Regolamento di competenza d'ufficio e sua ammissibilità
La sentenza Cass., S.U., 18.1.2018, n. 1202 – pronunciata in tema di conflitto di competenza ex art. 45 c.p.c., dichiarato nel caso inammissibile – ha dato occasione alla riaffermazione delle conclusioni che la Cassazione aveva in precedenza attinto sull’argomento; le S.U. vi sono peraltro pervenute dopo aver considerato non esente da critica l’argomentare esibito dai precedenti arresti della Corte.
Con la sent. n. 1202/20181 le S.U. – sollecitate dalla Sezione VI della Corte – sono tornate a soffermarsi sulla disciplina dei controlli ordinati alla verifica della esatta soluzione della questione di competenza. La decisione è stata assunta nell’ambito d’un giudizio di cognizione. Il tema affrontato è stato quello dei meccanismi ordinati a che, declinata la propria competenza dal giudice adito, il processo possa proseguire davanti al giusto giudice. Ciò presuppone un successivo atto di iniziativa di parte, pena l’estinzione del giudizio (art. 307, co. 3, c.p.c.).
Conviene dare conto della disciplina della questione di competenza per come appare regolata dal codice nella sezione VI del libro I, a partire dall’art. 42 c.p.c. Orbene, nel termine indicato dall’art. 47, co. 2, c.p.c., la decisione sulla sola competenza resa dal giudice adito può essere direttamente impugnata davanti alla Cassazione con il regolamento previsto dall’art. 42 c.p.c.
Si tratta del regolamento necessario di competenza: ne costituisce possibile oggetto, per quanto qui interessa, l’ordinanza che, affermandola o negandola, decide della competenza del giudice adito, tenendo conto anche della litispendenza, continenza e connessione con altra causa. All’esito del regolamento il giudizio sarà rimesso davanti al giudice designato dalla Corte, sia esso lo stesso giudice adito od uno diverso. Con il risultato che il processo si estingue, se dopo la decisione della Cassazione il processo non sia riassunto nel termine (art. 307, co. 3, c.p.c.). E però la designazione del giudice competente, venuta dalla Corte, resiste all’estinzione del processo (art. 310, co. 2, c.p.c.). L’art. 42 c.p.c. non pone limiti all’applicazione dell’istituto in rapporto all’oggetto della lite; né limiti vi sono quanto al tipo di decisione, secondo che affermi o neghi la competenza del giudice; non è peraltro ammesso nei giudizi davanti al giudice di pace (art. 46 c.p.c.). D’altro canto, se la dichiarazione d’incompetenza pronunziata dal giudice adito non è impugnata con l’istanza di regolamento e il giudizio è invece riassunto davanti al diverso giudice indicato dal primo, la competenza di questo è resa incontestabile, a meno che non si tratti di incompetenza per materia o per territorio, nei casi previsti nell’art. 28 c.p.c.: ciò secondo quanto dispone l’art. 44 c.p.c. Questa disciplina – risulta dall’art. 44 c.p.c. – copre oltre alle questioni di competenza anche quelle di litispendenza, continenza e connessione. Quando dunque il giudizio – nel termine previsto dall’art. 50 c.p.c., richiamato dall’art. 45 c.p.c. – è riassunto davanti al giudice che quello adito ha indicato nel declinare la propria competenza, il nuovo giudice non può tornare a declinare la competenza, ma della questione deve investire la Cassazione, sollevando il conflitto previsto dall’art. 45 c.p.c.: il che, tuttavia, secondo la lettera dello stesso articolo, appare essergli consentito solo in quanto prospetti di difettare a sua volta di competenza per ragioni di materia o territorio inderogabile (artt. 44, 45 e 28 c.p.c.). Quanto si è sin qui detto a proposito dell’ordinanza che decide della sola questione di competenza vale anche a proposito del regolamento facoltativo di competenza previsto dall’art. 43 c.p.c., come strumento alternativo all’impugnazione ordinaria, proponibile contro il provvedimento che, affermata la competenza, abbia anche pronunciato nel merito. L’art. 43 c.p.c. ai co. 2 e 3 – il secondo dei quali rimanda a sua volta all’art. 48 c.p.c. – regola il rapporto tra il regolamento, che può essere proposto quando si intende impugnare la sola decisione della questione di competenza, e l’impugnazione ordinaria, proponibile per investire insieme la decisione sulla questione di competenza e quella sulle questioni di merito. La trattazione dell’istanza di regolamento però prevale su quella dell’impugnazione ordinaria, che se proposta prima da una delle parti, non toglie alle altre di richiedere il regolamento (art. 43, co. 2, c.p.c.); il regolamento chiesto dopo dà luogo alla sospensione del giudizio di impugnazione (art. 48 c.p.c.); quello proposto prima, alla sospensione del decorso del termine per impugnare la decisione di merito, termine che riprende a decorrere dopo la comunicazione dell’ordinanza che regola la competenza (art. 43, co. 3, c.p.c.).
Il giudice di pace s’era dichiarato privo di competenza a conoscere d’una domanda avente ad oggetto il pagamento d’una somma di denaro, da considerare richiesta a titolo di canone enfiteutico ed aveva per questa ragione declinato la propria competenza ed indicato come competente il tribunale, sezione specializzata agraria, ritenendo la domanda basata su una norma in tema di contratti agrari. Si era nell’anno 2014.
La sezione specializzata agraria del tribunale, davanti alla quale il giudizio era stato riassunto, sollevando il relativo conflitto, con ordinanza pronunciata nel 2015, aveva chiesto di ufficio il regolamento della competenza previsto dall’art. 45 c.p.c.; s’era mossa sul presupposto dell’essere la domanda estranea alla materia agraria, siccome avente ad oggetto il pagamento d’un canone enfiteutico.
La Sezione VI3 della Corte, investita della decisione del conflitto di competenza, ha ritenuto di doverne rimetterne la decisione alle Sezioni Unite.
È apparso alla Sezione di non poter condividere l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il regolamento di competenza di ufficio – ovverosia il conflitto di competenza ex art. 45 c.p.c. – sarebbe inammissibile, quando – com’era avvenuto nel caso – il secondo giudice, indicato come competente dal primo e davanti al quale la causa sia riassunta, nell’escludere d’essere nel caso competente per materia, sostenga che la competenza spetti ad altro giudice per ragioni di valore. Ha richiesto fosse rimeditata la soluzione, secondo la quale, una ulteriore disamina del fondo della questione di competenza, fuori dei casi espressamente indicati nell’art. 45 c.p.c., sarebbe preclusa in mancanza del regolamento ad istanza di parte. Nel sollecitare l’intervento della Corte a sezioni unite, la Sezione III ha loro sottoposto, come di particolare importanza, la seguente questione di massima: «Se sia ammissibile il regolamento di competenza d’ufficio nel caso in cui il secondo giudice, adito a seguito della riassunzione, neghi di essere competente per materia e ritenga che la causa vada incardinata secondo i principi generali dinanzi al primo giudice, senza la necessità di una previa positiva indicazione di un diverso criterio di competenza per materia o territoriale inderogabile e senza che in tal guisa si ritenga, per implicito, che il secondo giudice stia negando la sua competenza ratione valoris e non quella ratione materiae». Le S.U. – dopo aver ripercorso l’orientamento, sin lì maggioritario della Corte – ne ha condiviso la conclusione nel senso d’essere il regolamento nel caso inammissibile. Ciò, peraltro, non senza considerarne inappagante l’itinerario dimostrativo seguito in precedenti decisioni. Il principio di diritto enunciato è stato il seguente: «È inammissibile il regolamento di competenza di ufficio nel caso in cui il secondo giudice, adito a seguito della riassunzione, neghi di essere competente per materia e ritenga che la competenza sulla causa sia regolata solo ratione valoris, giacché in tale occorrenza l’eventuale decisione di accoglimento del regolamento da parte della Cassazione, in quanto necessariamente contenente – ex art. 49, co. 2, c.p.c. – anche l’individuazione del giudice competente per valore, non essendovi alcun giudice competente per materia, sostanzialmente produrrebbe il medesimo effetto d’un regolamento di competenza di ufficio ratione valoris, che invece l’art. 45 c.p.c. non accorda per insindacabile scelta di merito legislativo».
Come si è in parte già anticipato, in primo grado, la dichiarazione di difetto di competenza, nel 2014, era stata pronunziata dal giudice di pace per il motivo che la domanda a lui rivolta per il pagamento d’una somma di denaro a titolo di canone enfiteutico, era da considerare appartenere alla competenza per materia della sezione specializzata agraria del tribunale. Riassunto il giudizio davanti al tribunale, sezione specializzata agraria, questa, con ordinanza del 7 luglio 2015, muovendo dal presupposto che la controversia relativa al pagamento di canoni enfiteutici non rientri nella materia agraria, ha sollevato il conflitto di competenza di cui all’art. 45 c.p.c. Prima di affrontare il fondo della questione, la Corte ha ritenuto di dover mettere in rilievo che la configurabilità nel caso d’una competenza riconducibile alla materia indicata dal tribunale, non era influenzata dalla circostanza che in pendenza del giudizio, dopo la riassunzione della causa davanti al tribunale e la pronunzia dell’ordinanza del 7 luglio 2015, che aveva sollevato il conflitto, con il d.lgs. 13.7.2017, n. 116 fosse stato aggiunto un co. 3octies, in base al quale la competenza del giudice di pace veniva estesa a quella sulle «cause in materia di enfiteusi di cui al libro terzo, titolo quarto del codice civile». Ciò perché alla data della decisione della Corte la norma in questione non era ancora entrata in vigore.
L’argomentazione svolta dalle S.U. presenta due parti contrapposte: la rivisitazione critica della motivazione delle precedenti decisioni della Corte; la ritenuta necessità di riaffermarne tuttavia gli esiti interpretativi.
Il principio è stato sintetizzato nell’affermazione, più su riportata, che se il giudizio è riassunto davanti al giudice indicato come competente da quello adito, oggetto di possibile contestazione da parte del secondo giudice altro non può essere che l’affermazione di spettare la competenza sulla causa non a lui, ma a diverso giudice e questo per ragioni di materia o territorio inderogabile.
Fuori di tale caso, il secondo giudice non può mettere in discussione la sua competenza, quindi la sua competenza sotto l’aspetto del territorio derogabile o del valore, perché l’individuazione a proprio favore, operatane dal primo giudice può bensì essere messa in discussione, ma, quando è ammissibile, lo deve essere dalle parti ed attraverso i regolamenti necessario o facoltativo di competenza di cui agli artt. 42 e 43 c.p.c.; diversamente resta fissata nei termini ritenuti dal primo giudice.
Principio di diritto, quello così enunciato, certamente conforme alla logica interpretazione della lettera della disposizione dettata dall’art. 45 c.p.c., in unione a quella dell’art. 44.
Ed invero, l’art. 44 c.p.c. mette a disposizione delle parti il regolamento contemplato dall’art. 42 c.p.c., regolamento che consente, alla parte che vi abbia interesse, di mettere in discussione la competenza del giudice che è stato adito e questo sotto ogni possibile profilo; mancata la quale contestazione ad opera delle parti interessate, resta loro l’alternativa di continuare o no il giudizio davanti al giudice indicato, non invece di poter riproporre la questione di competenza davanti a quello designato dal giudice inizialmente adito, ma solo, dando inizio ad un nuovo giudizio, di riproporre la domanda, ad iniziale giudizio estinto, allo stesso o ad altro giudice. L’art. 45 c.p.c. sposta infatti sul giudice davanti al quale il giudizio sia ripreso, il potere di sottoporre la questione di competenza alla Cassazione: questo solo in quanto egli ritenga di spettare la domanda non a sé, ma a diverso giudice di primo grado: e ciò sul presupposto che conoscere della domanda spetti, perciò ancora in primo grado, a diverso giudice e questo in quanto criterio attributivo di competenza sia uno di quelli indicati nello stesso articolo, perciò per ragioni di materia o territorio inderogabile. In difetto di questi presupposti, il conflitto ex art. 45 c.p.c. è inammissibile e tale va dichiarato dalla Cassazione, con rimessione al giudice a quo. Prima di accedere a tale conclusione, le S.U. hanno peraltro passato in rassegna alcune delle precedenti decisioni rese in occasione dell’esame di conflitti sollevati dal giudice ad quem, adito in seguito a declinatorie di competenza pronunziate del primo giudice2. In questa parte della sentenza le S.U., pur pervenute poi alla soluzione prima riferita, hanno ritenuto di dover mettere in rilievo alcune «aporie e criticità» che la soluzione tuttavia accolta avrebbe presentato. Riassumere le considerazioni svolte al riguardo dalla Corte in questa parte della sentenza non è tuttavia agevole ed appare più utile riprodurre le considerazioni svolte nel par. 2.1. della sentenza.
«Osserva la Corte che gli argomenti tradizionalmente portati a sostegno dell’orientamento maggioritario non sono esenti da aporie e criticità. «In primo luogo, non sembra dirimente a tal fine l’art. 44 c.p.c. nella parte in cui sancisce che l’ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice che l’ha pronunciata, se non è impugnata con istanza di regolamento, rende incontestabile l’incompetenza dichiarata e la competenza del giudice in essa indicato se la causa è riassunta nei termini di cui all’art. 50, salvo che si tratti di incompetenza per materia o di incompetenza per territorio nei casi previsti dall’art. 28: la clausola di riserva riferita, sic et simpliciter, all’incompetenza per materia o a quella territoriale inderogabile restituisce il problema insoluto e negli stessi termini.
«Si deve, poi, notare che l’affermazione secondo cui il giudice ad quem non può chiedere di ‘spartire la competenza in base al valore, perché con la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente ogni questione sulla competenza per valore è oramai preclusa’ (così Cass. 19792/08, cit.), sembra soffrire di un errore di prospettiva, potendo – in realtà – ribaltarsi nel suo esatto contrario.
«Infatti, non è il giudice ad quem a rilevare implicitamente, elevando ex art. 45 cit. un conflitto negativo per insussistenza della propria asserita competenza per materia o territorio inderogabile, (anche) la propria incompetenza per valore con rilievo ormai precluso per decorso dell’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ.: è invece il giudice a quo ad aver ritenuto sussistente la propria competenza per valore (essendosi spogliato della causa solo ratione materiae) oppure a non aver rilevato una propria incompetenza ratione valoris (perché non esaminata o comunque assorbita da quella per materia) e, per ciò solo, ad aver reso incontestabile sotto tale profilo la propria competenza.
«Pertanto, il giudice ad quem, elevando conflitto, non fa altro che limitarsi a negare la propria competenza per materia, senza nulla rilevare – neppure per implicito – circa la competenza per valore una volta esclusa quella per materia erroneamente attribuitagli dal primo giudice.
«Ove la competenza per materia del secondo giudice venisse effettivamente esclusa all’esito della decisione sul regolamento di competenza d’ufficio, resterebbe incontestabile la competenza ratione valoris del giudice a quo.
«In altre parole, se innanzi al primo giudice non si è posta (in via di eccezione di parte o rilievo di ufficio) questione alcuna di incompetenza per valore, ogni discorso a riguardo è ormai precluso già presso il primo giudice.
«Né – d’altronde – il secondo giudice potrebbe elevare conflitto negativo ratione valoris (l’art. 45 c.p.c., come si è detto, non lo consente).
«E allora il secondo giudice, con il sollevare conflitto, si limita a segnalare l’inesistenza della competenza per materia (o territoriale inderogabile) attribuitagli dal primo giudice e, se davvero tale attribuzione è erronea, il ritorno della causa al primo giudice deriverebbe non già da un implicito rilievo di incompetenza per valore ad opera del secondo giudice, ma dalla mera constatazione che, venuto meno il criterio per materia come attributivo della competenza al secondo giudice, nulla impedirebbe al primo giudice di conoscere della controversia inizialmente incardinata davanti a lui, atteso che proprio innanzi a lui la competenza ratione valoris si è ormai radicata, non essendosi mai posta la relativa questione (ormai processualmente preclusa).
«E sarebbe incoerente sostenere che la preclusione dell’eccezione o rilievo officioso dell’incompetenza per valore opera solo nei confronti del secondo giudice (innanzi al quale la relativa questione non si è posta e neppure poteva porsi) e non anche nei confronti del primo (presso il quale la questione poteva porsi, ma non è stata posta tempestivamente, oppure, se posta, è stata disattesa). «Viene meno, quindi, una ragione fondante dell’orientamento maggioritario di cui si è detto. «Si deve, quindi, condividere quanto si legge nell’ordinanza interlocutoria e cioè che costituisce un’aporia affermare che se il giudice di pace nega di essere competente ratione materiae ciò significa che sta spogliandosi della competenza solo sotto tale profilo, mentre se la medesima asserzione la fa il tribunale ciò vuol dire che sta declinando la propria competenza (anche) ratione valoris. «E, ancora, appare singolare l’effetto che si realizza seguendo l’argomento cardine dell’orientamento maggioritario: la competenza per valore espressamente riconosciuta o almeno non negata dal primo giudice si trasformerebbe nel suo esatto contrario, ossia in una sostanziale attribuzione della medesima competenza ratione valoris al secondo giudice, in forza d’una preclusione maturata non già innanzi a costui, ma innanzi al giudice a quo. «E se l’effetto della preclusione è quello di rendere incontestabile la competenza per un titolo diverso da quello in ordine al quale vi sia stata pronuncia declinatoria, non si comprende come la mera traslatio iudicii conseguente a tale statuizione possa produrre l’effetto addirittura opposto, cioè rendere incontestabile con riferimento al giudice ad quem quella competenza per titolo diverso da quello oggetto di declinatoria che, invece, era ormai radicata innanzi al giudice a quo (nel senso che questi non avrebbe mai potuto, in caso di accoglimento dell’altrui regolamento d’ufficio e di conseguente ritorno della controversia davanti a lui, recuperare spazi di rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza sotto diversi profili). «In breve, una stessa preclusione cambierebbe effetto con la traslatio iudicii: non radicherebbe più la competenza presso il giudice a quo dove la preclusione medesima era maturata (una volta smentita, se del caso, la sua pronuncia declinatoria in sede di decisione del regolamento di competenza d’ufficio), ma presso il giudice ad quem (prevenendo la decisione stessa del regolamento in quanto ritenuto inammissibile). «Ma è una conclusione – questa – giuridicamente illogica e, pertanto, non predicabile. «Fra le ulteriori criticità degli argomenti portati a sostegno dell’orientamento prevalente ve ne sono anche due di tipo letterale. «In primo luogo, l’art. 45 c.p.c. si limita a stabilire che il regolamento può essere richiesto quando il giudice ad quem ‘ritiene di essere a sua volta incompetente’ e non già che il regolamento possa essere chiesto solo se il giudice adito per secondo ‘ritiene di essere a sua volta incompetente previa individuazione di un diverso criterio di competenza per materia del primo o di un terzo giudice’. «D’altronde, come evidenziato dalla citata ordinanza interlocutoria, la competenza per materia e quella per valore non sono tra loro in rapporto di specialità. La prima attiene alla ‘qualità’, l’altra alla ‘quantità’ della domanda. Pertanto, quando la sezione specializzata agraria nega (come nel caso do specie) che la controversia rientri tra quelle ad essa devolute dalla legge, non sta affatto affermando che la competenza a decidere la lite vada attribuita ‘per valore’: si limita, puramente e semplicemente, ad affermare che la qualità della controversia e, quindi, la competenza per materia non sono quella ritenute dal primo giudice. «In secondo luogo, non v’è alcuna ragione letterale per cui la questione di competenza per materia debba ridursi alla mera individuazione di quale sia il giudice provvistone nel presupposto che, comunque, la controversia sia sicuramente assoggettata ad un criterio di riparto ratione materiae. «E, infatti, è indubbio che tale questione di competenza si pone tanto nel caso in cui si discuta di quale giudice ne sia provvisto quanto nell’evenienza in cui si discuta se sia configurabile un’ipotesi di competenza per materia e, se sì, a chi deve essere attribuita. «La giustificazione dell’orientamento maggioritario suscita ulteriori perplessità alla stregua delle considerazioni che seguono. «Il vigente testo dell’art. 38, co. 3, c.p.c. individua l’udienza di cui all’articolo 183 stesso codice come termine ultimo per rilevare d’ufficio l’incompetenza per materia, quella per valore e quella territoriale inderogabile. «In tal modo il legislatore ha voluto concentrare ogni questione di competenza al massimo entro questo momento (affinché sulla competenza vi sia una sola pronuncia). «Ora, quando il giudice adito declina la propria competenza lo fa soltanto dopo che la parte abbia tempestivamente eccepito l’incompetenza nel termine e nelle forme di cui all’art. 38, co. 1, c.p.c., oppure dopo aver egli stesso rilevato (entro l’udienza di cui all’art. 183) la relativa questione (per materia, valore o territorio inderogabile). «Sia l’eccezione che il rilievo devono essere espliciti affinché la relativa questione possa essere sottoposta al contraddittorio fra le parti nel rispetto degli artt. 183, co. 4, 187, co. 3, e 101, co. 2, c.p.c. «Dottrina e giurisprudenza (cfr. Cass. n. 5962/06; da ultimo e per tutte cfr., sia pure con riguardo ad una incompetenza per connessione, Cass. n. 14224/2017) sono concordi sulla necessità d’un rilievo esplicito dell’incompetenza: è indispensabile un’attività di esternazione della volontà di rilevare e di conseguente specificazione del suo oggetto da parte del giudice.
«Tale volontà – giova ribadire – non può mai ritenersi implicita, viste le esigenze di rispetto del contraddittorio desumibili (oltre che dall’art. 111, co. 2, Cost.) dai citati artt. 183, co. 4, 187, co. 3, e 101, co. 2, c.p.c. «Dunque, se il giudice rileva o il convenuto eccepisce un’incompetenza per materia – e ciò può avvenire solo esplicitamente (come s’è detto) – evidentemente la relativa declinatoria non può che riferirsi a tale incompetenza, restando preclusi eccezione o rilievo (impliciti) di ogni altro titolo di incompetenza. «Quindi, se il primo giudice si spoglia della competenza ravvisando un’altrui competenza per materia, ciò non vuol dire che egli stia, nel contempo, dichiarandosi incompetente anche per valore, non potendosi attribuire ad una declaratoria di competenza un implicito significato diverso (o più ampio) di quello espressamente predicato. «Ora, la pronuncia declinatoria rimette le parti davanti al secondo giudice, il quale a sua volta, trovandosi di fronte ad una mera traslatio iudicii con l’udienza ex art. 183 c.p.c. ormai trascorsa, non potrebbe in nessun caso rilevare un titolo di (propria) incompetenza diverso da quello che è stato oggetto dell’ordinanza declinatoria. «Pertanto per elevare conflitto negativo di competenza il secondo giudice può solo contestare il titolo di competenza così come attribuitogli dal primo giudice, senza poter rilevare la propria incompetenza per un titolo diverso, perché la scansione processuale è ormai tale da impedire qualunque rilievo ulteriore (essendo ormai decorso il termine massimo dell’art. 38, co. 3, cit.). «Afferma ciò anche Cass. n. 12354/16, che costituisce l’ultima applicazione, in ordine di tempo, dell’orientamento maggioritario. «Ma, a voler seguire tale impostazione, il principio generale secondo cui la declinatoria di competenza od anche soltanto il rilievo ex officio d’una questione di competenza presuppongono un provvedimento esplicito (e su ciò dottrina e giurisprudenza sono concordi, come si è detto) resterebbe, inopinatamente, capovolto rispetto al giudice ad quem che elevi conflitto ex art. 45 c.p.c. «Infatti, contro detto principio, al regolamento di competenza di ufficio si attribuirebbe (anche) un’implicita e ormai preclusa declinatoria di competenza per valore, con conseguente inammissibilità del regolamento stesso quante volte sia proposto ratione materiae (o per territorio inderogabile) nelle controversie che non siano effettivamente regolate da un criterio di competenza per materia o territorio inderogabile».È una volta esposte queste considerazioni critiche, che le S.U., dopo aver dunque richiamato l’attenzione su di esse, ha considerato che l’orientamento maggioritario – nonostante le «aporie e criticità» che emergono negli argomenti tradizionalmente portati a sostegno dell’orientamento maggioritario – merita di essere mantenuto.
Ha, in particolare considerato che «... esso merita di essere mantenuto sia pure in base ad una diversa motivazione, che privilegi una lettura minimalista dell’art. 45 c.p.c. inteso come norma che si preoccupa non già di garantire, attraverso lo strumento del conflitto di competenza, l’esatto rispetto – sempre e comunque – delle regole che presiedono al riparto della competenza medesima, bensì come norma che si limita a garantire il rispetto del minimo irrinunciabile di quelle regole concernenti la ‘qualità’ della domanda, accettando anche (in nome della ragionevole durata del processo) che una data controversia possa eventualmente essere decisa da un giudice normalmente preposto a conoscerne altre di differente valore. «E, infatti, l’art. 45 cit. non consente il conflitto di competenza ove si controverta della competenza ratione valoris o territoriale derogabile: si tratta d’una non casuale scelta normativa che spiega quale sia la basilare preoccupazione del legislatore.«È pur vero che l’argomento per cui, nelle ipotesi non coperte dall’art. 45 cit. come sopra interpretato, l’ordinamento lascerebbe le parti interessate libere di reagire in via di regolamento di competenza ad istanza di parte, potrebbe risultare indebolito dall’art. 46 c.p.c. (che nei giudizi innanzi al giudice di pace non consente l’applicazione degli artt. 42 e 43 stesso codice).«È indebolito ancor più oggi, essendo stato da tempo unificato nel tribunale (a seguito del d.lgs. n. 51 del 1998) il giudice (togato) di primo grado.
«Nondimeno la perplessità può agevolmente superarsi considerandosi il corollario della su esposta lettura minimalista del cit. art. 45: se lo scopo della norma è soltanto quello di evitare che un giudice conosca d’una controversia di cui la legge percepisce una qualità tale da meritare di essere riservata esclusivamente ad altro giudice, ogni qual volta – invece – non vi sia spazio alcuno per un riparto di competenza per materia o per territorio inderogabile è evidente che la competenza non possa che determinarsi ratione valoris.
«Quindi, una volta che questa S.C. considerasse ammissibile e fondata l’istanza di regolamento promossa dal giudice ad quem (che neghi che la competenza a conoscere della controversia rientri in una qualsivoglia ipotesi di riparto per materia), ex art. 49, co. 2, c.p.c. alla fine non potrebbe che individuare per valore (e non alla luce di diverso criterio) il giudice competente per il prosieguo di causa. «Ma in sostanza l’esito conclusivo sarebbe, appunto, lo stesso che si sarebbe verificato se il legislatore avesse esteso la possibilità di elevare conflitto anche ratione valoris (il che, invece, l’art. 45 cit. pacificamente non consente). «Sarebbe un modo surrettizio per recuperare la praticabilità di un tipo di conflitto che l’art. 45 cit. espressamente nega.«È opportuno evidenziare che ciò non vuol dire che così facendo il giudice ad quem in sostanza rilevi di ufficio un’incompetenza per valore il cui rilievo è ormai precluso essendo trascorsa l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. (in realtà egli si limita a negare la fondatezza della declinatoria di competenza emessa dal giudice, come esattamente obiettato dall’ordinanza interlocutoria), ma soltanto che l’effetto sarebbe, sostanzialmente, lo stesso d’un regolamento di competenza d’ufficio ratione valoris, che invece l’ordinamento non accorda per esplicita e legittima (in quanto tale non sindacabile innanzi alla Corte cost.) scelta di merito legislativo».
1 Cass., S.U., 18.1.2018, n. 1202, in Judicium, 2018, fasc. 5, con nota di Lolli, M., Le Sezioni unite chiariscono i confini del regolamento di competenza di ufficio.
2 In particolare si sono soffermate, tra le altre, sulla sentenze Cass., 4.10.1996, n. 728, e Cass., 17.7.2008, n. 19792, pronunciate dalla Corte a sezione semplice; sulla successiva Cass., S.U., 19.10.2011, n. 21582, e più di recente sulle ordinanze Cass., sez. VI3, 19.1.2015, n. 728 e Cass, sez. VI3, 22.7.2016, n. 15138.