Religione
Il concetto di religione non può essere definito astrattamente, al di fuori di una posizione culturale storicamente determinata e di un riferimento a specifiche formazioni storiche. In questo senso vanno riferite ai singoli contesti anche le diverse raffigurazioni del corpo che costantemente compaiono al centro delle tradizioni religiose dell'umanità. Fin dagli albori della storia, infatti, la divinità è stata rappresentata in forme corporee e il corpo è stato assunto come veicolo dell'esperienza religiosa.
l. Il corpo nelle tradizioni religiose
In religioni antiche, come quelle assirobabilonese, egizia e grecoromana, il corpo umano è spesso utilizzato come forma di rappresentazione delle divinità, e le situazioni corporee di nascita, fecondità, fanciullezza, amore, malattia, morte trovano un corrispettivo nel mondo divino. Per contro, in altre culture, si impone l'idea di un 'corpo teofanico', in cui la divinità si incarna, come avviene negli avatara, 'discese' di divinità sulla Terra, delle religioni indiane, oppure presso gli inca o i celti dove i re sono considerati una presenzializzazione della divinità. Lo sciamanesimo asiatico e americano, per parte sua, rimanda al modello di un 'corpo sovrumano' o 'estatico': gli sciamani sono coloro che, attraverso uno stato di trance che li pone in contatto con gli spiriti, rivivono in sé un viaggio ultraterreno di salita e di discesa abilitandoli a una nuova percezione del reale, al di là della mera conoscenza sensoriale. I costumi, le mimiche, le danze e i ritmi del corpo sono funzionali a tale evento; ciò vale per il corpo dello sciamano e, di riflesso, per quello del gruppo. Profondamente diversa appare la prospettiva dello zoroastrismo: il corpo si trova all'incrocio tra lo spirito del bene (Spenta Mainyu) e lo spirito del male (Angra Mainyu) come luogo di scelta per il Signore o per il suo avversario. Estremamente diffusa è l'idea di un 'corpo subordinato', derivante da una concezione dualistica dell'essere umano, dove la corporeità è intesa come condizione transitoria, di peso o addirittura negativa, rispetto allo spirito superiore destinato a sopravvivere alla morte. Contenuti espliciti di un'antropologia di questo genere si trovano nello gnosticismo e nella dottrina di Mani, ma sono reperibili anche in tutte quelle culture religiose in cui l'opposizione spirito/corpo finisce per corrispondere all'opposizione sacro/profano, mondo divino/mondo umano, puro e impuro. Di matrice differente è il modello del 'corpo simmetrico' rintracciabile nelle tradizioni indiane e iraniche, baltiche e slave, celtiche e germaniche, in base al quale esiste una sorta di osmosi consustanziale tra corpo umano e cosmo, al punto di poter affermare coppie omologhe costanti tra i due ambiti. Tali sono, per es., le coppie respiro/vento, fronte del volto/confini del cielo, capelli/erba, mente/nubi, sangue/acqua, osso/pietra, occhi/sole, sentimenti/luna. La maggior parte dei rituali di guarigione e di incantesimo si fondano su questi allomorfismi. Lo stesso processo di morte viene generalmente inteso come ritorno del microcosmo del corpo al macrocosmo dell'universo, e la resurrezione come il movimento inverso. In una prospettiva analoga si colloca l'utilizzazione del corpo quale veicolo di comunicazione o 'corpo simbolico', che avviene ad almeno tre livelli fondamentali: il corpo è simbolico per le rappresentazioni che assume (si pensi alle decorazioni corporee presso i popoli della Nuova Guinea o più in generale ai tatuaggi, alle maschere, alle danze e alle scarificazioni delle popolazioni africane o amazzoniche); è simbolico per la sua forma armonica e per le sue parti (è sufficiente ricordare il concetto di bellezza del corpo presso i navajo d'America, le immagini vediche, le raffigurazioni del mondo greco, oppure l'uso ricorrente delle metafore 'testa', 'mani', 'cuore'); infine è simbolico per quanto ha fatto durante la vita e rappresenta per i posteri (si pensi, per es., alla venerazione del corpo dei fondatori, all'uso di conservarne le reliquie o di appendere un ricciolo dei loro capelli al collo ecc.). In tutte le tradizioni religiose il corpo si presenta dunque come portatore di molteplici significati; ciò avviene ordinariamente in collegamento al senso del tempo e ai grandi interrogativi sulla vita, il dolore, l'amore, la morte e l'aldilà. È quanto si può verificare se, dalle religioni tradizionali, ci si rivolge alle grandi religioni storiche, tra cui in particolare l'induismo, il buddhismo, il confucianesimo e il taoismo, l'ebraismo, il cristianesimo e l'islamismo.
2. Induismo
L'induismo muove dall'intuizione fondamentale che la realtà è una: 'tutto è Brahman'. Il mondo visibile non esiste in sé e per sé, ma come manifestazione di Brahman, l'Eterno Inabitante. Lo stesso spirito dell'essere umano, l'atman porta in sé una tale identità. "Questo atman dentro il mio cuore è più piccolo di un grano di riso o di frumento, di un seme di senape o di un grano di miglio o del germe di un grano di miglio; e tuttavia, questo atman dentro il mio cuore è più grande della terra, più grande delle regioni intermedie, più grande dei cieli [...]. Questo atman dentro il mio cuore è Brahman stesso" (Chandogya-Upanishad III, 14, 3-4). L'Io di ogni individuo, come tale, è "ingenerato e immortale, immutabile ed eterno, e non è ucciso con l'uccisione del corpo" (Bhagavadgita II, 20-25). "Non c'è mai stato tempo nel quale né io né tu, né i re degli uomini non esistessimo; né mai ci sarà un tempo nel quale cesseremo di esistere. Come l'Io spirituale [letteralmente "l'incorporato"] passa attraverso l'infanzia, la giovinezza e la vecchiaia, e resta sempre lo stesso, così esso permane dietro il mutamento dei corpi" (II, 12-13). L'antropologia-base di questa concezione evoca l'idea dell'uomo come di un essere composto di due entità fondamentali: il principio spirituale (l'atman appunto), spirito increato e indistruttibile, e il corpo, esistenza creata e transitoria. L'unione delle due entità è sovrastrutturale, essendo collegata al ciclo delle nascite e rinascite e dipendendo dall'ignoranza che domina la vita dell'uomo. "Come l'uomo smette vestiti vecchi e ne indossa di nuovi, così lo spirito, avendo smesso corpi usati, ne assume di nuovi" (Bhagavadgita II, 22). L'esistenza corporea è dunque percepita come un'esistenza di passaggio, in rapporto al trasmigrare dell'anima (samsara, letteralmente "girovagare"), finché non attinga all'assoluto divino. La nuova nascita, in esseri superiori o inferiori, dipende dalla legge del karman, in base a cui le azioni (buone o cattive) fanno sentire il loro influsso sulla vita successiva e trovano in essa una corrispondente retribuzione. "Uno diventa a seconda di come si comporta. Chi fa il bene diventa buono; chi fa il male diventa cattivo" (Brhadaranyaka-Upanishad IV, 4-5). Il fine di tutto è la liberazione dalla ruota delle reincarnazioni con il ricongiungimento definitivo con l'origine, il Brahman. È in vista di questo fine escatologico che viene proposta una triplice via di liberazione. La prima via è il karma-marga: il perfetto agire, insegnato nella Bhagavadgita, a cui si aggiunge il retto compimento dei riti e dei sacrifici religiosi. La seconda via è lo jnana-marga: l'introspezione speculativa che conduce alla consapevolezza del sé e alla conoscenza perfetta dell'amato divino. La terza via è lo bhakti-marga come devozione amorosa e grazia di illuminazione. Quanto non rientra in queste tre vie è maya, illusione e inganno. La stessa reincarnazione è illusione e inganno, finché non sia superata dal ritorno al Brahman. Ogni essere porta in sé un dharma, una vocazione, una norma e un compito a cui deve corrispondere per attuare il senso profondo dell'esistenza. In caso contrario, egli continuerà a vagare in questo mondo in una serie indefinita di vite, soffrendo nel nascere e nel morire. Solo nella realizzazione della sua profonda identità è resa possibile l'interruzione del ciclo delle rinascite. 'Tu sei quello', insegna instancabilmente l'induismo, e tale è la speranza di ogni credente indù: irradiarsi nel Brahman per essere per sempre Brahman.
3. Buddhismo
Il buddhismo nasce nel contesto della religione indù; di essa accetta due presupposti fondamentali: la dottrina del samsara (o rinascite secondo la legge del karman) e l'idea della possibilità di autoliberarsi dal ciclo delle trasmigrazioni. Diversi ne sono invece l'antropologia e l'itinerario religioso. I fenomeni dell'esistenza umana sono inconsistenti, impersonali e dolorosi. "Tutto è transitorio, e ciò che è transitorio è dolore", recita la costante tradizione buddhista. Il corpo è sottoposto alla medesima legge; esso non racchiude in sé uno spirito eterno, come principio vitale, separato o separabile dal corpo. Il cosiddetto Io-personale è piuttosto una combinazione, cangiante, di forze fisiche e di energie mentali, un aggregato di cinque gruppi di esistenze: 1) la forma fisica, costituita dai quattro elementi fondamentali (terra, acqua, fuoco, vento); 2) la sensazione, dipendente dai sei organi interiori (occhio, orecchio, naso, lingua, corpo, mente) e dai sei oggetti esterni (aspetto, rumore, odore, gusto, contatto, oggetto mentale); 3) la percezione di colori, suoni, odori, gusti, fenomeni tangibili e immagini spirituali in relazione ai sei organi interiori; 4) il movimento della volontà in rapporto ai sei oggetti esterni; 5) la coscienza come capacità di cogliere la qualità degli oggetti secondo sei forme, in corrispondenza ai sei oggetti e ai sei organi, per un totale di diciotto elementi, fondamento dell'autocoscienza umana. La morte è cessazione del 'gruppo di esistenze' costituenti l'individuo e trasformazione in un altro gruppo di esistenze, inferiore o superiore, in rapporto ai meriti o demeriti acquisiti in precedenza.
L'itinerario religioso del buddhismo è radicalmente orientato a far uscire il credente da un tale destino di nascite e di rinascite per condurlo all'esperienza dell'illuminazione già vissuta dal Buddha, dove non c'è più morte ma salvezza definitiva, pace, felicità. Contenuto fondamentale di questo itinerario sono le quattro nobili verità: la verità del dolore; la verità sull'origine del dolore; la verità sul superamento del dolore; la verità sulla via per il superamento del dolore. La prima verità deriva dalla constatazione che gli eventi della vita comportano sempre una componente di dolore; non si nega che esistano momenti di gioia, ma si ritiene che essi siano sempre relativi e mutevoli, privi cioè del carattere dell'incondizionatezza e dell'immutabilità. La seconda verità spiega che l'origine del dolore deriva dall'avidità che domina la vita degli individui, senza mai un perfetto e definitivo appagamento; un'avidità che scaturisce dalla mancata percezione della vera natura del reale e che finisce, se non è vinta, per accompagnare come una pesante eredità non solo la vita presente ma tutte le successive esistenze. La terza verità è conseguente: solo nell'annientamento del desiderio e delle sue radici, che sono l'orgoglio, la passione, l'ignoranza, la bramosia, l'odio e l'accecamento, è possibile porre un termine al ciclo delle rinascite. Allora i cinque gruppi di esistenze che si erano uniti perdono la loro consistenza e non si aggregano più, rendendo possibile la liberazione definitiva dal nascere e dal morire, e quindi dal dolore. Questo stato di illuminazione è qualificato come nirvana, "spegnimento", stato di somma beatitudine, al di là del mondo delle sensazioni, increato, assoluto e inesprimibile, che può realizzarsi già in questa vita, come mostra l'esperienza di Buddha, ma che, di fatto, si compie come grande nirvana solo con la morte, senza più alcun residuo di condizionamento. La quarta verità concerne la via di realizzazione di questo stato, e rimanda a otto sentieri, connotati dalla rettitudine (retto intendere, retta risoluzione, retto parlare, retto agire, retto sostentarsi, retto sforzo, retta meditazione, retta concentrazione), raggruppabili secondo tre tappe essenziali che sono: la moralità, il raccoglimento, la sapienza. La mortificazione del corpo risulta essere inutile se non è accompagnata dalla purificazione del cuore, come autoliberazione dal 'desiderio di desiderare'. Al centro di tutta l'ascesi si pone l'esperienza paradigmatica del fondatore, Buddha, l'illuminato, considerata salvificamente rilevante per tutti i seguaci. È in questa prospettiva che il buddhismo mahayano ha elaborato la dottrina dei tre corpi: il corpo fenomenico, corrispondente al corpo del Buddha storico; il corpo della beatitudine, comprendente le molteplici apparizioni del Buddha e le sue raffigurazioni venerate nel culto; il corpo della trascendenza, equivalente al Buddha nel suo valore assoluto, incarnazione del dharma, da attuare e perseguire per il raggiungimento del nirvana.
4. Confucianesimo e taoismo
Le culture religiose cinesi trovano la loro espressione più tipica nel confucianesimo e nel taoismo. Alla base di entrambi si pone il concetto tradizionale di tao, "via, sentiero", il quale evoca l'ordine dell'universo e suppone una reciprocità fisica e morale tra i ritmi del cosmo e quelli dell'esistenza umana. Risulta estranea a questa antropologia l'idea di una corporeità come entità materiale separata dall'anima. L'uomo non è considerato come spirito e corpo, ma come un continuum di energie vitali (qi), che riunisce in sé come in un microcosmo l'essenza del cielo (yin) e della terra (yang): dalla terra riceve il sangue, dal cielo il respiro. Non solo l'essere umano, ma tutto ciò che esiste porta in sé la polarità dialettica di yin e di yang: l'uno quale principio femminile, forza 'perfezionante, conservante, partoriente'; l'altro quale principio maschile, forza 'iniziante, scatenante e fecondante'. Per il taoismo, lo yin e lo yang rappresentano il tao del cielo e della terra, nonché l'ordine delle innumerevoli cose; sono il padre e la madre del cambiamento e della trasformazione, il principio della vita e della morte, la fonte dei movimenti misteriosi della luce e delle tenebre. L'essere umano rappresenta il prodotto dell'incontro, delle nozze tra yin e yang, tra cielo e terra. È da questo incontro che sono prodotti i cinque elementi (acqua, fuoco, legno, metallo, terra) che determinano le stagioni e il tempo, secondo un sistema dove tutto può essere classificato in chiave quintupla: cinque colori, cinque sapori, cinque parti fisiche, cinque punti cardinali, cinque sentimenti. Sia nel confucianesimo sia nel taoismo si suppone un influsso reciproco o 'gioco combinato' tra i due principi e gli elementi corrispondenti. Il confucianesimo muove da una lettura in prevalenza etica del tao, collegata all'identità morale dell'uomo e all'esigenza di conciliare in lui, nella sua umanità e nell'organizzazione della società, le opposte forze di yin e yang, con una visione umanistica che conduce all'ideale dell'uomo superiore, connotato dalla virtù dello jen, pietà, benevolenza, saggezza, e, di conseguenza, da un comportamento morale nel quale prevalgano giusti rapporti tra sovrano e sudditi, marito e moglie, genitori e figli, fratelli, amici, per arrivare, infine, a un ordinamento politico che è centrato sull'amore universale. La legge dell'ordine naturale fonda la legge morale, così come ogni disordine sociale trova la sua contropartita in un turbamento di ordine cosmico. Lao Zi, fondatore del taoismo, assume il tao in una prospettiva più metafisica, intendendolo come il fondamento ineffabile dell'essere, 'generatore non generato di tutto ciò che è' e garanzia di quanto si deve attuare nel mondo. La conseguenza è che gli uomini non devono far altro che regolare la propria vita secondo il tao, senza turbarlo o contraddirlo, in un assecondamento spontaneo della natura. Questo è l'insegnamento del wu-wei, la via del 'non-agire', che è intesa come ricerca di armonia con la forza nascosta (te) nel cosmo. Il segreto dell'esistenza, infatti, è di vivere in accordo con il tao. La meditazione taoista è orientata a questa meta. L'antropologia a cui il taoismo rimanda implica che il corpo umano rappresenti un sistema organico, costituito da correnti di energie sessuali, emotive, psicologiche, spirituali e atmosferiche. L'ascetica è indirizzata alla loro armonizzazione, al fine di guidare il credente al raggiungimento di un nuovo Io, dove è possibile vivere in unità e si 'dialoga con gli dei'.
Il taoismo religioso successivo svilupperà l'idea di un'immortalità fisica come modo di essere non consistente semplicemente nella liberazione di una parte di sé, lo spirito, ma in una trasformazione di tutto l'essere umano nell'unione mistica con il tao; una trasformazione interpretata sia in senso letterale, come sublimazione del corpo in un'entità rarefatta, leggera e duratura, sia in senso simbolico, come realizzazione di una libertà spirituale piena e totale, senza più alcuna falsa motivazione. Entrambe le forme esigono una lunga serie di esercizi di respirazione e di pratiche mirate a comportamenti alimentari, psicofisici e religiosi, regolati da prescrizioni. Per quanto concerne la morte fisica, si ritiene che essa sia solo apparente e si intravedono esiti diversi tra coloro che hanno raggiunto la condizione di immortalità celeste, gli immortali terrestri che vagano nelle foreste sacre e sui monti, e gli esseri umani che si limitano ad abbandonare il loro corpo fisico. Alcune forme popolari tardive non mancheranno di assumere elementi del buddhismo per spiegare l'aldilà. Rimarrà tuttavia una differenza fondamentale: l'idea taoista dell'immortalità rimanda a una visione positiva della vita nel mondo, l'idea della reincarnazione suppone una convinzione opposta.
5. Ebraismo
La fede ebraica deriva dall'esperienza di un Dio che ha liberato Israele dalla condizione di schiavitù, sottraendolo alla non-esistenza per farlo diventare il popolo della sua alleanza, il suo popolo ('am Jahweh). È alla luce di questo evento decisivo che Israele rilegge i primordi della creazione come gesti divini che hanno prodotto tutto ciò che esiste e ai quali, per una colpa di origine, si collega il principio remoto della sofferenza e della morte. Al centro è l'idea dell'essere umano come essere creato a immagine e somiglianza di Dio, vertice dell'universo e interlocutore privilegiato del Creatore. L'atto creativo riguarda la totalità della persona umana, spirito in un corpo, ed è riferita non solo al singolo, ma alla bipolarità sessuata, maschile e femminile (Genesi 1, 2). Il corpo, al pari dello spirito, è dunque dono del gesto creatore, non una realtà solo materiale o il prodotto di circostanze casuali. L'essere umano è un'unità complessiva spirituale-corporea. Esprimono questo senso i termini biblici che designano l'essere umano (basar, nephesh, ruah, leb/lebab), costantemente relativi all'unitotalità della persona, sia pure sotto aspetti particolari. La dimensione spirituale non è mai disgiunta da quella corporea e viceversa. Il credente si riconosce, nel corpo, quale essere suscitato da Dio come un 'prodigio' (Salmi 139, 13-15). Secondo tale antropologia, l'uomo è chiamato ad attuare sé stesso e il futuro del mondo nella libertà delle sue scelte, riconoscendo Dio come il Creatore e obbedendo alla sua parola. In caso contrario, se pretende di essere 'come Dio', va incontro alla morte, rifiutandosi alla chiamata donatagli 'fin dal principio' (Genesi 2, 16-17). Il riconoscimento della relazione con Dio è inseparabile dal riconoscimento della relazione con la comunità di appartenenza. Privo di essa, il credente israelita soffrirebbe della più grande solitudine, come un Caino fuggiasco. Il fondamento di una simile antropologia comunitaria risiede nell'alleanza che Yahweh ha stretto con il suo popolo, al punto che al di fuori di essa non è possibile rimanere in comunione con Dio. L'idea del corpo come 'unità personale' coincide così con l'idea del popolo come di un unico grande corpo, una 'personalità corporativa'. Per questo la colpa di uno solo si può ripercuotere su tutto il popolo, come è avvenuto per la caduta dei progenitori. Il peccato tuttavia non deriva dal corpo ma dal cuore, inteso come metafora della parte più intima dell'essere umano e centro da cui origina la presa di posizione dell'uomo di fronte alla volontà divina. In corrispondenza a questa concezione, la salvezza messianica preannunciata dai profeti è compresa come un evento di salvezza globale che riguarda tutto l'uomo e tutti gli uomini implicando una pienezza di vita e una nuova armonia (shalom), in una riconciliazione universale di cielo e terra e in un banchetto di festa a cui ogni popolo sarà chiamato a partecipare (Isaia 60-62; 66, 22-24). Questa salvezza sarà l'opera che il Signore realizzerà sulla terra. Solo più tardi, e per influssi ellenistici, comparirà un concetto di salvezza più spiritualizzato. La condizione di esistenza nell'aldilà è vista generalmente come comunione con Yahweh, in una prospettiva di retribuzione globale, di premio o di condanna in relazione ai comportamenti tenuti durante la vita (Sapienza 2-3). L'esito finale è legato all'obbedienza o disobbedienza a Dio e alla sua legge: "Vedi, io pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" (Deuteronomio 30,15).
Nella letteratura apocalittica le disposizioni di bene e di male sono talvolta delineate come opposizione di due spiriti che lottano nell'uomo, impegnandolo a decidere per l'uno o per l'altro. Il giudaismo rabbinico tende invece a collocarsi in una prospettiva più etico-creaturale: la buona o la cattiva disposizione riguarda la totalità della persona umana in quanto essere voluto da Dio e responsabile dei suoi atti. La 'via della vita' allora, come appare in tutto il giudaismo successivo, sarà la via della fedeltà all'elezione e agli obblighi che essa comporta, e la torah (la legge) il modello e il percorso di un progetto di vita conforme al disegno di Dio, un dono apportatore di salvezza per Israele e per l'umanità.
6. Cristianesimo
Il cristianesimo nasce nel quadro dell'antropologia ebraica. Il corpo è egualmente considerato come un dono della creazione, segno visibile dell'Io spirituale invisibile e suo 'luogo' di realizzazione, e la persona, nella dualità del maschile e del femminile, viene considerata come un tutto spirituale-corporeo, che è chiamato a rispondere con la totalità del suo essere al progetto di Dio sulla storia, nonostante la ferita iniziale del peccato di origine. La novità assoluta che il cristianesimo proclama consiste nell'affermazione che Dio stesso, il suo Unigenito Figlio, si è incarnato in una condizione corporea come quella di Adamo, attuando in quel corpo e per mezzo di quel corpo la salvezza dell'intero genere umano come liberazione dal peccato e possibilità di partecipare alla vita stessa di Dio-Trinità. La croce rappresenta il compimento dell'evento dell'incarnazione e il corpo di Cristo il 'grande sacramento', il segno e lo strumento della redenzione del mondo. La comunità dei credenti e la giustificazione cristiana sgorgano dal 'corpo dato' e dal 'sangue versato' di colui che, 'nato da una donna', si è offerto come vittima di riscatto per tutti, in attesa della piena redenzione dei nostri corpi mortali. L'antropologia cristiana è profondamente segnata da questa novità. I battezzati sono costituiti come membra effettive del corpo ecclesiale e trasformati in tempio vivo dello Spirito Santo, chiamati perciò a glorificare Dio con il loro corpo, come in una liturgia perenne (1 Corinzi 6, 19-20). La Scrittura e l'economia sacramentale della Chiesa, in virtù della loro forma visibile, continuano la pedagogia dell'incarnazione redentiva. L'eucaristia rappresenta la memoria attualizzativa del mistero del corpo e del sangue di Cristo offerti sulla croce e plasma perennemente la Chiesa come corpo del Signore glorioso (Kyrios). A ogni livello della storia della salvezza Dio si adatta, per così dire, alla condizione corporea dell'uomo per introdurlo nella partecipazione alla sua stessa esistenza trinitaria. E tale è il dono della grazia, il dono di una 'divinizzazione' che concerne la totalità dell'essere umano, corpo e spirito, rinato dal battesimo e trasformato dallo Spirito del Risorto. Nell'accoglienza dell'evento redentivo il cristiano passa, per dono divino, dal 'corpo del peccato' al 'corpo spirituale', come spiega s. Paolo (Romani 6, 6; 7, 24; 1 Corinzi 6, 19). L'uomo della legge si trasforma nell'uomo della grazia. Un simile itinerario non può attuarsi che nella Chiesa e come Chiesa. La nuova alleanza, realizzata sulla croce, fonda infatti un 'nuovo corpo', una nuova 'personalità corporativa', la comunità dei credenti battezzati nel nome di Gesù e legati gli uni agli altri come le membra di un unico organismo vitale (1 Corinzi 12). A sua volta, il corpo della Chiesa rappresenta la primizia di un 'corpo' ancora più grande, ossia quello del cosmo redento, descritto come il grembo di una partoriente che geme e soffre le doglie del parto, in attesa di dare alla luce il figlio che già porta in sé (Romani 8, 22). La fede cristiana è connotata da questa attesa. La resurrezione dei corpi, proclamata come il compimento finale della storia, costituisce il segno della fedeltà di Dio alla sua opera di creazione e di redenzione. In forza della 'resurrezione dei morti' tutta la persona umana, corpo e spirito, partecipa a quella gloria nella quale il Cristo risorto è già entrato e della quale, per la missione unica svolta, già beneficia la sua madre, Maria. I credenti sono radicalmente orientati verso questo compimento, quando il Signore farà risorgere i corpi mortali e li trasformerà a immagine del suo corpo glorioso (1 Corinzi 15; Apocalisse 22-23). L'esistenza umana nel corpo rappresenta, di conseguenza, come un talento affidato alla libertà delle persone da far fruttificare in un'attenta vigilanza e in un vissuto di carità, che conduca a fare del proprio corpo un dono di sé per gli altri (Matteo 25). La persona del credente è infatti chiamata a seguire Cristo con la totalità del suo essere, facendo del suo corpo un 'sacramento di amore' sul modello del Crocifisso. Non mancheranno nel cristianesimo successivo influssi di filosofie, come il platonismo o il cartesianesimo, che finiranno per mettere in secondo piano la valenza unitaria della persona e il senso positivo della corporeità. Dopo il Concilio vaticano secondo è in atto un grande sforzo di recupero, orientato a superare ogni forma di spiritualismo, come ogni forma di materialismo, per far riscoprire ai cristiani il valore della corporeità sia nell'ordine della creazione, sia in quello della redenzione e dell'escatologia.
7. Islamismo
L'islamismo muove dal dogma fondamentale dell'assoluta unicità di Dio, Allah. La vita del credente mussulmano (muslim) è interamente sottomessa al suo volere e indirizzata a rendergli gloria. Sotto l'aspetto antropologico, il suo credo si attiene fondamentalmente al racconto biblico della creazione, rifiutando solo l'idea che l'uomo possa costituire una immagine del Creatore, assolutamente altro da tutto. In quanto creatura, l'uomo riveste una dimensione materiale, derivante dalla terra (Corano 6, 2; 7, 12; 15, 26-28; 55, 14), e una dimensione spirituale, donata dal soffio di Allah (32, 9). Avendo ricevuto dal Signore l'incarico di sottomettere il mondo, l'essere umano occupa una posizione centrale nel creato. Gli stessi angeli, per ordine di Dio, devono sottostargli (15, 28-30). La vita dell'essere umano è indirizzata a tornare al Creatore (80, 17-22). "Dio vi ha fatto germinare dalla terra, quindi vi farà tornare a essa, e da essa ancora vi trarrà fuori" (71, 17-18; 23, 12-16). Vi sono così, al tempo stesso, una grandezza e una miseria nella condizione corporea dell'uomo. Al pari dell'anima, essa è sotto il segno di un'azione creatrice continua (39, 42). E tuttavia tale condizione porta in sé una debolezza connaturata, a causa della quale l'uomo può smarrire la via del riconoscimento della sottomissione a Dio. Secondo la concezione islamica, infatti, la natura umana (fitra) racchiude in sé stessa la conoscenza di Allah; è la falsa educazione religiosa che la devia (30, 30), così come alla responsabilità del singolo nella scelta del bene (91, 7-10) e nel giudizio finale ("In quel giorno ogni uomo sarà retribuito in base a quello che avrà fatto", 53, 31) corrisponde la predestinazione eterna, per la quale tutto è già stato stabilito da Dio (6, 2-3) e solamente a Lui compete di salvare o di dannare (74, 31). Durante la vita, l'essere nel corpo è radicalmente indirizzato al riconoscimento di Allah, nella consapevolezza che tutto è nelle sue mani e tutto da Lui deciso. "Colui che lo vuole imbocchi dunque la via che porta verso il Signore; ma voi non lo vorrete, se Dio non lo vuole" (76, 29-30). La shari'a (la legge coranica) rappresenta questa "via che porta verso il Signore", ed è centrata su cinque pilastri fondamentali: la professione di fede nell'unico Dio e nel suo profeta Maometto; la preghiera rituale; l'elemosina legale; il digiuno durante il mese di ramadam; il pellegrinaggio alla Mecca. Particolarmente significativa, per il senso della corporeità, è la preghiera rituale, la quale comporta, oltre alle abluzioni iniziali e alle formule prescritte, sei posizioni che vanno scrupolosamente osservate: posizione eretta, inchino, posizione in piedi con le mani sollevate ai lati delle orecchie, prima prostrazione, posizione julus (metà inginocchiati e metà seduti), posizione seduta. Queste posture, nel loro insieme, intendono fare del corpo il segno visibile di un atteggiamento interiore, manifestando visibilmente l'obbedienza del credente in Allah. È nella linea di questa dedizione che, nel sufismo successivo, si svilupperà la dimensione mistica della religione islamica: una dimensione che accentuerà ancor più l'abbandono del fedele a Dio, il distacco da tutto ciò che non è Lui o non gli appartiene, con molteplici pratiche ascetiche, fino a forme di esperienze estatiche del corpo e di alta spiritualità.
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