Abstract
L’evoluzione storica del regolamento di giurisdizione viene tracciata attraverso l’analisi della dottrina e della giurisprudenza: dalla genesi dello strumento processuale del regolamento con finalità di economia processuale, all’indiscriminato accrescimento della sua applicazione, fino alla successiva, sensibile riduzione del suo spazio applicativo. L’analisi si sofferma, altresì, sulla attuale disciplina procedurale dell’istituto, dal deposito del ricorso introduttivo, alla forma ed agli effetti della pronuncia che statuisce sulla giurisdizione, fino all’indagine sui rapporti tra regolamento di giurisdizione e giudizio di merito (ed al potere di sospensione discrezionale, più apparente che reale, del giudice a quo). Il lavoro si conclude con l’esame delle più recenti novità legislative, introdotte dalla l. n. 69/2009 e dal d.lgs. n. 104/2010, con particolare riferimento alle implicazioni derivanti dall’introduzione degli istituti della translatio iudicii e del cd. regolamento di giurisdizione d’ufficio.
1. Premessa
Con il regolamento di giurisdizione ciascuna parte può chiedere che a risolvere le questioni individuate dall’art. 37 c.p.c. (e, secondo la giurisprudenza, anche quella relativa ai limiti internazionali alla giurisdizione di cui alla l. 31.5.1995, n. 218), sia non il giudice adito, innanzi al quale sia sollevata la relativa eccezione o che abbia rilevato la questione d’ufficio (sulla necessità di interpretare in senso restrittivo l’inciso «in ogni stato e grado del processo» ex art. 37 c.p.c., v. Cass., S.U., 9.10.2008, n. 24883, in Foro it., 2009, I, 810, con nota di G.G. Poli, in Corr. giur., 2009, 372, con note di R. Caponi e F. Cuomo Ulloa, e in Giusto proc. civ., 2009, 263, con nota di G. Basilico, secondo cui qualsiasi decisione di merito implica la preventiva verifica della potestas iudicandi che, in assenza di formale eccezione o questione rilevata d’ufficio, avviene comunque implicitamente e acquista visibilità nel solo caso in cui la giurisdizione del giudice adito venga negata; pertanto, il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti o rilevato d’ufficio dal giudice fino a quando la causa non sia decisa nel merito in primo grado ovvero può essere fatto valere mediante impugnazione del relativo capo della sentenza di primo grado, in assenza della quale si determina il passaggio in giudicato della relativa questione. Da ultima, sulla nozione di giudicato sulla giurisdizione (ed in particolare su quella di giudicato implicito), v. Cass., – Pres. ed estensore Paolo Vittoria – 9.11.2011, n. 23306; nonché Cass., 23.2.2012, n. 2704. Cfr. anche l’art. 9 d.lgs. 2.7.2010, n. 104, cd. codice del processo amministrativo, che ha recepito tale interpretazione), bensì in via preventiva («Finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado», ai sensi dell’art. 41, co. 1, c.p.c.), le sezioni unite della Corte di cassazione.
Nel pronunciare con ordinanza in camera di consiglio ai sensi degli art. 375, co. 1, n. 4 e 380 ter c.p.c., la Corte “statuisce” sulla giurisdizione (art. 382 c.p.c.) “regolandola”, cioè indicando, definitivamente e anche oltre l’estinzione del giudizio a quo (cfr. art. 310, co. 2, c.p.c. e art. 59 l. 18.6.2009, n. 69), il giudice “legittimato” in ordine alla controversia, davanti al quale le parti possono riassumere il processo con conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda (translatio iudicii, operativa in senso pieno e davanti a qualsiasi giudice del quale sia dichiarata la giurisdizione).
L’ambito di applicazione del regolamento su istanza di parte, in un primo periodo progressivamente esteso dalla giurisprudenza, è stato successivamente ridimensionato (soprattutto, per merito della dottrina) e, più di recente, ancora rafforzato (anche a livello normativo). L’effetto sospensivo del giudizio di merito in attesa della pronuncia della Cassazione, connesso alla semplice presentazione dell’istanza, è stato privato di ogni automatismo dalla l. 26.11.1990, n. 353, sebbene la discrezionalità del giudice, ad un attento esame, si riveli più apparente che effettiva. L’art. 59 l. n. 69/2009, conservando l’operatività dell’istituto, ha anche introdotto la nuova figura del cd. “regolamento di giurisdizione d’ufficio”, attribuendo al giudice indicato come fornito di giurisdizione a seguito di declinatoria del giudice adito, davanti al quale sia riassunta la causa, il potere di sollevare d'ufficio, con ordinanza, la questione davanti alle sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Analogamente ha previsto l’art. 11, co. 3, d.lgs. n. 104/2010, alla cui stregua «quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest’ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d’ufficio il conflitto di giurisdizione». Da ultimo, sul limite temporale entro il quale può essere sollevato d’ufficio il c.d. “conflitto di giurisdizione” dal giudice amministrativo dinanzi al quale il giudizio sia stato riproposto a seguito di pronuncia declinatoria di giurisdizione v. Cass., – Pres. ed estensore Paolo Vittoria – 13.4.2012, n. 5873 (nel senso che la disposizione dettata nell’art. 11, co. 3 del codice del processo amministrativo – che s’interpreta alla stregua di quella analoga contenuta nell’art. 59, co. 3, l. 18.6.2009, n. 69 – non preclude in linea di principio che nel giudizio tempestivamente riproposto davanti a sé il giudice amministrativo di secondo grado sollevi d’ufficio il conflitto di giurisdizione: ad evitare che tale giudice risulti privato del potere di rilievo d’ufficio del proprio difetto di giurisdizione, ciò si deve ammettere quante volte il giudizio di primo grado si sia concluso previo rilievo di questione attinente all’ordine del processo, logicamente pregiudiziale rispetto alla stessa questione di giurisdizione).
L’art. 10, co. 1, d.lgs. n. 104/2010, confermando la previsione dell’abrogato art. 30 l. TAR, contempla l’esperibilità del regolamento nel giudizio davanti al giudice amministrativo. Il co. 2, inoltre, consente di chiedere misure cautelari, nel giudizio sospeso a seguito del regolamento di giurisdizione, a meno che il giudice non ritenga insussistente la propria giurisdizione. Infine, ai sensi dell’art. 60, la dichiarazione di una delle parti di voler proporre regolamento di giurisdizione impedisce al collegio, in sede di decisione della domanda cautelare, di definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata; in tale ipotesi, «ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone … il rinvio per consentire la proposizione di … regolamento … di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione».
Il regolamento di giurisdizione è ammesso anche nel processo tributario, ai sensi dell’art. 3, co. 2, d.lgs. 31.12.1992, n. 546, mentre nel processo contabile è ammesso dalla giurisprudenza.
Istituto affatto diverso, definito “straordinario” in contrapposizione a quello di cui all’art. 41, co. 1, c.p.c., espressione di «antiquariato giuridico» (Cass., S.U., 27.7.1998, n. 7340, in Foro it., 1998, I, 3558), è quello contemplato dall’art. 41, co. 2, c.p.c., secondo cui «La pubblica amministrazione che non è parte in causa può chiedere in ogni stato e grado del processo che sia dichiarato dalle sezioni unite della corte di cassazione il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge all'amministrazione stessa, finché la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato». A tal proposito, l’art. 368 c.p.c. dispone che la richiesta per la decisione della Corte è fatta dal prefetto con decreto motivato, notificato, su richiesta dello stesso prefetto, alle parti e al p.m., il quale, a sua volta, comunica il decreto al capo dell'ufficio giudiziario davanti al quale pende la causa. Questi sospende il procedimento con decreto che è notificato alle parti a cura del p.m. entro dieci giorni dalla sua pronuncia, sotto pena di decadenza della richiesta. La Corte di cassazione è investita della questione di giurisdizione con ricorso a cura della parte più diligente, nel termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione del decreto.
Dunque, un’«arma di guerra» (risalente alla conservazione nell’art. 13 l. 20.3.1865, n. 2248, all. E, del vecchio arnese dell’assolutismo contemplato dalla l. 20.11.1859, n. 3780, sui conflitti di attribuzione, che attribuiva alla p.a. e non ai giudici il potere di stabilire se si facesse «questione d'un diritto civile o politico»; la l. del 1859 fu abrogata dalla l. 31.3.1877, n. 3761, che trasferì dal Consiglio di Stato alla Cassazione romana, formata da componenti di nomina regia, il potere di «regolare i conflitti», ma la disciplina fu inserita nel vigente codice di rito ed è sopravvissuta nei termini di cui art. 41, co. 2, 368 e 386 c.p.c. Sulle origini storiche e sulle finalità dell’istituto, v. ampiamente Cipriani, F., Il regolamento di giurisdizione, 1977, 302 ss.), che conferisce al prefetto un vero e proprio «potere di veto» con cui la p.a. ottiene la sospensione del processo, ma che non ha conosciuto un effettivo spazio di operatività ed è giustamente apparsa incostituzionale per contrasto con gli art. 24, co. 1 e 2, 25, co. 1, 111, co. 7, 113 (v. Trisorio Liuzzi, G., Regolamento di giurisdizione, in Dig. civ., XVI, Torino, 1997, 532).
2. Funzione
La principale funzione del regolamento di giurisdizione è di economia processuale (v. Cass., S.U., 5.8.1977, n. 3520, in Foro it., 1978, I, 694), poiché attraverso esso le parti (anche l’attore) possono ottenere subito una pronuncia sulla giurisdizione munita di efficacia vincolante (v. infra, § 6), evitando lo svolgimento, nei vari gradi di cognizione, di attività giurisdizionali eventualmente inutili. Non è un mezzo di impugnazione perché “previene” la decisione del giudice sul punto. Si è messa in evidenza, inoltre, la preziosa utilità dello strumento al fine di «chiudere processi italiani prevenienti ma senza giurisdizione (le cd. azioni Torpedo …), facendo così, in un tempo meno irragionevole, ripartire i processi in altri Stati della UE sospesi ex art. 27, Reg. cit.» (cioè reg. CE n. 44/2001. In tali termini, v. Consolo, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Profili generali, Torino, 2010, 127).
Tuttavia, sin dai primi anni di applicazione la sua estensione sul piano oggettivo (in funzione della verifica della giurisdizione del giudice ordinario nei confronti dei giudici speciali e del giudice italiano nei confronti del convenuto straniero) e su quello soggettivo (attraverso l’attribuzione ad entrambe le parti della legittimazione), è apparsa irrazionale e assurda, a causa della pericolosità del meccanismo sospensivo del giudizio di merito, connesso alla semplice presentazione del ricorso, in attesa della pronuncia delle Sezioni unite, evidente residuato storico dell’antico «privilegio» dell’esecutivo. Pericolosità idonea a sfociare in veri e propri abusi e ad alimentare un certo malcostume del ceto forense (le ben note “magie” dell’avv. Morcavallo: cfr. la requisitoria del p.g. M. Caristo in Foro it., 1987, I, 58) verso la proposizione di ricorsi del tutto infondati e pretestuosi ovvero «senza né capo né coda» (per la prospettazione di dubbi di legittimità costituzionale della disciplina relativa al regolamento di giurisdizione, in riferimento agli art. 24, co. 1 e 2, 25, 111, co. 2 – quest’ultimo, nel testo anteriore alla riforma avvenuta con la l. cost. 23.11.2009, n. 2 – 113 e 134 Cost., v. Cipriani, F., Regolamento di giurisdizione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 9; Trisorio Liuzzi, G., Regolamento di giurisdizione, cit., 531 s.).
L’uso distorto del regolamento è stato stigmatizzato anche da una parte della giurisprudenza (Cass., S.U., 3.4.1973, n. 894, in Foro it., 1973, I, 2085; Cass., S.U., 23.4.1980, n. 2647, ivi, 1980, I, 1285, con nota critica di F. Cipriani), la quale ha tentato (piuttosto illusoriamente) di arginare il fenomeno facendo leva sul deterrente della condanna, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., della parte che risultasse aver proposto ricorso a fini «scopertamente» dilatori (di recente, v. Cass., S.U., 9.2.2009, n. 3057, in Foro it. Rep., 2009, voce Giurisdizione civile, n. 225).
3. Il progressivo «allungamento del raggio di applicazione»
Sino alla fine degli anni settanta dello scorso secolo, si è assistito ad un progressivo «allungamento del raggio di applicazione» (cfr. Cass., S.U., 9.5.1973, n. 1247, in Foro it., 1973, I, 2784) dell’istituto ad opera della giurisprudenza che ha ritenuto ammissibile il regolamento nell’ambito del processo di esecuzione forzata e nell’ambito dei procedimenti cautelari, in base all’idea che fosse sufficiente trovarsi al cospetto di un procedimento di natura giurisdizionale (per questa ragione, la Cassazione ha escluso la possibilità di utilizzazione del regolamento nell’ambito dei procedimenti di giurisdizione volontaria, sulla base appunto della ritenuta natura non giurisdizionale ma amministrativa degli stessi).
Inoltre, il regolamento in un primo momento è stato ritenuto ammissibile in caso di cd. improponibilità assoluta della domanda tra privati, in cui cioè sia dedotta in giudizio una situazione giuridica non tutelata da alcuna norma dell’ordinamento (Cass., S.U., 29.5.1951, n. 1330, in Foro it., 1952, I, 701, con nota di A. Scialoja); nonché là dove sia stata già pronunciata sentenza sulla giurisdizione o su altre questioni processuali da parte del giudice di merito, con effetto sospensivo del decorso del termine per l’impugnazione ordinaria e impedimento del passaggio in cosa giudicata (cfr. Balena, G., Regolamento di giurisdizione, in Enc. dir., Aggiornamento, IV, Milano, 2000, 1069 ss.).
4. L’inversione di tendenza e il movimento riformatore
Con due significative pronunce del 3.6.1978, nn. 2773 e 2774 (in Foro it., 1978, I, 1900, con nota adesiva di F. Cipriani) le Sezioni unite hanno invertito la tendenza, escludendo l’ammissibilità del regolamento chiesto tra la deliberazione e la pubblicazione della sentenza di merito di primo grado. Nove anni dopo, hanno affermato che la cd. improponibilità assoluta della domanda tra privati non è questione di giurisdizione, ma di merito e perciò non può essere denunciata con il regolamento preventivo di giurisdizione (Cass., S.U., 15.6.1987, n. 5256, in Foro it., 1987, I, 2015; Cass., S.U., 7.3.2002, n. 3385, ivi, 2002, I, 1998, con nota di F. Cipriani; da ultima, v. Cass., S.U., 4.8.2010, n. 18052, ivi, 2011, I, 125, in relazione a controversia originata dalla decisione di una federazione sportiva nazionale – nella specie, FIGC – di ridimensionare il numero degli arbitri. Cfr. anche, in tema di giurisdizione e merito, Cass., S.U., 19.10.2011, n. 21581).
Molto più incisivo si è rivelato l’arrêt del 22.3.1996, n. 2466 (in Foro it., 1996, I, 1635, con nota di F. Cipriani) con il quale la Corte non ha soltanto escluso la proponibilità del rimedio dopo la pronuncia del giudice di merito limitata alla giurisdizione o ad altra questione processuale (affermazione questa già di per sé non priva di rilevanza), ma ha aggiunto che «la formula della prima parte dell’art. 41 c.p.c., anziché essere interpretata, come fino ad ora si era fatto, nel senso che solo una pronuncia che avesse attinto il merito della causa precludeva il regolamento, deve essere letta nel senso che qualsiasi decisione emanata dal giudice presso il quale il processo è radicato ha efficacia preclusiva del regolamento. In altre parole, l’art. 41 cit. deve essere letto come se dicesse “finché non sia intervenuta una decisione sulla causa in sede di merito”» (in seguito, v. Cass., S.U., 27.2.2002, n. 2958, in Foro it., 2002, I, 1998, con nota di F. Cipriani; cfr., però, Cass., S.U., 24.4.2002, n. 6040, ibidem, 1997). Successivamente, la Corte ha affermato l’inammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione notificato lo stesso giorno in cui il giudice di merito trattiene la causa per la decisione per decidere sull’eccezione di difetto di giurisdizione (Cass., S.U., 1.12.2009, n. 25256, in Foro it. Rep., 2009, voce Giurisdizione civile, n. 216; invece, v. Cass., S.U., 23.3.2006, n. 6406, in Foro it., 2007, I, 1903, con nota di M. Adorno, secondo cui è ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto a seguito dell’emanazione, da parte del commissario regionale per gli usi civici, di «decisione preparatoria» sulla giurisdizione impugnabile soltanto dopo la decisione definitiva della causa e insieme con essa. Nel senso che dopo che sia stata pronunciata condanna generica al risarcimento del danno, non è ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione nel corso del giudizio diretto alla liquidazione del danno stesso, v. Cass., S.U., 9.7.2010, n. 16193, in Foro it. Rep., 2010, voce Giurisdizione civile, n. 24. L’esperibilità del regolamento è stata affermata, però, in pendenza del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo: Cass., S.U., 17.3.2010, n. 6407, ibid., n. 62; nonché nell’ipotesi in cui il giudice, nel sollevare con ordinanza questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, abbia esaminato, al solo fine di giustificare la rilevanza di tale questione, anche il profilo pregiudiziale di rito relativo alla propria giurisdizione, senza tuttavia pronunciare alcuna statuizione al riguardo: Cass., S.U., 3.11.2009, n. 23200, ivi, 2009, voce cit., n. 218).
Peraltro, ponendo fine ad una questione che in passato aveva dato adito ad un acceso dibattito, la Corte ha ritenuto inammissibile il regolamento di giurisdizione nel nuovo procedimento cautelare, sul presupposto della operatività del reclamo cautelare (v. Cass., S.U., 22.3.1996, n. 2465, in Foro it., 1996, I, 1635, con nota di F. Cipriani; successivamente, Cass., S.U., 20.11.2008, n. 27537, in Foro it. Rep., 2008, voce Giurisdizione civile, n. 240; Cass., S.U., 7.3.2008, n. 6172, in Foro it., 2008, I, 2168, con nota di G. Scarselli, con riferimento al procedimento, ritenuto di natura cautelare, di repressione della condotta discriminatoria razziale previsto dall’art. 44 d.lgs. 286/1998; Cass., S.U., 18.10.2005, n. 20128, ivi, 2006, I, 2103, con nota di M. Adorno; Cass., S.U., 28.12.2007, n. 27187, in Giur. it., 2009, 931, con nota di G. Impagnatiello; Cass., S.U., 11.11.1997, n. 11133, in Foro it., 1999, I, 952, con nota di F. Cipriani, con riferimento al procedimento di istruzione preventiva. Cfr., però, per l’ammissibilità, Cass., S.U., 10.7.2006, n. 15614, ivi, 2006, I, 2714. In materia possessoria, v. Cass., S.U., 12.6.1995, n. 6595, in Foro it., 1995, I, 2088, con nota di S. Benini, e in Giur. it., 1995, I, 1, 1390, con nota di F. Cipriani; più di recente, Cass., S.U., 7.5.2010, n. 11093, in Foro it. Rep., 2010, voce Giurisdizione civile, n. 66; in senso contrario, v. Cass., S.U., 11.2.2003, n. 2062, in Foro it., 2003, I, 2782, con nota di D. Dalfino. In relazione al procedimento ex art. 28 l. 20.5.1970, n. 300, v., per l’ammissibilità, Cass., S.U., 24.9.2010, n. 20161, ivi, 2011, I, 1151, con nota di G. D’Auria) e sulla impossibilità di continuare a considerare il regolamento uno strumento per compensare l’uso indiscriminato della tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (v., invece, C. cost., 19.12.1984, n. 294, Foro it., 1985, I, 651, con nota di F. Cipriani).
L’inammissibilità ha anche investito il processo di esecuzione per carenza di una controversia suscettibile di essere decisa nel merito (v., da ultimo, Cass., S.U., 7.7.2009, n. 15855, in Foro it., 2010, I, 1865. Nel senso che «l’efficacia dei titoli esecutivi nei confronti di uno Stato estero è sospesa di diritto qualora lo Stato estero abbia presentato un ricorso dinanzi alla Corte internazionale di giustizia, diretto all’accertamento della propria immunità dalla giurisdizione italiana, in relazione a controversie oggettivamente connesse a detti titoli esecutivi. La sospensione dell’efficacia cessa con la pubblicazione della decisione della Corte», v. l’art. 1, co. 1, l. 23.6.2010, n. 98, che ha convertito in legge il d.l. 28.4.2010, n. 10; la legge di conversione ha soppresso il rinvio, contenuto nel d.l., al r.d.l. 30.8.1925, n. 1621, che subordinava l’esercizio delle azioni cautelari ed esecutive nei confronti di uno Stato estero alla autorizzazione del Ministro della giustizia e che è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da C. cost., 15.7.1992, n. 329, in Foro it., 1993, I, 2785). Invece, il regolamento è stato ritenuto esperibile nell’ambito del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, che, pur essendo occasionato da un procedimento esecutivo, si configura come un vero e proprio giudizio di cognizione sull’esistenza del credito del debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato, in quanto risponde all’esigenza di certezza sull’ammontare del credito stesso, si svolge secondo le regole normali del giudizio di cognizione (art. 548 c.p.c.) e si conclude con una sentenza di accertamento dell’esistenza del credito (art. 549 c.p.c.), soggetta ai normali rimedi impugnatori (Cass., S.U., 17.7.2008, n. 19601, in Foro it. Rep., 2008, voce Giurisdizione civile, n. 242).
La diffidenza nei confronti dell’istituto, riconducibile, come visto, soprattutto al rischio (tutt’altro che astratto) di un suo utilizzo distorto, è stata all’origine di una prima serie di progetti di riforma susseguitisi a partire dalla metà degli anni ’70 dello scorso secolo, orientati ad evitare qualsiasi automatismo sospensivo connesso alla presentazione del ricorso.
Tuttavia, le modifiche apportate dalla l. 353/1990, quale intervento conclusivo di questa fase, sono apparse piuttosto «modeste», in quanto limitate ad introdurre un potere di sospensione soltanto apparentemente discrezionale. Il giudice che valuti positivamente la sussistenza dei requisiti di legge, ai sensi del riformato art. 367, co. 1, c.p.c., “deve” sospendere il processo (sulla questione relativa alla necessità della previa valutazione da parte del giudice di merito e assunzione delle prove dedotte dalle parti in ordine alla contestazione della giurisdizione, in funzione della sospensione ex art. 367 c.p.c. e dell’ammissibilità del regolamento, v. Cass., S.U., 25.7.2001, n. 10089, in Foro it., 2002, I, 2123, con nota di F. Cipriani. In precedenza, v. C. cost., 19.12.1984, n. 293, ivi, 1985, I, 651, con nota di F. Cipriani, per l’inammissibilità, in quanto sollevata dal giudice di merito e non dalla Cassazione, della questione di legittimità costituzionale degli art. 41 e 367 c.p.c., nella parte in cui, consentendo di paralizzare davanti al primo e di trasferire davanti alla seconda l’attività istruttoria sulla sussistenza della giurisdizione, limitano quella manifestazione del diritto alla difesa che è il diritto alla prova, atteso che tale limitazione si verifica e rileva solo davanti alla Cassazione, in riferimento agli art. 3 e 24, Cost.).
La successiva abrogazione del co. 2 dell’art. 37 c.p.c. ad opera della l. n. 218 del 1995 (nella quale è confluita, rimodulata, la disciplina dei limiti internazionali alla giurisdizione), ha posto il problema della eventuale conseguente esclusione del regolamento di giurisdizione in relazione alle questioni concernenti i limiti della giurisdizione italiana nei confronti dello straniero; infatti, sembra che il riferimento all’art. 37 c.p.c., contenuto nell’art. 41 c.p.c., possa essere riferito soltanto alle questioni indicate nel primo (e ormai unico) comma dello stesso art. 37. Al quesito una parte della dottrina ha risposto per lo più in senso positivo, mentre altra parte ha ritenuto forzata l’interpretazione estensiva. La giurisprudenza, in ogni caso, ha affermato che il regolamento di giurisdizione in tal caso sia esperibile (Cass., S.U., 1.2.1999, n. 6, Foro it., 1999, I, 1879; Cass., S.U., 21.5.2004, n. 9802, Foro it. Rep., 2004, voce Giurisdizione civile, n. 256).
I progetti di legge presentati nella seconda metà degli anni novanta hanno proposto più drasticamente di eliminare il regolamento di giurisdizione quale rimedio preventivo e di configurarlo come un mezzo di impugnazione, sulla falsariga del regolamento di competenza.
Successivamente, la commissione ministeriale per la riforma del codice di procedura civile presieduta da Romano Vaccarella ha elaborato un documento illustrato in Cassazione il 29.11.2002, volto a modificare il regolamento di giurisdizione nel senso di consentirne l’esperibilità anche come mezzo di impugnazione della sentenza che abbia deciso sulla sola questione di giurisdizione.
Del 2008 è il progetto elaborato da Andrea Proto Pisani (in Foro it., 2009, V, 1), che ha proposto una netta semplificazione della regime di rilevabilità e decisione delle questioni di giurisdizione (cfr. gli art. 1.40 ss.).
Nel 2009 e nel 2010 il legislatore è intervenuto sul regolamento di giurisdizione, come già detto (supra, § 1), con la l. n. 69/2009 e il d.lgs. n. 104/2010, tuttavia, senza atrofizzarlo, bensì rinvigorendolo attraverso la previsione di nuovi spazi applicativi (v. anche infra, § 7).
5. Il ricorso introduttivo e il procedimento
Il ricorso per regolamento di giurisdizione va proposto alla Corte di cassazione ai sensi degli art. 365 ss. c.p.c. (l’art. 41, co. 1, stabilisce che «ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite»; questo significa che senz’altro il ricorso va deciso dalle Sezioni unite, senza escludersi, tuttavia, che possa essere deciso anche dalla sezione semplice, ove sul punto si siano già espresse le Sezioni unite, ai sensi dell’art. 374, co. 1, c.p.c.), se del caso in via incidentale ove proveniente dall’intimato (Cass., S.U., 22.12.2003, n. 19667, in Foro it., 2005, I, 2676). Deve, quindi, essere presentato da un avvocato iscritto nell’apposito albo e munito di procura speciale (sul controricorso v. anche Cass., S.U., 11.4.2006, n. 8371, in Foro it. Rep., 2006, voce Giurisdizione civile, n. 284).
Rispetto ad un ordinario ricorso per cassazione:
a) può non contenere l’indicazione di motivi specifici, ma deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti (che, tuttavia, non può ritenersi compiuta attraverso la integrale trascrizione degli atti del giudizio di merito, equivalendo altrimenti ad un mero rinvio agli atti di causa con conseguente violazione del principio di autosufficienza del ricorso: Cass., S.U., 9.9.2010, n. 19255, in Foro it. Rep., 2010, voce Giurisdizione civile, n. 196; né attraverso il deposito della documentazione prodotta ovvero del fascicolo d’ufficio: Cass., S.U., 18.12.2009, n. 26644, ivi, 2009, voce cit., n. 214), l’indicazione delle parti, dell’oggetto, del titolo della domanda, del procedimento cui si riferisce e la fase in cui questo si trovi, mentre non rileva l’omessa menzione di assunti difensivi e di momenti della vicenda processuale non influenti sulla questione di giurisdizione (Cass., S.U., 9.6.2004, n. 10980, in Foro it. Rep., 2004, voce Cassazione civile, n. 226);
b) non deve contenere la formulazione del quesito di diritto, sebbene ciò valga soltanto per i ricorsi proposti prima dell’entrata in vigore della l. n. 69/2009, che ha abrogato l’art. 366 bis c.p.c. (Cass., S.U., 22.10.2007, n. 22059, in Foro it., 2008, I, 116, con nota di G. Costantino e commento di F. Cipriani, e in Corr. giur., 2008, con commenti di G. Costantino e C. Consolo);
c) non comporta la consumazione dell’azione ai sensi dell’art. 387 c.p.c. (Cass., S.U., 2.12.2008, n. 28537, in Foro it. Rep., 2008, voce cit., voce Cassazione civile, n. 239).
Il ricorso va notificato presso il procuratore della controparte costituito in giudizio, sebbene la notifica alla parte personalmente non dia luogo alla sua inammissibilità, trattandosi di atto nullo e non inesistente, con la conseguente sanatoria della nullità, ove la controparte si costituisca innanzi alla Corte, avendo l’atto raggiunto il suo scopo (Cass., S.U., 25.2.2010, n. 4553, in Foro it. Rep., 2010, voce Cassazione civile, n. 57). Successivamente, va depositato, a pena di improcedibilità, presso la cancelleria della Corte, ai sensi dell’art. 369 c.p.c. (Cass., S.U., 7.11.2005, n. 21470, in Foro it. Rep., 2005, voce Cassazione civile, n. 265). Sempre a pena d’improcedibilità vanno depositati, insieme al ricorso, gli atti e i documenti di cui all’art. 369, co. 2, n. 4, c.p.c., non potendosi considerare sufficiente, a tale scopo, la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (Cass., S.U., 14.10.2009, n. 21747, in Foro it. Rep., 2009, voce Cassazione civile, n. 219. Da ultima, sul deposito di atti e documenti ai sensi dell’art. 369, co. 2, n. 4, v. Cass., S.U., 3.11.2011, n. 22786).
Una copia del ricorso va anche depositata nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa, il quale sospende con ordinanza il processo se non ritiene l'istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata (art. 367, co. 1, c.p.c.).
Il procedimento applicabile per la decisione del regolamento di giurisdizione è disciplinato dall’art. 380 ter c.p.c., inserito dal d.lgs. 2.2.2006, n. 40. Stando alla lettera della norma, il presidente si trova innanzi alla seguente alternativa: chiedere al pubblico ministero le sue conclusioni scritte ovvero procedere ex art. 380 bis, co. 1, c.p.c.
L’opzione per quest’ultima via non è così piana come può sembrare.
A seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 40/2006, il testo dell’art. 380 bis, co. 1, riportava un riferimento all’art. 377 c.p.c., che, a sua volta, attribuiva (e attribuisce) al presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, il potere di fissare l’udienza o l’adunanza della camera di consiglio e di nominare il relatore. In tale contesto normativo, tuttavia, era già operante la cd. “struttura unificata” (istituita con decreto del primo presidente della Corte di cassazione del 9.5.2005: v. Foro it., 2005, I, 2323), uno dei magistrati della quale si occupava, volta a volta, dei regolamenti proposti, riferendo al presidente nelle ipotesi di ritenuta applicabilità dei presupposti dell’art. 380 bis c.p.c. Nominato il relatore (il medesimo magistrato) e fissata la data dell’adunanza, il procedimento proseguiva ex art. 380 ter, co. 2, c.p.c. (cfr. ampiamente Damiani, F.S., Il procedimento camerale in Cassazione, Napoli-Roma, 2011, 493 s.).
Le novità introdotte dalla l. n. 69/2009 hanno cambiato i termini della questione interpretativa. L’art. 380 bis, co. 1, non rinvia più all’art. 377, bensì all’art. 376, co. 1, primo periodo, c.p.c.; quindi, il presidente assegna il ricorso alla «apposita sezione» (che ha sostituito la “struttura unificata”) per il vaglio preventivo di sussistenza delle ipotesi di cui all’art. 375, nn. 1 e 5, c.p.c., nominando il relatore, il quale deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia. A ben vedere, l’operatività del meccanismo appena descritto parrebbe essere messa fuori gioco là dove ricorrano le condizioni previste dall’art. 374 c.p.c. (cfr. l’art. 376, co. 1, primo periodo, c.p.c.), che disciplina i casi in cui la Corte pronuncia a sezioni unite, tra i quali figura quello in cui si debba decidere una questione di giurisdizione; tuttavia, lo stesso art. 374, co. 1, secondo periodo, stabilisce che «il ricorso può essere assegnato alle sezioni semplici, se sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite»; in tal caso, dunque, quel meccanismo potrebbe essere applicato.
La prosecuzione del procedimento dovrebbe avvenire nelle forme dell’art. 380 ter, poiché il rinvio all’art. 380 bis riguarda, come detto, soltanto il co. 1. Sennonché, a fronte di paventati problemi pratici, si propone un’interpretazione più elastica, «che permetta l’applicazione dell’intero procedimento camerale ordinario» (tranne l’ultimo comma dell’art. 380 bis c.p.c., che prevede il rinvio alla pubblica udienza) e che consenta al pubblico ministero «di sottrarsi all’onere delle conclusioni scritte» (Damiani, F.S., op. cit., 495 s.). Il presidente può optare per l’applicazione del procedimento speciale di cui all’art. 380 ter c.p.c. In tal caso, le conclusioni del pubblico ministero devono essere notificate agli avvocati almeno venti giorni prima della adunanza della Corte in camera di consiglio; le parti possono replicare con memorie e, se ne fanno richiesta, possono essere sentite (in assenza di un’espressa previsione, analogo potere non spetta, invece, al pubblico ministero: v. Damiani, F.S., op. cit., 499).
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380 ter c.p.c., il ricorso non può essere rinviato alla pubblica udienza; è esclusa, infatti, l’applicazione dell’art. 380 bis, co. 5 (rectius, co. 4). Invece, prima della riforma del 2009, nel senso che per effetto della trattazione dell’istanza di regolamento in udienza pubblica resta inciso il legame istituito dall’art. 375 c.p.c. fra il rito camerale e la prescrizione dell’ordinanza come provvedimento conclusivo, con la conseguenza che alla decisione dell’istanza di regolamento deve essere, in tal caso, attribuita la forma della sentenza (v. Cass., S.U., 10.7.2003, n. 10841, in Giur. it., 2004, 741, con nota di C. Besso).
6. Gli effetti dell’ordinanza
La sostituzione della originaria forma della sentenza con quella ordinanza avvenuta ad opera della l. 24.3.2001, n. 89, consente decisioni semplificate a fronte di ricorsi semplici, ripetitivi, pretestuosi e, quindi, «una riduzione delle pendenze, a beneficio della trattazione e decisione dei casi più complessi e rilevanti, conseguendo al contempo effetti deflativi» (Civinini, M.G., Il nuovo art. 375 c.p.c.: il diritto a un processo in tempi ragionevoli in cassazione, in Foro it., 2001, V, 152).
Tuttavia, la modifica del 2001 ha posto anche un problema interpretativo in ordine alla efficacia del provvedimento.
L’orientamento tradizionale, infatti, riconosceva ad esso efficacia esterna al processo o panprocessuale, sul presupposto che si trattasse di sentenza; il dato positivo (art. 382, co. 1 e 2, c.p.c.: la Corte di cassazione, nel «decidere» la questione di giurisdizione, «statuisce»; art. 310, co. 2, c.p.c.: l’estinzione del giudizio non rende inefficaci le “sentenze” che “regolano” la competenza, ma anche, in base alla opinione prevalente, le pronunce che decidono sulla giurisdizione, rese sia in sede di regolamento sia in sede di ricorso ordinario) sembrava deporre in tal senso. La riforma del 2009 ha lasciato inalterato l’art. 382, ma ha modificato l’art. 310, co. 2, sostituendo alle parole «e quelle che regolano la competenza», le parole «e le pronunce che regolano la competenza»; queste ultime, infatti, hanno non più la forma della sentenza bensì dell’ordinanza. Tale modifica, tuttavia, non è idonea ad incidere sull’interpretazione consolidata.
Pertanto, si può continuare oggi a riconoscere al provvedimento, pur se con nuova forma, la medesima efficacia (v. anche l’art. 59, co. 1, secondo periodo, l. n. 69/2009); del resto, alla Corte di cassazione compete istituzionalmente il ruolo di organo regolatore della giurisdizione (e della competenza), sicché, non sembra vi possano essere ostacoli nel ritenere che anche l’ordinanza resa in sede di regolamento abbia la stessa efficacia che sino alla riforma era della sentenza (cfr. Besso, C., Giudizio di cassazione e rito camerale, in Misure acceleratorie e riparatorie contro l’irragionevole durata dei processi, a cura di S. Chiarloni, Torino, 2002, 24; da ultimo, Damiani, F.S., op. cit., 487 ss.), se del caso di giudicato sostanziale nei casi in cui la Cassazione dichiari il difetto assoluto di giurisdizione nei confronti della p.a., dal momento che trattasi, come è ormai ampiamente riconosciuto, di una questione di merito e non di giurisdizione (Gasperini, M.P., op. cit., 53 ss., 144 ss., 292 ss.).
Invece, la diversità di forma del provvedimento, a seconda che la Cassazione statuisca in sede di regolamento (ordinanza) ovvero in sede di ricorso ordinario (sentenza), non impedisce la conversione del ricorso per regolamento in ricorso ordinario, ferma la sussistenza dei requisiti di forma richiesti dalla legge e la mancata dichiarazione dell’istante di voler escludere il ricorso ordinario (Damiani, F.S., op. cit., 503 s.).
Quanto ai rapporti tra giudizio di merito e possibili esiti del regolamento di giurisdizione, si è affermato in giurisprudenza che qualora, proposto regolamento preventivo di giurisdizione, non sia disposta – ai sensi dell’art. 367 c.p.c. – la sospensione del processo pendente, la pronuncia sul regolamento non è preclusa dalla sentenza di primo grado, neppure se questa sia passata in giudicato, trattandosi di sentenza condizionata al riconoscimento della giurisdizione da parte della Corte di cassazione (v. Cass., S.U., 23.5.2005, n. 10703, in Foro pad., 2005, I, 592). Infatti, se la Cassazione nega la giurisdizione, viene meno un presupposto necessario per l’emanazione della sentenza di merito, che viene di conseguenza caducata (v. Luiso, F.P., Diritto processuale civile, cit., 84, per l’applicazione in via analogica dell’art. 336 c.p.c. Da ultimo, nel senso che il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura nazionale ai sensi della quale egli deve attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore, qualora risulti che le valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte, v C. giust. UE, 20.10.2011, C-369/09).
7. La novella del 2009, la translatio iudicii e il regolamento di giurisdizione d’ufficio
Nel decidere la questione, la Corte di cassazione individua il giudice munito di giurisdizione. Ai sensi dell’art. 367, co. 2, c.p.c., se si tratta del giudice ordinario le parti debbono riassumere il processo entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza (rectius: “ordinanza”).
Tuttavia, l’art. 59 l. n. 69/2009 cit. ha previsto un’espressa disciplina generale della cd. translatio iudicii, applicabile ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della l. n. 69/2009 (arg. ex art. 58 l. cit.), che non opera in senso esclusivamente unidirezionale. Infatti, ai sensi del co. 1, «Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione» (dunque, la trasmigrazione non opera né in favore della pubblica amministrazione né in favore del giudice straniero). Inoltre, ai sensi del co. 2, «Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall'instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute» (secondo una parte della dottrina, la “riproposizione” è da intendere alla stregua di una vera e propria riassunzione del processo, mentre secondo altra parte presuppone la proposizione di una nuova domanda con retrodatazione degli effetti sostanziali e processuali). Si tratta del punto di arrivo di un lungo percorso evolutivo che, attraverso la breccia aperta da importanti e recenti approdi giurisprudenziali (Cass., S.U., 22.2.2007, n. 4109 e C. cost., 12.3.2007, n. 77, in Foro it., 2007, I, 1009, con nota di R. Oriani; in Riv. dir. proc., 2007, 1577, con nota di M. Acone) ha dato risposta, sia pure in maniera a tratti ambigua e imprecisa, alle aspirazioni della dottrina.
Ai sensi del co. 3, primo periodo, dell’art. 59, il giudice successivamente adito non è vincolato alla indicazione del primo giudice che abbia declinato la propria giurisdizione (il vincolo deriva, infatti, soltanto dalla pronuncia delle Sezioni unite ovvero, secondo alcuni autori, da quella della sezione semplice ove sulla questione si siano già pronunciate le Sezioni unite), ma può, a sua volta, dubitare della propria giurisdizione e, attraverso quello che è stato definito un “regolamento di giurisdizione d’ufficio”, rimettere alle Sezioni unite per la soluzione della questione, sia pure entro il breve termine previsto dalla norma (potere di cui, invece, è privo il primo giudice: Cass., S.U., 3.3.2010, n. 5022, in Foro it. Rep., 2010, voce Giurisdizione civile, n. 58). Il meccanismo è analogo a quello del regolamento di competenza d’ufficio ex art. 45 c.p.c. (v. Cass., S.U., 8.4.2011, n. 8036. La stessa Cassazione, però, ha escluso che, a seguito di declinatoria di giurisdizione in sede cautelare, il giudice amministrativo successivamente adito possa sollevare d’ufficio il regolamento di giurisdizione, poiché tale giudice non può essere considerato quello dinanzi al quale, ai sensi del terzo comma dell’anzidetto art. 59, la «causa è riassunta»: Cass., S.U., 9.9.2010, n. 19256, in Giusto proc. civ., 2011, 171 ss., con nota critica di G. Trisorio Liuzzi. Cfr. Consolo, C., Translationes giurisprudenziali sulla «riassunzione»?, in Giusto proc. civ., 2011, 794, che mette in evidenza l’inidoneità del provvedimento di rigetto dell’istanza cautelare per difetto di giurisdizione a dar luogo alla translatio iudicii, a fronte del testo dell’art. 59 che si riferisce espressamente soltanto ai provvedimenti suscettibili di passaggio in giudicato, sia pure formale). Nel senso che il regolamento di giurisdizione d’ufficio si applica anche nei giudizi instaurati prima dell’entrata in vigore della l. n. 69/2009, v. Cass., S.U., 16.11.2010, n. 23109, in Rep. Foro it., 2010, voce Giurisdizione civile, n. 176; Cass., S.U., 2.12.2010, n. 24421, ibidem, n. 194.
Il secondo periodo del terzo comma aggiunge che «Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione». La norma, se riferita alla possibilità di esperire il rimedio anche nella fase davanti al giudice ad quem, contrasterebbe con quanto stabilito dal co. 2 relativa alla incontestabilità per le parti della giurisdizione individuata dal giudice a quo. Sotto questo profilo, Cass., 8.2.2010, n. 2716 (in Corr. giur., 2010, 756, con nota critica di C. Consolo), ha affermato che il principio, secondo cui l’art. 41, co. 1, c.p.c. deve essere interpretato nel senso che qualsiasi decisione emanata dal giudice presso il quale il processo è radicato, anche se solo limitata alla giurisdizione o ad altra questione processuale, preclude la proponibilità del regolamento di giurisdizione, è rimasto fermo anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 59 l. n. 69/2009, risultandone anzi da quest’ultima rafforzato, sia perché le disposizioni sul regolamento sono rimaste immutate in virtù del co. 3, ultima parte, suddetto art. 59, sia perché, anche nel nuovo sistema processuale in materia di giurisdizione, il legislatore ha inteso conservare la natura non impugnatoria del rimedio, la cui funzione continua ad essere proprio quella di prevenire decisioni impugnabili o possibili conflitti reali o virtuali di giurisdizione, e, quindi, quella di soddisfare un’esigenza di rispetto della compresenza nell’ordinamento di ordini giudiziali distinti (cfr. Cass., S.U., 22.11.2010, n. 23596, in Rep. Foro it., 2010, voce Giurisdizione civile, n. 175; Cass., S.U., 18.6.2010, n. 14828, ibid., n. 69, che, però, ha fatto leva sul giudicato implicito sulla giurisdizione, che si determina in mancanza dell’impugnazione della decisione di difetto di giurisdizione del primo giudice e in conseguenza della realizzata riassunzione avanti al giudice individuato nella stessa pronuncia).
In dottrina, si è ritenuto che con tale disposizione il legislatore abbia voluto soltanto confermare la conservazione del regolamento preventivo di giurisdizione (Glendi, C., La circolarità dell’azione tra le diverse giurisdizioni dell’ordinamento nazionale, in Corr. trib., 2009, 2655, 2665), della quale altrimenti avrebbe potuto dubitarsi a fronte dell’introduzione del regolamento d’ufficio (Vittoria, P., Giurisdizione e translatio iudicii, in Giusto proc. civ., 2011, 886 s.).
Fonti normative
Artt. 24, 25, 102, 103, 111, 113 Cost.; art. 2 e ss. reg. CE 22.12.2000, n. 44/2001; artt. 37, 41, 365 ss. c.p.c.; art. 13 l. 20.3.1865, n. 2248, all. E; art. 3 l. 31.12.1992, n. 546; art. 3-11 l. 31.5.1995; art. 59 l. 18.6.2009, n. 69; artt. 9-11 d.lgs. 2.7.2010, n. 104.
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