Città, Regno di Germania
Durante la vita di Federico II e nel periodo del suo regno lo scenario delle città tedesche appare in movimento, pur senza approdare in questo arco di tempo, se non in misura modesta, a soluzioni definitive. Queste trasformazioni interessarono la formazione delle città, vale a dire l'innalzamento degli insediamenti che erano luoghi di mercato al rango di centri urbani e la fondazione pianificata di nuovi insediamenti, la crescita urbana interna, il conferimento o l'ampliamento di privilegi come fondamento giuridico civico, e inoltre il costituirsi della comunità cittadina in rapporto alla sovranità sulla città, la definizione della costituzione consiliare e la creazione di corporazioni, come le gilde dei mercanti, le corporazioni degli artigiani e le confraternite religiose. Era ancora agli esordi la costruzione di un'amministrazione comunale che subentrasse a quella signorile e di una gestione delle finanze mirata agli specifici interessi cittadini; solo gradualmente la pratica della scrittura penetrò nel diritto e nell'amministrazione.
È assai dubbio che Federico II abbia concepito per la Germania una politica relativa alle città orientata secondo principi normativi, che trascendesse la valutazione pragmatica di un'utilità immediata e contingente. La politica dei sovrani nei confronti delle città poteva tradursi, da un lato, nella fondazione strategica di centri, nel loro sostegno tramite privilegi e nella concessione di una protezione giuridica e militare, dall'altro, nella repressione, nella revoca del favore accordato, nella soppressione di privilegi.
La lontananza di Federico II dall'Impero poneva precisi limiti alla sua concreta volontà organizzativa, per cui acquistarono grande importanza sia i suoi rappresentanti nell'area tedesca, i figli Enrico e Corrado in qualità di re dei Romani, sia gli esponenti dei principi imperiali, in particolare i vescovi che esercitavano la loro sovranità sulle città.
Il re, anche grazie al controllo sui centri urbani, acquisì importanti località e grandi castelli con estesi insediamenti e cinte murarie e, di conseguenza, punti d'appoggio più o meno potenti per garantire la sicurezza militare, la penetrazione amministrativa e la strutturazione di aggregazioni di territori reali e terre imperiali (terrae Imperii). Grazie alla occasionale partecipazione finanziaria all'uso di regalie come mercati, zecche e dogane, o anche in virtù delle rendite provenienti dalla sua giurisdizione sulle città, il re poté contare su alcune entrate e avere più largo accesso all'economia del denaro. La sua posizione di balivo, ossia l'esercizio del diritto di protezione e della giurisdizione sovrana, lo autorizzava a esigere prestazioni straordinarie e a riscuotere con regolarità imposte annuali; la facoltà di disporre delle sue città gli consentiva di dare in pegno queste stesse città o singole cariche. Erano questi i fondamenti dei vantaggi di ordine politico, militare e fiscale che il sovrano poteva ricavare dall'esistenza delle città. Con l'impianto e l'incentivazione delle città reali, la loro irradiazione sul territorio circostante e gli interventi nelle condizioni e nei rapporti giuridici, soprattutto all'interno delle città vescovili, Federico II entrò in competizione con altri signori che esercitavano il loro dominio sui centri urbani e con altri fondatori di città.
Si può affermare che l'età di Federico II è coincisa con la fase di crescita più dinamica delle città nell'Europa centrale. Nell'area compresa fra Bruges e Vienna, Schleswig e Ginevra, intorno all'anno 1150 si contavano duecento città, verso il 1200 erano già arrivate a seicento, di cui circa centocinquanta poste sotto la sovranità regia. Dopo un altro mezzo secolo di sviluppo accelerato, intorno al 1250 il numero delle città era salito a circa millecinquecento. In epoca sveva, nell'arco di tempo compreso fra il 1170 e il 1232-1235, con periodi di differente densità, fu fondata o potenziata una serie impressionante di città. Non è possibile stabilire con precisione quante città - luoghi di mercato e fortezze - siano state fondate per impulso dello stesso Federico II, ma secondo una stima approssimata per eccesso si trattò di oltre quaranta in Svevia e circa dieci in Alsazia, il territorio prediletto dall'imperatore in Germania. Di queste città reali diciotto furono insediate su proprietà terriere ecclesiastiche. Circa due terzi delle città reali erano situate a sud del Meno in Franconia, Svevia e Alsazia; più a nord spiccavano città come Aquisgrana, Duisburg, Dortmund, Goslar e Lubecca.
Un esempio di politica reale nei confronti delle città e di concezione spaziale di impressionante compattezza è offerto dall'Alsazia, che contava dieci città reali, i centri principali di Hagenau, Colmar, Schlettstadt e Mühlhausen e i castelli e i conventi svevi che facevano capo alle città. A eccezione di Hagenau, città palatina dalla tipologia più recente, tutte le altre furono fondate su terre ecclesiastiche imperiali, in particolare con riferimento al protettorato reale sulla Chiesa o sulla base di un feudo ecclesiastico ottenuto con la forza dal sovrano. Questi sviluppi si verificarono soprattutto a discapito dei vescovi di Strasburgo e Basilea. Dall'elenco delle imposte imperiali per gli anni 1241-1242 si può desumere che le città e i villaggi alsaziani, come pure la Brisgovia e l'Ortenau, contribuissero in modo sostanziale alle basi finanziarie del dominio svevo in Germania con un introito d'imposta che ammontava a quasi 1.700 marchi d'argento. Nella persona dello sculdascio imperiale di Hagenau Albino Wölfelin, un funzionario di origini non nobili, dal 1214-1215 si mise in luce in Alsazia un energico e indispensabile collaboratore di Federico II, dotato di ampie competenze. Wölfelin contribuì alla riorganizzazione dei beni della casata in questa regione, dispose la costruzione di cinte murarie intorno alle città alsaziane, si adoperò per incrementare la popolazione cittadina attuando politiche di trasferimento, svolse le funzioni di giudice e di testimone di atti e si distinse nella lotta politica contro i vescovi e i principi avversari degli Hohenstaufen. Dopo la partenza di Federico II dalla Germania nel 1220, Wölfelin dovette cedere ben presto la sua carica a un ministeriale nobile, ma nel 1227 fu reintegrato da re Enrico (VII) e ottenne nuovamente la sua antica posizione. Dopo la caduta del sovrano nel 1235-1236 fu messo sotto accusa per essersi arricchito esageratamente e Federico II lo privò di tutte le sue cariche. Gli fu intentato un processo in seguito al quale Wölfelin perse anche i suoi beni, che gli furono confiscati.
Oltre al sovrano, anche i principi ecclesiastici e laici, la piccola nobiltà, gli abati e le badesse promossero la fondazione di città. Accanto alle antiche città vescovili fondate dai romani alle quali fu dato nuovo impulso, sul Reno, la Mosa, il Danubio e il Lech, altre più recenti si svilupparono dai luoghi di mercato e furono elevate al rango giuridico di città, e altre ancora ebbero origine da insediamenti circostanti a palazzi e a conventi reali. Ma lo sviluppo delle città, con l'estensione in forma reticolare o lineare, già si scontrava con i limiti più o meno naturali delle loro opportunità di esistenza. Dopo la fine degli Hohenstaufen la fondazione di città non subì un arresto, ma in seguito furono fondati essenzialmente centri le cui possibilità di sviluppo si dimostrarono circoscritte.
Nuove fondazioni reali, che in alcuni casi risalivano palesemente a stadi precedenti, furono impiantate sulle terre della casa sveva che comprendevano feudi e allodi, e inoltre sulle terre imperiali ed ecclesiastiche. A partire dalla seconda metà del sec. XIII queste città furono denominate 'città imperiali' (civitates Imperii), mentre nell'ottica del sovrano e nel linguaggio della cancelleria erano nostrae et Imperii civitates. All'epoca di Federico II queste definizioni erano ancora generiche e fluttuanti, per cui nella terminologia specialistica - senza esaurire con ciò tutte le loro manifestazioni - si parla di 'città reali' in riferimento al signore della città, oppure di 'città imperiali' in considerazione dell'area sulla quale era ubicata la fondazione. Ma più importante del territorio di fondazione originario era il rapporto che la città intratteneva con il sovrano, il quale concedeva privilegi, deteneva la giurisdizione diretta e il diritto di tutela, insediando a tale scopo il balivo, lo sculdascio (scultetus, causidicus) o Ammann - secondo la denominazione adottata nelle città della Germania sudoccidentale - come giudice nel tribunale degli scabini, e per loro tramite garantiva la difesa della pace e del diritto. In breve, il sovrano era il 'signore e giudice' diretto delle sue città; per quanto concerne le altre, in qualità di massima autorità dell'Impero era giudice supremo e custode del diritto. La concessione di terreni ai cittadini, l'assegnazione di privilegi e la protezione sovrana potevano determinare rapporti giuridici parziali delle città nei confronti dei diversi signori, che solo gradualmente andarono semplificandosi fino a configurarsi in un rapporto dominante univoco, ma in alcuni casi durante il Medioevo non furono ancora riconducibili a un unico signore.
Le città reali, che furono in parte edificate su terre già originariamente reali, erano soggette alla sovranità esclusiva del re; quelle insediate su terre ecclesiastiche in origine furono sottoposte a un condominio tra fondatore reale e balivo, da un lato, e signore ecclesiastico, dall'altro; nelle città imperiali soggette a baliato, ossia una forma particolare di città ubicate su terre ecclesiastiche, il re deteneva soltanto il baliato. La città di Ratisbona, che nell'Alto Medioevo contava circa quindicimila abitanti ed era, dopo Colonia, non solo una delle città più popolose della Germania ma anche la metropoli commerciale più importante del Sud, ospitava un palazzo reale e un convento ducale, nonché una sede vescovile, e sottostava a una sovranità multipla, caratterizzata da continui spostamenti di potere, in cui erano coinvolti il re, il duca di Baviera e il vescovo locale. La diretta appartenenza all'Impero, nella singolare formulazione del privilegio per Lubecca del 1226, equivaleva contemporaneamente a uno specifico fattore di libertà cittadina rispetto alle altre sovranità, se Federico II, in considerazione dei servizi resi da questa città - che non era una fondazione reale - all'imperatore e all'Impero, proclamò la sua volontà "ut predicta civitas Lubicensis libera semper sit, videlicet specialis civitas et locus imperii et ad dominium imperiale specialiter pertinens, nullo umquam tempore ab ipso speciali dominio separanda" (Quellensammlung, 1967, nr. 134, p. 210). Nel privilegio rilasciato nel 1219 a Norimberga, fondazione situata su terre imperiali che ospitava un palazzo imperiale, il rapporto diretto fra il sovrano e i cittadini viene espresso senza far menzione dell'Impero, ma esclusivamente specificando che i cittadini del luogo non dovevano avere nessun altro advocatus all'infuori di Federico II e dei sovrani e degli imperatori che gli sarebbero succeduti. I particolari rapporti con il re e l'Impero vengono definiti inoltre come sovranità e proprietà (dominium) e protezione (defensio), nel caso di Berna, intorno al 1218, o anche come potere sovrano (ditio, potestas) nel privilegio per Vienna del 1237. I sovrani, quando si trovavano in ristrettezze finanziarie o intendevano legare a sé sostenitori politici, davano in pegno oltre alle terre imperiali anche le città soggette alla loro sovranità. Federico II lo fece con villaggi, luoghi di mercato, castelli e conventi, ma anche con la città di Düren (1241) e con quella di Altenburg insieme al territorio di Pleissen (1246); inoltre promise di dare in pegno Esslingen a garanzia di un debito in denaro da saldare (1246).
Le imposte delle città e dei villaggi reali, da quanto segnalano i registri per il 1241-1242, ammontavano a poco più di 7.000 marchi d'argento, ai quali si aggiungevano altri 875 marchi versati dagli ebrei. Si trattava di un'imposta (precaria) fissata da re Corrado IV che la riscuoteva dalle città e dagli uffici delle amministrazioni, in misura minore dalle signorie fondiarie insediate sui beni della casa sveva e imperiali, nonché dagli ebrei. Il fondamento giuridico di quest'imposta era la protezione e l'esercizio della giurisdizione reale (avvocazia) nei confronti di città, castelli, ebrei, e di soggetti e servi delle signorie rurali. Nel registro delle entrate provenienti dalle imposte sono comunque assenti città come Norimberga e Lubecca. Una regolarità nell'imposizione e un ammontare costante delle entrate ricavate dalle tasse sono individuabili nel caso della città di Costanza, in origine vescovile, per la quale si è osservato che versava un contributo 'abituale' di 60 marchi, di cui la metà era ceduta al vescovo. Dall'elenco emergono alcune prassi economico-finanziarie del sovrano, come i mandati di pagamento in favore di alcuni balivi e signori stranieri, la copertura di certe spese reali tramite singole imposte e il calcolo di concessioni equivalenti, come per esempio il riscatto di un balivato dato in pegno in cambio della città di Wesel. Per incentivare la costruzione di mura cittadine furono concessi numerosi sgravi fiscali ed esenzioni dalle imposte; una nutrita serie di città e castelli ottenne l'esonero in seguito a catastrofici incendi. Ai cittadini di Norimberga nel 1219 Federico II confermò il diritto, già concesso dai suoi predecessori, di pagare nel caso di una riscossione delle imposte non come persone singole ma come comunità, tuttavia secondo le possibilità contributive individuali. In quest'autorizzazione a ripartire il contingente di imposta tra i cittadini sotto la propria responsabilità è prefigurato un significativo principio dell'economia finanziaria comunale.
Un indice di valutazione della politica reale promossa da Federico II nei confronti delle città è l'influenza che l'imperatore esercitò sullo sviluppo cittadino attraverso il rilascio di documenti relativi al diritto civico e di privilegi che comprendevano prerogative giuridiche e libertà personali ed economiche, e inoltre regolamentazioni di questioni relative al diritto processuale, diritti di possesso, di successione e di famiglia, diritto penale, diritto di pace e amministrativo. Tuttavia Federico II si limitò in molte circostanze a confermare le concessioni dei suoi predecessori. Solo in rari casi nuovi privilegi per città già esistenti erano riconducibili a un'iniziativa del sovrano; piuttosto, erano sollecitati sul piano sia formale che dei contenuti dalle suppliche dei cittadini. Nelle loro petizioni costoro esponevano aspirazioni e aspettative: il sovrano le concedeva nella forma richiesta o in forma modificata, oppure le respingeva. Per ottenere dall'imperatore il privilegio del 1226, gli inviati della città di Lubecca dovettero intraprendere un lungo viaggio che dalla costa del Mar Baltico li portò fino a Borgo S. Donnino (Fidenza).
Per formulare un giudizio equilibrato sulla politica reale nei confronti delle città e sull'organizzazione giuridica, appaiono rivelatori innanzitutto i dati quantitativi. Si sono conservati circa settanta documenti di diverso tipo rilasciati da Federico II destinati alle città e ai cittadini dell'area tedesca dell'Impero. La cerchia dei beneficiari è limitata a trentacinque città diverse, tra cui si contano dodici città vescovili, otto città situate sulle terre imperiali e otto città palatine, quattro ubicate su allodi svevi e tre città governate da altri signori. In cima alla lista dei destinatari, Worms si aggiudica otto documenti, seguita da Strasburgo e Lubecca con cinque ciascuna, Aquisgrana, Colonia e Spira con quattro, Oppenheim e Ratisbona con tre, mentre per altre otto città sono attestati due documenti per ciascuna e per altre diciotto è stato rintracciato un solo documento per ognuna. Fra i settanta documenti menzionati, nove ampi privilegi riguardanti il diritto civico sono stati rilasciati in favore di Aquisgrana (1215), Goslar (1219), Annweiler (1219), Norimberga (1219), Molsheim (1220), Pfullendorf (1220), Lubecca (1226), Ratisbona (1230) e Vienna (1237). La villa di Annweiler ottenne i suoi diritti sul modello della città di Spira e contemporaneamente le furono confermati i diritti e le libertà di cui già godeva. Nel privilegio indirizzato all'antica fondazione reale di Goslar furono rinnovati e ribaditi sia le libertà che i diritti già concessi dai predecessori di Federico, che erano stati modificati e usati in modo indebito da alcuni abitanti, e in questa circostanza rescripta sparsi furono accorpati scrupolosamente in una struttura unitaria. Quando la città di Berna nel 1218 passò all'Impero, Federico II confermò senza restrizioni le ampie libertà cittadine degli Zähringen, evitando di imporre alla città le sue concezioni giuridiche. Il privilegio per Norimberga accordato da Federico II confermava precedenti concessioni di diritti e inoltre mirava a compensare gli svantaggi economici naturali dovuti all'ubicazione geografica della città. Quindici città ottennero unicamente la conferma degli antichi privilegi con i loro cataloghi di norme emanati dai predecessori o dai vescovi e dai principi. Ai privilegi relativi al diritto civico accordati e confermati si aggiunsero altri documenti regi dai contenuti giuridici rigorosamente circoscritti, che riguardavano per esempio l'organizzazione di fiere, la protezione accordata ai visitatori dei mercati oppure il recupero della grazia del sovrano.
I privilegi conferiti a Lubecca ebbero grande portata e significato, poiché furono trasmessi insieme al diritto cittadino alle altre città affiliate. Laddove gli stessi Svevi erano signori diretti della città, concessero in generale alcune condizioni economiche favorevoli e libertà giuridiche personali, ma nessun diritto politico di autodeterminazione. Nel privilegio del 1226 per Lubecca, con i suoi sedici articoli, è interessante osservare che gli abitanti, con l'allargamento loro accordato del territorio cittadino, il trasferimento della facoltà di coniazione alla città e l'esenzione dai diritti doganali a Odensloe in loro favore, indussero l'imperatore a usurpare pesantemente i diritti del conte di Schauenburg. Per il resto, il privilegio di Lubecca si concentrava soprattutto sull'esenzione dalla presa in ostaggio a favore dell'effetto vincolante del giuramento generale di fedeltà, sulle franchigie doganali, sulla coniazione delle monete imperiali, per cui era previsto il versamento annuale al sovrano di 60 marchi d'argento, sull'esenzione dallo ius naufragii nel territorio imperiale e dalle imposte indirette nel ducato di Sassonia, sulla libertà di traffico per le merci attraverso i territori sovrani confinanti di principi e signori, come pure sugli scambi commerciali garantiti da salvacondotto sui tratti di strada da e per la città. Le libertà fondamentali e i diritti del governo comunale cittadino, l'istituzione del consiglio e la sua facoltà di legiferare e di esercitare la giurisdizione sui propri statuti erano già contenuti nel privilegio rilasciato da Federico Barbarossa nel 1088, che gli abitanti fecero rimaneggiare e ampliare intorno al 1225 dal canonico Maroldo sulla base di queste competenze. Il privilegio, falsificato nei contenuti e con un sigillo contraffatto, fu confermato nel 1226 in occasione del conferimento dei privilegi alla città da parte di Federico II con validità perenne. Il privilegio rilasciato a Norimberga nel 1219, con i suoi diciotto articoli, conteneva solo poche disposizioni fondamentali, come per esempio l'importante esenzione dal duello giudiziario nell'Impero - riguardante i mercanti -, e altre relative alla conclusione definitiva di una causa penale tramite lo sculdascio, alle diverse forme del diritto di possesso, ai beni in affitto, al pignoramento o al divieto per gli abitanti di Norimberga, in particolare i mercanti, di costituire un pegno di propria iniziativa sulla base del diritto personale. Inoltre, nell'ottica di un'incentivazione economica della città, sulla base di disposizioni relative ai singoli casi, fu concesso il diritto di acquistare nei mercati di Donauwörth e di Nordlingen pagando con gli pfennig d'oro e d'argento di Norimberga, di cambiare denaro e di battere moneta in località straniere.
Per quanto concerne la dogana, fu istituita una stazione doganale sul Danubio e, nel tratto di strada che collegava Passavia e Ratisbona, fu concessa la franchigia doganale. Altri due articoli erano dedicati alla tassazione degli abitanti di Norimberga a Spira e a Worms. Dal privilegio concesso da Federico II a Ratisbona nel 1230 emerge come accanto alla pace del sovrano esistesse anche una pax iurata dei cittadini che era soggetta a un termine e veniva ciclicamente rinnovata; ma si evince anche che si dovevano sempre prevedere periodi in cui questo giuramento collettivo veniva meno. Da numerosi articoli si desume che i cittadini stabilivano collectae, prendevano altri provvedimenti per il mantenimento dei diritti della città, e in particolare concedevano autorizzazioni a costruire basate sulla legislazione edilizia. Cittadini esperti insieme con mastri della zecca del duca e del vescovo dovevano effettuare tre volte all'anno le prove per la coniazione. Più antica è la facoltà concessa ai cittadini di eleggere un 'conte anseatico' incaricato di svolgere le funzioni di giudice nelle cause relative al commercio e ai mercati esterni. Inoltre si parlava, a proposito dell'irruzione nella casa di un cittadino e dell'appropriazione di un bene, del presupposto di un judicium civitatis e di una sententia concivium nell'esercizio della giurisdizione ducale nei confronti dei cittadini. Per quanto riguarda l'esistenza di tre signori della città con diritti sovrani diversi, Federico II salvaguardò la posizione giuridica, i diritti di possesso e gli interessi dei cittadini a fronte delle pretese avanzate dal duca di Baviera e dal vescovo. L'imperatore, tuttavia, era tenuto anche a tutelare i diritti della Chiesa in città, assicurati da alcune disposizioni particolari e in generale da una clausola di salvaguardia.
Regolamentazioni privilegiate che riguardavano lo status giuridico individuale di abitanti della città di condizione non libera, trasferiti dalla campagna o che sottostavano al diritto di consorzio della familia vescovile (ius curiae, lex familiae), e la progressiva uguaglianza di fronte alla legge relativamente alla libertà personale di tutti gli abitanti nella città, erano variamente applicate soprattutto nelle città vescovili renane - che avevano contato numerose associazioni soggette al diritto della familia vescovile nel periodo compreso fra Enrico V e Federico Barbarossa - ed erano in parte in competizione con le disposizioni reali e quelle vescovili, sebbene non fossero ancora configurate in modo definitivo. Le regolamentazioni contenute nei privilegi di Federico II garantivano nel complesso agli abitanti una nuova e più elevata qualità della libertà, tuttavia facevano dipendere la futura accoglienza di persone non libere dalla decisione dei loro signori (Pfullendorf 1220); esoneravano dai servizi esterni e dalle imposte i non liberi (Mosheim 1220), oppure escludevano che il signore potesse riacquisire su di loro dei diritti dopo un anno di residenza stabile in città o di possesso del diritto di cittadinanza (Annweiler 1219, Goslar 1219, Vienna 1237). Il privilegio per Ratisbona del 1230 distingue 'asserviti', censuales - asserviti senza prestazione di servizi personali - e 'persone sotto tutela', e assume a criterio per la riduzione delle imposte legate al diritto personale e della prestazione di servizi l'ammontare delle imposte per la città o per il re e il vescovo. Nel 1232 Enrico (VII), in occasione di un caso particolare, rinunciò sostanzialmente da allora in poi all'esercizio del diritto di imporre il matrimonio alle figlie e alle vedove dei cittadini di Francoforte, Wetzlar, Friedberg e Gelnhausen.
Il balivo, lo sculdascio o l'Ammann in qualità di rappresentanti del signore della città tutelavano i suoi diritti di sovranità nei confronti della popolazione cittadina e dei comuni già costituiti: si trattava della salvaguardia della pace dei mercati, dei castelli e delle città, della giurisdizione sovrana nel tribunale del balivo e nel tribunale cittadino, dell'esecuzione di sentenze, in particolare di sentenze capitali, e inoltre di compiti più generali di carattere militare, amministrativo e logistico. I funzionari che agivano per conto del signore detenevano funzioni direttive, che molto spesso esercitavano, per forza di cose, di concerto con cerchie selezionate di cittadini. Questo tipo di collaborazione si determinava soprattutto nel tribunale cittadino del signore, dove il giudice presiedeva ai processi in cui tuttavia giudicavano sempre più frequentemente gli scabini della città o collegi formati da scabini. A Strasburgo nel 1214 il consiglio composto da ministeriali e da cittadini ottenne un ampliamento dei diritti di giurisdizione, che dovevano essere esercitati sulla base del diritto statutario e dei privilegi giuridici conferiti alla città. L'uso di un sigillo cittadino in cui erano raffigurate mura, porte e torri (Colonia 1114) è soprattutto rivelatore di una concezione della città e del comune corporativa e collettiva, ma non deve assolutamente indurre a concludere che vi fosse già un consiglio cittadino. Le iscrizioni sul sigillo però alludono alla formazione di una comunità, dato che il sigillo personale dello sculdascio è stato eliminato e in quello cittadino gli elementi legati alla sovranità sulla città sono sempre più ridimensionati a favore della universitas civium. Se invece nelle città emergono le figure dei consules, la loro comparsa rappresenta un segnale del fatto che si è insediato un organo consiliare eletto dai cittadini. Le prime testimonianze dell'esistenza di consules riguardano Utrecht (1196), Lubecca (1201), Strasburgo (1201-1202), Soest (1213), Worms (1215), Colonia (1216) e Spira (1237).
A fronte di una terminologia definita non univocamente, non si deve comunque ritenere che i consigli cittadini siano riconoscibili solo attraverso il nuovo concetto di consules, ma anche sulla base delle più antiche e generali denominazioni di consiliarii e consilium. Nel 1198 re Filippo di Svevia concesse alla città di Spira la libertà di tutelare gli interessi della universitas attraverso dodici cittadini prescelti e di far amministrare la città da questo consilium: si tratta in tal caso di un consiglio cittadino. Prima che nelle altre città, a Basilea sembra essere attestato nel 1185-1190, sotto la denominazione di consilium, un consiglio cittadino autogeno. Federico II conferì privilegi al consiglio di Basilea nel 1212, ma sulla base di una sentenza dei principi nel 1218 dovette sciogliere il consiglio stesso perché creato senza il consenso del vescovo. Quest'ultimo, in qualità di signore della città, insediò di sua iniziativa un consiglio cittadino che è documentato nel 1225. Alla città vescovile di Costanza, per la quale nel 1213 il re e non più il vescovo nominò un balivo, Federico II concesse nel 1225 un concilium civitatis composto di dieci membri che affiancavano lo sculdascio. Questo consiglio, che era esplicitamente contrapposto alla communitas civitatis, operava in stretta connessione con il vescovo. Un altro passo compiuto sulla via dell'emancipazione comunale consiste nel fatto che nelle città lo sculdascio del signore cedette la presidenza del consiglio al borgomastro cittadino.
L'organizzazione di consigli presupponeva, sia sul piano sociale sia su quello storico-giuridico, la formazione a partire dal tardo sec. XI di un ceto di individui liberi, benestanti e attivi soprattutto come mercanti; organizzati in parte in gilde, costituivano il ceto dirigente cittadino come divites, potentes, discreti, maiores o meliores in possesso di determinate competenze nella sfera economica e nella difesa della città. Nelle città renane queste cerchie, in quanto persone di fiducia dei cittadini, si annoveravano, accanto ai ministeriali, tra i consiglieri del signore della città ed erano coinvolte da quest'ultimo nell'esercizio della giurisdizione e in compiti di gestione dell'economia e di difesa della città, finché insieme con i ministeriali vescovili (Strasburgo, Worms) formarono un consiglio cittadino-signorile destinato in special modo a curare gli interessi della città. Tuttavia il consiglio cittadino non rappresentò da subito un governo ampio e generale, perché in un primo tempo in molte città, conservando le istanze signorili la loro sfera d'azione, il suo intervento fu circoscritto ad ambiti di competenza parziali, relativi all'assicurazione della pace o all'amministrazione, come la vigilanza su misure e pesi, i controlli sui generi alimentari e sui mercati, le questioni riguardanti la coniazione, la difesa e la riscossione delle tasse, prima di essere dotato della facoltà di legiferare e della giurisdizione sui propri statuti. È incerto se gli 'arbitri' e gli 'statuti' del consiglio necessitassero dell'approvazione o della conferma del signore. Prima che i cittadini di Costanza - che erano stati a lungo in contrasto con il loro vescovo e fedeli sostenitori di Federico II - passassero nel 1249 sotto Guglielmo d'Olanda, papa Innocenzo IV aveva proibito (1248) che in futuro in città si eleggessero consules. In questa circostanza fu deplorato anche il fatto che i cittadini avessero emanato leggi (statuta), mentre la giurisdizione temporale in città era di pertinenza del vescovo. In questo caso, oltre a fornire una testimonianza precoce sull'attività legislativa del consiglio, il mandato papale enuncia sia la derivazione della facoltà di legiferare dalla giurisdizione, sia un teorema giuridico.
I dettagli del processo che portò alla nascita dei primi consigli cittadini permangono oscuri. Si può immaginare il consiglio come la rapida e consapevole organizzazione di un comitato della comunità dei cittadini, dotato di capacità d'azione, contro il signore della città, oppure come una creazione nata con la sua approvazione. Molto spesso, tuttavia, si è trattato di un processo più lento, in cui i gruppi preminenti di cittadini si organizzarono in modo più compatto per assolvere determinati compiti assegnati dal signore o svolti per conto della cittadinanza, finché alla fine attesero ad altre attività ed ebbero nuove competenze come consiglio eletto dalla cittadinanza. In alcune città vescovili renane e lotaringie la salvaguardia della pace e della guerra prima della nascita del consiglio era affidata a iurati pacis; a Worms il tribunale di pace cittadino si trasformò in consiglio intorno al 1200. In altre città una serie di compiti organizzativi e finanziari di ampia portata, come la costruzione delle mura o, per esempio, la stesura di documenti della giurisdizione volontaria, in particolare nell'ambito delle cessioni, creò punti di cristallizzazione per la costituzione dei consigli. In molte città renane gli scabini del tribunale signorile cittadino, che erano eletti dal vescovo o in alcuni casi si facevano integrare già precocemente da cittadini di spicco (Colonia), svolsero un ruolo significativo anche per gli interessi comunali dell'amministrazione della città e in seguito formarono il consiglio insieme con il gruppo di consiglieri cittadini eletti. A Colonia, prima dell'istituzione del consiglio e anche in seguito, operavano come associazione di meliores un collegio degli scabini e una società delle famiglie locali ricche e potenti (Richerzeche), presieduta da due magistri civium che cambiavano ogni due anni, e i loro funzionari (officiales) possedevano competenze economiche. Nel 1216 fu creato un consiglio che ebbe vita molto breve, perché fu sciolto dall'arcivescovo di Colonia nello stesso anno.
L'organismo consiliare emerge in modo più definito quando la sua istituzione è conseguenza di una concessione giuridica del signore, o quando la costituzione di un nuovo consiglio - con una determinata composizione e una precisa indicazione dei compiti assegnati - segue l'abolizione di uno precedente, in seguito a compromessi con i vescovi signori della città. Invece a Friburgo in Brisgovia, fondazione degli Zähringen, la costituzione del consiglio aveva raggiunto già all'epoca di Federico II lo stadio di una oligarchia delle famiglie potenti che si cooptava autonomamente, per cui nel 1248 al consiglio fu affiancata, con una modifica della costituzione, una rappresentanza del comune eletta annualmente affinché concorresse alla definizione della volontà collettiva. Anche l'arcivescovo di Brema come signore della città espresse il suo sdegno per l'autointegrazione del consiglio, che è menzionato per la prima volta nel 1225, e nel 1246 prese provvedimenti contro l'attività legislativa esercitata dal consiglio stesso senza il permesso del vescovo.
Una prima fase che vede il coinvolgimento dei ceti economici dominanti nell'organo consiliare eletto coincide con il periodo della disputa per il trono (1197-1212). Quest'evoluzione proseguì in modo oscillante, ma in alcune città vescovili nel 1231-1232 fu ostacolata sulla base di sentenze imperiali. Quando Federico II morì, nel 1250, i consules dovevano già amministrare oltre cento città. Dopo il 1250 e fino al 1300 circa, si avviò un'altra fase propulsiva della formazione di consigli all'incirca in altre duecentocinquanta città, in parte incentivata dalla debolezza e dalla disorganizzazione della struttura signorile nel periodo del cosiddetto interregno. Solo allora furono creati consigli cittadini nelle città in crescita economica come Norimberga, Francoforte sul Meno e Augusta, e inoltre nella maggioranza delle città imperiali sveve, in numerose città renane e in alcune città connesse all'espansione verso oriente come Halle, Lipsia, Stralsunda o Breslavia.
Dopo che i cittadini di Strasburgo senza il consenso del loro vescovo, signore della città, avevano istituito un consiglio che compare per la prima volta nei documenti intorno al 1201-1202, con una sentenza dei principi trascritta in un documento regio per il vescovo del 7 marzo 1214 fu proibito loro di organizzare un consiglio senza l'approvazione, la volontà e l'autorizzazione del vescovo e di esercitare la giurisdizione temporale. Probabilmente in quello stesso anno si giunse a una soluzione di compromesso, per cui si stabilì che il consiglio sarebbe stato formato da ministeriali del vescovo e da cittadini, e inoltre che dalla cerchia dei membri del consiglio potevano essere eletti uno o due borgomastri. I consules erano vincolati sotto giuramento a promuovere sotto ogni aspetto l'onore della Chiesa, del vescovo e della città, a difendere la città e tutti i cittadini collettivamente da ogni male e a svolgere la funzione di tribunale. Il 13 settembre 1218 fu emessa un'altra sentenza imperiale, che indusse Federico II a revocare i privilegi da lui concessi alla città di Basilea e a vietare agli abitanti la costituzione di un consiglio senza il consenso e la volontà del vescovo. Dietro richiesta del vescovo di Liegi re Enrico (VII), il 23 gennaio 1231, proclamò durante la dieta di Worms la sentenza dei principi a proposito dell'istituzione di consorzi (communiones), convenzioni (constitutiones), leghe (colligationes) o comunità vincolate da giuramento (coniurationes) nelle città (civitates, opida) dell'Impero. In seguito al verdetto, agli abitanti delle città non fu consentito insediare queste associazioni di propria iniziativa. Ma neppure il re era autorizzato a concedere alle città l'auctoritas per creare simili associazioni senza il consenso dei loro signori, mentre d'altra parte i signori non potevano accordare il permesso senza il benestare del re: se ne può concludere che quest'autorizzazione poteva essere data sulla base di un'intesa fra il re e il signore. Anche l'arcivescovo di Magonza e i vescovi di Würzburg e Worms si fecero redigere un documento che attestava la decisione del sovrano.
La richiesta del vescovo di Besançon di confermare la sentenza proclamata da Enrico (VII) portò a un nuovo giudizio pronunciato nel dicembre del 1231 alla dieta di Ravenna. Lo stesso Federico II, adottando una terminologia giuridico-costituzionale più circostanziata, revocò e annullò in quest'occasione tutti gli accordi definiti nelle città della Germania dalla comunità dei cittadini (universitas civium) senza il consenso degli arcivescovi o dei vescovi, in merito all'istituzione di rappresentanze del comune (comunia), consigli (consilia), borgomastri o rettori (magistri civium seu rectores), o altri funzionari (officiales). Inoltre soppresse tutte le confraternite (confraternitates) e le società (societates) degli artigiani. E proclamò come principio giuridico-costituzionale che l'amministrazione (ordinatio) delle città e dei loro beni doveva rimanere per sempre prerogativa dei vescovi e dei funzionari da loro prescelti. Le istituzioni comunali e associative erano polemicamente definite come un'enormità (enormitas), un abuso (abusus), consuetudini esecrabili (consuetudines detestandae), che dietro le sembianze del bene celavano sotto un falso manto l'ingiustizia, arrecavano danno al diritto e all'onore dei principi imperiali e di conseguenza sminuivano il prestigio dell'imperatore. Il documento imperiale è un prodotto altamente artificioso e ambiguo: innanzitutto Federico abolisce tutte le istituzioni comunali create dalla comunità cittadina senza il consenso dei signori ecclesiastici e che de facto, in conseguenza di ciò, non esistevano de iure; inoltre dichiara nulli tutti i documenti che erano stati emanati dal capo supremo dell'Impero e dai signori ecclesiastici a proposito di queste istituzioni, ma a danno dei signori delle città e dell'Impero. Fu creato così uno status quo di principio a favore dei diritti dei signori ecclesiastici, ma per il futuro non erano esclusi sviluppi in senso comunale d'intesa con l'imperatore e il signore della città. Inoltre si tratta non di una sentenza univoca dei principi, ma di una costituzione e sanzione imperiale, che sulla base del testo deriva da una deliberazione giuridica (decretum) dei principi, ma al tempo stesso anche da una decisione conforme al diritto della volontà imperiale ex certa scientia, fondata sulla plenitudo potestatis dell'imperatore. Federico II annulla - fatto salvo il danno per i principi e l'Impero - anche i propri privilegi comunali, facendo apparire tuttavia, con calcolata dizione giuridica, che la sovranità dei vescovi sulle città, non originaria bensì derivata, era garantita sulla base del privilegio reale e imperiale (libertas) e del dono (donus). La revoca delle istanze comunali e delle corporazioni era una conseguenza della volontà dell'imperatore di interpretare i diritti privilegiati di sovranità sulle città nel modo più ampio (latissime) - si tratta di nuovo di termini e regole giuridiche - e di assicurare un pacifico, ossia incontestato, diritto di possesso. Dieci signori ecclesiastici - gli arcivescovi di Besançon, Brema, Hildesheim, Colonia, Magonza, Metz, Ratisbona, Treviri, Strasburgo e Worms - si fecero redigere un documento della sentenza imperiale.
L'imperatore nel maggio del 1232 vietò il consiglio di Worms e inflisse il bando ai cittadini recalcitranti. Il vescovo ricevette l'incarico di distruggere il municipio come simbolo dell'autogoverno cittadino, ma gli abitanti preferirono prendere in mano la situazione dandogli fuoco. L'autorizzazione a formare un consiglio ottenuta in precedenza dai cittadini, il 17 marzo 1232, insieme alla conferma dei privilegi da parte di Enrico (VII), rimase senza effetto, e il 4 agosto il re dovette ribadire la proibizione del consiglio. Con la mediazione del re il 27 febbraio del 1233 si giunse a un'intesa fra il vescovo, gli ecclesiastici e i cittadini: sarebbe stato istituito un consiglio che si sarebbe riunito sotto la presidenza del vescovo, composto da nove cittadini scelti dal prelato e sei ministeriali vescovili scelti dai nove cittadini; inoltre i consiglieri erano tenuti a prestare giuramento al vescovo per svolgere le loro funzioni. Federico II nel 1238 ridusse il consiglio a quattro ministeriali vescovili e otto cittadini. A Ratisbona, malgrado la sentenza imperiale del 1231, nel luglio del 1232 iudices e consilium cittadino compaiono come partners nelle trattative di re Enrico (VII); nel 1243 è attestato un borgomastro e nel 1244 un municipio. Quando Federico II, colpito dalla scomunica, si trovò in conflitto con il papa, concesse nel 1245 agli abitanti di Ratisbona, perché si schierassero dalla sua parte, il diritto di istituire liberamente istanze e uffici comunali. L'imperatore aveva spiegato preliminarmente che il cancelliere imperiale e vescovo Sigfrido di Ratisbona non poteva più beneficiare del privilegio di Ravenna - in questi termini Federico definiva la sentenza del 1231 - essendo passato proditoriamente a sostenere il papa e che allora il privilegio era stato rilasciato in seguito alle molteplici e umili pressioni di vescovi e arcivescovi, cioè attraverso la via della supplica. Nella città di Magonza fu lo stesso vescovo signore della città a concedere ai cittadini nel 1244 un ampio privilegio relativo ai diritti civici e in questa circostanza ratificò la costituzione del consiglio. La comunità dei cittadini ottenne il riconoscimento dello sviluppo costituzionale comunale approfittando del conflitto apertosi fra l'arcivescovo e gli Svevi.
Sotto Federico II ed Enrico (VII) le città furono oggetto di una serie di ulteriori sentenze imperiali, che riguardavano il diritto di tenere mercato, la giurisdizione dei mercati, la coniazione, il cambio di denaro, l'estensione del territorio urbano, la libertà delle vie regie, il diritto di fortificazione dei principi e gli homines proprii dei signori. Nella Confoederatio cum principibus ecclesiasticis del 1220 (v.) Federico II dispose affinché sulle terre ecclesiastiche non potessero essere edificate strutture come castelli o città sulla base di un'avvocazia o con un altro pretesto. Inoltre vietò ai funzionari regi di avocare a sé la giurisdizione su dogana e monetazione nelle città rette da principi ecclesiastici. Nello Statutum in favorem principum del 1232 (v.), strappato in un primo tempo a re Enrico (VII) che era stato messo con le spalle al muro, si ribadiva espressamente il divieto esteso allo stesso imperatore di edificare nuovi castelli o città su proprietà ecclesiastiche facendo riferimento all'avvocazia. La crescita della rete delle città e l'aumento della densità insediativa determinarono problemi di concorrenza economica che emersero dalla prescrizione che i nuovi mercati non avrebbero dovuto in nessun caso danneggiare quelli già esistenti. La maggior parte degli articoli riguardava le città reali e la loro estensione sui territori circostanti appartenenti a principi e nobili e rappresentava una reazione alla dinamica e aggressiva politica sveva a favore delle proprie città reali. La giurisdizione di queste ultime non poteva estendersi oltre l'ambito urbano e, in contrasto con l'aspirazione delle città di far decidere tutte le controversie giudiziarie riguardanti i cittadini unicamente dal tribunale cittadino, si fece valere il principio radicato anche nel diritto romano che il querelante dovesse seguire l'imputato di fronte al suo tribunale. Gli abitanti della campagna (Pfahlbürger) che, a di-scapito dei vincoli che li legavano ai principi e ai signori, avevano instaurato un particolare rapporto di cittadinanza con la città dovevano esserne espulsi. Questa disposizione era ripresa anche nella pace imperiale magontina (1235), che vietava inoltre di tenere accoliti (Muntmannen) sottoposti a un capo. Era interdetto anche ai signori e alle città di riscuotere da persone che abitavano all'esterno, o da stranieri, tasse e dazi, definite gabelle (Ungeld), con il pretesto della costruzione di fortificazioni.
Le città non rimasero assoggettate ai loro signori in isolamento, ma tentarono di creare collegamenti reciproci a livello regionale o sfruttando le direttrici dei loro commerci. Re Enrico (VII) nel 1226 sciolse un'ampia lega di città che era pregiudizievole per la Chiesa magontina. Questa lega era composta, di base, da un nucleo centrale, che raccoglieva le tre città vescovili renane di Magonza, Worms e Spira, nonché Bingen, e inoltre dalle città imperiali più recenti e da città palatine del Wetterau, come Francoforte, Friedberg e Gelnhausen, che si erano aggiunte in un secondo tempo. Queste città, situate lungo il medio corso del Reno e nella regione del Wetterau, formarono in seguito la base della grande Lega delle città renane. Le città alsaziane si associarono nel 1227-1228 e di nuovo nel 1246-1247 con altre città, nel periodo in cui i principi tedeschi contrapposero all'imperatore scomunicato Enrico Raspe e poi Guglielmo d'Olanda. Intorno al 1229-1230, nel vescovato di Liegi si costituì una Lega di città contro i vescovi signori delle città e delle terre ecclesiastiche, che re Enrico (VII) dovette vietare dopo una sentenza dei principi del 1231. Tuttavia fu rinnovata nel 1234 e il sovrano, che si era ribellato al padre, ebbe contatti sia con la Lega di Liegi che con la seconda Lega lombarda.
Al più tardi tra 1243 e 1245, Berna si associò con Friburgo nell'Üchtland e Murten. Altre leghe di città si formarono, intorno al 1250 o prima, nell'area del Reno superiore e in Vestfalia. In Lotaringia Toul, Metz e Verdun si unirono per appoggiare gli Svevi contro Guglielmo d'Olanda, mentre quest'ultimo riuscì ad attirare al suo fianco le città consorziate di Goslar, Hildesheim e Brunswick riconoscendo la loro lega. Obiettivi di queste leghe erano la difesa della pace e la salvaguardia dei privilegi e dei diritti cittadini. L'epoca delle grandi leghe cittadine, che coinvolsero anche principi e signori e resero le città importanti fattori della politica imperiale, fu inaugurata dalla Lega renana del 1254-1255.
fonti e bibliografia
Historia diplomatica Friderici secundi; Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches […], a cura di J.F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Innsbruck 1881-1901.
M.G.H., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, a cura di L. Weiland, 1896; III, a cura di J. Schwalm, 1904-1906.
Urkunden zur städtischen Verfassungsgeschichte, a cura di F. Keutgen, Berlin 1901.
Quellensammlung zur Frühgeschichte der deutschen Stadt (bis 1250), a cura di B. Diestelkamp, in Elenchus fontium historiae urbanae, a cura di C. van de Kieft-J.F. Niermeijer, I, Leiden 1967, pp. 3-277.
K. Weller, Die staufische Städtegründung in Schwaben, "Württembergische Vierteljahrshefte für Landesgeschichte", n. ser., 36, 1930, pp. 145-268.
G. Landwehr, Die Verpfändung der deutschen Reichsstädte im Mittelalter, Köln-Graz 1967.
H. Stoob, Formen und Wandel staufischen Verhaltens zum Städtewesen, in Id., Forschungen zum Städtewesen in Europa, I, Köln-Wien 1970, pp. 51-72.
W. Maier, Stadt und Reichsfreiheit. Entstehung und Aufstieg der elsässischen Hohenstaufenstädte (mit besonderer Berücksichtigung des Wirkens Kaiser Friedrichs II.), Zürich 1972.
B. Am Ende, Studien zur Verfassungsgeschichte Lübecks im 12. und 13. Jahrhundert, Lübeck 1975.
H. Koller, Zur Stadtpolitik der Staufer in Süddeutschland, "Die Alte Stadt", 5, 1978, pp. 317-349.
Südwestdeutsche Städte im Zeitalter der Staufer, a cura di E. Maschke-J. Sydow, Sigmaringen 1980.
H. Rabe, Frühe Stadien der Ratsverfassung in den Reichslandstädten bzw. Reichsstädten Oberdeutschlands, in Beiträge zum spätmittelalterlichen Städtewesen, a cura di B. Diestelkamp, Köln-Wien 1982, pp. 1-17.
B. Diestelkamp, Staufische Privilegien für Städte am Niederrhein, in Königtum und Reichsgewalt am Niederrhein, a cura di K. Flink-W. Janssen, Kleve 1983, pp. 104-144.
H. Stoob, Die hochmittelalterliche Städtebildung im Okzident, in Die Stadt. Gestalt und Wandel bis zum industriellen Zeitalter, a cura di Id., Köln-Wien 1985, pp. 131-150.
E. Isenmann, Die deutsche Stadt im Spätmittelalter: 1250-1500. Stadtgestalt, Recht, Stadtregiment, Kirche, Gesellschaft, Wirtschaft, Stuttgart 1988.
E. Engel, Die deutsche Stadt des Mittelalters, München 1993.
H. Keller, Federico II e le città: esperienze e modelli fino all'incoronazione imperiale, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 17-33.
E. Rotter, Das königliche Hofgericht zwischen bischöflicher Stadtherrschaft und 'coniuratio communiae' (11.-13. Jahrhundert), in Geschichte der Zentraljus-tiz in Mitteleuropa. Festschrift für Bernhard Diestelkamp zum 65. Geburtstag, a cura di F. Battenberg-F. Ranieri, Weimar-Köln-Wien 1994, pp. 39-59.
Europas Städte zwischen Zwang und Freiheit. Die europäische Stadt um die Mitte des 13. Jahrhunderts, a cura di W. Hartmann, Regensburg 1995.
M. Blattmann, Rechtssetzung und Rechtsverschriftlichung in den deutschen Städten zur Zeit Friedrichs II., in '... colendo iustitiam et iura condendo ...'Federico II legislatore del regno di Sicilia nell'Europa del Duecento. Per una storia comparata delle codificazioni europee. Atti del Convegno internazionale di studi (Messina-Reggio Calabria, 20-24 gennaio 1995), a cura di A. Romano, Roma 1997, pp. 573-617.
M. Groten, Köln im 13. Jahrhundert. Gesellschaftlicher Wandel und Verfassungsentwicklung, Köln-Weimar-Wien 19982.
G. Dilcher, Die Rechtsgeschichte der Stadt, in Id.-K.S. Bader, Deutsche Rechtsgeschichte. Land und Stadt - Bürger und Bauer im alten Europa, Berlin 1999, pp. 251-682.
(traduzione di Maria Paola Arena)