Il nesso tra economia e religione è complesso. Almeno tre sono i livelli ai quali esso può essere declinato. Il primo livello si occupa della relazione di reciprocità tra discorso religioso e pensiero economico. La teologia della liberazione, ad esempio, sviluppatasi in America Latina a partire dagli anni Sessanta del 20° secolo, ha inciso sulla formazione delle strutture economiche di quell’area ed è intervenuta a modificare le norme sociali di comportamento della popolazione. C’è anche il nesso contrario: basti fare memoria dell’influenza esercitata dalla ‘rivoluzione commerciale’ della società europea dell’11° secolo (l’emergere di un’economia commerciale; l’affermarsi di una cultura urbana; il massiccio impiego della moneta nelle transazioni economiche) sul giudizio in chiave religiosa del prestito a interesse: dalla condanna netta dell’usura a un suo progressivo affievolimento, fino all’affermazione della liceità del ‘giusto’ tasso di interesse. E così via.
Un secondo livello di analisi è quello che indaga i nessi tra credenze religiose e comportamento economico degli individui. È nota la rilevanza, talvolta dominante, delle variabili religiose su comportamenti quali la propensione al risparmio della famiglia, l’atteggiamento nei confronti della competitività e soprattutto del lavoro. Per talune religioni, il lavoro è solo mezzo e fatica; per il cristianesimo esso è un fine in sé e sorgente anche di gioia - come l’ora et labora benedettino affermò in modo rivoluzionario. Determinante, inoltre, è l’influenza delle religioni sulla formazione del sistema motivazionale delle persone. Il fatto che in certe popolazioni prevalgano tipi con motivazioni estrinseche, oppure intrinseche, oppure trascendenti dipende chiaramente dalla matrice cultural-religiosa in esse prevalente. Si ponga a confronto l’ubuntu africano, secondo cui vale la massima ‘sumus, ergo sum’, con la tradizione giudaico-cristiana fondata invece sulla centralità della persona umana.
Infine, c’è un terzo livello al quale leggere il legame tra economia e religione. Si tratta di un livello, per così dire, ‘macro’, che si interroga sull’influenza di certe matrici religiose sull’affermazione, in un dato territorio, di un certo modello di ordine sociale. La religione, infatti, in quanto componente essenziale dell’infrastrutturazione istituzionale di una società, se da un lato pone vincoli di natura morale all’agire umano, dall’altro sprigiona opportunità, spesso rilevanti, d’azione. Non è forse vero che è grazie all’etica religiosamente fondata che l’uomo, a differenza dell’animale, non ha bisogno di trasformarsi in una nuova specie per adattarsi all’ambiente che lui stesso ha contribuito a modificare?
L’esempio più notevole, a tale riguardo, è costituito dall’influenza dell’etica cattolica sulla nascita della moderna economia di mercato. È alla scuola di pensiero francescana che si deve l’invenzione e la creazione, a partire dal 14° secolo, di tale modello di ordine sociale – da non confondersi con la presenza di un insieme organizzato di mercati, in esistenza già nell’antichità – che ha avuto la sua culla in terra di Toscana e Umbria. Categorie come divisione del lavoro (volta a dare a tutti, anche ai meno dotati, la possibilità di lavorare); sviluppo (inteso come ‘liberazione dai viluppi’); libertà di impresa (concepita come assenza di vincoli concessori nello svolgimento dell’attività economica); bene comune (da tenere ben distinto sia dal bene totale, sia dal bene collettivo) – sono questi i quattro pilastri dell’economia di mercato civile – sono tipiche dell’etica cattolica e non si ritrovano, tutte e quattro assieme, in altre religioni. Del pari, si pensi al collegamento tra etica protestante e spirito del capitalismo secondo la celebre ricostruzione di Max Weber. L’infinità di dispute e di dibattiti che essa ha alimentato è dovuta a una duplice confusione di pensiero: quella tra etica cattolica ed etica protestante e quella tra economia di mercato civile ed economia di mercato capitalistica. Eppure il mercato anticipa di alcuni secoli l’avvento del capitalismo.
Sorge spontanea la domanda: perché nell’ultimo quarto di secolo la prospettiva di discorso religioso ha iniziato a riemergere al modo di un fiume carsico? Perché il passaggio dai mercati nazionali al mercato globale va rendendo di nuovo attuale il discorso intorno al legame tra religiosità e performance economica? Perché il divorzio consumatosi nel corso degli ultimi due secoli tra economia ed etica è oggi riconosciuto dai più come una delle cause profonde della grande crisi finanziaria scoppiata a Wall Street nel 2007, nello stesso luogo in cui aveva preso avvio la grande crisi del 1929? Dopo un lungo periodo di tempo, durante il quale la celebre tesi della secolarizzazione pareva avesse detto la parola fine sulla questione religiosa – tesi secondo cui la religiosità sarebbe scomparsa con l’avanzare dello sviluppo economico – quanto sta oggi accadendo suona piuttosto paradossale. Ma la riapertura del dibattito – per caratterizzare il quale taluno ha parlato di de-secolarizzazione – può aprire prospettive nuove di dialogo – diàlogos, la ragione che attraversa tutto e tutti – e dunque di soluzione degli attuali grandi problemi dell’umanità. Proprio come già aveva anticipato Erasmus nel suo Enchiridion Militi Christiani del 1503.