NOTAI, REGNO DI SICILIA
All'interno del complesso e variegato mondo degli "operatori del diritto", i notai hanno occupato, nel Regnum Siciliae, un ruolo di primo piano fin dalla fondazione.
Venuti, in parte, al seguito dei normanni e delle più importanti nationes di mercanti (pisani, genovesi, amalfitani), essi ricoprivano posti di rilievo nella società, dando anche un significativo contributo alla rielaborazione del diritto. Un'importanza attestata anche dalla loro equiparazione al ceto dei cavalieri (Caravale, 1982, p. 98). Le assise ruggeriane non affidavano, in via esclusiva, la potestas di nominare notarii alla regia voluntas e la documentazione pervenutaci attesta, per tutta l'età normanna, l'esistenza di notai creati da vescovi e abati (Cosentino, 1887, p. 308). Peraltro in città quali Amalfi, Sorrento, Napoli, Gaeta esistevano curie notarili che seguitavano a conficere instrumenta secondo l'uso longobardo (Cassandro, 1982, p. 361). È noto che Ruggero consentiva ai populi assoggettati di ricorrere a giudici e notai propri, come confermano, almeno per la Sicilia, le Consuetudini di Palermo, ove la rubrica 36 prevedeva che gli atti negoziali posti in essere "per Saracenos, Iudeos et Grecos Siciliam habitantes […] obtineant firmitatem, et instrumenta confecta de venditionibus vel permutationibus earum, aut quibuscumque contractibus aliis in lingua arabica, greca et hebraica per manus notariorum saracenorum, grecorum vel hebreorum […] firma et stabilia perseverent" (La Mantia, 1900, pp. 186 s.). La documentazione superstite conferma altresì, per quell'epoca, un predominio del notariato greco (von Falkenhausen-Amelotti, 1982, pp. 10-12).
In Sicilia, l'esistenza di un notariato latino, attestata precocemente a Butera nel 1130 e a Paternò nel 1137 (Bresc, 1982, p. 194), è documentata con regolarità soltanto dal 1196 (Romano, 1993, p. 61) e fino al 1180 i notai latini, poco numerosi, erano comunemente preti immigrati, impegnati a redigere gli atti dei nuovi venuti (Bresc, 1982, p. 194).
L'assisa XIX, nonché le assise XXII e XXIV (Zecchino, 1984, pp. 50-52), che punivano il delitto di falso e la distruzione del testamento paterno, costituivano i riferimenti legislativi essenziali riguardanti i notai che olim, secondo un'antica procedura, si diceva in Const. I, 79 (Die Konstitutionen, 1996, p. 252), nelle terre demaniali erano nominati dai maestri camerari.
L'interesse federiciano nei confronti dei notarii può sostanzialmente ricondursi alla volontà di creare funzionari fedeli e preparati da inserire nell'amministrazione regia. La normativa federiciana, peraltro, interveniva, con evidenti intenti di uniformizzazione, in una realtà caratterizzata da situazioni poco omogenee che vedevano, ad esempio, operare "i curiali delle città costiere campane, i notai latini dei territori longobardi e della Puglia centrosettentrionale, i tabularioi greci di Sicilia, Calabria e Terra d'Otranto, per tacere poi dei notai arabi attivi a lungo nell'isola" (Cordasco, 1997, p. 231).
Le disposizioni del Liber Constitutionum sul notariato sono riconducibili a problematiche in parte diverse, con un gruppo di norme regolatrici dell'officium notariorum e un insieme di disposizioni relative alla confectio degli instrumenta.
Con riferimento al primo nucleo, la normativa melfitana sostanzialmente si pone a conclusione di un itinerario che aveva visto crescere e consolidarsi l'importanza e i compiti dei notarii, ora assurti a publiciofficiales, ed è stato osservato che "la visione maiestatica federiciana, concretantesi nel disegno di riportare alla volontà sovrana tutte le estrinsecazioni della iurisdictio regia e le necessità proprie dell'espandersi dei rapporti commerciali, che spingevano a rivestire della più alta garanzia formale ed affidabilità gli strumenti negoziali, inducevano il sovrano ad attribuire una particolare fides agli strumenti dispositivi predisposti in forma pubblica, anche mediante il riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale al notaio" (Romano, 1993, p. 63).
Dall'insieme delle norme sul notariato (essenzialmente Const. I, 42.2, 51, 62.2, 74, 75, 79, 92; III, 59, 60, 90.1, nonché Const. I, 80, 82 e 95.3 relative alla redazione degli instrumenta, e la novella I, 95.1, che prevedeva notai "permanentemente nominati in ogni luogo") si può dedurre una sorta di profilo 'ideale' del notaio, che doveva essere di condizione non vile, figlio legittimo, laico (Const. III, 60). Nella costituzione De hiis, qui ludunt ad datios, periuriis et spolia mortuorum rapientibus, si stabiliva che fossero interdetti dall'ufficio "i giudici, gli avvocati e i notai pubblici, che conducono questo tipo di vita vile e sordida, segnati dalla predetta infamia" (Const. III, 90; trad. it. Friderici II Liber, 2001, p. CCV). Su tali requisiti, indispensabili per l'ammissione all'ufficio, lo Svevo costruiva il profilo nuovo di funzionario che si qualificava per essere regius e, con qualche contraddizione, publicus.
Il nuovo indirizzo federiciano è stato opportunamente connesso con la "volontà di offrire piena garanzia, riscontrabile in tutte le parti dello Stato, a tutti i documenti ovunque fossero stati redatti", nonché d'imporre l'auctoritas sovrana quale "unica fonte di legittimazione dell'ordinamento giuridico". Ne derivava che "solo l'autorità regia, attraverso i notai da lei nominati, poteva garantire la validità dei documenti contrattuali" (Caravale, 1982, p. 103).
Peraltro, il rafforzamento delle strutture burocratico-amministrative del Regnum apriva ai notarii nuovi spazi. La Const. I, 51, De iustitiariis, assessoribus et actorum notariis ordinandis et de officio iustitiariatus, ad esempio, istituiva "notai degli atti", chiamati a coadiuvare i giustizieri provinciali, ovvero notai-cancellieri aventi il compito di verbalizzare gli atti processuali con "funzioni del tutto diverse dai notai pubblici", dai quali vanno distinti (ibid., p. 107).
Momento centrale della normativa federiciana sul notariato risulta la Const. I, 79, De ordinatione iudicum et notariorum publicorum et numero eorum, che palesa la volontà del sovrano di riconnettere, in via esclusiva, alla propria potestas qualunque publicum officium.
"Vogliamo" ‒ ordinava Federico ‒ "che nelle località del nostro demanio e ovunque nel Regno siano nominati non più di tre giudici e di sei notai, eccettuate soltanto le città di Napoli, Salerno e Capua, in cui vogliamo siano designati cinque giudici e otto notai, poiché in esse quasi tutti i contratti si celebrano davanti ai giudici e ai notai. Stabiliamo che questi non siano nominati, come un tempo, dai maestri giustizieri e dai camerari, ma soltanto da Noi, eccetto il giudice e il notaio agli atti che, come si è detto, potranno essere nominati dai maestri camerari" (Friderici II Liber, 2001, p. LXXIX).
La norma affermava il principio della nomina regia dei notai, lasciando ai maestri camerari la sola facoltà di nominare giudici e notai agli atti, nel numero di sei nelle terre demaniali, tranne che a Napoli, Salerno e Capua, per le quali se ne prevedevano otto. La stessa costituzione insisteva sulla necessità di una prudente valutazione delle persone affinché "nessun giudice né pubblico notaio debba essere designato se non appartiene al demanio e non sia suddito del demanio, né debba essere soggetto ad alcun servizio di dipendenza nei confronti di qualche altra persona, ecclesiastica o laica, ma risponda soltanto direttamente a Noi" (ibid., p. LXXIX).
La Const. I, 74, De salario baiulorum, iudicum et notariorum curie, sottolineava come la potestas regia fosse l'unica fonte degli officia e fissava i salari dovuti a notai, baiuli e giudici, anche al fine di "precludere la via all'avidità" (ibid., p. LXXV).
La Const. I, 75, De feriis et salario iudicum et notariorum instrumenta scribentium et subscribentium et eorum forma servanda, disciplinava il lavoro notarile, disponendo "che i baiuli, tutti i giudici e i notai agli atti assicurino a tutti la loro presenza dal mattino alla sera, eccettuate le ore necessarie ai pasti e al sonno, per prestare l'opera del loro ufficio a tutti coloro che la richiedono, eccettuati i giorni del Natale del Signore, della Pasqua e delle domeniche o delle festività dedicate alla Beata Vergine e agli Apostoli" (ibid.). Del pari s'imponeva a giudici e notai di completare, sottoscrivendoli, i documenti entro una settimana dal giorno della redazione, a pena del pagamento del doppio del salario ("abbiamo provveduto opportunamente ad aggiungere a questa costituzione che i giudici e i notai siano tenuti a scrivere e firmare i documenti entro una settimana dal giorno in cui è stata loro richiesta la compilazione, imponendosi ai richiedenti la necessità di pagare alla nostra Curia il salario stabilito per i documenti da redigere e sottoscrivere; alle parti costituite si impone la pena di un salario doppio se, prima che i documenti siano stati scritti, non avranno espresso con solenne attestazione la rinuncia a scrivere i medesimi, e del pari la pena toccherà ai giudici e ai notai, se non avranno preparato i documenti nel tempo prescritto o, se preparati, non li avranno consegnati a coloro che li hanno richiesti"; ibid., p. LXXVII).
Le costituzioni imponevano al notaio l'obbligo di conficere il documento estendendo gli appunti registrati nella scheda compilata contestualmente alla manifestazione delle volontà contrattuali entro sette giorni. Alla scheda pertanto, ordinariamente, non veniva riconosciuta alcuna validità costitutiva. In caso di morte del notaio prima della formale redazione del documento, la scheda poteva essere consegnata a un altro notarius del distretto al fine di redigere il documento secondo il diritto e la consuetudine. Una dispo-sizione di rilievo che chiarisce sia le funzioni e i compiti dei notarii, sia il valore del documento notarile nei confronti del negozio (Caravale, 1982, p. 109).
L'esigenza di tutelare le parti e l'efficacia dell'atto posto in essere, unitamente alla fides publica connessa con l'esercizio della funzione notarile, giustificavano le suggestive parole della novella I, 95.3, per cui "dalle mani dei notai e dei giudici proceda la verità intemerata nella redazione degli atti pubblici". La publica fides riconosciuta a giudici e notai dall'ordinamento svevo faceva sì che la stessa norma, inasprendo la pena prevista del taglio della mano, prevedesse la decapitazione per i giudici e i notai accusati di falso: "se sarà provata falsità o corruzione, il temerario subirà non la mutilazione della mano, come un tempo, ma l'estremo supplizio della decapitazione" (Friderici II Liber, 2001, p. XCVII).
All'aspirante notaio, ugualmente che ai giudici, oltre al possesso di specifiche qualitates personarum, si richiedeva la conoscenza sia dello ius commune che della dottrina, accertamento riservato al protonotaro del Regno o a un suo delegato, nonché delle consuetudini locali, conoscenza attestata da boni homines del luogo, chiamati ad attestare anche la probità del candidato. Testualmente, la Const. I, 79 disponeva: "giudici e notai si presentino muniti di lettere testimoniali di uomini del luogo in cui debbono essere nominati alla presenza nostra o alla presenza di colui che in nostra assenza Ci rappresenta come vicario in tutto il Regno. Queste lettere debbono contenere la testimonianza della fedeltà e dei buoni costumi dei giudici e dei notai da nominare e attestino che essi sono istruiti sulle consuetudini di quel luogo. Riserviamo invece alla nostra Curia l'esame della letteratura e del diritto scritto" (ibid., p. LXXIX).
Se la costituzione De ordinatione iudicum et notariorum publicorum et numero eorum prescriveva forme di accertamento della preparazione dei notai, nulla era detto circa la loro formazione professionale, laddove il Liber Constitutionum conteneva puntuali disposizioni relativamente alla formazione di medici e farmacisti (Const. III, 45, 46, 47). Per i notai risultava essenziale la conoscenza sia del Corpus Iuris che del diritto locale, tenuto conto che gran parte dei rapporti fra privati era regolata da quelle fonti, e fermo restando che la normativa cittadina poteva essere significativamente diversa dal diritto comune; tuttavia resta incerto dove e con quali modalità quelli acquisivano la conoscenza degli elementi necessari per esercitare l'ufficio, e parrebbe ipotizzabile che compissero "lunghi periodi di apprendistato presso studi già funzionanti apprendendo così praticamente la professione, ma non è da escludere, come per gli advocati ed i iurisperiti, la frequenza di scuole funzionanti presso le curiae delle città maggiori e rette dai più noti iuris professores" (Romano, 1984, p. 46).
Al di là dell'esistenza di curiae notarili, documentate dallo stesso Liber Constitutionum a Salerno, Amalfi, Gaeta, Sorrento, all'interno delle quali si compiva l'apprendistato e la cooptazione degli aspiranti notai, è noto che i curiali napoletani ordinariamente si formavano presso un notarius più anziano (Cassandro, 1982, p. 303) ed è ipotizzabile l'esistenza di scholae tenute da iuris doctores o iuris professores. Similmente, trovando conferma nella documentazione pervenutaci relativa ai centri più importanti come Messina e Palermo, anche nell'isola parrebbe attestata la presenza di scholae come anche la tendenza ad un consolidamento professionale che portava "a trasmettere la professione di generazione in generazione e comunque all'interno del nucleo familiare, con meccanismi di formazione di notai 'a bottega'" (Romano, 1993, p. XIV). Messina, in particolare, si proponeva quale "vivaio della cultura giuridica e dei mestieri ‒ in particolare il notariato ‒ legati alla presenza della Gran Corte", con la conseguenza che "i notai messinesi sciama[va]no in tutte le 'terre' dell'isola" (Bresc, 1982, p. 199). Peraltro, anche in altri centri urbani dell'isola non mancavano i notarii che dichiaravano di "regere scholas", proponendosi quali punti di riferimento (almeno anteriormente al diffondersi della presenza dei doctores iuris) per la trasmissione del sapere giuridico e di una specifica professionalità.
Gli inventari dei libri posseduti da taluni notai risultano utili a dare un'idea della cultura del notariato siciliano. Fra i libri dei notai, a Messina come a Palermo, si ritrovano la Summa artis notariae e il Tractatus de notulis di Rolandino de' Passaggeri, manoscritti del Corpus Iuris, i testi delle consuetudini cittadine (ibid., p. 200).
Anche con riferimento alle norme che riguardavano la redazione dell'atto notarile la legislazione federiciana opera un sensibile mutamento rispetto all'età normanna.
Se durante il regno di Ruggero le curie notarili presenti in talune città, così come lo stylus curiarum seguito, non vennero messi in discussione, il disegno federiciano di un'indiscussa ed esclusiva auctoritas regia lasciava poco spazio ad autonomie politico-normative.
Già nel 1220, nella Curia di Capua, l'imperatore promulgava una "dilucida constitutio", ricompresa nel Liber Constitutionum con il titolo De instrumentis conficiendis (Const. I, 80), che, abrogando espressamente le consuetudini osservate "in alcune parti del nostro Regno", oltre a ribadire la nomina regia dei notai, disponeva che gli instrumenta fossero per il futuro redatti "in scrittura comune e leggibile", "abolendo del tutto il modo di scrivere che finora si praticava nella città di Napoli, nel ducato di Amalfi e Sorrento" e imponendo che, entro due anni dalla promulgazione della norma, i documenti venissero ricopiati "in scrittura comune e leggibile" (Friderici IILiber, 2001, p. LXXIX). Del pari s'imponeva l'utilizzazione della pergamena come materiale scrittorio.
Connessa a quella norma era la Const. I, 82, De fide instrumentorum, ove si ribadiva la funzione pubblica del notaio, depositario di una fides che non poteva, né doveva, mai venir meno. Innovando la disciplina relativa alla confectio del documento notarile, s'imponevano nuove formalità che abrogavano le tradizioni fino ad allora osservate.
Le innovazioni più significative riguardavano, in particolare, la duplice sottoscrizione del documento da parte del notarius e dello iudex ad contractus, alla quale si aggiungeva la subscriptio dei testes, non richiesta dal diritto romano, con contestuale scomparsa della completio (Caravale, 1982, p. 106).
La duplice sottoscrizione del documento da parte del notarius e del giudice ai contratti, cui si aggiungeva la sottoscrizione dei testimoni, rispondeva all'obiettivo "di stabilire un reciproco controllo tra notaio e giudice sulla rispondenza del testo documentale alla volontà negoziale espressa dalle parti e di aggiungere a tale controllo quello dei testimoni i quali, con la sottoscrizione, venivano a condividere la responsabilità dell'atto" (ibid., pp. 106-107). La circostanza che la normativa federiciana "riserva[sse] esclusivamente al potere regio anche la nomina dei notai, sia latini che greci; ne circonda[sse] la scelta e l'attività di requisiti e cautele, che garantiscano fedeltà e preparazione; ne fissa[sse] la competenza territoriale; ne disciplina[sse] unitariamente il documento", concretamente rafforzando autorità e prestigio dei notai, faceva però risultare contraddittorio lo "stabilire tra le due figure, notaio e giudice ai contratti, un reciproco controllo" (Amelotti, 1993, p. 44).
Se la nomina regia e il doppio accertamento, a livello locale e centrale, della preparazione professionale dei notai rappresentavano una garanzia nei confronti delle parti, che potevano rivolgersi loro con fiducia, non era però "la redazione notarile dell'instrumentum a conferirgli la publica fides. Questa risultava invece da un complesso di elementi, quali la sottoscrizione delle parti, dei testimoni e soprattutto dei giudici ai contratti" (Romano, 1993, p. 65) ed è stato osservato che "le costituzioni melfitane di Federico II impongono un arresto improvviso; sancendo solennemente la presenza dei giudici ai contratti nella documentazione, sembra che la figura del notaio sia relegata di nuovo in sottordine" (Pratesi, 1983, p. 771).
Non sono noti gli effettivi tempi e modi di applicazione della normativa federiciana e se, dieci anni dopo la promulgazione delle Costituzioni di Melfi, abbiamo notizia di chierici chiamati ad assumere l'ufficio notarile a Palermo, secondo una tradizione che non parrebbe essersi interrotta (I diplomi greci, 1868, pp. 95, 97; von Falkenhausen-Amelotti, 1982, p. 35), a Messina, invece, "ritroviamo ben presto la forma dello strumento notarile adeguato alla riforma del 1231, anche se con alcune particolarità derivate dalla precedente tradizione e dalle consuetudini locali" (Ciccarelli, 1986, I, p. LXIII). A Catania, la rubrica 56 delle Consuetudini, De creacione notariorum, se, in linea con i principi della normativa sveva, prevedeva che l'aspirante notaio dovesse "per Patricium et Iudices civitatis Catinae, et alios probos et expertos viros examinari, eligi et approbari si dignus invenitur", ne rimetteva però la ratifica della nomina al vescovo (La Mantia, 1900, p. 143). A Napoli, invece, l'antica curia continuava ad operare fino agli inizi del Quattrocento e accanto ai notarii di nomina regia sono attestati curiales locali. A Bari, di contro, mentre in età bizantina oltre l'85 per cento dei notarii era costituito da ecclesiastici, in età sveva si riscontravano esclusivamente laici, con applicazione della normativa federiciana (Cordasco, 1989, p. 85). A tale molteplicità di situazioni si contrapponeva una significativa modifica che può essere posta in relazione "alle norme che finalmente avevano fissato con chiarezza compiti e funzioni di questi neo-professionisti". Nel decennio immediatamente successivo alla promulgazione del Liber Constitutionum i notai, "abbandonando in blocco le precedenti definizioni, nelle dichiarazioni conclusive del testo si qualificano, in pratica senza alcuna eccezione, 'puplicus notarius', associando a queste parole il riferimento alla sede in cui svolgono il loro lavoro" (Cordasco, 1997, p. 236), con "una scelta culturale che esprime in maniera chiara l'atteggiamento dei notai verso il proprio status giuridico e il modo, maturo e consapevole, con cui essi si rapportano alla loro stessa funzione, ormai legittimata sulla base della loro fidelitas al sovrano" (ibid.).
La presenza dei notarii "negli ambienti di corte, nelle cancellerie, nei tribunali" è indubbia, così come la loro funzione di tramite per la penetrazione nel Regno del diritto giustinianeo (Romano, 1984, pp. 41 s.). Oltre che "uomini di cultura", non solo giuridica, con una qualificata presenza all'interno dell'amministrazione sveva, i notai appaiono coinvolti nella raffinata organizzazione degli otia della corte federiciana, come risulta dalla Scuola poetica siciliana (v.) che fra i giudici e i notarii trovava terreno fertile di sviluppo.
Con l'età sveva si concludeva il momento che aveva visto i notarii in un ruolo di primo piano all'interno dell'amministrazione regia. Progressivamente marginalizzati negli uffici dalla presenza sempre più incisiva dei doctores iuris, finirono per diventare uomini "di denaro […] con compiti estremamente diversi tutti collegati tra loro sotto il profilo utilitaristico e per il loro profitto personale" (Bresc, 1974, pp. 276 s.).
Fonti e Bibl.: Constitutionum Regni Siciliarum libri III, I, a cura di A. Cervone, Neapoli 1773 (riprod. anast. a cura e con Introduzione di A. Romano, Soveria Mannelli 1999); I diplomi greci ed arabi di Sicilia pubblicati nel testo originale, a cura di S. Cusa, Palermo 1868; V. La Mantia, Antiche consuetudini delle città di Sicilia, ivi 1900; O. Zecchino, Le assise di Ruggero II, I, I testi, Napoli 1984, pp. 50 ss.; Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Sizilien, a cura di W. Stürner, in M.G.H., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, Supplementum, 1996; Friderici II Liber Augustalis. Le costituzioni melfitane di Federico II di Svevia. Riproduzione ed edizione del codice Qq.H.124 della Biblioteca Comunale di Palermo, a cura di A. Romano-D. Novarese, trad. di G. Faraone, Lavello 2001. G. Cosentino, I notai in Sicilia, "Archivio Storico Siciliano", n. ser., 12, 1887, pp. 304 ss.; G. Grassi, Atti notarili antichi, Catania 1911; D. Puzzolo Sigillo, Alcune considerazioni sopra la storia del notariato in Sicilia con speciale riguardo a Messina, "Archivio Storico Messinese", 16-17, 1915-1916, pp. 43 ss.; P.F. Lionti, Il tabellionato in Sicilia, Palermo 1920; A. Del Gallo, La scrittura curiale napoletana nel Medio Evo, "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano", 45, 1929, pp. 333 ss.; G. Intersimone, Il notariato a Messina, Messina 1942; R. Trifone, I notai nell'antico diritto napoletano, in Studi in onore di Riccardo Filangieri, I, Napoli 1959, pp. 243 ss.; H. Bresc, Società e politica in Sicilia nei secoli XIV e XV, "Archivio Storico per la Sicilia Orientale", 70, 1974, pp. 267 ss.; V. von Falkenhausen, I notai siciliani nel periodo normanno, in I mestieri. Organizzazione, tecniche, linguaggi, Palermo 1980, pp. 61 ss.; H. Dilcher, Das Notariat in den Gesetzen des staufischen Sizilien, "Badische Heimat", 61, 1981, pp. 377 ss.; V. von Falkenhausen-M. Amelotti, Notariato e documento nell'Italia meridionale greca (V-XV secolo), in Per una storia del notariato meridionale, Roma 1982, pp. 7 ss.; M. Galante, Il notaio e il documento notarile a Salerno in epoca longobarda, ibid., pp. 71 ss.; M. Caravale, La legislazione del Regno di Sicilia sul notariato durante il Medio Evo, ibid., pp. 95 ss.; A. Leone, Sul notariato siciliano alla fine del Duecento, ibid., pp. 177 ss.; H. Bresc, Il notariato nella società siciliana medioevale, ibid., pp. 191 ss.; G. Cassandro, I curiali napoletani, ibid., pp. 298 ss.; A. Pratesi, Appunti per una storia dell'evoluzione del notariato, in Studi in onore di L. Sandri, III, ivi 1983, p. 771; F. Magistrale, Notariato e documentazione in Terra di Bari. Ricerche su forme, rogatari, credibilità dei documenti latini dei secoli IX-XI, Bari 1984; A. Romano, "Legum doctores" e cultura giuridica nella Sicilia aragonese. Tendenze, opere, ruoli, Milano 1984, pp. 40 ss.; D. Ciccarelli, Introduzione, in Il Tabulario di S. Maria di Malfinò, I, 1093-1302, a cura di Id., Messina 1986; L. Sorrenti, Per una storia del notariato siciliano. Linee di una ricerca, "Archivio Storico Messinese", 47, 1986, pp. 1 ss.; A. Pratesi, Il notariato latino nel Mezzogiorno medievale d'Italia, in Scuole diritto e società nel Mezzogiorno medievale d'Italia, a cura di M. Bellomo, II, Catania 1987, pp. 137 ss.; P. Cordasco, Giudici e notai in Terra di Bari tra età sveva ed angioina, in Cultura e società in Puglia tra età sveva e angioina, a cura di F. Moretti, Bitonto 1989, pp. 49 ss.; H. Enzensberger, Il documento pubblico nella prassi burocratica dell'età normanno-sveva. Problemi di metodologia ed analisi, "Schede Medievali", 17, 1989, luglio-dicembre, pp. 299 ss.; C.E. Tavilla, L'uomo di legge, in Condizione umana e ruoli sociali nel Mezzogiorno normanno-svevo, a cura di G. Musca, Bari 1991, pp. 359 ss.; M. Amelotti, Il giudice ai contratti, "Archivi per la Storia", 6, 1993, nrr. 1-2, pp. 35 ss.; A. Romano, Bastardelli, protocolli e registri. La registrazione notarile degli atti in Sicilia fra medioevo ed età moderna, ibid., pp. 61 ss.; M. Caravale, Notaio e documento notarile nella legislazione normanno-sveva, in Civiltà del Mezzogiorno d'Italia. Libro, scrittura, documento in età normanno-sveva, Salerno 1994, pp. 333 ss.; P. Cordasco, Contributo allo studio del notariato meridionale, Bari 1996; Id., I centri di cultura notarile, in Centri di produzione della cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo, a cura di G. Musca, ivi 1997, pp. 231 ss.