regolamento europeo
Atto adottato dalle istituzioni europee, definito dall’art. 288 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, ➔ Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea) del 2008. Esso ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
Il r. rappresenta la forma più completa di normativa comunitaria ed esemplifica chiaramente il trasferimento di competenze dai Paesi membri alle istituzioni dell’Unione Europea, in quanto attraverso esso la normativa della UE si sostituisce integralmente, nel settore in questione, alle norme nazionali. Dal momento in cui la UE emana r. in un dato ambito, gli Stati membri sono obbligati ad astenersi dall’adottare qualsiasi provvedimento che vi deroghi e che ne pregiudichi l’efficacia. Benché il r., generalmente, non si rivolga a destinatari identificabili, bensì a categorie astratte di persone, la Corte di Giustizia ammette la possibilità di determinare il loro numero o addirittura la loro identità, qualora la qualità di destinatario dipenda da una situazione obiettiva di diritto o di fatto, definita dall’atto in relazione con la sua finalità. Ove così non fosse, si sarebbe in presenza di una pluralità di decisioni individuali sotto forma di r., impugnabili dai destinatari alle condizioni previste per gli atti a portata individuale. Dal fatto che il r. sia obbligatorio in tutti i suoi elementi, discende che un Paese non può applicarlo in modo incompleto o selettivo.
A differenza delle direttive (➔ anche direttiva europea), che mirano al ravvicinamento delle legislazioni e consentono, nel recepimento, di tenere conto delle specificità degli ordinamenti nazionali, i r. mirano a definire norme uniformi, per natura identiche per ogni Stato, senza che le peculiarità dei singoli Paesi possano avere spazio. Un altro elemento che differenzia i r. dalle direttive è l’applicabilità diretta dei primi, le cui disposizioni operano senza che siano necessari atti di recepimento nel diritto interno. Il r., infatti, è idoneo a produrre effetti diretti sia verticali sia orizzontali, può cioè far sorgere, per le persone fisiche e giuridiche, situazioni soggettive nei loro rapporti con gli Stati membri, le istituzioni comunitarie e anche con altre persone fisiche o giuridiche.
Possono darsi casi per cui alcune disposizioni di r. richiedano, per la loro applicazione, misure di esecuzione da parte dei Paesi. Tale eventualità può essere prevista dallo stesso r., ovvero, anche in assenza di una esplicita previsione, potrebbe risultare necessaria soltanto in relazione ad alcune nazioni, relativamente al modo d’essere del rispettivo ordinamento. In questo caso, si pone per gli Stati membri l’obbligo di provvedere all’integrazione, come disposto dall’art. 4 del TFUE, il quale stabilisce che, in virtù del principio di leale cooperazione, essi adottino ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione. La normativa statale di attuazione è ammessa solamente nella misura necessaria all’esecuzione dei r. e non deve comunque, in alcun modo, soppiantarli. Secondo la Corte di giustizia, infatti, un atto che si sostituisse al relativo r. sarebbe in contrasto con il diritto comunitario, in quanto ostacolerebbe l’efficacia diretta del r. stesso, pregiudicandone quindi la simultanea e uniforme applicazione nell’intera Unione. I r. sono pubblicati sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea ed entrano in vigore nella data da essi prevista ovvero, in mancanza di tale determinazione temporale, il ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione. L’applicazione retroattiva non può essere stabilita senza addurre una motivazione.