Giudici, Regno di Germania
Il Regnum Teutonicum era un territorio in cui vigevano consuetudini giuridiche tramandate oralmente. In una cultura giuridica di questo tipo la posizione e la funzione del giudice sono differenti rispetto agli ordinamenti giuridici fondati sul diritto scritto. In quest'ultimo caso il giudice decide sulla base dei testi e dei metodi che gli sono noti. Nei territori con consuetudini giuridiche orali, al contrario, egli incarna solo il potere sovrano e provvede affinché il dibattimento proceda regolarmente secondo le norme, mentre la decisione sul modo in cui dev'essere definita la controversia, ossia la sentenza, spetta a coloro che conoscono le consuetudini giuridiche, ossia tutti gli uomini liberi che hanno la competenza e l'obbligo di comparire in un tribunale del popolo (Dinggenossen); si parla perciò di un modello giuridico fondato su questo tipo di struttura (dinggenossenschaftlich). In questo sistema giudiziario non esiste alcuna struttura gerarchica per cui a una parte soccombente è consentito appellarsi a un'istanza più alta, con la possibilità che la sentenza dell'istanza inferiore sia controllata ed eventualmente corretta. La cosiddetta istanza non era un ricorso come l'appello, bensì la richiesta di un'autorità più alta durante la fase in cui si deliberava la sentenza nel caso di controversia sulla sentenza, prima che questa fosse pronunciata, allo scopo di ottenere un verdetto giusto.
Nel Sachsenspiegel ('Codice sassone'), elaborato fra il 1221 e il 1225 come compilazione privata, Eike von Repgow delineò un quadro ideale dell'ordinamento giudiziario della Germania, in cui il re era il giudice supremo dell'Impero (Sachsenspiegel. Landrecht, 1955, III, 26 §1), dal quale derivava ogni potere giudiziario. I signori che detenevano la giurisdizione sul loro territorio e sedevano nelle alte corti di giustizia ricevevano dal re il potere giudiziario tramite conferimento del bannus, ossia il diritto di ordinare e vietare, e in particolare l'alta giurisdizione (Bannleihe; ibid., 64 §5). Al re spettava il potere giudiziario laddove era presente, per cui poteva amministrare in loco la giustizia (ibid., 60 §2). Ogni membro dell'Impero poteva sottoporre al re anche altrove la sua accusa. Il sovrano poteva avocare a sé qualsiasi processo intentato in un altro tribunale e pronunciare una sentenza finché il giudice locale non l'aveva emessa (diritto di avocazione).
La realtà che si ricostruisce dalle fonti corrisponde solo in parte a questo scenario. Nel Regnum Teutonicum i tribunali sorgevano e funzionavano sul territorio in modo largamente indipendente dal re, come tribunali di potenze locali o territoriali. Nella Germania meridionale (Svevia e Franconia) del tardo Medioevo esistevano senz'altro tribunali imperiali, comunque il conferimento della giurisdizione (Bannleihe) regia per i tribunali svevi tardomedievali è attestato solo del tutto eccezionalmente. Lo stesso vale per i liberi tribunali della Vestfalia noti con il nome di 'feme' o 'veme', che nel tardo Medioevo derivavano dall'imperatore il loro potere giudiziario. Ma oggi la legittimazione del potere giudiziario da parte del sovrano, riscontrabile in entrambi i casi, è considerata un fenomeno tardomedievale che dev'essere posto in relazione con il movimento per la pace territoriale. Perciò non appare possibile trarne deduzioni sull'epoca sveva.
Invece le osservazioni sulla giurisdizione del re di Germania nella sua corte si fondano su un terreno più solido. Il re, nel primo Medioevo, giudicava nella sua corte in merito a controversie che ‒ nel X e XI sec. ‒ gli venivano sottoposte quasi esclusivamente da membri della Chiesa imperiale in seguito a violazioni arbitrarie contro le posizioni giuridiche delle loro chiese. Solo a partire dalla metà del XII sec. vi fu un incremento dei casi in cui anche grandi laici, o addirittura mercanti e borghesi, fecero valere i loro problemi di fronte alla corte regia. Di regola il re esercitava personalmente la funzione di giudice, per quanto dalle fonti non sia sempre agevole dedurre con sufficiente certezza se agisse come giudice che giudicava in prima persona o come presidente di un tribunale. Solo per il regno dell'imperatore Federico Barbarossa possediamo testimonianze relative alla delega della funzione di giudice da parte del sovrano.
Federico II nel suo primo soggiorno in Germania esercitò la funzione di giudice con maggior frequenza rispetto ai suoi due predecessori, re Filippo di Svevia e Ottone IV, in un periodo equivalente. Quest'attività subì una flessione quando Federico, dopo aver ceduto al figlio minorenne Enrico (VII) il Regno, ritornò in Italia per tutelare i suoi interessi in questo paese. Anche se il padre imperatore da quel momento non rinunciò interamente alla funzione di giudice per le cause tedesche, tra l'elezione del giovane Hohenstaufen a re di Germania (1220) e la sua deposizione da parte dell'imperatore alla dieta di Magonza (1235), fu prevalentemente il re minorenne, rimasto in Germania, a esercitare la giurisdizione regia. Dal suo ritorno in Germania nel 1235 fino alla dieta di Cremona nel novembre 1238 Federico II si dedicò con maggior intensità alla sua funzione di giudice, mentre per l'ultimo decennio della sua vita sono state tramandate solo poche testimonianze della sua attività giudiziaria per il Regnum Teutonicum. Il figlio Corrado IV, eletto re ancora bambino, fu attivo come giudice molto più sporadicamente rispetto a suo fratello Enrico (VII) deposto e imprigionato nel 1235. Rientrava evidentemente nella norma che anche Federico II ed Enrico (VII) avessero delegato il loro potere giudiziario.
Invece Federico II, nella pace di Magonza emanata in occasione della dieta imperiale riunita in questa città nel 1235, introdusse un'innovazione istituzionale che doveva connotare l'immagine del tribunale regio fino al 1451, istituendo la carica di giudice della corte imperiale. La pace imperiale magontina è tramandata solo in una versione in latino, sebbene a Magonza il testo sia stato discusso in tedesco e diffuso oralmente, perché in caso contrario non sarebbe stato compreso dall'assemblea. Solo in seguito fu redatta una versione latina ufficiale, che costituisce l'unico testo tramandato di quest'importante fonte della storia dell'Impero. Al contrario, non si è conservata una versione tedesca, anch'essa compilata con certezza a Magonza. L'importanza della pace imperiale di Magonza per lo sviluppo del diritto e della costituzione tedeschi è dimostrata anche dal fatto che re Rodolfo I e re Alberto I la rinnovarono in lingua tedesca. In questa nuova forma fu addirittura ritenuta degna di essere glossata dal giurista Nikolaus Wurm.
Nella pace imperiale di Magonza l'imperatore deliberò "ut curia nostra iustitiarum habeat" (art. 28). Così, in Germania, veniva creato per la prima volta alla corte del sovrano un ufficio il cui detentore poteva rappresentare il re nell'attuazione dei processi, nel caso in cui questi fosse impedito a presiedere personalmente in tribunale. Una serie di indizi prova che si trattava di una soluzione in sostanza abbastanza diversa rispetto alla delega del potere giudiziario per un singolo processo. Fu stabilito, per esempio, che il giudice di corte dovesse restare in carica almeno un anno. Sia la denominazione di ufficium, sia la definizione di un periodo minimo di durata della carica attestano la marcata differenza rispetto agli iudices delegati o ai giudici commissariali per singoli processi riscontrabili fin dal tempo di Federico Barbarossa e anche in seguito.
Il giudice di corte non aveva bisogno di una qualifica professionale, e neppure era richiesto che avesse compiuto studi giuridici. Doveva semplicemente essere un vir libere conditionis. Questa premessa, legata esclusivamente alla sua condizione, per poter svolgere l'ufficio di giudice di corte, corrisponde alla sua posizione nel tribunale regio dei Dinggenossen. Egli doveva unicamente rappresentare il re come giudice e non partecipava alla deliberazione della sentenza, per la quale erano forse necessarie, o avrebbero potuto esserlo, cognizione di causa e conoscenze giuridiche specifiche. In ogni caso, per quanto concerne l'ufficio di giudice di corte, risulta fuorviante istituire confronti con la carica di giudice di gran corte creata da Federico II nel Regno di Sicilia: in questo caso si trattava infatti di un giudice che giudicava in prima persona. Di conseguenza quest'ufficio fu ricoperto da un giurista altamente qualificato come Pier della Vigna. Invece il giudice di corte tedesco doveva essere soltanto un uomo di condizione libera, una circostanza che corrispondeva alla sua posizione in un tribunale in cui le cariche erano ricoperte in base al ceto.
Sotto un altro aspetto, invece, il tribunale di corte istituito da Federico II in Germania assomigliava alla sua creazione siciliana. Infatti il giudice di corte doveva tenere sedute in ogni giorno feriale. Il suo compito era quindi caratterizzato dalla regolarità. Che nella prassi questa successione regolare di sedute non sia documentabile, dipendeva dal fatto che alla corte regia non erano sottoposte controversie sufficienti da richiedere sedute quotidiane del tribunale di corte: la frequenza delle sedute attestabili era notevolmente inferiore, come dimostrano i volumi con i regesti dei documenti che forniscono le prove dell'attività del tribunale fino all'anno 1369. Questa constatazione comunque non modifica in nulla l'intenzione dell'imperatore Federico II di creare un tribunale che si riunisse con regolarità.
Compito del giudice era (art. 28) quello di rendere giustizia a tutti i querelanti. Le sue competenze erano comunque limitate "preterquam de principibus et aliis personis sublimibus in causis, que tangunt personas ius honorem feoda proprietatem vel hereditatem eorundem, et nisi de causis maximis. Predictorum etenim discussionem et iudicium nostra celsitudini reservamus". Le cause realmente importanti erano quindi riservate al sovrano. Federico II non intendeva assolutamente conferire un'importanza distintiva alla carica di giudice di corte di nuova creazione all'interno del suo sistema di corte, come dimostra anche il fatto che egli non l'affidò a nessun grande dell'Impero, ossia a un principe imperiale o anche solo a un conte. Preferì invece per la prima nomina a giudice di corte il nobile Alberto di Rosswag, personaggio di non particolare spicco. Durante lo svolgimento delle sue funzioni nel 1235 si diede corso a una querela dell'abate di Murbach e nel febbraio 1236 fu emessa una sentenza a favore degli abati di Maulbronn e S. Gallo. Nel 1240, in un documento di re Corrado IV a favore del convento cistercense di Pairis, Alberto viene citato come antico "iustitiarius imperialis curie" che in un momento imprecisato ha assolto dal bando un donatore. Sotto re Corrado IV nel 1237 un (O)ttone o (C)orrado di Weiler, quindi di nuovo un nobile, compare come giudice di corte reale. La carica sopravvisse all'età sveva, come dimostra un documento del 1255 del conte Adolfo di Waldeck, che sotto re Guglielmo d'Olanda, con l'insolito titolo di "iustitiarius reipublicae", condusse in veste di giudice il processo della chiesa capitolare di S. Gereone di Colonia contro (Filippo) di Hohenfels. Mentre i due antiré Alfonso di Castiglia e Riccardo di Cornovaglia nel periodo dell'interregno non nominarono alcun giudice di corte, re Rodolfo d'Asburgo, dopo la sua elezione e incoronazione, non esitò a lungo prima di ripristinare la carica creata dal grande Svevo nel 1235.
La posizione particolare del nuovo ufficio traspare anche dal fatto che il giudice di corte, secondo l'art. 29, ottenne una propria cancelleria indipendente dalla cancelleria regia generale e un suo sigillo personale. Il "notarius specialis" del giudice di corte ebbe assegnati compiti ampi, come l'organizzazione di un archivio del tribunale di corte, in cui andava custodita la documentazione relativa al processo, la gestione di un libro delle proscrizioni (Achtbuch), di un registro delle citazioni in tribunale, e inoltre di altri registri riguardanti il tribunale di corte. Questi registri alla fine del XIV sec. e nella prima metà del XV vengono menzionati nei documenti ma non si sono conservati. Sono stati tramandati unicamente frammenti del libro delle proscrizioni del XV sec., singoli resti di questa cancelleria autonoma del tribunale di corte. Invece il sigillo personale del giudice di corte è testimoniato quattro volte già all'epoca di Federico II, malgrado oggi sia disponibile solo un esemplare frammentario. Presentava l'iscrizione "sigillum imperialis iudicii", con cui si sottolineava il carattere ufficiale dell'istituzione e non solo la dignità della carica di giudice di corte, come avrebbe espresso l'iscrizione "sigillum iudicis curiae imperialis" senza menzione del nome.
È possibile individuare il motivo per cui fu creata una cancelleria a sé stante per il nuovo tribunale di corte. I notai della cancelleria regia erano chierici e ricevevano prebende ecclesiastiche come remunerazione per l'adempimento del loro ufficio. Invece lo scrivano del tribunale di corte doveva essere un laico (art. 29): "Idem erit laicus propter sentencias sanguinum, quas clerico scribere non licet, et preterea ut, si delinquit in officio suo, pena debita puniatur". Entrambe le motivazioni derivano dal diritto canonico. La prima è una conseguenza del principio ecclesia non sitit sanguinem (cf. Erler, 1971-1998, coll. 795 ss.). Questo divieto valeva per qualsiasi tipo di coinvolgimento in sentenze capitali, anche per la loro registrazione. È significativo che questa motivazione sia assente nelle versioni tedesche più tarde. Si tratta di una circostanza che suggerisce come questi testi più recenti rispecchino una situazione in cui il tribunale del re di Germania non emetteva più sentenze capitali. Anche la seconda motivazione ha origine dal diritto canonico e tiene conto del privilegium fori del clero. Un chierico che avesse commesso infrazioni nello svolgimento del suo ufficio poteva evitare di essere giudicato da un tribunale laico con pene gravi. Quanto era ritenuto evidentemente accettabile senza problemi per i notai della cancelleria regia generale, era considerato inaccettabile nel caso del notaio del tribunale di corte, che doveva essere attivo nell'ambito della giurisdizione. La gestione di questo nuovo funzionario fu perciò posta sotto la minaccia di sanzioni penali in caso di mancanze nei confronti dei suoi doveri d'ufficio. Questo dimostra quanto valore Federico II attribuisse in complesso alla nuova istituzione. Sotto tale aspetto, si possono senz'altro trovare elementi di confronto con il tribunale di gran corte siciliano.
fonti e bibliografia
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(traduzione di Maria Paola Arena)