elettricita, regolamentazione della
elettricità, regolamentazione della Normative e pratiche volte a disciplinare il potere di mercato delle imprese elettriche e a ristrutturare l’industria al fine di favorire lo sviluppo della concorrenza a vantaggio dei consumatori e di tutta l’economia nazionale.
È stata la Gran Bretagna, con la legge sull’elettricità (Electricity Act) del 1989, a modificare per prima e radicalmente gli assetti regolatori del settore, sollecitando analoghe evoluzioni in tutto il mondo. In particolare, l’Electricity Act prevedeva la privatizzazione dell’industria (nazionalizzata nel 1957), l’introduzione della concorrenza nella generazione, e la separazione dell’impresa pubblica verticalmente integrata, la Central Electricity Generating Board (CEGB). Più nel dettaglio, a partire dal 1990, la legge prevedeva che la CEGB venisse suddivisa in 3 imprese di generazione e una società responsabile della trasmissione. Inoltre, a livello della distribuzione, la legge creava 12 distinte società regionali (Regional Electricity Companies). Come esito di tale ristrutturazione, le quantità di e. prodotte da ciascun impianto di generazione, piuttosto che essere decise dall’impresa verticalmente integrata, sulla base di una graduatoria dei costi di generazione e di trasmissione che caratterizzano ciascun impianto (in funzione della domanda da soddisfare), venivano stabilite tramite meccanismi di mercato (non essendo più l’informazione sui costi disponibile centralmente). Come conseguenza, sia per la generazione sia per la trasmissione, le decisioni da parte degli investitori privati sulla capacità installata sono iniziate a dipendere dai segnali del mercato. Questo nuovo assetto organizzativo dell’industria ‒ peraltro associato alla libera scelta, da parte dell’utente e del fornitore di e. ‒, conducendo a notevoli benefici per i consumatori in termini sia di tariffe (stabilite sempre più dal libero gioco della concorrenza e sempre meno dalla regolazione), sia di capacità produttiva (essendo la generazione e la trasmissione stabilite sulla base degli andamenti del mercato e non da commissioni governative o parlamentari), è divenuto il modello di riferimento della riforma dei sistemi elettrici nazionali in tutti i Paesi del mondo.
Fino alla Seconda guerra mondiale, in Italia, così come negli altri Paesi europei, la produzione di energia elettrica era affidata al settore privato e soggetta a un regime regolatorio volto a stabilire gli ambiti di fornitura del servizio affidati alle diverse società e le tariffe di vendita. A partire dalla seconda metà degli anni 1950, si è ritenuto che la nazionalizzazione dell’industria elettrica (➔ elettrica, industria), che garantiva il coordinamento degli impianti di produzione, l’accentramento delle fasi di trasporto e di trasformazione e il potenziamento della rete di distribuzione, fosse la soluzione più efficace per garantire la completa elettrificazione dei diversi Paesi. In Italia il 6 dicembre 1962 è stato creato l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (➔ ENEL), che ha raccolto al proprio interno le oltre 1200 imprese esercenti, le industrie elettriche a livello nazionale.
L’entrata in vigore delle direttive comunitarie ha profondamente inciso sulla struttura del mercato elettrico in Italia, caratterizzato all’inizio degli anni 1990 da una situazione di quasi monopolio dell’ENEL, che serviva circa il 92% del mercato. La l. 481/1995, recante norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità, istituì un regolatore indipendente, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (➔). Succesivamente, al fine di favorire una liberalizzazione sostanziale dei mercati che consentisse agli utenti una vera possibilità di scelta, il d. legisl. 79/1999 avviò il processo di dismissione degli impianti di generazione ENEL, la cui quota di mercato nel 2003 è scesa al di sotto del 50%. Infine, nel 1999 la rete di trasmissione su alta e altissima tensione è stata conferita alla Terna (➔), società inizialmente interamente controllata dall’ENEL e nel 2005 ceduta alla Cassa depositi e prestiti (➔), al fine di conseguire una più definitiva separazione proprietaria tra generazione e trasmissione. Il processo di apertura della concorrenza del settore elettrico nazionale è proseguito anche negli anni successivi e nel 2010 la quota di ENEL nel mercato della generazione è scesa al 30% circa. Come conseguenza, i prezzi al dettaglio di energia elettrica, che nel 1996 erano elevati sia per le utenze industriali sia per quelle domestiche, si sono progressivamente avvicinati alla media europea, con notevoli benefici per gli utenti.
L’evoluzione del settore elettrico in Italia ha in parte anticipato analoghe iniziative negli altri Paesi europei. Fino alla metà degli anni 1990, l’e. veniva fornita in Europa da imprese pubbliche verticalmente integrate e in monopolio, che controllavano al proprio interno tutte le fasi della fornitura elettrica: la generazione, la trasmissione, la distribuzione e la vendita. A partire dalla metà degli anni 1990, l’Unione Europea e gli Stati membri, sollecitati dall’esempio inglese, hanno profondamente trasformato gli assetti dell’industria elettrica, attraverso la prima direttiva comunitaria del 1996, la seconda del 2003 e quindi il più avanzato progetto di liberalizzazione entrato in vigore nel 2009. In particolare, è stato stabilito di separare (in modo da garantire indipendenza al processo decisionale) le fasi nelle quali la concorrenza è possibile (generazione e vendita) da quelle nelle quali permangono caratteristiche di monopolio naturale, dove la concorrenza sarebbe distruttiva (trasmissione e distribuzione). Si è deciso così di liberalizzare la fornitura di energia elettrica e imporre un obbligo di accesso alle reti, di rimuovere le restrizioni sugli utenti al cambiamento di fornitore e di introdurre autorità di regolazione indipendenti. Attraverso queste misure, soprattutto quelle volte a separare la fase della trasmissione da quella di generazione, la UE ha inteso rimuovere gli incentivi delle imprese verticalmente integrate a discriminare, a scapito degli utenti finali, contro i generatori concorrenti. Altrimenti, se venisse mantenuta l’integrazione verticale, un’impresa, al fine di favorire i propri impianti di generazione, tenderebbe a impedire l’accesso dei concorrenti alla rete di trasmissione, fissando nei loro confronti tariffe di accesso più onerose ed evitando investimenti di rafforzamento della rete di trasmissione che facilitino l’ingresso dei concorrenti.