Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Autentico artista “universale”, Rembrandt pratica senza preclusioni specialistiche i diversi generi della pittura. I suoi ritratti e la forza espressiva delle sue pitture di storia gli guadagnano il plauso dell’aristocrazia di Amsterdam. La naturalezza dei suoi autoritratti contribuisce al pieno riconoscimento del genere, ma anche all’affermazione di un’idea di pittura come specchio fedele di un proprio irripetibile mondo interiore. Quest’idea di pittura allontana Rembrandt dai canoni del gusto dei contemporanei e dalle convenzioni accademiche, provocando le censure dei biografi e ritardando fin quasi all’Ottocento il pieno apprezzamento delle sue ultime opere.
Reagendo alle tendenze specialistiche della pittura olandese contemporanea, Rembrandt si afferma come artista “universale” e si dedica a tutti i generi figurativi: il ritratto, la scena di genere, il paesaggio, la natura morta e soprattutto la pittura di storia. Eccezionale, nell’Olanda protestante, appare il suo interesse per i soggetti biblici cui conferisce nuova dignità attraverso suggestive e inedite invenzioni iconografiche. Per i primi biografi Rembrandt è soprattutto un artista al di fuori delle regole, “il primo eretico della pittura”. Rembrandt “non esitò ad avversare e a contraddire le nostre leggi dell’arte, il rispetto dell’anatomia e delle proporzioni del corpo umano, la prospettiva, lo studio delle sculture classiche, il disegno, la giudiziosa composizione pittorica di Raffaello” (Sandrardt).
Il rifiuto delle convenzioni è evidente nei dipinti e nelle incisioni di soggetto mitologico: Rembrandt reinventa i temi della classicità in chiave antieroica e fuori da ogni iconografia tradizionale (Ratto di Ganimede).
Il culto della bellezza viene sottoposto a critica radicale: l’idealizzazione accademica del nudo cede a rappresentazioni di donne comuni di cui il pittore accentua i tratti più crudamente realistici (l’acquaforte Donna nuda seduta). L’imitazione della natura vivente è, per ammissione dello stesso Rembrandt, l’intento fondamentale della sua pittura. Di qui procede anche il suo rapporto con la grande tradizione artistica precedente, votato a un’assimilazione personalissima, antidogmatica, sempre verificata sulla realtà.
Alla pittura di Pieter Pieterszoon Lastman, presso cui svolge un breve ma determinante tirocinio artistico nel 1624, allo studio dei pittori caravaggeschi di Utrecht, punti fermi della sua formazione, Rembrandt affianca la conoscenza di Rubens e dell’arte italiana. Pur rifiutando di intraprendere, secondo la tradizione, un viaggio di studio in Italia, colleziona per tutta la vita stampe, disegni e dipinti dei maggiori pittori del Rinascimento, che talvolta gli forniscono lo spunto iniziale per le sue composizioni.
Sull’esempio di Raffaello, Michelangelo e Tiziano, dal 1632 ama firmarsi col solo nome di battesimo.
Rembrandt approfondisce le ricerche luministiche dei caravaggeschi in chiave espressiva: nei suoi quadri la luce fa vibrare le cose immergendole in un’atmosfera satura e sfumata (Studioso in meditazione), non è più un oggettivo strumento di conoscenza, ma l’effetto teatrale che dà corpo all’azione (Cristo e l’adultera). Dai pittori veneti e soprattutto dal tardo Tiziano mutua la tecnica compendiaria nella stesura del colore e, specie nelle opere dell’ultimo periodo, la radicalizza in una pittura di incredibile corposità atta a suggerire non più l’apparenza esteriore delle cose, ma la loro stessa consistenza materica (Lucrezia).
Rembrandt è un artista eccezionalmente precoce. A diciannove anni apre a Leida uno studio in proprio lavorando a contatto con un altro allievo di Lastman, Jan Lievens. Non molto tempo dopo la fama dei suoi dipinti di storia sacra e profana ha già oltrepassato i confini della città.
Ne è ammiratore entusiasta Constantijn Huygens, segretario dello statolder Federico Enrico, che li giudica degni dei più grandi pittori del passato per l’accentuazione drammatica dell’azione, lo studio dei gesti e delle espressioni.
I contatti con il principe d’Orange, per il quale dipingerà più tardi il ciclo della Passione di Cristo, non incidono sulle scelte di Rembrandt che, a differenza di Lievens presto emigrato alla corte di Londra, preferisce ampliare il giro della propria committenza nella libera e borghese Amsterdam. Qui per oltre un decennio (dal 1632 al 1645 circa) diviene il ritrattista ufficiale e più acclamato della nobiltà olandese. Il matrimonio con la figlia di un borgomastro, Saskia Uylenburgh, le grandi committenze pubbliche, l’acquisto di una sontuosa casa di rappresentanza (1639), tale da competere con le dimore dei più ricchi mercanti e banchieri di Amsterdam, sanciscono il raggiunto successo sociale dell’artista.
Il declino è altrettanto rapido. I lutti familiari (Saskia muore nel 1642 preceduta da tre dei quattro figli), le difficoltà finanziarie, la generale defezione dei committenti altolocati di fronte all’evoluzione della pittura rembrandtiana, sempre più lontana dai canoni del gusto dominante, segnano le tappe di una parabola discendente destinata a culminare nella bancarotta, che il pittore è costretto a dichiarare nel 1656, e nella conseguente vendita della casa e delle sue ricchissime collezioni d’arte.
Quasi incurante degli eventi drammatici che scandiscono la sua esistenza, Rembrandt continua fino alla fine a nutrire una fiducia incrollabile nei propri ideali pittorici. Piuttosto che apportare le modifiche richieste dai Sindaci di Amsterdam al Giuramento dei Batavi, preferisce ritirare la tela rinunciando così a una delle ultime commissioni pubbliche della sua carriera. In questi anni gli autoritratti, i ritratti dei familiari (il figlio Tito, la nuova compagna, Hendrickje, che tuttavia non gli sopravviveranno) prevalgono nella sua produzione, a conferma di un isolamento sempre più accentuato dal mondo che anni prima lo aveva acclamato.
Nel corso della sua carriera Rembrandt intrattiene rapporti con gli ambienti più aggiornati della cultura e della società olandese. L’elenco dei committenti, degli amici e degli estimatori comprende umanisti come Petrus Scriverius, Caspar Barlaeus, teologi come Jan Ytenbogaert, importanti personalità della comunità ebraica come il rabbino Menasseh ben Israël.
Rembrandt è il più grande ritrattista olandese del Seicento. Ma la sua vocazione ritrattistica è, sin dall’inizio, parte integrante di un più generale interesse per la figura umana studiata dal vero. Nasce di qui, e dalle prime immagini della madre nelle vesti della profetessa Anna, l’espediente, poi frequentemente praticato dal pittore, di far coincidere il ritratto con il quadro di soggetto storico, mediante l’adeguato travestimento del modello fatto posare nello studio.
Rembrandt è l’artista che forse ci ha lasciato il maggior numero di autoritratti. Spia eloquente dell’alta considerazione che il pittore nutre per sé e per la propria arte, campo privilegiato di indagini intimistiche e di introspezione psicologica, gli autoritratti di Rembrandt (circa un’ottantina fra dipinti, disegni, incisioni) si compongono in serie come le tessere di un’inedita e modernissima autobiografia artistica.
Sulle prime il pittore studia su di sé la gamma delle espressioni e dei moti d’animo che poi attribuirà ai personaggi dei suoi quadri (Autoritratto con berretto, acquaforte e bulino; Autoritratto); negli anni del successo ad Amsterdam ama presentarsi in abiti sontuosi o pittoreschi (Autoritratto con baffi e berretto). Sperimenta inedite soluzioni compositive impraticabili nei ritratti ufficiali (Autoritratto con Saskia).
Nella maturità scruta con occhio impietoso il proprio disfacimento fisico e il proprio mondo interiore (Autoritratto con tavolozza e pennelli; Autoritratto ridente).
L’opportunità di affermarsi come ritrattista, grazie ai buoni uffici del mercante di quadri Hendrick Uylenburgh (nella cui casa conoscerà la futura moglie Saskia), è all’origine della decisione di Rembrandt di trasferirsi ad Amsterdam nel 1632. Qui l’artista riceve la sua prima commissione ufficiale dipingendo La lezione di anatomia del dottor Tulp. L’opera si inserisce nella tradizione dei ritratti di gruppo olandesi e, al tempo stesso, la rinnova profondamente. Rembrandt rifiuta la convenzionale sequenza di personaggi rappresentati uno per uno in pose artificiose e introduce, all’interno di una composizione più articolata e drammatica, il principio dell’unità d’azione. Disposti a semicerchio intorno al dottor Tulp gli stessi committenti si vedono raffigurati non secondo gli schemi del ritratto da parata ma in qualità di veri e propri attori partecipi di un evento.
Una simile, nuova concezione del ritratto caratterizza altri dipinti fra i più significativi del decennio (Ritratto del costruttore navale e della moglie; Ritratto di Cornelis Claeszoon Anslo con la moglie) e troverà pieno sviluppo nella seconda importante commissione raccolta da Rembrandt al colmo della fama, nel 1642. La sua rappresentazione della Guardia Civica al comando del capitano Banning Cocq segue ormai le sole regole del quadro di storia.
L’impianto narrativo e corale della scena al quale viene sacrificata la riconoscibilità dei singoli ritratti, l’accentuazione drammatica della luce e del movimento, l’apparente immediatezza da tranche de vie del gruppo di soldati, giustificano il nome romanzesco col quale il dipinto è ancor oggi famoso: La ronda di notte.
La felicità descrittiva, il gusto per il pittoresco, l’esuberanza cromatica, tratti caratteristici della prima maturità dell’artista (si vedano in particolare i numerosi ritratti della moglie: Ritratto di Saskia con cappello; Flora; Ritratto di Saskia ridente), raggiungono nella Ronda di notte la loro pienezza espressiva. In seguito Rembrandt punterà a una maggiore concentrazione compositiva, e a una rappresentazione sempre più interiorizzata della realtà. Nei Sindaci dei drappieri, un altro ritratto di gruppo realizzato in tarda età, l’azione è riassunta nell’intensità degli sguardi, nell’atmosfera di sospensione psicologica che, con effetto calcolato, coinvolge anche l’osservatore, verso cui i personaggi sembrano rivolgersi con fare interrogativo.
Il pittore si concentra ormai sulla resa dei volti impietosamente scavati dalla luce. Compongono la galleria dei tardi ritratti rembrandtiani le immagini degli amici (Nicolaes Bruyningh; Jan Six), e soprattutto quelle dei familiari (il figlio Tito mentre studia, mentre legge, in vesti di monaco; Hendrickje alla finestra; nelle vesti di Flora). Non molti altri del resto avrebbero potuto accettare di vedersi rappresentare, al pari di JacobTrip e di sua moglie Margaretha de Geer, con una tale intensità drammatica, quasi spettrale, estranea a ogni esigenza di decoro.
Rembrandt abbandona presto la “pittura fine”, minuziosamente descrittiva degli esordi (Tobia, Anna e il capretto) e man mano che scopre le potenzialità espressive della luce sperimenta una pennellata più libera e vibrante (Geremia piange la distruzione di Gerusalemme).
L’espediente “caravaggesco” delle due fonti luminose (la luce naturale che filtra da una finestra e quella “artificiale” di una candela o di un focolare acceso) consente al pittore di raggiungere straordinari effetti di fusione atmosferica intorno ai suoi personaggi (San Paolo in meditazione).
È soprattutto nei dipinti di storia, realizzati dopo il trasferimento ad Amsterdam, che Rembrandt porta alle estreme conseguenze l’esperienza luministica caravaggesca, interpretandola in chiave psicologica e teatrale (Presentazione di Gesù al tempio).
La luce sottolinea l’acme di azioni violente o movimentate, quelle stesse che consentono all’artista di rappresentare “i sentimenti più grandi e naturali” (come scrive nel 1639 a Huygens a proposito della sua Resurrezione, oggi a Monaco). In opere quali la Cena in Emmaus, o il più tardo Convito di re Baltassar, lo stesso episodio biblico viene reinterpretato a partire da invenzioni luministiche visionarie e scenografiche.
Negli anni della prima maturità, la scoperta delle qualità pulviscolari della luce, delle sue variazioni di intensità, del valore espressivo dei riverberi e dell’illuminazione indiretta si traduce in una pittura sontuosa, di grande complessità compositiva, giocata su caldi accordi tonali e ombre avvolgenti. Dipinti come il Noli me tangere, il Sacrificio di Isacco, la Danae, il Congedo dell’arcangelo Raffaele da Tobia, documentano il momento di maggiore adesione di Rembrandt agli ideali del barocco e della pittura di Rubens.
A partire dalla metà del quinto decennio, subito dopo la Ronda di notte, Rembrandt semplifica le sue composizioni, abolisce ogni effetto scenografico o ridondanza descrittiva, cerca di fermare sulla tela, attraverso una pittura di grande scioltezza e libertà espressiva, l’essenza psicologica dei suoi modelli, al di là delle apparenze e dei dati esteriori (Cena in Emmaus).
L’influenza della pittura veneziana è evidente nella Betsabea con la lettera di David, nell’Aristotele che contempla il busto di Omero. Confrontandosi con le opere dell’ultimo Tiziano, Rembrandt giunge a utilizzare la pittura di tocco come strumento di percezione attiva del reale: annulla così i passaggi obbligati del disegno, del chiaroscuro, della prospettiva puntando alla sintesi di una pennellata che sia al tempo stesso costruzione della forma e impressione luministica (Bue squartato; Giovane che si bagna in un ruscello; Giacobbe benedice i figli di Giuseppe).
Nelle ultime opere anche la distinzione fra quadro di storia e ritratto viene a cadere: i personaggi presentati a mezzo busto, spesso a grandezza naturale, si pongono di fronte allo spettatore senza altra regia compositiva che la loro stessa, quasi tangibile, presenza (San Matteo e l’angelo; La sposa ebrea).
L’immagine dell’artista solitario e incompreso tramandataci dalla critica romantica non ha retto alla verifica degli studi moderni.Rembrandt è, in realtà, un abile impresario di se stesso e della propria pittura che sa divulgare grazie anche all’organizzazione di una operosa bottega. Nutrito è l’elenco degli allievi e collaboratori (quasi una cinquantina) che si avvicendano nel suo studio, rimanendo influenzati dalle diverse fasi del suo stile.
Alla “pittura fine” degli esordi guardano Gerrit Dou e Isaac Jouderville, entrati in contatto col maestro a Leida; dipendono dallo stile fastoso della sua prima maturità Adriaenszoon Jacob Backer, Ferdinand Bol, Govert Flinck; fra gli allievi dei decenni successivi si segnalano Lambert Doomer, Samuel van Hoogstraten, Carel e Barent Fabritius, Nicolaas Maes. Solo negli ultimi anni la bottega di Rembrandt pare meno frequentata: la praticano il figlio Tito e Aert de Gelder.
A differenza della bottega di Rubens, specializzata nell’esecuzione collettiva di grandi imprese decorative, quella di Rembrandt riserva ampio spazio alla produzione autonoma degli allievi. Produzione che tuttavia appare improntata a un’imitazione così fedele dello stile del maestro, da rendere ancor oggi talvolta difficile la distinzione fra dipinti autografi, dipinti realizzati in studio con il parziale intervento di Rembrandt e dipinti à la manière de. A una nuova selezione dello sterminato corpus “rembrandtiano” si è accinta dal 1968 un’apposita équipe di studiosi appartenenti ai principali musei europei. Il Rembrandt Research Project ha rimesso in discussione l’autografia di dipinti fino ad allora unanimemente considerati capolavori del maestro.
Rembrandt porta la tecnica dell’incisione ai suoi più alti livelli espressivi sfruttando tutte le potenzialità luministiche e pittoriche dell’acquaforte. Le sue composizioni sono immediatamente apprezzate in Inghilterra, in Francia, in Italia, influenzando l’opera di artisti quali, ad esempio, il genovese Giovanni Benedetto Castiglione.
Per Rembrandt l’incisione non rappresenta una pratica sussidiaria alla pittura ma, sin dagli anni giovanili, un campo parallelo di sperimentazioni stilistiche.
Vastissimo l’arco dei soggetti trattati, dai temi biblici (Resurrezione di Lazzaro, Annuncio ai pastori, Adamo ed Eva, Morte della Vergine, il Cristo guaritore) a quelli profani, ai ritratti (Ritratto della madre; Ritratto di Jan Six alla finestra; Ritratto di Abraham Fransen) e ai paesaggi (I tre alberi; Veduta di Omval).
Le difficoltà proprie di una tecnica in apparenza inconciliabile con le specifiche qualità della sua pittura, vengono magistralmente superate da Rembrandt attraverso un uso inedito della linea, del tratteggio replicato, e sfruttando per contrasto la stessa luminosità del foglio bianco.
La libertà espressiva che contraddistingue la sua pittura si ritrova nell’incisione. Accanto all’acquaforte l’artista ricorre alla tecnica della puntasecca e, lavorando direttamente sulla lastra, si serve dell’incisione come di uno strumento duttile, immediato quanto il disegno.
La continua modificazione della lastra in corso d’opera è il tratto più caratteristico della sua produzione. Rembrandt vi ricorre non per correggere errori o imperfezioni ma, come nel caso delle Tre Croci, per trasformare radicalmente le sue composizioni.