Registro delle imprese e diritto alla riservatezza
Per la prima volta, è venuta all’attenzione della Cassazione la questione del possibile conflitto tra l’obbligatoria iscrizione dei fatti nel registro delle imprese e il diritto alla riservatezza dei dati personali vantato dagli imprenditori che, per legge, vi sono iscritti. Dal momento che entrambe le discipline nazionali sono, nell’attuale configurazione, frutto di direttive europee, nel 2015 la Suprema Corte, pur esponendo la preferenza per l’opzione ermeneutica favorevole alla tutela della trasparenza del mercato e sicurezza dei traffici, pose la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea: la sentenza del 9 marzo 2017 ha confermato che le iscrizioni nel registro delle imprese rispondono ad interessi primari e che l’esigenza di conoscenza dei dati permane pur dopo lo scioglimento della società, né è possibile fissare un termine univoco dopo il quale l’iscrizione non svolga più alcun ruolo.
La necessità di iscrivere taluni eventi nel registro delle imprese appare talmente connaturata al principio della sicurezza del mercato che non si sarebbe pensato di trovarsi di fronte a simili fattispecie. Invece, è accaduto che un soggetto abbia citato in giudizio la locale Camera di commercio, industria e artigianato, chiedendone la condanna alla cancellazione o alla trasformazione in forma anonima o al blocco dei dati che ricollegavano il proprio nome alla società un tempo amministrata, in seguito fallita e cancellata dal registro delle imprese, nonché al risarcimento del danno alla reputazione che assumeva di avere patito. Ed è accaduto che il tribunale accolse le domande, ordinando alla Camera di commercio la trasformazione in forma anonima dei dati e, addirittura, condannando la convenuta al risarcimento del danno nella misura di € 2.000,00.
Proposto ricorso immediato per cassazione ex art. 152, co. 13, d.lgs. 30.6.2003, n. 196, il giudice di legittimità ha deciso il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea con riguardo alla questione se debbano considerarsi ostative le disposizioni in materia di trattamento dati personali, rispetto al regime di pubblicità attuato dal registro delle imprese: ovvero se, in deroga ai principí della durata temporale illimitata e dei destinatari indeterminati, i dati riferiti a persone fisiche dovessero essere resi disponibili solo per un tempo limitato o nei confronti di destinatari precisamente individuati, sulla base di una valutazione casistica affidata al gestore del dato.
Costituisce interesse generale, tanto più intenso quanto più cresce la complessità di una società, che determinati fatti giuridici siano resi conoscibili a chiunque. La pubblicità è realizzata attraverso il sistema dei registri, che riguardano fatti relativi a persone, a beni anche immateriali o all’attività economica organizzata1. Il cardine intorno cui ruotano questi procedimenti è la nozione di certezza e sicurezza giuridica: la loro importanza è rivelata dagli studi sociologico-giuridici sulle collettività statali non adeguatamente sviluppate e dalle conseguenze della mancanza di registri dello stato civile, anagrafici, immobiliari, delle imprese, e altri. Istituito nel 1942, il registro delle imprese ha la funzione di predisporre un organico regime di pubblicità degli imprenditori individuali e collettivi. Esso rappresenta un registro soggettivo, ossia un elenco di imprenditori e delle loro vicende (cfr. artt. 2188 c.c. e 8 l. 29.12.1993, n. 580, con il regolamento emesso con d.P.R. 7.12.1995, n. 581). Eventi essenziali nella vita di un imprenditore individuale o di una società vi sono obbligatoriamente iscritti, decorrendo dall’iscrizione particolari effetti; tanto essenziale è il sistema, che il legislatore ha presidiato l’adempimento con la sanzione prevista all’art. 2630 c.c. Si tratta di una parte importante della regolamentazione del mercato, alla cui “strutturazione giuridica” certamente concorre: acquisito ormai il concetto che il miglior mercato non è affatto quello senza regole, ma piuttosto il mercato ben regolamentato. La cancellazione delle iscrizioni (da non confondere con la cd. cancellazione della società, che consiste invece in una nuova iscrizione) è legittima e dovuta solo nei casi in cui esse siano avvenute senza il concorso delle «condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione» (artt. 2189, co. 2, e 2191 c.c.).
Il tema del cosiddetto diritto all’oblio viene usualmente richiamato nei casi in cui il soggetto, che in passato ha visto divenire noti i propri dati personali, abbia successivamente interesse a non vederli ulteriormente diffusi. Il suo campo di elezione è quello dei mezzi di comunicazione di massa e delle notizie personali che l’interessato non vorrebbe vedere ancora assurgere agli onori delle cronache. Al riguardo, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 13.5.2014, C-131/12, Google Spain, ha affermato che l’attività di un motore di ricerca costituisce trattamento di dati personali, onde il gestore del motore è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web pubblicate da terzi, anche nel caso in cui tale pubblicazione sia di per sé lecita. Si noti che, dunque, non è stata affatto disposta la cancellazione del dato dal sito sorgente. In ogni caso, come si vede, la vicenda riguarda un ambito in cui gli interessi in conflitto rivestono un ruolo del tutto diverso.
Era dunque in gioco il d.lgs. 30.6.2003, n. 196 ed in particolare l’art. 11, lett. e), secondo cui i dati personali oggetto di trattamento sono «conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati». Questa norma deriva dall’art. 6 della direttiva 95/46/CE, secondo cui «Gli Stati membri dispongono che i dati personali devono essere: ... e) conservati in modo da consentire l’identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati. Gli Stati membri prevedono garanzie adeguate per i dati personali conservati oltre il suddetto arco di tempo per motivi storici, statistici o scientifici». Dall’altro lato, veniva in rilievo il regime pubblicistico del registro delle imprese, previsto dalla direttiva 68/151/CEE, come modificata dalla direttiva 2003/58/CE, regime richiamato dall’art. 18 d.lgs. n. 196/2003, secondo cui «qualunque trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici è consentito per lo svolgimento delle funzioni istituzionali», e dall’art. 19, per il quale «il trattamento da parte di un soggetto pubblico, riguardante dati diversi da quelli sensibili e giudiziari è consentito, anche in mancanza di una norma che lo preveda espressamente».
La Corte di giustizia 9.3.2017, C-398/15, ha affermato che le due direttive – la 95/46/CE e la 68/151/CEE, come modificata dalla direttiva 2003/58/CE – rimettono agli Stati membri di «determinare se le persone possano chiedere all’autorità incaricata della tenuta del registro di verificare, in base ad una valutazione da compiersi caso per caso, se sia eccezionalmente giustificato, per ragioni preminenti e legittime connesse alla loro situazione particolare, decorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società interessata, limitare l’accesso ai dati personali che le riguardano, iscritti in detto registro, ai terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione». In particolare, la Corte UE ha precisato che il trattamento dei dati personali rientra nell’adempimento di un obbligo legale, nell’esercizio di pubblici poteri e per il perseguimento di un interesse legittimo; che, infatti, il fine dell’iscrizione dei dati nel registro delle imprese è la certezza del diritto nelle relazioni tra le società ed i terzi, e ciò senza dover dimostrare alcun diritto o interesse meritevole di tutela; che tale esigenza di conoscenza dei dati permane pur dopo lo scioglimento della società, né è possibile fissare un termine univoco di inutilità della iscrizione del dato dopo tale evento. Peraltro, potendo gli Stati nazionali introdurre una norma di eccezione per casi peculiari, è compito del giudice nazionale verificare l’esistenza di essa: fermo restando che «il solo presumere che gli immobili di un complesso turistico costruito dalla ..., di cui il sig. ... è attualmente amministratore unico, non si vendano perché i potenziali acquirenti di tali immobili hanno accesso ai dati in questione nel registro delle imprese, non può essere sufficiente a costituire una simile ragione, tenuto conto, in particolare, del legittimo interesse di questi ultimi a disporre di tali informazioni».
La Suprema Corte ha, quindi, rilevato che l’ordinamento italiano non contempla il diritto dell’ex amministratore di ottenere la limitazione temporale o soggettiva dell’ostensione a terzi del proprio nome, iscritto nel registro delle imprese, pur quando la società sia fallita e poi cancellata dal registro delle imprese, ove pure l’interessato invochi un proprio interesse a non rendere più conoscibili i dati che lo riguardano. Al contrario, gli artt. 18 e 19 del d.lgs. n. 196/2003 prevedono che gli enti pubblici siano abilitati al trattamento di dati personali per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, essendo il trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari loro consentito anche in mancanza di una norma di legge o di regolamento che lo preveda espressamente. Quanto detto rientra, del resto, nella previsione dell’art. 8, co. 2, CEDU, che contempla come legittima l’ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto, ove «prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui». I requisiti individuati dalla disposizione – principio di legalità, tassatività dei fini, proporzionalità della restrizione in quanto necessaria in una società democratica – sono tutti presenti nella specie: posto che la legge impone l’iscrizione (cfr., in particolare, gli artt. 2383, 2475, 2487 bis c.c.), ricorre lo scopo della tutela dei beni, del benessere economico, della prevenzione dei reati e della protezione dei diritti e libertà altrui ed, infine, le iscrizioni obbligatorie nel registro, peraltro limitate a taluni aspetti del soggetto collettivo, sono proporzionali allo scopo.
La rilevanza delle informazioni di mercato nell’ambito della vita economica e sociale del Paese è stata riscontrata in molte occasioni dallo stesso Garante per la protezione dei dati personali, allorché ha costantemente respinto le richieste di cancellazione di dati dal registro delle imprese rivolte alla Camera di commercio, sempre escludendo che possa reputarsi illegittima la pubblicità effettuata2.
Sarebbe come pretendere la cancellazione – si badi, non dai dossier commerciali, ma dal relativo registro immobiliare – dei dati relativi a un’ipoteca3.
Più in generale, quando si tratti di notizie afferenti gli imprenditori è assai arduo fissare un termine congruo per la conservazione del dato, come è palese purché si pensi al creditore insoddisfatto che, dopo la cancellazione della società, intenda esercitare le azioni ex art. 2495 c.c. L’eccessivo soggettivismo giudiziale, pur quando mirante all’affermazione di diritti, non avverte che ogni creazione di un diritto “nuovo”, se arricchisce il patrimonio giuridico di alcuni soggetti, nel contempo comporta per altri, obbligati a rispettarli, una diminuzione degli spazi di libertà precedentemente disponibili: «ogni diritto è un “costo” per un altro diritto»4. Il legislatore ha operato, mediante l’istituzione del registro delle imprese, il bilanciamento tra le esigenze individuali e quelle della collettività: una comunità di persone deve affrontare i costi di una esistenza collettiva, in tal modo lasciando il sotteso principio operare, quale punto di mediazione, che permette all’ordinamento di salvaguardare il diritto del singolo ad impedire la reperibilità dei dati afferenti la sua pregressa attività gestoria, in misura che non finisca per contraddire gli interessi espressi dalla intera comunità di persone, tenute ad affrontare i costi di una esistenza collettiva.
E quello della certezza del diritto non è un valore come gli altri, ma è al fondamento dello stato costituzionale di diritto. Come è stato notato da uno, «la certezza del diritto costituisce la specifica manifestazione giuridica del raccordo pace-sicurezza-statualità» ed il «suo carattere – diciamo così – “primordiale” è attestato anche dall’uso risalente di ‘previsione’ quale sinonimo di ‘disposizione’ o di ‘norma’ e dal collegamento che con quest’uso ha l’idea della certezza come prevedibilità»5.
Deve ancora aggiungersi che la citata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione del 9.3.2017, C-398/15, ha affermato la facoltà dei legislatori nazionali di introdurre una norma eccezionale limitativa della pubblicità nel proprio ordinamento, la quale permetta – decorso un periodo di tempo, da valutare caso per caso, sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società – l’ostensione dei dati risultanti dal registro delle imprese soltanto in favore di terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione, in presenza di situazioni particolari e di ragioni preminenti e legittime.
È quindi demandata al legislatore ordinario una eventuale limitazione della pubblicità, con le regole conseguenti, in termini di soggetti abilitati a chiedere la cancellazione, ragioni, tempi.
Ma la tendenza a tutelare il valore della sicurezza e della certezza è ribadito dalle più recenti disposizioni. Infatti, il nuovo regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.4.2016, concernente alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati, e che abroga la direttiva 95/46/CE, si occupa del “diritto all’oblio” nei considerando 65-67 e all’art. 17.
Da esso risulta la tendenza eurounitaria ad escludere la cancellazione, ove la conservazione dei dati personali sia necessaria «per l’adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento», o «a fini di archiviazione nel pubblico interesse», nella misura in cui «si rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento».
Il considerando n. 73 chiarisce espressamente il riferimento alla «tenuta di registri pubblici per ragioni di interesse pubblico generale». Sottesa alle regole europee è l’attenzione alla tenuta della società democratica, fondata sulla «salvaguardia della sicurezza pubblica o di altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale», sia dell’Unione sia di uno Stato membro, tra cui «un interesse economico o finanziario rilevante»: sempre che ciò sia «necessario e proporzionato», condizioni che la Corte di giustizia ha riscontrato nella vicenda in esame.
1 Si pensi, per ricordare i piï importanti, ai registri che attestano fatti concernenti le persone, quali i registri di anagrafe, stato civile, persone giuridiche; a quelli concernenti i beni immobili, quali i pubblici registri immobiliari, il catasto, il registro dei diritti sulle zone di demanio marittimo, ecc.; ai registri di beni mobili, come il pubblico registro automobilistico, quello navale o aereonautico; o beni immateriali, come i registri dei brevetti, dei brevetti europei e italiano dei brevetti europei, dei marchi, delle opere protette, il registro speciale per le opere cinematografiche e le opere audiovisive; ai registri sull’attività economica organizzata, quali il registro delle imprese, l’albo delle imprese artigiane, il registro prefettizio delle cooperative, il registro delle imprese di navigazione aerea, il registro dei protesti, e così via.
2 V., fra gli altri, i provvedimenti del Garante dei dati personali doc. web n. 1128778 del 3.4.2003; doc. web n. 1185197 del 6.10.2005; doc. web n. 2130054 del 18.10.2012; doc. web 2094932 n. 262 del 30.6.2011.
3 Ed infatti, ancora in senso negativo cfr. i provvedimenti del Garante doc. web n. 1066118 del 6.9.2002; doc. web n. 1085666 del 30.12.2003.
4 Luciani, M., Interpretazione conforme a costituzione, in Enc. dir., Annali, HX, Milano, 2016, 459.
5 Ancora Luciani, M., op. cit., 463, in nota.