LINGUE, REGNO DI GERUSALEMME
La situazione linguistica del Regno di Gerusalemme non si può isolare da quella degli altri stati crociati, cioè, all'epoca di Federico II, il Regno di Cipro, il principato di Antiochia e la contea di Tripoli; gli stati crociati a loro volta devono essere inquadrati nell'ambito dell'Oriente latino, cioè quelle regioni del Mediterraneo orientale in cui i franchi (o latini) esercitano in varie forme il loro potere militare, politico ed economico: queste regioni includono, nel periodo in questione, oltre agli stati crociati, l'Impero latino d'Oriente, il principato di Morea e le isole egee sotto l'influenza (poi sotto il diretto dominio) dei veneziani e dei genovesi.
Un elemento unifica, dal punto di vista linguistico, l'intero Oriente latino: la diffusione del francese come lingua della classe dirigente, tanto a livello scritto quanto a quello orale. Le ragioni di tale diffusione sono di tipo socio-politico: proviene dall'area gallo-romanza buona parte dell'aristocrazia feudale che regge, in difficile equilibrio con il potere centrale, le sorti politiche dei territori d'Oltremare, così come il più consistente nucleo di coloni ivi stanziatisi. È dunque in francese tutta la produzione scrittoria che a questa classe dirigente fa riferimento, come committente o destinataria: opere giuridiche e storiografiche; poesia lirica, satirica, moralistica; traduzioni; iscrizioni civili ed epitaffi; trattati diplomatici e accordi commerciali; carte pubbliche e lettere private. I testi conservati risalgono ai secc. XIII-XV, ma è probabile che il francese si affermi, almeno in alcuni degli ambiti di scrittura sopra menzionati, già nel corso del XII secolo. In qualche caso ‒ come quello della legislazione o dell'epigrafia ‒ si tratta di un'affermazione piuttosto precoce, considerando la coeva situazione delle varietà oitaniche in area europea. Il francese è anche lingua di comunicazione internazionale in ambito politico-diplomatico: gli archivi di Venezia, ad esempio, conservano copie trecentesche dei documenti con cui il sultano di Aleppo al-Nāṣir Yūsuf (1254) e i sovrani d'Armenia Leone II (1272), Leone III (1307) e Leone IV (1321) concedono o confermano dei privilegi commerciali ai veneziani; i documenti originali sono stati probabilmente redatti in arabo e in armeno e poi tradotti, nelle cancellerie di Aleppo e di Sis (o forse di Tiro), in francese.
Tutto lascia credere che il francese goda di un'analoga diffusione anche a livello orale, ma le testimonianze sono naturalmente assai più sfuggenti; sappiamo, ad esempio, che il domenicano Giordano di Sassonia, invitato dai Templari oltremare (1236 ca.), è costretto a predicare mescolando a fatica il poco francese che conosce ‒ ma che è evidentemente la lingua del suo pubblico ‒ al nativo tedesco (Gerardo di Frachet, 1896, p. 144). A conferma del ruolo del francese come strumento vivo di comunicazione, si possono anche citare alcuni orientalismi arrivati agli antichi volgari italiani attraverso la mediazione francese, come boccaccino (〈 francese boucassin 〈 turco bogasï), cammellotto (〈 francese camelot 〈 arabo khamlat), carobola (〈 francese caroble 〈 arabo kharrūba).
La documentazione proveniente dall'Oriente latino non è sempre stata edita in modo accurato, ed è quindi difficile ricostruire in modo soddisfacente la fisionomia del francese d'oltremare; nel complesso, esso si presenta come una varietà relativamente caratterizzata all'interno della compagine dialettale oitanica. Tale caratterizzazione ‒ sensibile sul piano lessicale, ma avvertibile anche su quello fonetico e morfologico ‒ dipende in larga parte dalla tipologia testuale, ed è naturalmente più marcata in testi pratici, meno accurati dal punto di vista stilistico-letterario. In senso generale, si può dire che il francese d'oltremare presenti alcune caratteristiche delle varietà di koinè, in quanto risultato dell'incontro fra parlanti francofoni provenienti da regioni diverse ‒ con il contributo di parlanti non francofoni, che usano il francese come seconda lingua ‒, e nello stesso tempo mostri una relativa autonomia dal processo di normalizzazione che investe, a partire dal XIII sec., le varietà oitaniche europee, orientandole in direzione della lingua della regione parigina. Il francese d'oltremare appare articolato in (almeno) due sottovarietà: il francese siro-palestinese e quello cipriota (assai meglio documentato del primo).
L'Oriente latino è dunque un'area linguistica segnata dalla francocrazia; ma accanto al francese, con diverse funzioni comunicative e in diversi gruppi sociali, vi sono usate anche altre lingue. Così nelle città costiere, in ambito marittimo e mercantile, hanno larga circolazione alcuni volgari italiani, come il veneziano e il genovese, poiché la navigazione e i commerci sono gestiti soprattutto da Venezia e da Genova, che proprio in questo periodo, e grazie agli scali d'oltremare, costruiscono i loro formidabili imperi; mercanti e marinai veneziani e genovesi ‒ nonché pisani, amalfitani, marsigliesi, ecc. ‒ risiedono oltremare in genere per brevi periodi e sono organizzati in comunità autonome, dotate di specifici privilegi e di una relativa extraterritorialità. L'uso dei volgari italiani è, in area mediterranea, prevalentemente orale, come testimonia il gran numero di parole di origine greca e araba diffusesi nelle lingue europee occidentali per tramite italiano. Non mancano però esempi di testi con funzione politico-diplomatica, come le traduzioni in veneziano degli accordi con i sultani di Aleppo al-Ẓāhir Ghāzī (1207-1208) e al-῾Azīz (1225), conservate da copie più tarde, e la traduzione toscana del trattato di pace fra i pisani e il califfo di Tunisi Abū ῾Abdallāh (1264), di mano notarile e di fattura piuttosto solenne. È possibile che la coeva affermazione del francese come lingua della diplomazia e dell'amministrazione pubblica e privata abbia influito ‒ insieme ad altri fattori ‒ su questa apertura di nuovi spazi per i volgari italiani; anche se occorre ricordare che il latino resta, di qua come di là dal mare, lingua privilegiata per questo tipo di scrittura.
Oltre al francese, ai volgari italiani e ‒ per alcuni usi scritti ‒ al latino, sono diffuse oltremare le lingue delle popolazioni autoctone, diverse nelle diverse regioni in questione. Per limitarsi agli stati crociati, il greco è lingua materna della maggior parte dei ciprioti ‒ l'isola è sottratta nel 1191 da Riccardo Cuor di Leone all'Impero bizantino ‒ e di buona parte degli abitanti di Antiochia, ed è lingua di culto dei cristiani melchiti, presenti in tutto il territorio, anche se osteggiati dalle gerarchie ecclesiastiche latine. L'arabo è lingua materna dei musulmani, numerosi soprattutto nelle campagne, nonché dei membri delle comunità cristiano-orientali (melchiti, giacobiti, maroniti, nestoriani), che usano come lingua di culto il siriaco o il greco; in ambito cultuale i musulmani si servono, naturalmente, dell'arabo, utilizzato anche da molti intellettuali cristiano-orientali come lingua scritta di cultura. L'ebraico è usato nelle comunità ebraiche ‒ rinvigorite nel XIII sec. da una forte ondata migratoria dall'Europa ‒ per il culto, nonché per la scrittura di ambito filosofico e poetico, accanto all'arabo.
La distribuzione delle diverse lingue che convivono negli stati crociati dipende dunque da vari elementi: appartenenze di tipo etno-religioso, condizioni storico-sociali, gerarchie di prestigio culturale. In alcuni contesti queste lingue entrano in contatto fra loro, producendo scambi lessicali e, probabilmente, la formazione di più o meno effimere varietà veicolari.
Non sembra che la situazione di accentuato plurilinguismo che caratterizza gli stati crociati, e in generale l'Oriente latino, abbia provocato la nascita di una lingua franca dotata di stabilità e compattezza, che si possa ricollegare a quella documentata, a partire dal XVI sec., sulle coste dell'Africa settentrionale. Piuttosto, è probabile che in certi ambienti ‒ come quelli dei marinai, dei mercanti, degli eserciti ‒ si siano diffuse varianti semplificate e ridotte delle lingue di maggiore circolazione, che non hanno lasciato traccia di sé ma che hanno favorito il passaggio di materiale lessicale da una lingua all'altra. In altri ambienti ‒ come in settori dell'amministrazione e in ristretti gruppi intellettuali ‒ è la presenza di individui che hanno competenza di più lingue (spesso i cristiano-orientali) a garantire l'efficacia degli scambi comunicativi.
Della complessa e stratificata realtà linguistica dell'Oriente latino è possibile oggi ricostruire solo alcuni aspetti ‒ quelli attinenti agli usi scritti e ai livelli alti del sistema ‒, mentre altri si possono appena intuire o sfuggono del tutto. È auspicabile che l'edizione di nuovi documenti o la rilettura di quelli già editi possano contribuire a rendere più perspicuo il quadro d'insieme.
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