richiamata. Come si è visto, la revisione costituzionale si proponeva altresì di ridurre le competenze legislative delle Regioni ordinarie, la cui legislazione (soprattutto concorrente) è stata spesso descritta in termini negativi da parte dei sostenitori della revisione che avevano richiesto il referendum sia attraverso la domanda dei parlamentari, sia attraverso quella degli elettori. Peraltro non solo l’esito referendario è stato opposto a quello auspicato dai sostenitori della revisione costituzionale, ma all’orizzonte oggi si profilano due referendum (consultivi) regionali, indetti in Lombardia e in Veneto per il 22 ottobre 2017, volti a richiedere allo Stato «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», secondo l’art. 116, co. 3, Cost. e dunque a conseguire l’ampliamento delle competenze legislative regionali. Se l’esito di tali consultazioni referendarie fosse favorevole, potrebbe dirsi, rivolgendosi ai sostenitori del centralismo legislativo statale: chi di referendum ferisce …
Quanto alle relazioni fra Regioni e Province nel 2017, va rilevato come l’esito contrario alla revisione costituzionale del referendum del 4 dicembre 2016, da un lato, e, dall’altro, l’entrata in vigore della citata l. cost. n. 1/2016, abbiano quasi casualmente determinato un assetto degli enti territoriali nel quale la Provincia tende a scomparire nelle Regioni speciali che ancora la disciplinano, continuando invece a essere prevista – e operante – nelle Regioni ordinarie. Destino piuttosto paradossale per un ente la cui genesi corrisponde a un calco sul Département francese, istituito per ripartire cartesianamente l’intero territorio nazionale. Contrariamente a quanto ora rilevato con specifico riferimento alle relazioni tra Regioni e Province, in generale la mancata revisione costituzionale ha evitato l’ulteriore divaricazione della disciplina di grado costituzionale delle Regioni ad autonomia speciale rispetto a quella delle Regioni ad autonomia ordinaria; divaricazione che si sarebbe determinata, se la Costituzione fosse stata revisionata, in quanto alle Regioni speciali e alle Province autonome non si sarebbe applicato il testo costituzionale novellato, per un’espressa disposizione transitoria in esso contenuta, «sino alla revisione dei rispettivi Statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome» (art. 39, co. 13). L’esito contrario alla revisione costituzionale del referendum del 4 dicembre pare dunque aver contenuto la contrapposizione fra Regioni speciali e Regioni ordinarie, nonché, nell’ambito di queste ultime, fra Regione e Province. Tuttavia proprio il permanere del vigente testo costituzionale fa sì che le novelle che avevano imprudentemente anticipato la revisione costituzionale (legge Delrio, modifica dello Statuto friulano giuliano) si pongano nel 2017 in termini di profili problematici.
Note
1 Vedi Civitarese Matteucci, S., La garanzia costituzionale della Provincia in Italia e le prospettive della sua trasformazione, in Istituzioni del Federalismo, 2011, 473 e 490.
2 Ai sensi del quale, come modificato in sede di conversione, «spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze».
3 Dal cognome del Ministro eponimo, Graziano Delrio, titolare del Ministero per gli affari regionali e le autonomie nel Governo Letta e, in tale veste, copresentatore del disegno di legge all’origine della l. n. 56.
4 Va peraltro rilevato come la l. 23.12.2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), all’art. 1, preveda un significativo contenimento della spesa corrente delle Province (co. 418), nonché una riduzione del 50% della loro dotazione organica di personale (co. 421) che non può più essere comunque incrementato, a decorrere dal 1.1.2015 (co. 420). Nella stessa direzione, si veda il d.l. 19.6.2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 6.8.2015, n. 125, con specifico riferimento all’art.1, quanto ai tagli alla spesa corrente delle Province, e all’art. 4, relativamente alla riduzione del personale provinciale.
5 Si noti peraltro che la sostituzione della Provincia con la Città metropolitana era presente in tutti i testi normativi che prevedevano l’istituzione della seconda, a partire dall’art. 17, co. 4, l. n. 142/1990 («nell’area metropolitana la Provincia si configura come autorità metropolitana con specifica potestà statutaria ed assume la denominazione di “Città metropolitana”»).
6 Si noti come l’istituzione delle Città metropolitane abbia così luogo oltre un quarto di secolo dopo la loro prima previsione legislativa (art. 18 l. n. 142/1990) e quasi tre lustri dopo la loro previsione costituzionale, all’art. 114, nel testo introdotto dalla l. cost. n. 3/2001.
7 Sull’indirizzo neocentralista della revisione costituzionale vedi De Martin, G.C., Contraddizioni e incoerenze della riforma costituzionale in materia di autonomie territoriali, in Amministrazione In Cammino, 27.10.2016, 12.
8 Nel quadro di «una profonda e complessiva revisione degli apparati amministrativi esistenti», che costituiva «quanto meno, un’aspirazione costituzionalmente protetta», presente in filigrana anche nella VIII disp.trans.fin. Cost. e frustrata dalle modalità di attuazione dell’ordinamento regionale (vedi Tarchi, R., VIIIIX disp.trans.fin., in Commentario della Costituzione, 1995, 182).
9 Senato della Repubblica, XVII legislatura, d.d.l. cost. n. 1289, d’iniziativa del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, comunicato alla Presidenza il 6.2.2014.
10 Com’è noto, l’art. 15 St. Sicilia ha soppresso «le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano» (co. 1), prevedendo invece, a livello sovracomunale, «liberi Consorzi comunali» (co. 2). La l. reg. Sic. 4.8.2015, n. 15 sembra dare in qualche misura tardiva attuazione al dettato statutario, laddove ha disposto l’istituzione, in luogo delle Province regionali, di «liberi Consorzi comunali» (art. 1, co. 1), ad esse territorialmente corrispondenti. In Val d’Aosta/Vallée d’Aoste, la dimensione provinciale (se non subprovinciale) dell’ente regionale pare escludere di per se stessa la Provincia.
11 Si fa riferimento ai referendum regionali del 7 maggio 2012, uno dei quali ha abrogato la l. reg. Sard. 12.7.2001, n. 9 che aveva istituito quattro nuove Province, mentre un contestuale referendum consultivo si è espresso a favore della abolizione delle quattro Province preesistenti.