ARLES, REGNO DI
Costituitosi dai due Regni di Borgogna e di Provenza, nati dalle divisioni e dalle lotte della fine del IX sec. e dei primi decenni del X, il vasto insieme territoriale, che si estendeva dal Lionese al Mediterraneo, in principio fu soggetto al dominio piuttosto fiacco dei sovrani rodolfini, in seguito a quello, altrettanto blando, degli imperatori salici re di Germania. Un lento ritorno dell'influenza imperiale si riscontra a partire da Corrado III, negli anni compresi tra 1130 e 1150, ma soprattutto sotto il regno di Federico Barbarossa, il quale rilasciò oltre una sessantina di diplomi destinati a vescovi o a grandi di questo Regno periferico e che giunse ad Arles per farsi incoronare nel 1178. Nonostante il suo viaggio lungo il Rodano fino in Provenza, in questo periodo la Borgogna, il Lionese e il Viennois rimasero ancora al centro delle preoccupazioni del sovrano. Dopo i regni brevi e turbolenti di Enrico VI, di Filippo di Svevia e di Ottone di Brunswick (negli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury dedicati a quest'ultimo imperatore comparve per la prima volta l'espressione RegnumArelatense), la situazione mutò radicalmente con l'ascesa al trono del nipote di Barbarossa, Federico II: la Savoia e il Delfinato mantennero la loro importanza strategica, ma l'attenzione si concentrò ormai quasi esclusivamente sulla Provenza e il Basso Rodano. E le affinità o i legami molto stretti tra questi paesi e l'Italia spiegano la nuova importanza che essi assunsero nella storia dei rapporti fra l'Impero e il Papato e consentono ‒ paradossalmente ‒ anche di comprendere meglio l'arrivo dei pontefici ad Avignone sessanta o settant'anni più tardi.
La relativa inconsistenza delle fonti disponibili (poco più di un centinaio di diplomi imperiali, poche fonti narrative, alcune decine di poemi trovadorici, ma un numero ben più rilevante di bolle pontificie e cartulari molto ricchi o archivi locali) spiega solo in parte il disinteresse degli storiografi per questo quarto sudorientale della Francia odierna, strettamente legato lungo tutto il Medioevo ai destini dell'Impero e ininterrottamente in contatto con la penisola italiana. L'incastellamento e l'evoluzione dei poteri, le radici antiche del movimento comunale e il considerevole sviluppo degli studi giuridici avvicinano questa regione a buona parte dell'Italia settentrionale. E il ruolo dei vescovi dopo la riforma gregoriana, unitamente al recupero dell'influenza imperiale nella seconda metà del XII sec., ne fecero il naturale teatro del confronto fra i due poteri. Ciò nonostante le città erano ben lungi dal possedere la potenza di quelle italiane, anche nel Meridione, e lo sviluppo di stati principeschi quasi autonomi alterò i giochi di potere: la Savoia e il Delfinato si ersero a custodi dei valichi alpini, mentre la contea di Provenza dovette molto all'amministrazione dei suoi conti d'origine catalana, che prestarono omaggio all'imperatore solo ducti necessitate. Fra la Durance e il Delfinato, le sorti del marchesato di Provenza furono legate a quelle della dinastia dei conti di Tolosa, protettori di eretici agli occhi della Chiesa, una circostanza che spiega lo spiccato interesse del Papato per questa regione a partire dal pontificato di Innocenzo III.
Dopo la crociata del 1209 e lo scisma imperiale i primi anni di regno di Federico II furono caratterizzati, in effetti, da ripetuti sconfinamenti pontifici nel Regno di Arles: le incursioni dei legati e dei crociati francesi sulle terre dell'Impero, a est del Rodano, furono costanti fra il 1212 e il 1229 e la legislazione imperiale promulgata nel 1220 ‒ in seguito al IV concilio lateranense e sotto l'autorità del papa ‒, che prevedeva l'occupazione della terra di un vassallo dell'imperatore che avesse trascurato di reprimere l'eresia, si applicava in primo luogo ai possedimenti dell'eretico Raimondo di Tolosa. Nel 1225 Federico II diffidò invano il suo vassallo dall'alienare anche la minima parcella delle terre dell'Impero: il suo intervento non impedì affatto al re di Francia di assediare Avignone nel 1226 e al papa di costringere il conte di Tolosa a restituirgli il marchesato in occasione del trattato di Parigi del 1229 ‒ cessione che fu all'origine del Contado Venassino, piccolo stato pontificio al di là delle Alpi che scomparve solo nel 1791. Questi avvenimenti segnalano i limiti del potere imperiale, ma anche l'importanza strategica della valle del Rodano per la teocrazia papale e le tensioni che ne derivarono per tutto il periodo in cui regnò Federico II.
Fino al 1234-1235 la politica del giovane imperatore mostrò una continuità con quella di suo nonno, segnalandosi per il persistente sostegno ai vescovi che si recavano con regolarità a corte per assistere alle diete (a Basilea nel 1215, a Hagenau nel 1215 e nel 1235, a Torino, a Pavia o a Brescia nel 1238, ecc.) o per ottenere la conferma di privilegi (il vescovo di Marsiglia fu a Cosenza nel 1222 e a Palermo nel 1223, quello di Avignone fu a Cremona nel 1224, l'arcivescovo di Arles fu a Ceprano nel 1230, ecc.). Tre quarti dei diplomi conservati sono datati precedentemente al 1238. La presenza imperiale rimase dunque quella tradizionale e ancora molto remota ‒ un atto tardo dà a intendere che Guglielmo di Baux sarebbe stato nominato viceré nel 1215, ma è altamente probabile che si tratti di un falso.
Se in occasione delle tensioni sociali e dei disordini cittadini, che scoppiarono molto numerosi negli anni compresi fra 1220 e 1230, l'imperatore si schierò ancora spesso dalla parte dei vescovi ‒ i marsigliesi furono messi al bando dall'Impero per quasi tre anni tra 1224 e 1227 ‒, la comparsa di podestà ad Arles nel 1220, a Marsiglia nel 1221, ad Avignone nel 1225 mutò gli equilibri politici nella regione. La presenza di questi ufficiali, spesso originari dell'Italia e vicini al partito imperiale, consentì agli oppositori di appoggiarsi ad un referente esterno per rinsaldare le autonomie cittadine. È in questo periodo che le aquile imperiali sostituirono i girifalchi sui sigilli della città di Avignone. La solenne ripresa del titolo di re di Arles nel preambolo delle Costituzioni di Melfi, nel 1231, e l'invio, l'anno seguente, di un rappresentante particolare, Galeazzo da Gorzano, denotano il rinnovato interesse di Federico II per la regione del Basso Rodano.
Dopo il 1235 gli inviati dell'imperatore ‒ come Torello di Strada che aiutò Raimondo di Tolosa a recuperare il Venassino manu militari ‒ e anche i suoi vicari Enrico da Rivello, Nicola Spinola, Berardo di Loreto, Gualtiero di Manoppello, furono sempre più presenti nella regione. Contingenti del Delfinato e della Provenza parteciparono del resto all'assedio di Brescia. Se pure, in teoria, l'imperatore restava un accanito avversario dell'eresia ‒ le costituzioni imperiali di Cremona e di Verona sono note dagli esemplari inviati ai prelati di Arles e di Carpentras e conservati nei loro archivi ‒ e se alcuni vescovi mantennero nei suoi confronti, fino all'inizio degli anni Quaranta, un atteggiamento aperto e prudente (che verrà loro rimproverato duramente all'epoca di Innocenzo IV), i legami con gli oppositori si rinsaldarono. I disordini anticlericali si moltiplicarono a Marsiglia, ad Arles, ad Avignone, dove le fazioni favorevoli ai comuni, al conte di Tolosa e all'imperatore si affrontavano con quelle che appoggiavano la politica del Papato, manovravano agevolmente l'accusa di eresia ed erano rafforzate dalla nomina di prelati combattivi ‒ come il bolognese Zoen Tencarari, eletto vescovo di Avignone nel marzo 1241, il quale, non potendo prendere possesso della sua sede, in veste di legato pontificio fu l'anima della resistenza contro l'imperatore. I diplomi imperiali favorirono sempre più le città (Avignone, Apt, Embrun) nel tentativo di assicurarsi alleati tramite la concessione di privilegi, a Raimondo di Tolosa ovviamente, ma anche ad alcuni membri della famiglia della Savoia, ai Delfini del Viennois, e così via.
La debolezza della politica imperiale nell'area settentrionale del Regno di Arles e di Vienne spiega in parte l'impossibilità in cui venne a trovarsi Federico II di impedire che si tenesse il concilio di Lione che l'avrebbe scomunicato nel luglio 1245. L'inasprimento del conflitto, che si manifestò in modo clamoroso nelle decisioni prese dal concilio, contribuì in un primo tempo a riaccendere con violenza i disordini anticlericali nelle città del Basso Rodano, ma si può riscontrare parallelamente una sparizione quasi completa degli inviati imperiali nel Regno di Arles, che parve quasi dimenticato da Federico. I giochi di potere dei principi e il peso dei Capetingi lo privarono del resto dei suoi sostenitori più fedeli: Raimondo di Tolosa diede in sposa sua figlia ad Alfonso di Poitiers, fratello di Luigi IX, e lo stesso Barral de Baux, un tempo vicino all'imperatore, che aveva animato la rivolta nelle tre città più importanti, passò ben presto allo schieramento capetingio. Inoltre, grazie alle nozze fra Carlo d'Angiò e l'erede della contea di Provenza, i Capetingi estesero il loro dominio su quest'ultima regione.
Dopo la morte di Federico le fiere città del Basso Rodano, ben lontane dall'essere potenti e organizzate come le loro omologhe italiane, capitolarono una dopo l'altra, non senza conservare la memoria di queste lotte accanite che sfociarono dovunque nella vittoria dei clan 'clericali' e degli interessi pontifici nella regione. Una vittoria segnata anche dallo svolgimento del secondo concilio di Lione, nel 1274, e nello stesso anno dal ritorno del Venassino sotto il dominio diretto del papa, che fino a quel momento l'aveva affidato in custodia ad Alfonso di Poitiers. Almeno dal pontificato di Innocenzo III e per tutto il XIII sec. la valle del Rodano rimase dunque un vero e proprio laboratorio per la teocrazia. Per questi motivi, senza dubbio, qualche anno più tardi ‒ fra il 1280 e il 1290 ‒ nella Tour Ferrande a Pernes-les-Fontaines, non lontano da Avignone, in pieno Contado pontificio, sorprendenti affreschi esaltarono l'assegnazione del Regno di Napoli a Carlo d'Angiò da parte di papa Clemente IV e celebrarono le due grandi vittorie di Tagliacozzo e di Benevento sui discendenti di Federico II. E sempre per questo, soprattutto, mezzo secolo dopo la morte dell'imperatore, i papi si stabilirono ad Avignone che avrebbero ben presto acquistato dal conte di Provenza, non lontano dal Contado Venassino che avevano ottenuto durante la lotta contro l'Impero.
Fonti e bibliografia
P. Fournier, Le Royaume d'Arles et de Vienne (1138-1378). Études sur la formation territoriale de la France dans l'est et le sud-est, Paris 1891.
M. Aurell, La vielle et l'épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, ivi 1989.
J. Chiffoleau, I ghibellini nel regno di Arles, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 364-388.
(traduzione di Maria Paola Arena)