Giudici, Regno di Sicilia
Con valenza generale si qualifica giudice qualunque soggetto, monocratico o collegiale, dotato del potere e dell'autorità di pronunciare giudizi, pareri e decisioni. Nello specifico del linguaggio giuridico l'appellativo suole indicare l'organo legittimato a risolvere le controversie sorte nella vita quotidiana, distinguendo un possibile giudice del fatto, avente il compito di accertare i fatti dedotti in causa, da un giudice del diritto, competente a decidere della qualificazione giuridica delle fattispecie accertate. Dal che la possibilità che la potestà di pronunciare giudicati vincolanti ed esecutivi venga attribuita a un magistrato 'politico', coadiuvato da iudices competenti per l'accertamento dei fatti o per la loro qualificazione di diritto.
Volgendo l'attenzione allo specifico contesto del Regnum Siciliae, va tenuto conto dell'esistenza di due distinti livelli di iudices, regi e cittadini, agenti all'interno di un medesimo complesso ordo iudiciarius promanante dal sovrano.
Quantunque negli indices cinquecenteschi, posti a corredo delle antiche edizioni del Liber Augustalis (si veda, ad esempio, il vasto repertorio ex promptuario iuris utriusque doctoris Gabrielis Sarayne, in Constitutionum, 1773, pp. 433-560), sotto i lemmi iudex e iudices appaia raggruppata gran parte delle materiae che vedevano partecipi i magistrati esercenti una giurisdizione, nel lessico delle Constitutiones, di norma, risultano distinti, in virtù delle funzioni esercitate, officiales regii e iudices. Fra gli officiales nostri titolari di giurisdizione venivano compresi i baiuli, i camerari, i giustizieri, i castellani, i capitani, i secreti ("Iustitiarios, Camerarios, Castellanos et Baiulos sollicitos esse volumus et devotos ut ubi necesse fuerit et pro commodis Curiae nostrae per Dohanae Secretos et Quaestorum magistros vel alios officiales extiterint requisiti consilium et auxilium eisdem debeant impartiri", disponeva la Const. I, 37, Iustitiarios; ibid., p. 85). Di contro, con la qualifica di giudice erano indicati gli 'assessori' che, collaborando a livello cittadino o centrale con i baiuli, i camerari e i giustizieri, formavano tribunali giudicanti, nonché i magistrati che conferivano certezza giuridica ai contratti. Così, la costituzione Statuimus disponeva "ut magnae Curiae nostrae Magister Iustitiarius nobiscum in curia commoretur cui quatuor iudices volumus assidere" (Const. I, 38; ibid., p. 86), mentre la costituzione Cum circa prescriveva "quot et quales baiuli, iudices et notarii per urbes singulas iustitiam ministrarent [...] de mandato nostro duobus aut tribus aut quinque in locis aliquibus qui contractibus tunc intersint et uno tantummodo qui una cum baiulo causas examinent et decidant" (Const. I, 74; ibid., p. 134).
La Cum circa, nel suo insieme basilare per la definizione dell'impianto giudiziario concepito da Federico II per attuare la giustizia nel Regno pacificato, di-sponeva che "discreta itaque vicissitudine temporum, dum post bellorum strepitus, obtenta victoria, succederet quies pacis ad hoc se nostri nominis principalis ingenii erexit provisio, ut paci iustitiam sociaret". Aboliti gli antichi giudici del tempo dei disordini, veniva pertanto ristabilito il sistema delle curie baiulari formate da un baiulo, un giudice assessore e un notaio cancelliere, tenute a giudicare "iuxta tenorem [...] constitutionum et iura et consuetudines approbatas", astenendosi dall'accettare regali e traendo le proprie sentenze "de purae consciaentiae gremio". Ai giudici era imposto di non chiedere emolumenti alle parti, prevedendosi che "de munificentiae nostrae gratia salarium a curia nostra recipiant". Gratuità della giustizia e remunerazione pubblica dei giudici erano principi che trovavano conferma nella novella Cum iuxta, ove si diceva che "salaria Baiulis, iudicibus atque notariis exhibenda non iniusta recompensatione providimus" (Const. I, 75; ibid., p. 136), stabilendo altresì un rigido sistema di controlli sull'opera dei baiuli e dei giudici. Pene assai severe venivano comminate ai magistrati infedeli o che avessero denegato giustizia "odio, vel amore, prece, vel precio", affidandone la vigilanza ai camerari e ai giustizieri. Peraltro, alle costituzioni Si iudex e Iudex, che, riportando un'assisa del tempo di Ruggero, punivano i giudici che pronunciavano una sentenza "fraudulenter atque dolose contra leges" o che "accepta pecunia reum aliquem criminis et mortis fecerit" (Const. II, 50.1 e II, 50.2; ibid., p. 287), si aggiungevano le costituzioni Corruptela e Litigator che, punendo chiunque avesse tentato di corrompere un giudice o un ufficiale regio (Const. II, 51; ibid., p. 288), qualificavano crimen publicum il reato di corruzione, la cui accusa competit cuilibet de populo (Const. II, 50.3; ibid., p. 288).
Ancora una costituzione fondamentale per la materia, In locis demanii, prescriveva che, fatta eccezione per Amalfi, Capua, Napoli e Salerno, ove potevano esistere cinque giudici, in tutte le universitates demaniali "iudices non plures tribus [...] volumus ordinari", disponendo che la loro nomina fosse regia: "a nobis tantum modo ordinari" (Const. I, 81; ibid., p. 142). L'innovazione dell'investitura regia trovava conferma nella novella Cum nova, con cui s'imponeva che "iudices de quaestionibus cognoscentes per nostram celsitudinem debeant promoveri", fermo restando che "per iudices tantum a nobis statutos coram baiulis causas omnes examinari volumus et per sententiam terminari" (Const. I, 83; ibid., p. 144). Quest'ultima previsione rivestiva particolare interesse per la determinazione del rapporto giudice-baiulo, al cui proposito il glossatore Marino da Caramanico osservava che "iudices [...] debere ferre sententias et in praesentia baiulorum, et sic videtur quod baiulus non debet loqui in sententia sed iudices tantum [...] et sic videtur quod baiulus non sit iudex ordinarius cum non possit ferre sententias, quod posset si esset ordinarius" (gl. Et baiulis, ad Const. Cum nova; ibid., p. 144). Ugualmente il commentatore Andrea d'Isernia annotava che "iudex praesente baiulo pronunciat, non baiulus cum iudice", ed ancora: "nota contra illos qui dicunt baiulos debere iudicare et iudices esse assessores, quod falsum est. Iudices enim debent iudicare coram baiulo" (gl. Sed per iudices e gl. Terminari, ad Const.Cum nova; ibid., pp. 144-145), di fatto distinguendo 'giudici ordinari' e 'ufficiali regi', nonostante che altrove sembrino disegnate corti collegiali composte da baiuli et iudices regni nostri (Const. I, 96, In civilibus; ibid., p. 160) e i giudici siano espressamente qualificati assessores (Const. I, 51, Iustitiarii; ibid., p. 107).
Sostanzialmente confermando quanto già previsto da Ruggero, per cui "iudex vel notarius publicus aliquis quod vilis conditionis sit, villanus aut angarius forsitan, item filii clericorum, spurii aut modo quolibet naturales, in posterum creari non possint aut aliquatenus promoveri", con un disposto peraltro recepito nella costituzione Constitutione presenti (Const. III, 60; ibid., p. 416), Federico con la novella In locis demanii prescriveva che "nullus iudex vel notarius publicus nisi forte sit de demanio et homo demanii statuatur, ita quod nulli sit de servitio vel conditioni subiectus nec alicui alii personae ecclesiasticae vel seculari, sed immediate nobis tantummodo teneatur" (Const. I, 81; ibid., p. 142).
La medesima norma stabiliva, quindi, i requisiti necessari per la nomina del giudice che, esibendo litterae testimoniales rilasciate dagli abitanti del luogo, attestanti fides et mores iudicis e che ipsius loci consuetudinibus sit instructus, doveva presentarsi al sovrano, o a un suo delegato, e sostenere innanzi alla Regia Curia un esame teso ad accertare la conoscenza literaturae et etiam iuris scripti, ovvero del diritto regio e della dottrina di diritto comune.
Veniva così programmato un corpo di iudices periferici, conoscitori del diritto, che dovevano amministrare la giustizia in uno con i baiuli, o vigilare sulla redazione degli atti pubblici, garantendone la fides in uno con i notai, come previsto nella costituzione Instrumentorum (Const. I, 84; ibid., p. 145).
Una scelta 'di qualità' che veniva esplicitamente ribadita nella novella Iudices, ove, oltre a fissare l'annualità dell'ufficio, veniva previsto l'accesso ad esso di giurisperiti "remotis perpetuis hactenus ordinatis, ut est dictum, annui viri illustres et fideles et iurisperiti, si unquam in regno reperiantur idonei, decernantur" (Const. I, 97.4; ibid., p. 164).
Se, come avveniva nelle corti baiulari, un giudice assisteva i giustizieri provinciali, erano invece tre i giudici membri delle corti dei camerari e quattro quelli della Gran Corte, che si riuniva presieduta dal magister iustitiarius o da un suo vicario (Gregorio, 1857, pp. 229-230).
Requisiti comuni a tutti i magistrati risultavano l'essere industres et fideles et iurisperiti per costituire un ceto di funzionari tecnicamente preparati e fedeli alla Corona, indipendentemente dalle appartenenze d'origine. In questa prospettiva risultava significativo anche il riordino dello Studium di Napoli, nel 1224, fondamentalmente una scuola giuridica votata a formare magistrati e giuristi per la monarchia. I giudici federiciani dovevano essere dei fideles non più tratti dai milites, come in precedenza. Si aprivano, contestualmente, nuove possibilità per gli esperti di diritto, soprattutto per gli iuris doctores, con fondate prospettive di occupare un'alta magistratura.
Va però tenuto presente che, parlando di 'giudici cittadini', per l'età federiciana non può farsi riferimento a 'giudici della città', ovvero eletti dalle universitates civium. In questa prospettiva, il divieto della costituzione Cum satis era severissimo, comminando pene assai dure ai ribelli, nella misura che "quaecumque autem universitas in posterum tales ordinaverit desolationem perpetuam patiatur et omnes homines eiusdem civitatis angarii in perpetuum habentur". La stessa costituzione, peraltro, distinguendo iudices e officiales, prescriveva che "potestates, consules seu rectores in locis aliquibus non creentur [...] sed officiales tantum a nostra maiestate statutos vel de mandato nostro. Magistros Iustitiarios, Iustitiarios, Camerarios, Baiulos et Iudices ubique per Regnum nostrum volumus esse" (Const. I, 50; Constitutionum, 1773, p. 106). Il divieto, ovviamente, non veniva meno neppure quando, come nei casi di Messina, Napoli e Salerno, si consentiva che restassero in vita, di fatto solo nel nome, le tradizionali magistrature degli strategoti, al posto dei baiuli (Const. I, 93.2, Circa tamen; ibid., p. 133), mentre la novella Cum nova proibiva la permanenza dell'ufficio degli admezatores esistenti a Napoli, nel sospetto che potessero celare dei giudici locali elettivi (Const. I, 83; ibid., p. 144).
L'unica magistratura cittadina, ma assolutamente priva di funzioni giurisdizionali, poteva identificarsi nei boni homines iurati, i cui nomi erano registrati nei quaternioni della cancelleria regia, cui la costituzione Magistros mechanicarum artium affidava funzioni di controllo annonario prescrivendo "ut omnibus artificibus ipsis committendarum fraudium via et materia praecludatur, per loca quaelibet duos eligi volumus fide dignos, per terre baiulos ordinandos [...] quorum officialium nomina etiam per literas, sub sigillis et subscriptionibus eligentium et eorum qui in his consilium dederint eligendis, ad nos per locorum dominos volumus destinari, et ex approbatione nostra vel aliorum quorum intererit retineantur idonei et non idonei refutentur [...] quos officiales, ut officium eis commissum fideliter et diligenter exerceant, tactis Sacrosantis Evangeliis sacramenti religione volumus obligari" (Const. III, 49; ibid., p. 407). Dalla norma traspare una grande cautela nell'individuazione e nel controllo di questi 'giurati' (destinati a conoscere un significativo processo evolutivo in età aragonese), cui non era, peraltro, riconosciuta alcuna funzione di rappresentanza, che invece, ad esempio in occasione dei generalia colloquia, era esercitata da sindaci appositamente eletti (Gregorio, 1857, pp. 250-251).
Volendo passare all'accezione più ampia del termine giudice, non ci si può esimere dal fare riferimento, seppure descrittivamente, all'ordo iudiciarius Regni e, in questa prospettiva, seppure non vada esasperata la continuità esistente fra la monarchia normanna e quella sveva, risulta opportuno qualche rapido riferimento preliminare ai precedenti normanni in più occasioni ripresi, per essere ribaditi o variati, nelle Constitutiones di Federico.
La conquista normanna della Sicilia non aveva avuto come immediata conseguenza l'imposizione di una giurisdizione unitaria, ma aveva lasciato in vigore più sistemi normativi e giurisdizionali connessi alla coesistenza di gruppi etnici diversi, dando così vita a una realtà composita che trovava puntuale riscontro nelle Assise di Ariano, ove si disponeva:"Leges a nostra maiestate noviter promulgatas [...] generaliter ab omnibus precipimus observari; moribus, consuetudinibus, legibus non cassatis, pro varietate populorum nostro regno subiectorum, sicut usque nunc apud eos optinuit, nisi forte nostris his sanctionibus adversari quid in eis manifestissime videatur" (Le Assise di Ariano, 1984, p. 70).
Lentamente iniziavano a configurarsi due livelli di giurisdizione: una minore, ordinariamente limitata ai soli affari civili e alla giustizia penale di secondario rilievo, concessa alle universitates demaniali, parzialmente regolata da consuetudines loci e privilegia regi, e una maggiore, esercitata dal sovrano attraverso suoi giudici, prima costituiti ad hoc per la soluzione di singole controversie e successivamente formanti una struttura stabile. Un terzo livello poteva identificarsi nella giurisdizione feudale, riconosciuta ai singoli signori negli atti d'investitura o con specifiche concessioni, mentre presentava rilevanti peculiarità la giurisdizione ecclesiastica caratterizzata dall'Apostolica Legatia concessa, nel 1098, dal pontefice Urbano II al conte Ruggero.
Con la costituzione del Regnum Siciliae, del 1130, prendeva forma il disegno di un ordo iudiciarius uniforme, anche per influenza del progressivo recupero della normativa romano-giustinianea, tecnicamente prevalente oltre che bagaglio culturale di larga parte dei collaboratori del sovrano.
Elementi portanti di quell'articolata struttura erano i baiuli, magistrati regi operanti a livello cittadino, i giustizieri e i camerari, con giurisdizione provinciale. L'assisa 36, Sancimus, che disciplinava le competenze dei giustizieri, disponeva che "latrocinia, fracture domorum, insultus viarum, vis mulieribus illata, duella, homicidia, leges parabiles, calumpnie criminum, incendia, forisfacte omnes de quibus quilibet de corpore et rebus suis mercedi curie debeat subiacere a iusticiariis iudicentur, clamoribus supradictorum baiulis depositis, cetera vero a baiulis poterunt definiri" (ibid., p. 96). La norma confermava, di fatto, una giurisdizione civile distinta da una penale, articolata in alta e bassa, di cui erano titolari giustizieri e baiuli. La giurisdizione dei giustizieri veniva a concorrere con quella feudale, cui il sovrano poneva dei limiti, riservando ai propri giudici, oltre ai giudizi sugli abitanti delle città demaniali e delle terre non infeudate, anche le cause riguardanti i reati reservata maiestatis, da chiunque commessi.
Le giurisdizioni degli stratigoti e dei vicecomiti, giudici locali di tradizione bizantina, erano ristrette alle sole città, mentre funzioni sempre più rilevanti venivano attribuite ai baiuli, ufficiali cittadini di designazione regia, che assumevano il ruolo di magistrati ordinari posti a controllo delle città e dei territori urbani.
Sinteticamente, Romualdo Guarna Salernitano annotava che "Rogerius in regno suo perfecte pacis tranquillitate potitus, pro conservanda pace camerarios et iusticiarios per totam terram instituit, leges a se noviter condidas promulgavit, malas consuetudines de medio abstulit" (1866, p. 423), sottolineando il disegno regio di conservare la pace mediante l'istituzione di articolate magistrature e la promulgazione di nuove leggi, previa revisione delle consuetudini pravae.
Alla costituzione di un ordo iudiciarius uniforme si giungeva solo con Federico II che, oltre a porre fine al sistema della personalità del diritto, riconfermava la distinzione fra giudizio civile e penale: "ipsorum officialium nostrorum officia volumus esse discreta: civilibus quaestionibus alios et alios accusationibus criminalibus preponentes", si diceva nella costituzione Non sine (Const. I, 31; Constitutionum, 1773, p. 81). Ugualmente si differenziava una giurisdizione penale maggiore e una minore, determinando le competenze dei vari giudici ("officiorum periculosa confusio privatorum iura qui iustitiam sitiunt plerumque confundit", si affermava nella Const. I, 61, Officiorum, di fatto riprendendo un'assisa normanna) e si regolamentavano uniformemente le procedure dei tribunali.
L'opera di riforma dell'apparato giudiziario del Regnum, contrariamente a quanto affermato da chi ha sostenuto un intervento di tipo 'codicistico', seppur trovando un momento centrale nella legislazione melfitana, veniva portata a compimento dallo Svevo nell'arco di oltre vent'anni, concretamente dalle Assisae di Capua del 1220 fino alle Novelle barlettane del 1246. Peraltro Federico II dichiarava, nel Liber Constitutionum, di non voler creare nuove magistrature, ma di voler solo ridare vigore a quelle già istituite dai suoi antenati. In quel contesto affermava però la suprema iurisdictio regia, perseguendo qualsiasi giurisdizione concorrente, fatte salve quelle espressamente ammesse per privilegio.
In questa prospettiva, precisando l'ambito della giurisdizione feudale, era chiaramente distinta una giurisdizione civile da una penale, così come venivano ben definite le competenze dei vari giudici, la durata degli uffici, che non si volevano perpetui, nonché i salari, che si prescriveva fossero corrisposti de camera regia, nonché il numero degli ufficiali regi e la loro distribuzione sul territorio.
Il livello più basso, quello del giudicato cittadino, era affidato ai baiuli che esercitavano la loro giurisdizione in materia civile e penale di minor conto, avendo competenze anche fiscali. Questi, come già si è notato, giudicavano in una curia composta da un giudice-assessore e da un notarius ad acta e la costituzione Occupatis nobis prescriveva che "in civitatibus singulis unum tantum modo baiulorum et iudicem unum, qui causarum cognitionibus presint" (Const. I, 97.2; Romano, 1989, p. 234).
Baiuli e giudici (questi concretamente designati dagli homines loci ma non titolari in proprio di alcun potere giurisdizionale), oltre che di nomina regia, erano di durata annuale (Const. I, 97; Constitutionum, 1773, p. 164).
Ai baiuli, in civilibus, erano sovraordinati i camerari provinciali, ognuno operante in una curia formata da tre giudici e da un notaio cancelliere. Oltre a conoscere in secondo grado degli appelli avverso le sentenze dei baiuli, i camerari avevano giurisdizione di primo grado in assenza dei baiuli nonché nelle cause sorte fra baiuli e gabelloti e in tutte le vertenze in cui era coinvolto il fisco (Const. I, 61, Officiorum; ibid., p. 119). Anch'essi giudici annuali e di nomina regia, avevano competenza limitata a un ambito provinciale, restando soggetti ai secreti, mentre le loro sentenze, dapprima appellabili direttamente al sovrano, venivano ora sottoposte al vaglio della Magna Curia Rationum, massimo tribunale con giurisdizione in materia fiscale, formato dai magistri rationales e da uno iudex officii rationum (Romano, 1989, p. 234).
In criminalibus i baiuli erano soggetti ai giustizieri i quali, oltre ad essere competenti sugli appelli contro le sentenze in materia penale rese dai giudici locali, conoscevano in primo grado delle liti civili non esaminate da quei magistrati o proposte "in defectu etiam camerariorum et baiulorum" e giudicavano in prima istanza delle materie d'alta giurisdizione penale, espressamente previste nella costituzione Iustitiarii nomen, ovvero dei furti di maggiore entità, delle rapine, delle calunnie, delle devastazioni di abitazioni, degli incendi, del taglio dei frutteti e dei vigneti, delle violenze alle donne, del porto di armi proibite, dei duelli, dei crimini di lesa maestà e "generaliter omnia de quibus convicti penam sui corporis vel mutilationem membrorum sustinere deberent". Potevano, inoltre, avocare a sé i processi in corso presso le corti inferiori e non definiti entro sessanta giorni ed erano competenti delle controversie fra vassalli e baroni, oltre che a istruire le cause relative ai feudi minori, ovvero non quaternati: "de feudis etiam et rebus feudalibus ipsi cognoscant, praeter quaestiones de castris et baronibus et magnis feudis que in quaternionibus dohanae nostrae scripta sunt; quae omnia singulariter cognitioni curie nostre reservamus" (Const. I, 44; Constitutionum, 1773, pp. 96-97). Duravano anch'essi in carica un anno e presiedevano una curia formata da un giudice e da un notaio con funzioni di cancelliere. La curia del giustiziere era il tribunale periferico di maggiore rilievo, costituendo il vero connettivo dell'amministrazione della giustizia nel Regno (Romano, 1989, p. 234).
Giustizieri, camerari e baiuli, come i giudici, alla fine dell'ufficio dovevano restare a disposizione dei successori per cinquanta giorni per un eventuale giudizio di sindacato sul proprio operato.
Al vertice degli uffici giudiziari dell'isola, ma con compiti anche politici e di alta amministrazione, almeno dopo le riforme del 1239-1240, stava il magister iustitiarius magnae regiae curiae, o gran giustiziere, che Federico II non esitava a definire iustitiae speculum. Dapprima solo componente dell'antica Curia Regis, progressivamente aveva assunto, con un processo di concentrazione e semplificazione, le competenze dei tre maestri giustizieri normanni, dando vita a un ufficio sostanzialmente nuovo (Cuozzo, 1995, pp. 44 ss.). A questo magistrato, del quale si occupavano principalmente le costituzioni Magnae Curiae e Magister iustitiarius, era affidato il compito di sovrintendere al buon andamento della giustizia nel Regno e in sua presenza qualsiasi altro "silere debebit utpote minori lumine maius superveniens offuscato" (Const. I, 41, Honorem; Constitutionum, 1773, p. 93).
Il maestro giustiziere, come si è innanzi accennato, era assistito da quattro giudici formanti la Regia Gran Corte, almeno a partire dal 1239 massimo tribunale stabile del Regno con competenza a giudicare di ogni causa civile, penale o feudale che fosse, oltre che delle cause appositamente delegatele dal sovrano. Competenze e giurisdizione della Regia Gran Corte venivano indicate principalmente dalla novella Statuimus (Const. I, 38.2), mentre le novelle Nihil veterum (Const. I, 38.1), Litteras (Const. I, 39.1) e Hac lege (Const. I, 40.1) venivano a definire, intorno al 1240, anche ruolo e competenza del gran giustiziere.
A conclusione di un articolato processo evolutivo l'organo primitivo della Curia Regis aveva assunto funzioni di natura amministrativa e funzioni giurisdizionali e acquistato una specializzazione 'tecnica', che si manifestava nella composizione limitata ai soli giustizieri che, contestualmente, assumevano le funzioni di magni iudices ai quali il sovrano non esitava ad affidare, quando la natura dei fatti lo richiedeva, in occasione di eventi criminosi particolarmente gravi, anche incarichi di fiducia riconducibili alle antiche inquisitiones.
La previsione di un sistema giudiziario espressione dell'esclusiva iurisdictio sovrana risultava anche dal particolare status personale riconosciuto ai funzionari regi, definiti inviolabili in quanto voce ed espressione della potestas regia.
Eleggere un giudice, come farsi giustizia privata, era reato gravissimo contro la maiestas e l'auctoritas del sovrano, ed era punito in maniera esemplare, come esemplarmente dovevano essere puniti quanti avessero offeso un magistrato, nella persona o nelle decisioni, configurandosi un reato considerato par sacrilegio (Const. I, 4; ibid., p. 15).
Federico II, nella costituzione Pacis cultum, disponeva che "nullus auctoritate propria de iniuriis et excessibus dudum factis vel faciendis, in posterum se debeat vindicare, nec presalias seu represalias facere, vel guerram in Regno movere, sed coram magistro iustitiario et iustitiariis regionum vel locorum camerariis vel baiulis et dominis, prout ad unumquemque eorum causae cognitio pertinet, causam suam ordine iudiciario prosequatur" (Const. I, 8; ibid., p. 21), prevedendo un ordo iudiciarius organico e uniforme, funzionale a un progetto politico che, traendo spunto dall'impianto normanno, ne rafforzava la portata.
Contemporaneamente alla delineazione di un regius ordo iudiciarius, sostanzialmente di nuovo impianto, il sovrano svevo, cosciente dell'importanza delle forme, ne regolava minutamente le procedure ponendo dei capisaldi di notevole portata. Tutte le fasi del processo, dalla citazione alla contumacia, dalla costituzione alla litis contestatio, dall'acquisizione delle prove all'escussione dei testi, dalla proponibilità di eccezioni ad eventuali pronunzie interlocutorie, venivano regolate prevedendo, al termine di processi, che si volevano definiti in un breve arco di tempo, sentenze motivate redatte, a pena di nullità, in forma scritta.
Peraltro, tutte le fasi del processo dovevano essere registrate per iscritto con verbalizzazione affidata a un notaio ad acta, che curava anche la tenuta dei libri curiae.
Si disegnava un sistema, sostanzialmente di natura accusatoria, largamente informato ai principi del processo romano-canonico, retto da giudici-ufficiali regi (esercitanti una funzione prevalentemente politica e titolari di giurisdizione delegata) e giudici-assessori (conoscitori del diritto e con funzione tecnica), con esclusione di giurisdizioni autonome cittadine: era un sistema che poteva mantenere la sua armonica compattezza solo in presenza di un apparato statale funzionante, ma passibile di entrare in crisi con il venir meno della saldezza di quell'apparato.
Si trattava dunque di un sistema costituzionale, oltre che giudiziario, come scrive Paolo Colliva, "di rigida strutturazione burocratica che assicurasse la pace interna ed esterna e con la pace garantisse al re [...] di ritrovare il Regno promptum semper et devotum, cercando nel contempo di assicurare il più completo rispetto della justitia da parte dei funzionari del re: appunto attraverso l'istituzione di un sistema di legalità" (Colliva, 1964, p. 86).
fonti e bibliografia
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