regno
E vocabolo tipico del lessico del Convivio e della Commedia; ricorre una volta nella Vita Nuova, nel Fiore e nel Detto.
Secondo il pensiero politico di D., i r. sono una delle organizzazioni sociali mediante le quali la società umana, presa nel suo complesso, persegue come bene terreno la piena attuazione dell'intelletto possibile; essi si distinguono dalle città per il fatto di essere retti a regime monarchico, e dall'Impero (v.) perché non ne possiedono i caratteri di unicità e di universalità di giurisdizione.
Questa definizione di r. può essere tratta, oltre che da molti passi della Monarchia (I III 2, V 6-8, XIV 4-6, ecc.), da Cv IV IV 2 (la cittade richiede a le sue arti e a le sue difensioni vicenda avere e fratellanza con le circavicine cittadi; e però fu fatto lo regno) e 4 (conviene... tutta la terra... essere Monarchia, cioè uno solo principato, e uno prencipe avere; lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti ne li termini de li regni, sì che pace intra loro sia). Con lo stesso significato di " stato retto a forma monarchica ", sotto la sovranità di un capo che ha il titolo di re, il vocabolo ricorre anche in Cv II XIII 22, IV IV 3 (due volte), Pd XVIII 84. Tra i r. effettivamente esistenti, o dei quali si assume come storica la leggendaria esistenza, sono ricordati il regno di Navarra (If XXII 48), de' Troian (XXX 14), di Praga, cioè il r. di Boemia (Pd XIX 117), e dei Franchi (Pg XX 56). Infine, regno è usato per designare per antonomasia il r. di Puglia e Sicilia (III 131).
Fonte di Cv IV V 18 la battaglia dove li Albani con li Romani... per lo capo del regno combattero è Livio I XXIII 9 " ineamus aliquam viam, qua, utri utris imperent... decerni possit "; il confronto consente di attribuire al vocabolo il significato generico di " stato ". Accezioni estensive sono anche quelle di Pd VI 36 Pallante mori per darli [al segno dell'aquila] regno, " dominio ", " potenza ", e di VI 84, dove la " società umana ", soggetta per volere divino al segno dell'aquila, è definita lo regno mortal ch' a lui soggiace. E vada qui anche l'esempio di Fiore LXXVIII 1 Lo Dio d'amor per tutto 'l regno manda / messaggi, li invia " dovunque si estende il suo potere di divinità ".
Per il fatto di essere informato a un principio di ordine unitario e di essere regolarmente organizzato nei suoi poteri reggenti e nelle sue leggi, ciascuno dei tre mondi dell'aldilà dantesco è chiamato r.: regno de la morta gente (If VIII 85) o doloroso regno (XXXIV 28) è l'Inferno; dolente regno (Pg VII 22) o regno / dove l'umano spirito si purga (I 4), il Purgatorio; nella terza cantica, il vocabolo è riferito ora all'Empireo (regno santo, I 10; beato, v. 23; deïforme, II 20; verace, XXX 98; sicuro e gaudïoso, XXXI 25; si veda ancora XXXI 117, XXXII 61), ora ai nove cieli del sistema tolemaico nei quali i beati si manifestano al poeta (VIII 97, XIX 103, XXIV 43) per fargli meglio comprendere il diverso grado della loro beatitudine. Di qua la diversa accezione con la quale r. è usato in III 83 come noi sem di soglia in soglia / per questo regno, a tutto il regno piace; nel primo caso r. indica il Paradiso come mondo ultraterreno, nel secondo, i beati che lo popolano. Altri esempi analoghi in Vn XXIII 28 82, Cv II VIII 5, If VIII 90, Pg XXIII 133, XXIV 92, XXXII 22, Pd X 72, XI 116.
A suggerire la definizione del Paradiso come r. hanno contribuito sia il testo del Pater noster (donde Pg XI 7 Vegna ver' noi la pace del tuo regno, che parafrasa l'" adveniat regnum tuum " dell'orazione insegnata da Gesù; cfr. Matt. 6, 9), sia il messaggio evangelico del r. dei cieli (cfr. Matt. 13, 11; Luc. 16, 16; ecc.). Un evidente riferimento a questo annuncio si ha in Pd XX 94 Regnum coelorum vïolenza pale / da caldo amore (v. la voce seguente), ma un ricordo della locuzione evangelica è forse percepibile anche in Pg XXII 78 la vera credenza, seminata / per li messaggi de l'etterno regno, che la maggior parte dei commentatori interpretano " il cielo, il Paradiso, al quale il ‛ messaggio ' portato dagli Apostoli apriva l'accesso " (Mattalia); nella pregnante espressione dantesca sembra infatti possibile cogliere non soltanto un'allusione alla beatitudine dei giusti, ma anche un accenno a quella interiore adesione all'insegnamento di Cristo in cui, nella realtà della vita terrena, si realizza il r. dei cieli.
" Regni " sono dunque i tre mondi ultraterreni; ma il termine può anche avere riferimenti più limitati: le sette cornici della montagna del Purgatorio (Pg I 82) o il cielo di Mercurio (Pd V 93).
La Fortuna provede, giudica, e persegue / suo regno (If VII 87): lo Scartazzini interpreta " adempie... il suo ufficio di reggitrice sovrana ", il Mattalia, richiamandosi al latino giuridico " persequi suum ius ", spiega " mette in esecuzione il suo sovrano deliberato ".
In Detto 194 sì ben co ilei regno, / i' non vogli' altro regno, " godo talmente dell'amore di lei ", che non desidero altro, il sostantivo riflette la particolare accezione del verbo ‛ regnare ', " star bene ".