Regni neoittiti e stati aramaici
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook
Sul tramonto dell’Impero ittita s’innesta la nuova realtà socio-politica dei regni locali neoittiti. In questo nuovo clima gli Aramei s’impongono in Siria come forza militare organizzata, lasciando alla mezzaluna fertile una lingua di eccezionale durata e diffusione, l’aramaico.
Ormai da tempo gravemente indebolito, in preda a una profonda crisi economica, a epidemie e ridotto ai minimi termini amministrativi (gli ultimi re, specialmente Shuppiluliuma II, non possono dare per scontata nemmeno la fedeltà dei propri dignitari e dei principi degli stati vassalli), l’Impero ittita si dissolve verso il 1180-70 a.C. con il concorso esterno dei Popoli del Mare: è infatti probabile che un sovrano ittita (forse lo stesso Shuppiluliuma II) sia intervenuto militarmente contro di loro in Alashiya (Cipro).
Mentre l’Impero scompare, l’antica capitale Hattusha viene forse abbandonata dalla corte per luoghi più sicuri. Fra i secoli XII e IX a.C. si assiste tuttavia a una nuova fioritura della sua civiltà attraverso la costituzione di piccoli stati “neoittiti” sparsi fra la Cappadocia, il “Paese basso” (Tabal; Tubal nella Bibbia), la Cilicia (Khiliakku, Qu’e), la Siria (Khattina, Karkemish, Hamath-Lu’ash), l’Alto Eufrate (Gurgum/Pyramus, Kummukh/Commagene, Melid/Malatya). Ha un certo interesse il fatto che, a seguito di questa ripresa, specialmente nei regni neoittiti settentrionali l’uso epigrafico dell’ittita geroglifico giunga ben oltre i sigilli e si affermi nelle iscrizioni pubbliche al posto della scrittura cuneiforme, quasi a sottolineare il carattere indipendente e “locale” del nuovo ordinamento territoriale, di cui si riaffermano lignaggio e prestigio. La lingua di queste iscrizioni, d’altra parte, risulta spesso più vicina al luvio che all’ittita – questa combinazione lingua-scrittura è nota in effetti come “luvio geroglifico” – ma i documenti non sembrano sufficienti per stabilire la natura di questo cambiamento linguistico, secondo alcuni dovuto a ragioni etniche, secondo altri a una mutazione prevalentemente socio-culturale.
La scarsità della documentazione scritta e delle testimonianze archeologiche non consente di delineare un quadro sufficientemente indicativo sulla situazione dell’area nei secoli XII-X a.C. In area siriana siamo abbastanza bene informati sulle vicende di Karkemish, centro d’impronta ittita, sulla cui storia sussiste un’abbondante documentazione ed epigrafica compresa fra il 1150 e il 717 a.C., quando è infine conquistata da Sargon II d’Assiria e ripopolata, dopo la deportazione degli abitanti, con coloni assiri. Altro centro di cui sono abbastanza note le vicende è Hama sull’Oronte, in Siria centro-occidentale, che nell’XI-X secolo a.C. passa nelle mani degli Aramei. A metà del IX secolo a.C. la pressione degli Assiri aumenta sensibilmente, specialmente sotto Salmanassar III: le varie spedizioni assire registrano tuttavia più successi nell’area settentrionale che in quella siriana, dove vari centri, come Hama, riescono a resistere agli attacchi. La documentazione assira e le iscrizioni urartee – l’Urartu assume intanto un certo predominio a settentrione fino all’VIII secolo a.C. – registrano, oltre ai nomi dei centri neoittiti più noti, anche quelli di altre piccole entità statali sparse fra la Siria settentrionale e la Cilicia, altrimenti ignote e di cui è spesso indefinibile l’ubicazione.
Altro punto difficile è stabilire se – specialmente nell’area siriana – certi regni o staterelli fossero d’impronta ittita o aramea. In alcuni casi, indicatori quali la compresenza dell’ittita e dell’aramaico nelle epigrafi (per esempio a Sam’al, attuale Zincirli, e Hama) mostrano abbastanza chiaramente che ci si trova in una compresenza di culture e, pertanto, probabilmente anche in una situazione di bilinguismo. La compresenza di più lingue epigrafiche non comprende tuttavia solo il luvio, l’ittita e l’aramaico: fra IX e VII secolo a.C. anche il fenicio sembra aver avuto una certa importanza. Alla fine del IX secolo a.C. il re di Sam’al, Kilamuwa, fa incidere in lingua e scrittura fenicia una lunga iscrizione celebrativa, in cui fra l’altro si vanta della vittoria contro i Danuna ottenuta con l’alleanza dell’Assiria. Di poche decadi posteriore è l’iscrizione commemorativa di Azitawanda, sovrano di Karatepe, per la costruzione dell’omonima fortezza, nel cui testo bilingue (in fenicio e ittita geroglifico) egli afferma fra l’altro di appartenere “alla casa di Mupshu”, ossia Mopsos, il mitico indovino e fondatore, secondo le fonti greche, di varie città della Cilicia. Alla casa-fortezza di Azitawanda appartiene peraltro un’importante serie di bassorilievi, fra le espressioni più rappresentative dell’arte neoittita, caratteristica per la sintesi che fa di elementi figurativi egiziani, assiri e aramei. Dall’area cilicia provengono infine varie iscrizioni, luvio-fenicie e fenicie, lasciate fino al VII secolo a.C. da re e governatori locali.
La fine degli stati neoittiti sembra giungere con l’affermarsi dell’Impero neoassiro: la capitolazione dell’Urartu nel 743 a.C. davanti alle armate di Tiglat-pileser III apre agli Assiri la facile conquista di questi regni, che entro il 710 a.C., con Sargon II, divengono province; essi tuttavia recuperano l’antica indipendenza con la decadenza dell’Impero.
Si è sinora fatto più volte riferimento agli Aramei, senza tuttavia ancora precisare i tratti distintivi della fisionomia storica e culturale di questo popolo, che pur essendo stato protagonista, fra II e I millennio a.C., di una notevole espansione ed affermazione territoriale che interessa tutta l’area siro-mesopotamica e in parte quella anatolica, ma specialmente la Siria, non si è tuttavia mai espresso in uno stato unitario noto come “Aram”. La prima menzione esplicita degli Aramei è negli annali di Tiglat-pileser I verso la fine dell’XI secolo a.C., quando sono menzionati come gruppo armato nomadico (akhlamu), che l’esercito assiro è costretto a inseguire “fino a Karkemish, nella terra di Hatti”. Il collegamento territoriale fra l’area settentrionale del deserto siro-arabico e la steppa fra il Tigri e il medio Eufrate appare, in questo periodo, grosso modo coincidente a quella di altre popolazioni note dalle fonti mesopotamiche dai vari tratti in comune con gli Aramei, ossia gli Amorrei nel tardo III millennio a.C. e, successivamente, i Sutei, rappresentanti di agglomerazioni presumibilmente più volte ridefinitesi e ridefinite dai loro osservatori esterni (ossia gli Assiri, gli Ittiti e i Babilonesi) e in cui è riconoscibile l’almeno parziale continuità con gli Aramei anche sul piano onomastico e quindi linguistico.
Una prima sedentarizzazione degli “Aramei” si manifesta sul medio-alto Eufrate dal X secolo a.C., con l’occupazione di centri urbani e spazi lasciati vacanti o semiabbandonati dopo la scomparsa delle entità statali preesistenti, ciascuno dei quali viene ridefinito come “casa” (bitu) di un fondatore o eroe eponimo: avremo quindi territori e città indicate come Bit-Agushi (area di Aleppo, ma capoluogo ad Arpad), Bit-Zamani (area del Tigri meridionale), Bit-Bakhyani (area di Tell Halaf, l’antica Guzana), Bit-Adini (area di Karkemish) ecc., su cui siamo informati principalmente dagli annali assiri, che in questa prima fase indicano come formazione statale di rilievo Bit-Adini, contro la quale sono a lungo impegnati nella seconda metà del IX secolo a.C. In questo periodo si afferma, molto più a sud, una nuova dinastia nell’area di Damasco, “Aram” dei testi biblici, menzionata anche nella più antica iscrizione aramaica della regione, una dedica del re Bar-hadad I al dio fenicio Melqart. Appartiene però già all’870 a.C. il più antico documento epigrafico ufficiale aramaico, la statua con iscrizione votiva bilingue assiro-aramaica da Tell Fekheriyeh (Sikan, nel Bit-Bakhyani), in cui il governatore arameo di Guzana (“re” solo nella versione aramaica) ricorda la consacrazione di vari arredi cultuali al tempio locale del dio Adad. In un momento che non è possibile precisare – ma probabilmente non prima del tardo IX secolo a.C. – si determina inoltre un flusso di tribù o clan aramaici verso l’area sud-orientale della regione mesopotamica, come i Puqudu, i Gambulu e i Ru’ua, dal cui insieme proverrebbe un gruppo destinato a una storia particolarmente importante nell’area babilonese: i Kaldayyu, ossia i Caldei (che alcuni studiosi considerano invece di origine del tutto incerta o provenienti da altre zone, come l’Arabia centrale).
La documentazione epigrafica degli stati aramaici fra il IX e VIII secolo a.C. non è particolarmente ricca, ma significativa: disponiamo infatti di testi del re Zakur di Hamath-Lu’ash (810 a.C. ca.); Mati’el di Arpad (750 a.C. ca.: cosiddetta iscrizione di Sefire); Bar-rakib di Sam’al (735 a.C. ca.). Tutte queste iscrizioni, talora assai brevi, mostrano un proprio motivo di speciale interesse: ad esempio, uno dei testi più estesi, l’iscrizione di Sefire, conserva su tre stele il testo del trattato di alleanza fra il re Mati’el di Arpad e Bar-Gaya di Katka, forse un governatore assiro, in cui le divinità richiamate a salvaguardia del patto sono per lo più mesopotamiche. Il frequente interscambio o accostamento fra la lingua aramaica e l’accadico assiro in alcuni testi già di questa fase più antica preannuncia il ruolo crescente dell’aramaico nella comunicazione quotidiana e quale lingua veicolare internazionale dell’intera area siro-mesopotamica e, in specie, la reciproca influenza fra aramaico e assiro. Questo processo segue da vicino quello di una parziale ma trasversale arameizzazione della società assira che, per effetto di vari processi assimilatori, vede progressivamente aumentare il numero degli aramei nell’esercito, fra gli scribi, i sacerdoti e gli indovini, e persino a corte. Dalla fine dell’VIII secolo a.C. l’aramaico è, ufficialmente, la seconda lingua dell’Impero.
La già menzionata iscrizione di Bar-hadad di Aram, con la sua dedica al dio principale di Tiro, Melqart, conferma d’altra parte come gli Aramei – e segnatamente quelli del regno di Damasco – abbiano intrapreso abbastanza presto una significativa penetrazione verso Occidente, non limitata alla costa cananaica ma estesa anche all’Egeo e al Mediterraneo occidentale, di natura non coloniale ma commerciale, e certamente non senza contraccolpi di carattere culturale. La menzione del principale re di Damasco della fine del IX secolo a.C., Haza’el, più volte ricordato nella Bibbia (1-2 Re) su iscrizioni votive rinvenute nel santuario di Hera a Samo e di Apollo a Eretria, nell’Eubea, è solo la più antica di varie tracce epigrafiche degli Aramei in Occidente, che continuano nell’VIII secolo a.C. fino a Sibari e a Pitecusa (Ischia). Il nome di Haza’el appare anche su una placchetta decorativa d’avorio rinvenuta nell’alta Siria, ad Arslan Tash (l’antica Khadatu). Parallelamente, si registra un significativo aumento di documentazione sui regni aramei nei testi assiri.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia