Edificabilità, registrazione e plusvalenza
Alla nozione normativa autonoma di area edificabile e uniforme per tutti i tributi, finalizzata a superare quella incertezza che aveva dato adito a un consistente contenzioso, non ha fatto seguito il risultato atteso, restando insolute questioni “di confine” volte a individuare la corretta qualificazione dei beni immobili ai fini della relativa discriminazione (fiscale) tra terreni (edificabili e non) e fabbricati. Ciò ha alimentato negli anni un vivace dibattito in sede parlamentare che trae costante spunto dalle pronunce della prassi e della giurisprudenza di legittimità, senza che ad oggi possano trarsi orientamenti sistematici rispetto ai tributi principalmente coinvolti (IRPEF, IVA e imposta di registro).
Le ragioni che rendono in questo anno opportuno un approfondimento sulla nozione di edificabilità ai fini tributari sono essenzialmente da ricondurre al consolidarsi di due distinti filoni della giurisprudenza di legittimità (uno relativo alle imposte dirette, l’altro alle imposte indirette), rispetto ai quali sembra comunque permanere una posizione dell’Agenzia dell’entrate «viziata da eccesso di sostanzialismo»1. Poiché il legislatore diversamente apprezza la capacità contributiva riconducibile al presupposto dei tributi in ragione delle caratteristiche delle fattispecie che lo integrano, assume rilievo determinante la corretta individuazione delle stesse in applicazione della riserva di legge. Nella tensione che necessariamente residua tra il testo di legge e la norma si pone l’interpretazione della fattispecie imponibile e, al di fuori di questa dinamica, solo l’effetto di una valutazione antielusiva può – a nostro avviso – determinare una cd. sostituzione di fattispecie quanto all’applicazione del regime tributario conseguenziale.
In particolare, ai fini tributari, i beni immobili assumono distintamente rilievo a seconda che trattasi di terreni o di fabbricati, dovendosi ulteriormente distinguere tra terreni non edificabili e terreni edificabili, tra fabbricati abitativi e non abitativi (o strumentali) e, inoltre, tra fabbricati (eventualmente destinati alla demolizione o ristrutturazione) e terreni edificabili.
Tralasciando di soffermarci su considerazioni relative alla disciplina di tributi non più in vigore2, ci concentreremo sulla rilevanza fiscale che tali distinzioni determinano ai fini della plusvalenza IRPEF, delle operazioni IVA e delle fattispecie imponibili degli altri tributi indiretti.
A norma dell’art. 67, co. 1, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (t.u.i.r.) sono redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso ad opera di persone fisiche, al di fuori di un esercizio di impresa, arte o professione, di immobili acquistati (o costruiti) da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità abitative che per la maggior parte del periodo di tempo tra l’acquisto (o la costruzione) e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente e dei suoi familiari.
Costituiscono altresì plusvalenze tassabili quelle realizzate mediante la vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici esiti di opere di lottizzazione o comunque di opere intese a renderli edificabili, a prescindere dal periodo di acquisizione degli stessi. Inoltre, in ogni caso possono dare luogo a plusvalenza imponibile le cessioni onerose di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria. A differenza delle prime due ipotesi, che in qualche modo ancora risentono della ratio istitutiva della sussistenza di un intento speculativo3, la terza fattispecie, introdotta dalla l. 30.12.1991, n. 413, riconduce la tassazione al mero intervento della destinazione edificatoria a prescindere dall’esistenza o meno di un’attività ad essa ascrivibile. Agli effetti tributari risulta dunque discriminante stabilire se oggetto di cessione è un bene immobile (terreno non edificabile o fabbricato) acquistato per successione o da oltre cinque anni (ovverosia un bene non suscettibile di determinare plusvalenza imponibile) o un terreno edificabile (ovverosia un bene che in ogni caso può determinare una plusvalenza imponibile). Le situazioni di confine, che nel tempo hanno ingenerato un notevole contenzioso tributario, hanno riguardato cessioni aventi ad oggetto da un lato peculiari tipologie di terreni (centri sportivi, impianti di carburante, impianti fotovoltaici, fasce di rispetto, ecc.), dall’altro lato fabbricati da demolire o in corso di demolizione.
I dubbi interpretativi riguardo la corretta individuazione delle fattispecie imponibili sono stati inoltre aggravati dalla necessità di far giusta applicazione dell’art. 2, co. 2, d.l. 24.12.2002, n. 282 (e successive modificazioni e proroghe) che ha previsto la possibilità di optare per la rivalutazione dei terreni (agricoli ed edificabili), tramite l’applicazione di un’imposta sostitutiva sul valore periziato del bene, che costituirà il nuovo costo storico del bene ai fini della determinazione della plusvalenza in occasione dell’eventuale cessione onerosa. A ciò si aggiunga l’introduzione4 della possibilità per il venditore di richiedere al notaio all’atto della cessione l’applicazione di un’imposta sostitutiva sulle plusvalenze limitatamente agli immobili acquistati (o costruiti) da non più di cinque anni, rilevanti agli effetti dell’art. 67, co. 1, t.u.i.r. e la previsione dello speciale regime della tassazione separata, di cui all’art. 17 t.u.i.r., limitatamente alla fattispecie della cessione di aree fabbricabili.
Altresì agli effetti dell’IVA è dirimente stabilire le caratteristiche dell’immobile oggetto dell’operazione. Ed infatti a norma dell’art. 2, co. 3, lett. c), d.P.R. 26.10.1972, n. 633 non sono considerate cessioni di beni che danno luogo ad operazioni imponibili quelle che hanno per oggetto terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria, sono considerate cessioni di beni esenti quelle che hanno per oggetto fabbricati (siano essi abitativi o strumentali), salvo che rientrino nelle ipotesi derogatorie espressamente previste5, e sono considerate in ogni caso imponibili (con aliquota ordinaria) le cessioni aventi ad oggetto aree edificabili.
Riguardo invece all’imposta di registro, per lungo tempo nella tariffa parte prima allegata al d.P.R. 26.4.1986, n. 131 erano previste distinte aliquote per gli atti a titolo oneroso della proprietà di immobili in genere (8%), per quelli dei fabbricati e relative pertinenze (7%), per quelli dei terreni agricoli e relative pertinenze (15%), ferme restando le specifiche aliquote previste anche in funzione agevolativa. Solo con la riforma6 della tassazione dei atti onerosi di trasferimento di immobili la distinzione tra questi e i fabbricati viene meno, costituendo un’unica fattispecie per cui è stabilita l’aliquota del 9%. Se dunque, relativamente a tale tributo (e agli altri che per effetto di rinvii ne traggono la loro disciplina7), può dirsi irrilevante, quanto all’aliquota, la distinzione tra fabbricato e area edificabile, il confine tra le fattispecie appare è attualmente determinante agli effetti della individuazione delle regole sulla base imponibile e sull’accertamento. Solo relativamente ai fabbricati abitativi può infatti trovare applicazione l’opzione del cd. prezzo valore8, in forza del quale la rendita catastale rivalutata costituisce base imponibile, dovendosi altrimenti fare riferimento al valore venale, cui può seguire un accertamento di maggior valore.
La complessità delle nozioni di riferimento aveva portato, a partire dagli anni 2000, a una consistente attività di accertamento da parte degli uffici tributari tendenzialmente orientati – al di là del dato normativo – ad una considerazione sostanzialista della fattispecie, alimentando così un ingente contenzioso. Per queste ragioni il cd. decreto Bersani ha ritenuto di superare, alcune delle difficoltà sopra evidenziate disponendo che «ai fini dell’applicazione del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, e del d.lgs. ivo 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo»9.
Il legislatore tributario interviene, dunque, con una definizione univoca, ma autonoma di area edificabile, propendendo per una nozione sostanzialista rispetto a quella desumibile dal diritto urbanistico, che sembra superare le ipotesi dubbie e di confine, per lo meno, tra terreni edificabili e non. Rispetto a tale previsione la Corte costituzionale10 ebbe ad affermare che «la potenzialità edificatoria dell’area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell’art. 53 cost., in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante»; precisando che tale considerazione era valida «indipendentemente dall’eventualità che, nei contratti di compravendita, il compratore, in considerazione dei motivi dell’acquisto, si cauteli condizionando il negozio alla concreta edificabilità del suolo, trattandosi di un’ipotetica circostanza di mero fatto, come tale irrilevante nel giudizio di legittimità costituzionale». Così avvalorando una nozione che risente di valutazioni economiche e di mercato, ma ancorata ad un dato formale seppur con valenza generale.
A un paio di anni dall’introduzione della norma e a stretto giro dalla pubblicazione della pronuncia della
C. cost., proprio la chiara propensione per una nozione sostanziale della fattispecie in presenza di un piano urbanistico, ha ingenerato in un contribuente il dubbio se fabbricati, detenuti da oltre cinque anni e ricadenti in un piano di recupero (approvato in via definitiva dal Comune), al momento della vendita conservino la natura e le caratteristiche comprovate dal loro accatastamento o se debbano considerarsi cessione di area edificabile. Con risposta ad interpello, pubblicata con ris., 22.10.2008, n. 395/E, l’Agenzia delle entrate, muovendo dalla circostanza che «i predetti fabbricati ricadono in un piano di recupero da cui, come è noto, discende la possibilità di sviluppare in termini di incremento, le cubature esistenti», conclude che «oggetto della compravendita non possono essere più considerati i fabbricati, ormai privi di effettivo valore economico, ma, diversamente, l’area su cui gli stessi insistono, riqualificata in relazione alla potenzialità edificatoria in corso di definizione». A tal fine viene considerato decisivo che lo schema di convenzione predisposto già stabilisse le cubature ammesse in relazione alle varie tipologie di edifici realizzabili e che l’area sarebbe stata sottoposta ad interventi di trasformazione urbana che avrebbero reso imprescindibile la demolizione degli edifici esistenti11.
Tale posizione viene aspramente criticata dalla dottrina12 in quanto «i presupposti di identificazione dell’oggetto di una compravendita dovrebbero essere ricercati sulla base della natura del bene trasferito, piuttosto che sulla base delle intenzioni dell’acquirente». Inoltre, seppure la risoluzione non fa alcun cenno alle imposte indirette, viene immediatamente rilevato che l’enunciato criterio pare destinato ad applicarsi anche a questo ambito, riaprendo così scenari di incertezza relativamente a tributi per i quali «è pacifico che i criteri di individuazione della tipologia degli immobili oggetto delle relative operazioni sono strettamente correlati alla natura oggettiva del bene, prescindendo in toto dalle logiche di destinazione del bene medesimo da parte dell’acquirente»13.
In ragione dei riscontrati effetti destabilizzanti di tale interpretazione sulla prassi negoziale la questione viene fatta oggetto d’interrogazione parlamentare14, la cui risposta conferma la posizione manifestata dall’Agenzia dell’entrate nella citata risoluzione precisando tuttavia che essa «fa riferimento ad una ipotesi specifica e circoscritta e non può essere assunta a principio di carattere generale applicabile a diverse ipotesi di contratti di compravendita, aventi per oggetto fabbricati ricadenti in un piano di recupero». Una precisazione importante, volta a limitare l’ampliamento della fattispecie, cui seguono ulteriori riscontri a livello territoriale15.
In quegli stessi anni, nel vigore del citato art. 36, co. 2, la Corte di giustizia UE (CGUE) nel pronunciarsi sulla possibilità di riqualificare agli effetti dell’IVA una cessione di fabbricato in cessione di area non edificata, al fine di stabilire se si tratti di una operazione esente o imponibile, sembra dare rilievo all’oggetto della contrattazione, prescindendo da riferimenti urbanistici. Osserva la Corte che se è vero che il venditore ha effettuato sia la cessione del bene immobile, che la prestazione di servizi della demolizione dei fabbricati esistenti, esse «sono a tal punto strettamente connesse da formare oggettivamente una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale». Dunque oggetto economico dell’operazione è la fornitura di un terreno pronto ad essere edificato: un’operazione unica che, con riferimento all’IVA, non può essere considerata cessione di fabbricato (strumentale), ma di terreno non edificato. Se il terreno interessato rientri o meno nella nozione di terreno edificabile resta, poi, questione rimessa al giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 13, parte b), lett. g) della sesta direttiva.
Successivamente, l’Agenzia delle entrate pubblica una risposta a quesito16 relativa al regime IVA applicabile alla cessioni di un complesso immobiliare industriale (oggetto di convenzione con un Comune per l’attuazione di un piano integrato di intervento con realizzazione di nuove volumetrie e l’abbattimento totale di quelle esistenti) qualora non sia il venditore a provvedere all’attuazione diretta della convenzione e prima dell’inizio dei lavori di demolizione. L’Agenzia afferma trattarsi di operazione esente in quanto cessione di fabbricato strumentale precisando che «il regime di tassazione ai fini IVA è strettamente correlato alla natura oggettiva del bene ceduto, vale a dire stato di fatto e di diritto dello stesso all’atto della cessione, prescindendo quindi dalla destinazione del bene da parte dell’acquirente». Tale risposta viene capziosamente ritenuta in contrasto sia con la citata giurisprudenza europea agli effetti dell’IVA, che con le conclusioni della ris. n. 395/E relativamente alle plusvalenze, costituendo così l’occasione per una nuova interpellanza parlamentare sul tema17. La risposta al quesito conferma in pieno le posizioni già espresse dall’Agenzia delle entrate precisando che il ragionamento fondante le conclusioni raggiunte in ambito IRPEF «non può essere automaticamente trasposto in sede di determinazione di regime iva applicabile ad analoga operazione, atteso che ai fini dell’IVA occorre avere riguardo esclusivamente alla natura giuridica del bene oggetto della cessione». L’insussistenza del contrasto verrà poi definitivamente chiarita in occasione di una successiva risposta ad interrogazione parlamentare nuovamente presentata18.
Proprio facendo leva sulle conclusioni raggiunte ai fini IVA a pochi mesi di distanza viene proposta una nuova interrogazione parlamentare19 circa l’interpretazione, ai fini dell’eventuale plusvalenza, del concetto di destinazione del bene nel caso di cessione di fabbricati compresi o non compresi in piani di recupero approvati, con particolare riferimento al lasso di tempo entro il quale dar conto alla demolizione. Nella risposta viene nuovamente confermato il ragionamento alla base della citata risoluzione del 2008, precisando inoltre che «il medesimo principio assume valenza anche nell’ipotesi in cui i fabbricati ceduti non siano inseriti in un piano di recupero approvato dal comune», fermo restando che in tali ipotesi, mancando un vero e proprio atto amministrativo, l’effettivo oggetto della cessione potrà essere determinato in base a quanto determinato dalle parti nel contratto di compravendita al fine di verificare se l’effettivo oggetto della cessione sia costituito dal bene immobile (seppur da demolire e successivamente ricostruire) ovvero dall’area (edificabile) sulla quale lo stesso insiste.
Tali precisazioni, seppur rese ai soli fini dell’individuazione della plusvalenza tassabile, contribuiscono a un’interpretazione sempre più ampia e meno definita della nozione di area edificabile, con evidenti ripercussioni – in termini di incertezza – sulla prassi negoziale. Incertezza alimentata da due contrapposti filoni nell’ambito della giurisprudenza di merito di quegli anni20, replicati – in origine – dalla stessa Cassazione.
Nel 2014 assistiamo – in un rapido arco temporale – a due pronunce di Cassazione solo parzialmente riconducibili al tema trattato. Una prima pronuncia21, relative all’ambito di applicazione del regime di tassazione separata di cui all’art. 17 t.u.i.r., conclude per il rigetto del ricorso perché attinente a questione di merito, precisando che stante l’oggetto come individuato (nella specie, un capannone ad uso commerciale censito al catasto fabbricati), a nulla rileva che lo stesso insista su un terreno che abbia ulteriore potenzialità edificatoria o che in base alle intenzioni delle parti sia stato destinato alla demolizione. Una seconda22, relativa ad un avviso di accertamento per omessa dichiarazione della plusvalenza, conclude per l’inammissibilità del ricorso sul presupposto che la sentenza di merito ha correttamente accertato, ricostruendo la volontà delle parti, che il contratto aveva ad oggetto un’area edificabile e non già fabbricati, sia pure in procinto di demolizione.
A stretto giro segue una nuova sentenza23, dalla quale emergono per la prima volta spunti circa una motivazione antielusiva a fondamento della pretesa degli uffici tributari, che in modo molto articolato fa il punto sulla distinzione tra fabbricati e aree edificabili ai fini dell’individuazione della plusvalenza. Si tratta della sentenza capofila, le cui argomentazioni sono state di recente confermate dalla Cassazione24.
Nella specie la suprema Corte ha ritenuto dirimente stabilire «se la vendita di area già edificata possa rientrare – a fronte di una riqualificazione operata dall’ufficio sulla scorta di elementi presuntivi – nelle ipotesi, sicuramente tassative» di aree edificabili così come definite all’art. 67 t.u.i.r., concludendo per la soluzione negativa. Ciò sia in esplicita continuità al precedente sopra menzionato, sia in coerenza con la ratio ispiratrice della norma che ha introdotto tra le plusvalenze la fattispecie delle aree edificabili «non in virtù di un’attività produttiva del proprietario o possessore, ma per l’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica dei terreni». Se dunque rileva la destinazione edificatoria originariamente conferita in sede di pianificazione urbanistica e non quella ripristinata a seguito di intervento, su area già edificata, operato da cedente o cessionario, l’oggetto dell’atto pubblico di compravendita non può essere mutato «sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera dei contraenti, e, soprattutto, la cui realizzazione è futura, eventuale e rimessa alla potestà di soggetto diverso da quello interessato all’imposizione fiscale».
In conseguenza di questa giurisprudenza di legittimità viene presentata una nuova interrogazione parlamentare25 avente ad oggetto chiarimenti sia con riferimento alle plusvalenze che all’IVA, alla quale – sic – fornisce risposta il sottosegretario pro tempore ovverosia quella stessa dottrina che fin dalla prima ora si era espressa criticamente sulle argomentazioni a fondamento della risoluzione del 2008.
Nella risposta, piuttosto articolata nell’esame dei precedenti di prassi e giurisprudenza – anche a livello territoriale –, vengono tuttavia nuovamente confermate le posizioni già espresse dall’Agenzia delle entrate con riferimento all’individuazione della plusvalenza ritenendole non necessariamente in contrasto con le diverse motivazioni addotte dalla giurisprudenza di legittimità. Mentre la Cassazione avrebbe fatto riferimento a valutazioni dell’oggetto dell’atto da parte degli uffici fiscali sulla base di “elementi presuntivi”, l’amministrazione finanziaria tende a valorizzare “elementi certi” come il prezzo della cessione, l’esistenza di procedure amministrative attivate dalle parti per l’edificazione dell’area o l’attività imprenditoriale svolta dall’acquirente, ove non compatibili con l’atto di compravendita avente formalmente ad oggetto un fabbricato. Nessun cenno alle imposte indirette, salvo il dovuto chiarimento sull’IVA volto a ribadire che in tale ambito la tassazione è correlata alla natura oggettiva del bene ceduto e che essa corrisponde allo stato di fatto e di diritto del bene all’atto della cessione.
A conclusione del 2014 la Cassazione26 si pronuncia, per la prima volta, sulla medesima questione in tema di imposta di registro giungendo a conclusioni opposte rispetto a quelle cui era appena pervenuta con riferimento alle imposte dirette. Ed infatti, a fronte dell’eccepita illegittimità dell’utilizzo di atti amministrativi (nella specie, concessioni edilizie) per riqualificare una cessione di fabbricato in cessione di area edificabile, la suprema Corte, nel rinviare la causa al giudice di merito, ha stabilito che esso dovrà accertare «se gli effetti oggettivi della compravendita, a cagione delle istantanee richieste di concessione edilizia e demolizione del vecchio stabile, fossero o meno stati quelli di una vendita di terreni edificabile, dovendosi in ipotesi positiva riqualificare l’atto ai sensi dell’art. 20 del d.p.r. n.131/1986». La Corte afferma che tale motivazione tiene conto dell’interpretazione «più evoluta» di questa disposizione, che «porta ad attribuire rilevanza alla natura intrinseca degli atti rispetto al loro titolo e forma apparente». Viene dunque superata l’interpretazione «indebitamente restrittiva» che aveva portato la CTR a ritenere che «l’avvenuto deposito della richiesta di concessione edilizia non è un atto da poter riconnettere tipologicamente e funzionalmente con l’atto di compravendita del cespite nell’alveo del predetto art. 20».
Questa sentenza si colloca del resto in un orizzonte temporale in cui era già in vigore la l. delega 11.3.2014, n. 23 recante, tra l’altro, una riforma dell’abuso del diritto e dell’elusione d’imposta in una prospettiva di certezza del diritto che passasse (anche in questo caso) per l’uniformità della disciplina nei distinti tributi. Come si è avuto modo di ricordare27, nell’evoluzione dell’iter giurisprudenziale la Cassazione è passata dall’affermazione di una natura antielusiva dell’art. 2028 (finalizzata essenzialmente alla valutazione unitaria di elementi estrinseci all’atto e di atti ad esso collegati), alla negazione di tale natura anche per non applicare in questo contesto la disciplina procedimentale del contraddittorio necessario29. A ben vedere, tale ultima posizione è apparsa fin da subito meramente strumentale, radicando invece – nella sostanza – ancora di più la Corte nella determinazione per cui l’applicazione dell’art. 20 imponeva il ricorso a canoni ermeneutici volti all’individuazione della reale operazione economica perseguita dalle parti conformando indirettamente lo stesso presupposto del tributo e le fattispecie definite in tariffa30.
Questa interpretazione giurisprudenziale finalizzata ad assoggettare a imposizione il contenuto intrinseco dell’atto o degli atti, di cui si assume sussistere una relazione in forza di un vincolo funzionale di preordinazione, si va consolidando proprio a partire dal 2014, quando la Corte, andando oltre le argomentazioni riconducibili agli elementi negoziali estrinseci all’atto, al collegamento negoziale e alla causa concreta, sembra utilizzare l’art. 20 per operare una “sostituzione di fattispecie” sulla base di valutazioni sostanzialiste, secondo uno schema interpretativo in tutto corrispondente a quello che legittima un accertamento antielusivo31. Tuttavia nell’ambito dell’imposta di registro tale disciplina antielusiva manca: essa trova – a mio avviso – regolamentazione solo con l’entrata in vigore dell’art. 10 bis dello Statuto del contribuente, attuativo della citata l. delega, recante la disciplina sostanziale e procedimentale dell’abuso del diritto o dell’elusione d’imposta per tutti i tributi. Tale interpretazione, confermata dalla dottrina unanime, non è allo stato condivisa dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento ad una varietà di fattispecie imponibili (che sono dunque oggetto di riqualificazione sulla base dell’art. 20 senza le garanzie sostanziali e procedimentali previste dalla disciplina dell’art. 10 bis) tra cui appunto, in presenza di elementi interpretativi esterni all’atto, quella della compravendita avente ad oggetto fabbricato in via di demolizione, detenuto da più di cinque anni, riqualificato in cessione di area edificabile (esclusa dal cd. regime del prezzo valore, soggetta ad accertamento di valore e suscettibile di determinare plusvalenza tassabile). Alla base della posizione della suprema Corte sembra irrimediabilmente esservi una svalutazione del dato normativo relativo alla tipicità delle fattispecie imponibili attraverso una lettura congiunta dell’art. 1 e dell’art. 20 in forza della quale l’individuazione delle voci di tariffa è successiva alla valutazione economica della fattispecie complessivamente intesa; con buona pace del riferimento testuale all’interpretazione giuridica e del profilo storico evolutivo che ha condotto a tale formulazione.
Le più recente giurisprudenza di Cassazione sul tema specifico oggetto del presente approfondimento (in un’ipotesi contraddistinta da richiesta di demolizione preceduta da due pareri favorevoli prima della stipula dell’atto) consente inoltre di cogliere la contraddizione che caratterizza la relativa motivazione in ordine ai distinti tributi, poiché, se sul fronte delle imposte indirette e dell’iva si consolida l’orientamento circa l’irrilevanza delle intenzioni delle parti ai fini della determinazione dell’oggetto dedotto in atto32, relativamente all’imposta di registro (cd. imposta d’atto) si giunge alla opposta conclusione che esse possono «condurre alla qualificazione della causa reale o concreta dell’atto come vendita di terreno edificabile, in ragione degli effetti giuridici che essa produce»33. Si ribadisce che gli elementi interpretativi esterni così utilizzabili possano riguardare non soltanto altri negozi giuridici “collegati” con quello presentato alla registrazione, ma anche atti giuridici non negoziali, ovvero semplici comportamenti delle parti (conseguimento di accertamenti e pareri tecnici di edificabilità; presentazione alla p.a. di istanza di demolizione/ricostruzione; ecc.).
Tutto ciò, a detta della suprema Corte «non contrasta con la natura di imposta d’atto del registro, trattandosi appunto di far emergere l’insieme degli effetti giuridici prodotti dall’atto secondo il basilare criterio della prevalenza della sostanza sulla forma». Questa conclusione, afferma la Cassazione, non contrasta nemmeno con l’orientamento giurisprudenziale consolidato ai fini delle imposte dirette poiché «una cosa è interpretare l’atto […] in vista della sua esatta collocazione tra i gruppi tariffari previsti ai fini dell’imposta di registro; ed altra è affermare che l’acquisto di area già edificata non dà luogo a plusvalenza tassabile». Nel tentativo di meglio esplicitare tale argomento, la Corte precisa, con un argomento inconfutabile quanto, a nostro avviso, del tutto incongruente, che la ratio cui è riconducibile l’introduzione delle aree edificabili tra le fattispecie plusvalenti è estranea alla logica dell’imposta di registro, rispetto alla quale tale aspetto resta irrilevante. Ulteriormente a sostegno delle possibili, quanto ovvie, differenze nella regolamentazione dei tributi, rispetto ad ipotesi suscettibili di determinare plusvalenza, nella motivazione viene richiamato un precedente (in tema di conferimento di azienda) che, in verità, meriterebbe – anche solo dal punto di vista storico – uno specifico approfondimento.
Parimenti non problematico, infine, secondo la Cassazione, che da una nozione uniforme per tutti i tributi di area edificabile, ai sensi dell’art. 36, co. 2, citato, discenda una diversa e autonoma regolamentazione tributaria «consequenziale al presupposto […] a seconda della natura e degli obiettivi propri di ciascuna imposta».
Dall’esame dei documenti sopra illustrati emergono i diversi passaggi argomentativi della prassi e della giurisprudenza a sostegno delle opposte ricostruzioni, rispetto ai quali residuano tuttavia profili problematici rispetto alle regole di individuazione della fattispecie imponibile per i distinti tributi, con particolare riferimento atti di cessione aventi ad oggetto immobili.
Se infatti è chiaro che con l’intervento del 2006 il legislatore ha voluto imporre34 un’unica definizione di area edificabile agli effetti tributari al fine di sopperire ad un’esigenza di certezza interpretativa divenuta impellente in ragione della non uniforme prassi amministrativa e giurisprudenziale che negativamente si riverberava sugli assetti negoziali, l’amministrazione finanziaria ha, tuttavia, nel tempo, cercato di ampliare tale nozione in forza di una valutazione economica della fattispecie il cui fondamento giuridico può rinvenirsi unicamente in una prospettiva antielusiva. Pare allora il caso di precisare nuovamente che tale prospettiva è oggi uniformemente disciplinata nel citato art. 10 bis, il quale fa altresì riferimento al legittimo risparmio d’imposta quale limite intrinseco ai sistemi impositivi dei distinti tributi anche in ragione della definizione delle fattispecie imponibili da parte del legislatore.
Anche in ragione di questi sviluppi legislativi sembra allora incongruente che la posizione raggiunta dalla giurisprudenza di legittimità circa i confini tra le fattispecie di immobili ai fini dell’individuazione della plusvalenza e dell’IVA, non si riverberi sull’interpretazione della medesima fattispecie ai fini dell’imposta di registro, quale tributo che si connota in termini di presupposto proprio in ragione dell’atto soggetto a registrazione.
Questo modo di interpretare la fattispecie sposta la valutazione della “giusta imposta” al di fuori del contenuto dell’atto e dunque necessariamente in sede di accertamento, rendendo ordinariamente inaccessibile la certezza del diritto. L’accertamento dell’ufficio fiscale non attiene alla verifica di un titolo o una forma apparente (poiché il bene è conforme catastalmente) bensì alla riqualificazione della fattispecie imponibile per ragioni antielusive fondate su elementi estranei ed eventualmente solo susseguenti all’atto. Ancorché ciò venga negato espressamente dalla giurisprudenza di legittimità, la giustificazione di tali riprese è unicamente da rinvenirsi nella contrapposizione tra sostanza economica e forma giuridica e dall’assunto che l’imposta giusta è quella più gravosa. Non sembra infatti ragionevole considerare rilevante in termini di capacità contributiva, ai fini dell’imposta di registro, un comportamento successivo tenuto da un soggetto acquirente al di fuori dal contesto negoziale, se non appunto in conseguenza di un accertamento di tipo antielusivo che legittimi la cd. sostituzione di fattispecie.
Del resto le numerose interpellanze parlamentari presentate sul tema sono di per sé indice del rilevante interesse del mercato e della società nell’individuazione della relativa soluzione giuridica. Esse sono altresì testimonianza della resistenza di certe posizioni dell’amministrazione finanziaria anche di fronte alla giurisprudenza di legittimità, rendendo così opportuno continuare a monitorare entrambe.
1 Così testualmente Zanetti, E., Risoluzione n.395/E del 22 ottobre 2008: le nuove incertezze “regalate” dall’Agenzia delle entrate sulla nozione di area edificabile, in Fisco, 2008, 8223.
2 Ministero delle finanze circ., 10.4.1991, n. 3 in tema di Invim.
3 Cfr. punto 5.5.1., C. cost., 15.4.2008 n. 102; si rinvia per tutti alle considerazioni di Falsitta, G. La tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze nelle imposte sui redditi, Padova, 1986.
4 Art.1, co. 496, l. 23.12.2005, n. 266.
5 La disciplina della cessione dei fabbricati (art. 10, nn. 8, 8-bis e 8-ter d.P.R. IVA) è stata oggetto di una radicale riformulazione, che ha inciso in modo innovativo sullo stesso principio di alternatività IVA-registro, ad opera dell’art. 35, co. 8, del d.l. 4.7.2006 n. 223 (conv. con mod. dalla l. 4.8.2006, n. 248) e delle successive modificazioni (v. Basilavecchia, M., Problematiche concernenti il nuovo sistema di alternatività tra Iva e imposte sui trasferimenti della ricchezza, in Novità e problemi dell’imposizione tributaria relativa agli immobili, a cura della Fondazione italiana per il notariato, 2006, 101; Raponi, F., IVA Vendita nel quinquennio dalla ultimazione di beni oggetto di intervento edilizio non esattamente inquadrabile ai fini fiscali – Rivendita di bene ultimato dal cedente: Iva o registro?, Studio n. 4682014/T, in www.notariato.it.
6 Le novità introdotte dall’art.10, d.lgs. 14.3.2011, n. 23 hanno trovato applicazione nel nostro ordinamento dal 1.1.2014; in argomento sia consentito il rinvio a Mastroiacovo, V., Modifiche all’imposizione indiretta sui trasferimenti di immobili a titolo oneroso, in Corr. trib., 2014, 187.
7 Imposte ipotecaria e catastale e imposta sulle successioni e donazioni.
8 Art. 1, co. 497, della l. 23.12.2005 n. 266, come modificato dall’art. 35, co. 21, d.l. n. 223/2006.
9 Art. 36, co. 2, d.l. n. 223/2006; v. Puri, P., La nuova nozione di terreno edificabile fra interventi giurisprudenziali e legislativi, in Riv. dir. trib., 2007, II, 80. Sulla valenza interpretativa della norma circ., 4.8.2006, n. 28/E; si segnala inoltre la Cass., 30.11.2006, n. 25506, che – seppur negli obiter dicta – apertamente denuncia l’abuso dell’interpretazione autentica in materia tributaria, Falsitta, G., Abuso di interinterpretazione autentica, obiter dictum e rispetto della “parità delle parti” sancita dai principi del “giusto processo”, in Riv. dir. trib., 2006, II, 900.
10 C. cost. 27.2.2008, n.41 con nt. di Mastroiacovo, V., Rilevanza dei criteri formali e sostanziali nell’individuazione dell’abuso dell’interpretazione autentica in materia tributaria, in Giur. cost., 2008, 439.
11 Coerentemente l’Agenzia delle entrate considera applicabile alla fattispecie la disciplina della rivalutazione di cui al citato art. 2, co. 2.
12 Zanetti, E., op. cit..
13 Così ancora Zanetti E.; volutamente abbiamo indugiato nella citazione poiché sarà proprio lui a firmare la risposta all’interpellanza parlamentare del 2014 che confermerà la posizione a suo tempo assunta dall’AE.
14 N. 501881 del 7.10.2009, Risp. On. Molgora.
15 Nt. n. 90928406 del 31.5.2010 dell’Agenzia delle entrate dell’Emilia Romagna relativamente ad un compendio immobiliare oggetto di accordo con il Comune che ha già stipulato la relativa convenzione recante nuove cubature e destinazioni catastali.
16 Risposta n.10 a Telefisco 2011 poi confluita nel § 1.2 della circ., 21.6.2011, n. 28/E.
17 N. 504214 del 16.2.2011, Risp. Viale. Nell’interrogazione viene precisato che gli uffici periferici dell’AE in molti casi notificano avvisi di accertamento a contribuenti che hanno stipulato cessioni di fabbricati, qualificate come tali negli atti notarili, qualora venga reperita la notizia, dello scambio di informazioni con i comuni interessati, che sia stata richiesta una concessione edilizia dall’acquirente.
18 N. 503220 del 31.7.2014, Risp. Zanetti, E.; ove riferimenti anche a C326/11 del 12.7.2012.
19 N. 504701 del 4.5.2011, Risp. Casero.
20 A favore della tesi dell’AE, tra molte, si rinvia a CTR Lombardia, 17.3.2008, n. 10/14/08; CTR Bologna, 7.2.2011, n. 15; CTR Roma, 17.2.2012, n. 37; CTP Ravenna, 9.12.2013, n. 227; contra CTR Bologna, 27.11.2006, n. 105; CTP Milano, 7.10.2013, n. 271; numerose sentenze della CTP Rimini, Reggio Emilia e Ancona.
21 Cass., 21.2.2014, n. 4150.
22 Cass., 2.4.2014, n.7613.
23 Cass., 9.7.2014, n.15629.
24 Cfr. Cass., ord. int., 13.4.2016, n. 16382 cui segue Cass., 21.4.2017, n. 10113; Cass. 1.8.2017, n.19129.
25 N. 503220 del 31.7.2014, risp. Zanetti, E.
26 Cass., 21.11.2014, n. 24799; ad essa vanno intesi tutti i riferimenti citati nel presente paragrafo.
27 Mastroiacovo, V., Abuso del diritto e interpretazione degli atti, in Libro dell’anno del diritto 2017, Roma, 2017, 407; Tabet, G., L’applicazione dell’art. 20 TU registro come norma d’interpretazione e/o antielusiva, in Rass. trib., 2017, 924.
28 Cfr. Cass., 23.11.2001 n.14900 (si tratta di un atto di conferimento di immobile gravato da mutuo ipotecario accollato dalla società conferitaria e di un successivo atto di cessione delle quote dei conferenti alla società stessa, dei quali si assume il collegamento al fine di rinvenirvi un unico negozio traslativo relativo al bene), il cui principio viene successivamente riprodotto in molteplici pronunce; la medesima funzione viene ribadita dalla stessa AE nelle istruzioni agli uffici diramate dalla Direzione centrale accertamento con nota 18.5.2007 n. 84127.
29 Cfr. Cass., 19.6.2013 n. 15319. Il contraddittorio trovava infatti applicazione necessaria solo per le contestazioni di elusione nell’ambito delle imposte sui redditi ex art. 37 bis d.P. R. n. 6 00/1 973 e dei tributi armonizzati sulla base dei principi comunitari elaborati dalla giurisprudenza CGUE.
30 Da ultimo Cass ., 11.12 .2015, n. 25005 e Cass ., 11.5.2016, n. 9582.
31 Gallo, F., La nuova frontiera dell’abuso in materia fiscale, in Rass. trib., 2015, 1317 alla nt. 7 afferma «coerenza vorrebbe che la cassazione volendo mantenere questa sua giurisprudenza desse una giustificazione dell’art. 20 in termini antielusivi (e cioè con riferimento al principio non scritto antiabuso), anziché creare una sorta di tertium genus tra interpretazione strettamente civilistica e norma fiscale antielusiva».
32 Cass. , 9.7.20 14 , n n.1 5629, 15630 , 15 63 1; Cass., 24.9.20 14, nn . 201 60, 20161, 201 62; Cas s. , 15. 5. 201 5, n .9 946.
33 Cfr. Cass., ord. int., 13.4.2016, n.16382, con rinvio alla Camera di consiglio del 25.5. 201 6, cui segue Cass ., 21.4.2017, n. 10113
34 Come già ricordato, trattasi di un intervento criticato, nella forma piuttosto che nella sostanza, dalla Cass., n. 25506/2006 «Il legislatore (rectius: l’Amministrazione finanziaria «vestita» da legislatore) ha fatto la sua scelta. […] Infine, osserva il Collegio, l’intervento interpretativo, da parte del legislatore, piuttosto che dare forza alla soluzione adottata, che sarebbe stata recepita anche in mancanza della imposizione ex auctoritate, l’ha indebolita, in quanto può apparire inutilmente e dichiaratamente di parte. […] Tanto che se fosse stato diverso l’orientamento del Collegio (rispetto alla scelta legislativa), non ci si sarebbe potuto esimere dal valutare la compatibilità della procedura di approvazione dell’art. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006, con il parametro costituzionale di cui all’art. 111 Cost., che presuppone una posizione di parità delle parti nel processo, posto che, nella specie, l’AF ha avuto il privilegio di rivestire il doppio ruolo di parte in causa e di legislatore e che, in questa seconda veste, nel corso del giudizio ha dettato al giudice quale dovesse essere, pro domo sua, la corretta interpretazione della norma sub iudice».