RELEGAZIONE
Storia del diritto. - La relegazione fu dapprincipio presso i Romani un provvedimento amministrativo senza carattere penale. Essa consisteva nella limitazione del diritto di scegliere il proprio luogo di residenza. Assumeva una duplice configurazione: o di bando, nel senso che veniva ordinato a taluno di abbandonare una determinata località e di non più ritornarvi; o di confino, nel senso che a taluno veniva ordinato di recarsi in una determinata località e di non uscirne. Le leggi di Silla e della prima età imperiale inserirono la relegazione nel quadro delle pene ed essa divenne uno dei mezzi di repressione più importanti e più frequenti.
Si distinsero quattro specie di relegazione: 1. relegazione senza modificazione della capacità giuridica, senza pena capitale per il contravventore e senza confino; 2. relegazione senza modificazione della capacità giuridica e senza pena capitale per il contravventore, ma con confino: era quella che solitamente si chiama relegatio in insulam; 3. relegazione senza confino, ma con pena capitale per il caso di contravvenzione al bando, ordinariamente chiamata aqua et igni interdictio: dopo Tiberio, essa importava la perdita del diritto di cittadinanza e la confisca del patrimonio; 4. relegazione con confino, con pena capitale per il contravventore, produttiva di perdita della cittadinanza e di confisca del patrimonio: introdotta da Tiberio, è quella che più propriamente si chiama deportazione.
La facoltà di relegare il cittadino e il non cittadino rientrava nell'imperium del magistrato romano e fu in ogni tempo esercitata: nel caso del non cittadino, ogni qualvolta il magistrato l'avesse ritenuto opportuno; nel caso del cittadino, quando avesse macchiato la sua riputazione. Le forme più gravi di relegazione si applicavano, naturalmente, nei casi più gravi: così l'aqua et igni interdictio, inflitta in ogni tempo allo straniero, ma non al cittadino anteriormente alla legislazione di Silla, era comminata per il delitto di lesa maestà e di tradimento, e, nelle leggi penali successive, per la violenza, per l'ambitus e altri reati. La relegazione doveva essere determinata non soltanto quanto al luogo, ma anche quanto al tempo: se si trattava di bando, veniva fissato il termine entro il quale il colpito doveva abbandonare il luogo da cui era escluso; se si trattava di confino, quello entro il quale il confinato doveva raggiungere il suo domicilio obbligatorio. La durata della pena era diversa secondo i diversi casi: le fonti che noi possediamo, la fanno oscillare da sei mesi (Cassiod., Var., 3, 46) a dieci anni (Tacito, Annales, 3, 17; 6, 49). Se non era indicato un termine, bando e confino s'intendevano inflitti in perpetuo.
Nei diritti medievali relegazione e deportazione differiscono, nel senso che il relegato era obbligato a rimanere costantemente in una determinata parte dello stato, mentre il deportato veniva trasportato in luogo al di là dei mari. La relegazione non si vede usata in Italia prima del secolo XIII. Introdotta dapprincipio, forse, per evitare private vendette, divenne poi una vera pena, quantunque limitata in alcuni stati, in altri proibita: spesso la si adoperava per aumentare la popolazione delle regioni più scarse di abitanti. Nel Napoletano la relegazione era pena dei nobili, ai quali s'infliggeva invece della galera inflitta ai plebei. Il relegato doveva dar sicurtà di non uscire dal luogo assegnatogli: la contravvenzione era punita con multa, o col raddoppiamento della pena, qualche volta con la confisca del patrimonio e con la morte. Per impedire che i relegati uscissero dal luogo loro assegnato, le leggi venete prescrivevano che si dovessero presentare due volte per settimana al rettore del luogo del loro confino; a Brescia uno statuto del 1292 imponeva ai confinati di presentarsi almeno ogni tre giorni a un commissario, detto capitaneus confinatorum.
Diritto penale moderno. - In Italia vi furono varî progetti per l'istituzione della relegazione per i recidivi e gli abituali, ma l'opinione pubblica vi fu nella maggior parte contraria. Sono da ricordare i progetti Pelloux-Finocchiaro del 1899, Ronchetti-Giolitti del 1904 e Luzzatti del 1910. La relegazione era ammessa nel codice penale per la Colonia Eritrea. La scuola positiva si dichiarò favorevole all'istituto per i delinquenti incorreggibili, ma il codice penale del 1930 non l'accolse, consentendo solamente che le pene dell'ergastolo e della reclusione possano essere scontate in una colonia o in altro possedimento d'oltre mare (articoli 22 e 23 cod. pen.) per ragioni attinenti a scopo di esemplarità e di maggiore sicurezza sociale. Ma nella relazione al progetto definitivo si avverte che in tal caso non si opera la trasformazione della pena dell'ergastolo o della reclusione in un'altra specie di pena, come quella della deportazione o relegazione, perché si tratta solamente di una modalità spaziale dell'esecuzione delle pene dell'ergastolo e della reclusione.
Attualmente lo studio della relegazione non può essere fatto se non attraverso l'esame della legge francese.
La relegazione per essa consiste nell'internamento perpetuo sul territorio di colonie o possedimenti francesi, di condannati che la legge si propone di allontanare dalla Francia. Così con l'articolo primo della legge 27 maggio 1885 sui recidivi (modificata successivamente con le leggi 3 aprile 1903, 31 marzo 1904, 19 luglio 1907, e con il decreto 18 settembre 1925) viene definita la relegazione.
Essa è una pena complementare che non si può applicare ai minori degli anni 21, agl'individui che hanno superato i 60 anni e alle donne. Ragione dell'applicazione della pena è una presunzione d'incorreggibilità che si desume dal numero delle condanne precedenti, dall'intervallo tra le singole condanne, dalla gravità delle pene in corso, dalla natura dei reati. La pena della relegazione è inflitta dal magistrato nella stessa sentenza di condanna alla pena principale e viene eseguita dopo che è scontata la pena principale; ma è consentito al governo di anticipare l'esecuzione prima che abbia termine la pena principale. Quanto alle modalità dell'esecuzione occorre distinguere due specie di relegazione: la prima è detta "relegazione collettiva", si effettua nella Guiana e nella Nuova Caledonia in stabilimenti chiusi con ferrea disciplina affiata a veri e proprî consigli di guerra; la seconda è detta "relegazione individuale", si sconta in qualsiasi colonia o possesso francese e si avvicina molto alla deportazione o al confino, in quanto che i relegati restano liberi nella colonia loro assegnata e possono scegliere il lavoro, previo un esame della loro condotta, ma sono sottoposti a speciali misure di sorveglianza. Questa seconda forma di relegazione viene concessa a coloro che dimostrano di avere mezzi onorevoli di sussistenza e attitudini a divenire buoni coloni.
La relegazione, anche in Francia, ha dato luogo a gravissimi dibattiti. Specialmente la relegazione collettiva è considerata come un sistema penitenziario indegno della civiltà moderna, e tutta una letteratura non solo giuridica, ma filosofica, sociale e anche romantica fiorisce intorno ad essa.
V. anche bando; deportazione; esilio.
Bibl.: Per la storia del diritto: Th. Mommsen, Römisches Strafrecht (trad. franc. di J. Duquesne, Le droit pénal romain, Parigi 1907, III, p. 309 segg.); A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2ª ed., Torino 1892, V, p. 299. - Per il diritto moderno: G. Beltrani-Scalia, La riforma penitenziaria, Roma 1879; id., La deportazione, Roma 1894; C. Jambois, Code pratique de la relégation, Parigi 1886; A. Gay, De la relégation des récidivistes, ivi 1886; A. Eyquem, Des peines de la récidive et de la relégation des récidivistes, Bordeaux 1889; E. Houite de la Chesnais, Les réformes pénales de 1885 (Loi du 27 mai 1885 sur la relégation des récidivistes), Parigi 1898; Enciclopedia giuridica italiana, XIV, parte 1ª, Milano 1900, p. 713; Digesto italiano, XX, parte 1ª, Torino 1911-1915, p. 1061; A. Rosa, Deportazione e colonizzazione penale, in Rivista di discipline carcerarie, Roma 1915, n. 8 segg.; Garraud, Précis de droit criminel, Parigi 1921; Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, parte 1ª, Roma 1929, p. 70; E. Florian, Trattato di diritto penale, parte generale, II, Milano 1934, pp. 801, 1000.