CANCELLERIA, REGISTRO DELLA (1239-1240)
Conservato fino al 1943 come unico cimelio superstite della cancelleria di Federico II, il registro degli anni 1239-1240 andò distrutto nel rogo del deposito antiaereo che era stato istituito in una villa dell'entroterra campano (Villa Montesano in S. Paolo Belsito, presso Nola), dove, a partire dal dicembre 1942, si era provveduto a trasferire i fondi più antichi del "Grande Archivio" di Napoli, nel timore che potessero subire danni durante eventuali bombardamenti e cannoneggiamenti della città. Nell'incendio, appiccato deliberatamente, per rappresaglia, il 30 settembre di quell'anno per ordine del comando tedesco del luogo, pienamente consapevole dell'importanza del materiale che vi era stato depositato, andarono bruciate tutte le serie più preziose dell'Archivio napoletano, compreso il ricchissimo archivio della cancelleria angioina. Del registro di Federico II del 1239-1240, l'unico della cancelleria sveva che fosse noto alla storiografia, rimanevano tuttavia le riproduzioni fotografiche (nove pellicole conservate oggi nell'archivio dell'Istituto Storico Germanico di Roma), la trascrizione pubblicata nel 1786 dall'archivista napoletano Gaetano Carcani in appendice alla sua edizione del Liber Augustalis e quella, dattiloscritta, realizzata a metà degli anni Venti del Novecento da Eduard Sthamer e in seguito parzialmente riveduta da Wilhelm Heupel. Rimanevano inoltre notizie e repertori, trascrizioni, copie ed excerpta: lacerti di una tradizione più antica e in origine sicuramente ben più ricca, testimoni tutti del grande interesse che il registro aveva suscitato negli eruditi napoletani del Seicento e del Settecento, i quali, animati da curiosità di tipo prettamente antiquario e genealogico, furono i primi a sfogliarlo e leggerlo, vedendo in esso una sorta di grande contenitore dal quale attingere una enorme quantità di notizie sulle antiche famiglie del Regno. Una tradizione nel complesso ricca, anche se piuttosto singolare, che ha consentito di ricostruire la storia e la fisionomia del registro, e da ultimo di stabilirne e pubblicarne il testo.
Storia e fortuna del registro. Fin dalle sue prime menzioni, risalenti agli inizi del XVII sec. (la prima citazione del registro s'incontra nella Historia della città e regno di Napoli di Giovanni Antonio Summonte pubblicata a Napoli nel 1601), il registro appare essere l'unico superstite dell'archivio di Federico II; a quel tempo era conservato a Napoli, nell'Archivio della Regia Zecca, e aveva già subìto danni irreparabili a causa del distacco dei fascicoli più esterni, che aveva provocato la perdita delle registrazioni di ben cinque mesi. Secondo l'uso invalso nel Regno di Sicilia, dove l'anno amministrativo anziché il 1o gennaio si apriva il 1o settembre, il registro originale doveva iniziare il 1o settembre 1239 e concludersi il 31 agosto successivo; invece la parte che ne rimaneva conservava solo i fascicoli centrali, e le registrazioni coprivano un arco cronologico che andava dai primi giorni di ottobre 1239 agli inizi di maggio 1240.
Il registro era cartaceo: una carta di cotone molto consistente, lanuginosa e assorbente, particolarmente sensibile all'umidità, tanto da inumidirsi e ammollarsi al solo contatto con l'aria; il che spiega la perdita delle carte più esterne, avvenuta durante il lungo periodo in cui esso rimase ignorato e abbandonato all'incuria, pur riuscendo inspiegabilmente a scampare alla sorte toccata al resto dell'archivio svevo. Dopo il trasferimento dell'archivio della Regia Zecca in Castel Capuano del 1540 e probabilmente in coincidenza con il riordinamento dei registri angioini effettuato nel 1556, qualche archivista o erudito napoletano dovette ritrovarlo, rimetterne insieme in maniera approssimativa i fascicoli scompaginati e rinumerarne tutte le carte. Il ricondizionamento, condotto in maniera affrettata e con evidente imperizia, stravolse l'assetto originario dei fascicoli e la sequenza delle registrazioni, che in origine si susseguivano cronologicamente: con il nuovo ordine il frammento si apriva infatti con lettere del 3 maggio 1240 e proseguiva fino al 6 maggio (cc. 1-8v), dopodiché le registrazioni retrocedevano bruscamente al 5/9 ottobre 1239 (c. 9); di qui si procedeva poi regolarmente con lettere dei mesi di ottobre, novembre e dicembre 1239, e poi con quelle di gennaio, febbraio, marzo, aprile 1240 (cc. 10-111); quindi, dopo alcune missive dei primi tre giorni del maggio dello stesso anno, tornavano di nuovo indietro ai primi giorni di ottobre del 1239 (cc. 112-117).
Il registro conservò tale struttura fino alla fine, no-nostante il secondo pesante ricondizionamento al quale fu sottoposto in occasione del suo restauro, nel 1875, quando i fascicoli furono slegati e le singole carte furono tutte staccate, rinforzate con una cornice di carta bianca e munite di braghette per la nuova legatura, il che cancellò definitivamente ogni possibilità di riconoscere la struttura originaria dei fogli. In quella stessa circostanza vi furono anche aggiunte tre carte, contenenti documenti provenienti dalla cancelleria di Federico II ma senza alcuna relazione con il registro; esse furono inserite rispettivamente dopo la carta 67, dopo la carta 80 e dopo la carta 90. Inoltre sul margine superiore destro dei fogli bianchi usati per incorniciare le carte fu apposta una nuova cartulazione che contava anche le tre nuove, senza più soluzione di continuità, e che alterò la numerazione precedente di una unità a partire dalla carta 68, di due dalla 81 e di tre dalla 91. In quella stessa occasione, infine, il verso della penultima carta (116 secondo la nuova cartulazione), ormai illeggibile, venne interamente incollato sul supporto cartaceo altrimenti usato come intelaiatura. Al momento della sua distruzione il registro misurava 260 x 190 mm (ma è probabile che in origine le sue dimensioni fossero leggermente più ampie, visto che tutte le carte apparivano lacere e smarginate) ed era composto di centosedici carte numerate da 1 a 18 e da 20 a 117; non differiva molto da quello ricondizionato nella seconda metà del Cinquecento visto che contava in sostanza lo stesso numero di carte; presentava però in aggiunta le tre inserite arbitrariamente in occasione del restauro del 1875, mentre non aveva più le carte 114 e 115, cadute nel periodo intercorso tra la rilegatura cinquecentesca e l'edizione di Gaetano Carcani (1786), e la carta 19, venuta a mancare dopo il restauro ottocentesco.
L'importanza del registro e le sue grandi potenzialità informative furono immediatamente chiare all'erudizione napoletana fin dalla sua prima apparizione, che avvenne probabilmente verso la fine del Cinquecento. Da allora, per oltre un secolo e mezzo esso fu ripetutamente consultato da genealogisti, archivisti e cultori di storia patria in genere, che ne trassero notamenta, excerpta, copie autentiche; qualcuno si spinse fino ad aggiungervi alcune false registrazioni (così come del resto si fece anche con i registri angioini), per compiacere esponenti della nobiltà napoletana desiderosi di fregiare di illustri e antiche ascendenze i loro casati; altri lo copiarono integralmente, realizzando fra Sei e Settecento almeno cinque copie. Una di queste, il cosiddetto "Manoscritto Broccoli", pervenne all'Archivio di Napoli alla metà degli anni Venti del Novecento insieme alla ricca raccolta di repertori e notamenti appartenuta ad Angelo Broccoli (un erudito capuano, fondatore e direttore dell'"Archivio Storico Campano") e prima di lui a Camillo Minieri Riccio; anche questa copia andò bruciata nel settembre del 1943 col resto dell'archivio. Un'altra, il Codice Phillipps 5162, apparteneva alla ricca biblioteca di sir Thomas Phillipps ‒ il famoso bibliofilo inglese ‒ che l'aveva acquistata nel 1830 insieme ad una consistente quantità di altri volumi di argomento napoletano e meridionale provenienti dalla collezione di Lord Guilford.
Questa copia, attribuita anch'essa come il "Manoscritto Broccoli" al XVII sec., fu più volte utilizzata da Huillard-Bréholles, che ebbe occasione di consultarla a Middle-Hill, in Gran Bretagna, quando raccoglieva materiale documentario per la sua Historia diplomatica Friderici secundi; fu poi venduta all'asta nel 1972 ed è attualmente irreperibile.
Ugualmente irreperibili risultavano già negli anni Venti del Novecento le due copie utilizzate da Gaetano Carcani a supporto della sua edizione e realizzate, a suo dire, da Carlo Borrelli e Gennaro Chiarito. Della quinta, infine, anch'essa seicentesca e rimasta ‒ come sembra ‒ finora sconosciuta, resta oggi soltanto un frammento di diciassette carte, rilegato all'interno di un manoscritto miscellaneo del XVII sec. conservato alla Biblioteca Nazionale di Napoli (ms. Brancacciano I.B.4, cc. 117r-133v).
Il registro fu pubblicato per la prima volta nel 1786 da Gaetano Carcani, che ne stampò una trascrizione completa ‒ anche se non esente da mende ‒ in appendice alla sua edizione delle Costituzioni di Melfi. Settant'anni dopo, nel 1859, Huillard-Bréholles ripubblicò tutti i documenti nel quinto volume della Historia diplomatica Friderici secundi, estrapolandoli però dalla compagine del registro per inserirli nella sequenza cronologica dell'insieme della documentazione prodotta e ricevuta da Federico II che egli era riuscito a raccogliere e alterando il testo delle registrazioni nel tentativo di ricostruire il dettato dei documenti originali così come dovevano essere stati spediti dalla cancelleria (aggiunse ad esempio le formule di datazione, che nelle registrazioni sono assenti). Lo stesso anno lo studioso francese diede alle stampe l'Introduction à l'histoire diplomatique de l'empereur Frédéric II, dove comparvero la prima vera e propria descrizione del registro (pp. LXXX s.) ed alcune importanti considerazioni su di esso, sulla sua non originalità (egli lo riteneva una copia del 1241) e sugli usi della cancelleria di Federico II. Tutto ciò, unito alla larga diffusione che ebbe l'edizione, suscitò una rinnovata attenzione per il manoscritto, la cui fama varcò le frontiere dell'ambito locale ed erudito. Tra l'ultimo quarto dell'Ottocento ed i primi due decenni del Novecento le ricerche sul registro si susseguirono così a ritmo incalzante grazie a figure di rilievo quali Julius Ficker, Friedrich Philippi (che per primo ne stabilì l'originalità), Rudolf von Heckel (che lo mise a confronto con i registri pontifici e con quelli delle cancellerie dei sovrani inglesi e francesi), Harry Bresslau, Hans Niese (che per la prima volta avanzò l'ipotesi dell'esistenza di altri tipi di registri presso la cancelleria di Federico II, distinguendo tra "registri generali" e "registri speciali" ed attribuendo a questa seconda categoria il frammento del 1239-1240). Fino a che, in tre saggi apparsi tra il 1920 ed il 1930, Eduard Sthamer affrontò in maniera organica le problematiche che scaturivano dall'analisi delle forme estrinseche del manoscritto, ne tracciò la storia, definì i legami tra il registro federiciano e quello di età angioina conservato a Marsiglia (Excerpta Massiliensia), ristabilì la successione originaria delle carte, individuò alcune false registrazioni. A lui fu affidato anche il compito di approntare l'edizione critica del registro, alla quale cominciò a dedicarsi a metà degli anni Venti del Novecento, in occasione del suo ritorno in Italia dopo la fine della Grande Guerra. Alla sua morte, tuttavia, sopraggiunta prematuramente nel 1938, Sthamer, sviato nel frattempo da altri interessi scientifici, non aveva ancora completato l'edizione, cosicché l'incarico di portarla a termine fu affidato a Wilhelm Heupel. Tra il 1939 ed il 1941 Heupel fu a Napoli, dove fece eseguire una riproduzione fotografica del frammento e procedette ad una collazione del testo con il dattiloscritto lasciato da Sthamer, analizzò l'impianto del registro e l'organizzazione delle registrazioni, ne studiò la scrittura, individuando quindici mani diverse, e ricostruì la prassi di registrazione. Nel 1941, tuttavia, Heupel venne chiamato alle armi e fu costretto ad abbandonare i suoi studi. Morì due anni dopo senza aver potuto portare a termine l'edizione, in quello stesso 1943 in cui il registro andò irrimediabilmente distrutto. Alcuni anni dopo la fine della guerra, recuperate in maniera fortunosa e del tutto insperata le riproduzioni del registro che si credevano perdute, l'operazione editoriale fu nuovamente messa in cantiere e, dopo abbandoni e riprese protrattisi per oltre un cinquantennio, è stata finalmente portata a conclusione.
Contenuto e organizzazione interna. Il registro era strettamente riservato agli affari del Regno di Sicilia, vi erano cioè registrate soltanto le lettere che la corte inviava agli organi periferici dello stato per comunicare le misure prese in merito alla gestione del Regno, per dare disposizioni affinché venissero messe in atto o per rispondere alle richieste di chiarimenti che i vari funzionari provinciali inviavano quotidianamente ed in misura copiosa al governo centrale. I diplomi, le disposizioni e le concessioni graziose emanate per affari concernenti i privati nonché i documenti relativi alla 'politica internazionale' dovevano invece essere registrati in altre serie di registri, i quaterniones generales, ai quali si accenna nel registro del 1239-1240 e dei quali alcune registrazioni degli anni 1230-1248 copiate sul registro conservato a Marsiglia (Excerpta Massiliensia) rappresentano la tradizione diretta.
La parte rimasta abbracciava sette mesi a cavallo tra l'ultimo scorcio degli anni Trenta e gli inizi degli anni Quaranta del Duecento. Sono i mesi cruciali successivi alla scomunica di Federico II e all'indizione della crociata contro di lui da parte di Gregorio IX, tuttavia ‒ fatta eccezione per l'amara missiva indirizzata nel febbraio 1240 all'arcivescovo di Messina, il quale si era proposto inutilmente come mediatore tra l'imperatore e il pontefice ‒ nelle lettere non appare l'eco di questa vicenda, o almeno non direttamente; indirettamente invece numerose disposizioni rivelano a quale punto di tensione fosse giunto lo scontro tra i due sovrani: ad esempio quelle impartite per punire in maniera esemplare Benevento, l'enclave pontificia dove avevano trovato rifugio i sudditi siciliani partigiani del papa, o anche i ripetuti accenni a indagini e operazioni di controllo volte a intercettare lettere e messaggi diretti alla Curia romana, o i provvedimenti di espulsione ed esproprio con i quali Federico II esercitò una dura repressione nei confronti dei sudditi che avevano aderito alla causa papale.
Gli argomenti trattati nelle lettere sono tra i più di-sparati e si spazia dalla sfera amministrativa e giudiziaria a quella militare e fiscale: nomine e destituzioni di ufficiali e amministratori, ordini relativi alla gestione e all'approvvigionamento dei castelli posti a difesa del Regno o all'amministrazione dei casini di caccia dove il sovrano amava risiedere, disposizioni per l'esecuzione di opere pubbliche oppure per la confisca dei beni dei traditori. Accanto a temi di grande respiro e di notevole rilievo politico, militare e amministrativo (come il trasferimento nel Meridione di centinaia di prigionieri lombardi, la riapertura dell'Università di Napoli destinata a formare giudici per il Regno, la convocazione del parlamento di Foggia, la requisizione dei beni degli ecclesiastici siciliani che dimoravano ancora presso la Santa Sede nonostante il divieto imperiale, la chiamata alle armi di baroni equipaggiati di tutto punto) appaiono anche quelli di minor peso e di più o meno ordinaria amministrazione, attinenti l'agricoltura (come l'appalto dei vigneti demaniali di Messina, l'introduzione della coltura dell'henné e dell'indaco in Sicilia o la produzione di zucchero a Palermo), l'allevamento (specie dei cavalli e dei destrieri necessari all'esercito), la fiscalità (il monopolio del sale, ad esempio, o della seta, l'imposizione della colletta straordinaria e la regolamentazione dell'esportazione del grano, di cavalli, muli e armi), la flotta e l'esercito (acquisti o dismissioni di navi, richieste di armature) o le necessità della corte (richieste di cani e falconi addestrati per la caccia o anche di animali esotici, musici o saltimbanchi, o di grandi quantità di vettovaglie). Ugualmente numerose sono poi le lettere di credito per i tanti prestiti che Federico II otteneva da mercanti-banchieri romani, cremonesi e parmensi, per far fronte alle sempre più onerose esigenze belliche e alla crescente penuria di liquidità che affliggeva le sue casse, e le di-sposizioni inviate alle tesorerie provinciali per la soluzione dei debiti in denaro o in grano.
Il numero ragguardevole dei documenti registrati (circa millenovanta registrazioni per un totale di quasi milleduecento lettere distribuite su sette mesi) e l'ampio ventaglio delle materie trattatevi dicono molto del ruolo di primo piano che la documentazione scritta aveva assunto nell'amministrazione dello stato federiciano e contribuiscono a chiarire anche le finalità del registro, che appare pensato e impostato proprio per inquadrare in una documentazione d'ufficio i mandati che venivano spediti e per fornire un quadro il più possibile completo dell'attività di governo, che veniva esercitata tramite istruzioni e ordini scritti che si susseguivano a ritmo incalzante. Federico II infatti si manteneva in costante contatto con i suoi funzionari, che costituivano gli ingranaggi della macchina statale, attraverso l'invio continuo di mandati e istruzioni in forma scritta e la richiesta di relazioni anch'esse scritte. E ciò avveniva non solo quando si trovava fuori dei confini del Regno. Per questo motivo il registro era improntato in funzione della massima visibilità e dell'immediata reperibilità della notizia, l'una e l'altra ottenute attraverso un sistema che non si limitava a fissare la memoria della lettera, travasandone il testo sulle sue carte, ma che si spingeva fino ad adottare forme redazionali che permettessero di visualizzare immediatamente lo spazio scritto destinato alla singola registrazione, a elaborare ogni testo per renderlo più accessibile, a dotarlo infine di un accurato sistema di note marginali, avvertenze e rinvii che consentissero di districarsi ed orientarsi nelle centinaia di ordini contenuti nel registro. Esso, in altre parole, non si configurava come un semplice contenitore, bensì come il prodotto di un sistema di registrazione avanzato e razionale, studiato proprio in funzione di una sua utilizzazione sia quotidiana che protratta nel tempo (anche dopo la sua chiusura), uno strumento di lavoro realizzato in cancelleria per la cancelleria e per la corte secondo criteri redazionali che regolavano il modo di impaginare i testi, di evidenziarli e di tagliarli, nonché il sistema adottato per i frequenti aggiornamenti ai quali il registro era soggetto. Il tutto finalizzato a facilitarne la consultazione per poter ricostruire in qualsiasi momento lo stato di ciascuna questione della quale la corte si era occupata tramite la corrispondenza scritta in un passato più o meno remoto.
Ogni registrazione era ben evidenziata all'interno della pagina, distanziata dalla precedente e dalla successiva tramite una o più righe bianche e preceduta sempre da un segno di paragrafo che fuoriusciva dallo specchio di scrittura; sempre a margine compariva poi una breve nota esplicativa con l'indicazione del destinatario della missiva e dell'argomento o degli argomenti trattati, che veniva apposta contestualmente e che costituiva un vero e proprio indice di ricerca per soggetto ("A Ruggero de Morra in merito ai falconi che deve portare", o anche "A Giacomo Capice perché permetta alla figlia di Alberico da Romano di ricevere una visita"). Della data si indicava esclusivamente il giorno, il cui numerale veniva posto in apertura, subito dopo il segno di paragrafo, o sostituito dall'espressione "nel medesimo giorno" nel caso appunto fosse lo stesso della registrazione precedente. L'indicazione del mese e del luogo dal quale venivano spedite le lettere costituiva, invece, l'intestazione della pagina ed era posta in posizione ben evidente, al centro del margine superiore; ovviamente di norma si provvedeva a cambiare pagina ogni qual volta cambiavano il luogo o il mese. Subito dopo il segno di paragrafo e il numerale del giorno, la registrazione della lettera si apriva con una breve nota introduttiva, un preambolo nel quale venivano ricordati la provenienza dell'ordine di redigere il documento ("per ordine imperiale", ad esempio, ad indicare che il mandato emanava direttamente dall'imperatore, cosa che succedeva nella maggior parte dei casi), il nome dell'ufficiale che l'aveva trasmesso (uno dei consiglieri imperiali o dei titolari delle cariche di corte), quello del notaio che l'aveva steso e che in genere si occupava anche di registrarlo, e infine quello del destinatario: "per ordine imperiale trasmesso da Pier delle Vigne, Ruggero de Salerno ha scritto a Oberto Fallamonaca", ad esempio. La presenza di queste note ‒ finalizzate a formalizzare il procedimento amministrativo scritto in modo che anche a distanza di tempo fosse comunque possibile risalire ai responsabili della spedizione delle lettere ‒ costituisce uno dei tanti tratti tipici e peculiari del sistema di registrazione messo in atto dalla cancelleria sveva e prova che il registro non era stato pensato solo in funzione di una immediata ed agevole consultabilità, ma che si era anche provveduto a dotarlo di una larga base conoscitiva a fini organizzativi interni della corte e della cancelleria.
Al preambolo seguiva infine il testo della lettera, che non veniva però registrata integralmente: in genere infatti ci si limitava a riportarne soltanto il nucleo centrale e caratterizzante, ovvero la parte dispositiva, tralasciando invece le parti iniziali e finali, ossia protocollo ed escatocollo. Con minore frequenza ‒ e soprattutto per la registrazione di mandati accessori o in qualche modo secondari e di corredo ad altre missive ‒ i notai elaboravano brevi e concisi riassunti, espressi in forma narrativa ("Si è scritto a Gualterio affinché scorti una certa persona a corte", o anche "Lo stesso notaio ha inoltre scritto al castellano di Messina di consegnare al giustiziere i registri degli atti, dei feudi, della colletta generale e dei chierici"). Infine, quando si trattava di registrare in successione due o più lettere dello stesso tenore che venivano spedite lo stesso giorno, era adottato il sistema di registrazione "per simili", che offriva il vantaggio, da una parte, di ottimizzare il lavoro di registrazione, evitando di ripetere più volte lo stesso testo, e, dall'altra, soprattutto, di ottenere una immediata visualizzazione all'interno dello spazio definito della pagina di gruppi di lettere spedite nella stessa forma. La messa a registro delle "simili" infatti era in genere eseguita in modo che ad un testo più o meno lungo, che era quello della prima lettera della serie e che di norma era registrato secondo il sistema più diffuso dell'excerptum, seguissero, su tante righe quante erano le lettere spedite "nella stessa forma", brevissimi incisi elaborati sul tema minimo di "una lettera simile è stata scritta a […]" o anche "inoltre si è scritto a […]", dove in genere l'unica variante era rappresentata dal nome del destinatario della missiva.
Numerose altre annotazioni (molte delle quali contestuali, altre invece aggiunte in un secondo tempo) formavano poi nell'insieme un fitto reticolo, un complesso ma ordinato sistema di informazioni e rinvii che costituiva il necessario complemento delle registrazioni e consentiva al personale di cancelleria di muoversi con facilità e rapidità tra le pagine del registro e di effettuare, se richiesto, ricerche mirate a ricostruire come, quando e a chi una determinata questione era stata affidata. Quelle aggiunte contestualmente alle registrazioni o subito dopo e in genere dallo stesso notaio che si occupava della messa a registro servivano a segnalare il sistema adottato per far recapitare la lettera ("entrambe le lettere furono portate da maestro Riccardo di San Germano, fratello di maestro Giovanni di San Germano notaio imperiale", ad esempio); le altre, invece, anch'esse apposte in cancelleria dal personale che si occupava della redazione e della messa a registro delle missive, ma aggiunte a distanza di settimane e a volte di mesi nei margini e in qualsiasi spazio bianco disponibile, venivano inserite per lasciare memoria della conclusione di una questione o dell'annullamento di una lettera, per spiegare il motivo di una registrazione cassata ("la lettera è stata cassata perché Alberto è giunto a corte prima che gli fosse inviata" è aggiunto accanto alla registrazione di un mandato col quale si ordinava ad un messaggero proveniente dalla Terrasanta di presentarsi al più presto al cospetto dell'imperatore) o per informare di eventuali anomalie verificatesi dopo la spedizione di una missiva, nella fase relativa alla sua trasmissione (ad esempio "la lettera è stata poi riscritta poiché il messaggero è tornato indietro dicendo di essere stato derubato e di averla quindi perduta"), oppure servivano a facilitare a posteriori la ricostruzione delle varie fasi attraverso le quali era passato un particolare affare, soprattutto in quei casi in cui il disbrigo di una pratica amministrativa si fosse prolungato nel tempo o avesse comportato la spedizione di mandati a più riprese.
Il registro in sostanza ‒ e qui sta l'essenza della sua peculiarità ‒ era uno spazio tutt'altro che chiuso e definito, dove era possibile in qualsiasi momento intervenire per aggiungere annotazioni, postille o altre registrazioni in totale deroga all'ordine cronologico, in base al quale tuttavia esso era impostato, visto che si veniva accrescendo e stratificando regolarmente via via che le lettere venivano scritte e spedite.
Esso inoltre si distingueva da analoghe esperienze coeve per almeno altre due specificità. Innanzi tutto il fatto che, non esistendo un corpo di notai addetti esclusivamente alla registrazione delle lettere ma occupandosi di regola della messa a registro direttamente colui che redigeva la missiva (nel registro vengono nominati quindici scrittori: di quattordici compaiono registrazioni autografe, vi è poi una quindicesima mano non identificata), il notaio il più delle volte si accollava anche l'onere di ricostruire l'iter della pratica, andando a ricercare i mandati già inviati in merito ad un determinato affare e aggiungendo poi a margine tutte le informazioni e i rinvii utili a facilitare l'accesso non soltanto al singolo documento ma all'intero affare del quale esso faceva parte. In secondo luogo la circostanza che il registro venisse utilizzato non soltanto per la registrazione delle lettere spedite dalla cancelleria, ma anche per quella di particolari scritture prodotte esclusivamente per uso interno della Curia e della cancelleria, come la lista degli undici nuovi porti del Regno dai quali si potevano esportare i prodotti alimentari (5 ottobre 1239), redatta in forma modulare con l'indicazione delle cariche e dei nomi del personale addetto a ciascuno scalo, e l'elenco dei baroni e dei sudditi ai quali dovevano essere affidati in custodia gli oltre trecentocinquanta prigionieri lombardi che erano stati catturati per lo più a Cortenuova e che furono trasferiti nel Regno alla fine del 1239. Ciò denuncia una forma di gestione immediata e diretta del registro da parte dello stesso gruppo di persone le cui mani si alternavano sulle sue carte (gruppo del quale tra l'altro facevano parte non solo i notai ma anche alcuni dei consiglieri imperiali che in genere svolgevano funzioni di relatori, ossia di tramite tra l'imperatore e il notaio, come Ruggero "de Petrasturmina", Alberto "de Catania" o "Ruggero de Camera"), accentuandone la funzionalità e il carattere per così dire di "libro-giornale", sul quale si interveniva quotidianamente sia per la regolare registrazione sia per eventuali aggiornamenti, e nel contempo di quadro di riferimento per la cancelleria e per la corte.
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