NANNINI, Remigio
(Remigio Fiorentino). – Nacque a Firenze nel 1518, secondo quanto tramanda Apostolo Zeno (1753, II, p. 430), che si basò sul registro dei defunti del convento dei Ss. Giovanni e Paolo di Venezia.
Compì gli studi a Firenze nella scuola del convento domenicano di S. Maria Novella, dove ricevette l’ordinazione sacerdotale intorno al 1542-43 e percorse le tappe ordinarie dalla carica di bacalarius al grado accademico di magister, cioè teologo, conseguito forse nel 1553, dopo un periodo di studio a Padova, dove seguì le lezioni di Sisto Medici.
L’esordio letterario avvenne nel 1547 con le Rime (Venezia, F. Bindoni e M. Pasini). Editore del volume fu Ludovico Domenichi, che, venuto in possesso del manoscritto, lo pubblicò «contro voglia» dell’autore, come dichiara nella dedica (in data 1° febbraio) al chierico veneziano Giovan Battista Besalù, lo stesso personaggio cui le aveva indirizzate Nannini con dedica datata 25 settembre 1543, inclusa anch’essa nella stampa. Di famiglia non illustre, Besalù era a quella data un oscuro studente di diritto dell’Università di Padova, dove si addottorò il 20 ottobre 1547: la dedica d’autore solleva dunque un problema storiografico che attende di essere sciolto.
Dal punto di vista poetico le Rime si configurano come una summa di topoi della tradizione lirica cortese, stilnovistica e petrarchesca, con inserti di derivazione classica, elegiaci e bucolici: un corpus di poesie quantitativamente ridotto e metricamente eterogeneo, in cui oltre ai canonici sonetti, madrigali, canzoni e sestine liriche trovano posto una sestina dialogata, della quale si rinviene un solo precedente nell’Arcadia di Iacopo Sannazaro, e altri tre componimenti non identificabili con nessuna delle usuali forme metriche, attestazione di una qualche attitudine alla sperimentazione prosodica. Aprono la raccolta, precedendo il canzoniere propriamente detto, sei selve, nelle quali Nannini dimostra la sua padronanza del verso sciolto e la capacità di assimilare temi e generi poetici di diversa provenienza, dalla bucolica virgiliana alle selve staziane, queste ultime rivisitate sulla scorta di suggestioni neoplatoniche, cortigiane e riconducibili al modello di Luigi Alamanni (segno, questo, di una pronta acquisizione delle tendenze più recenti). Rientrano infine nel volume alcuni sonetti di corrispondenza e componimenti encomiastici in lode di Cosimo I de’ Medici.
Al 1547 risale anche l’orazione consolatoria per la nobildonna Alessandra Strozzi in occasione della morte della madre, pubblicata nelle Orationi diverse e nuove di eccellentissimi auttori (Firenze, A. Doni, cc. 35r-38r). L’applicazione anche al Petrarca latino è testimoniata dal volgarizzamento del De remediis utriusque fortunae, apparso a Venezia nel 1549 per i tipi di Gabriele Giolito, con il quale Nannini avviò un rapporto destinato a durare negli anni. Al 1550 risale il primo segnale dell’interesse per la storia con i volgarizzamenti Degli huomini illustri di Grecia di Cornelio Nepote e Delle guerre de Romani di Ammiano Marcellino, prime edizioni in una lingua moderna per entrambe le opere. Nel 1555 seguì la traduzione in versi sciolti delle Heroides ovidiane, che ebbe numerose ristampe, sebbene l’autore se ne pentisse e ne facesse oggetto di ritrattazione affidata a una lettera a Piero Boninsegni del 15 aprile 1569: «piacesse a Dio che io non l’havesse mai fatta né permesso che ella fusse stata data alle stampe, perché non harei dato scandalo al mondo, né a molti occasione di peccare» (Lettere familiari, in Considerazioni civili sopra l’historie di Francesco Guicciardinie d’altri historici, Venezia, D. Zenaro, 1582, c. 189v).
Intorno al 1554-55 Nannini si trasferì ad Ancona, per passare poi, nel 1556, a Venezia, nel convento dei Ss. Giovanni e Paolo (S. Zanipolo), al quale fu formalmente transfiliato nel 1564 e dove assurse alla carica di priore per due volte, nel 1566 e nel 1574. Una lettera indirizzata a Cosimo I de’ Medici il 10 luglio 1557 (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, Carteggio universale di Cosimo I, filza 462, c. 337r) lascia supporre che il trasferimento dal cenobio fiorentino a quello veneziano fosse un allontanamento imposto, tale da determinare addirittura la procedura della transfiliazione, che andava oltre la semplice assegnazione a un altro convento, e potrebbe essere indizio del mancato allineamento di Nannini ai canoni di ispirazione rigoristica affermatisi in quegli anni in S. Maria Novella.
A Venezia rimase per il resto della vita, fatta eccezione per un breve soggiorno romano, nel 1569, chiamato da Pio V, che gli commissionò la revisione degli Opera omnia di s. Tommaso, usciti nel 1570-71 (Roma, Er. A. Blado - G. Gigliotti - G. Accolti). Divenne uno dei più attivi collaboratori della tipografia giolitina, per la quale pubblicò molte sue opere e curò un numero considerevole tra edizioni e traduzioni di altri autori antichi e moderni, anche se il rapporto non fu esclusivo e Nannini lavorò con altre stamperie veneziane. Il filone più consistente della sua attività riguarda la pubblicistica devozionale, in conformità con il clima controriformistico allora vigente. Indiscutibile fu la sua capacità di mettere al servizio delle nuove istanze religiose la sua erudizione, unita a una solida dottrina teologica. Al 1556 risalgono il volgarizzamento di due scritti di Antonio Guevara: l’Oratorio de’ religiosi ed esercitio dei virtuosi e la Prima[- seconda] parte del libro chiamato Monte Calvario, il primo indirizzato a quanti intendono abbracciare la vita monastica, l’altro attinente alla passione e alla morte di Cristo. Nel 1557 curò una nuova ristampa del De imitatione Christi di Giovanni Gerson, che riproponeva sostanzialmente un’anonima traduzione toscana più volte edita. La dedica dell’operetta a Lucrezia, moglie di Giolito, affinché se ne valesse nell’educazione delle figlie mostra che con l’editore veneziano si era instaurato un rapporto che andava oltre le ragioni strettamente professionali. Per una delle figlie di Giolito, Fenice, nel 1562 Nannini ristampò un’opera del canonico lateranense Girolamo Sirino: Il modo d’acquistar la divina gratia.
Ma nello stesso e nei successivi anni le opere di questo tenore si intrecciarono a imprese più impegnative. Nel 1562 curò per i Giunti la In Apocalypsim expositio e gli In omnes d. Pauli apostoli epistolas commentaria di s. Tommaso; nel 1563 In libros Ethicorum Aristotelis ad Nichomacum expositio; per Giordano Ziletti una collettanea in due volumi De summi pontificis auctoritate, de episcoporum residentia et beneficiorum pluralitate. Al 1563 risale il volgarizzamento del De institutione bene vivendi dello scrittore croato Marko Marulič (F. Bindoni), seguito da diverse ristampe; nel 1565 l’edizione dello Specchio di croce di Bartolomeo Cavalca (G. Giolito), e nel 1566 senza il nome dell’editore le Adnotationes in sacros utriusque Testamenti libros, commento della Bibbia che include perfino la descrizione della flora e della fauna testamentaria. Un successo destinato a durare fino al XIX secolo riscossero le Epistole et Evangeli che si leggono tutto l’anno alla messa (Giolito, 1567), antologia di letture volgari dal Nuovo testamento, arricchite di annotazioni morali, che conobbe numerosissime ristampe poiché fu l’unica edizione del genere consentita dopo il Tridentino, mediante la quale, secondo i dettami conciliari, si intendeva diffondere la conoscenza delle Scritture presso i fedeli attraverso il controllo ecclesiastico. Nelle ristampe di questo lezionario Nannini aggiunse quattro discorsi da lui composti relativi rispettivamente al digiuno, all’invocazione dei santi, all’uso delle loro immagini e reliquie. Del 1581 è il volgarizzamento della Somma armilla del teologo e inquisitore domenicano Bartolomeo Fumo (Venezia, D. Nicolini), guida pratica per quanti sono preposti alla cura delle anime. Nelle fonti (Ghilini, 1647, pp. 204 s.; Quetif - Echard, II, 1721, p. 259; Negri, 1722, pp. 481 s.) è poi notizia di altre quattro opere di contenuto sacro oggi non reperibili: un Trattato delle lodi di Maria Vergine, un albero contenente i pontefici, i cardinali, i vescovi, i santi e i beati dell’Ordine domenicano, una traduzione dal latino de De vitis sanctorum di Luigi Lippomano e la trasposizione in terza rima dei Salmi di Davide.
Accanto alle opere di contenuto spirituale Nannini coltivò uno spiccato interesse per la storia, conforme agli indirizzi della casa giolitina, che promosse con particolare energia questo settore. Con il titolo di Orationi militari pubblicò presso Giolito, nel 1557 e con qualche aggiunta nel 1560, una voluminosa raccolta di arringhe tratte da storici antichi e moderni (un ms. è a Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 2844), cui seguì nel 1561 una seconda raccolta di Orationi in materia civile e criminale. Del 1559 è una nuova edizione della Cronica di Giovanni Villani (N. Bevilacqua a istanza degli Er. di B. Giunti); del 1560 la princeps dellaVita di Pietro Avogadro scritta quasi un secolo prima da Antonio Cornazano (F. Portonari); del 1561 il volgarizzamento della Historia de gentibus septentrionalibus di Olao Magno (F. Bindoni), descrizione della geografia, usanze, leggende delle regioni boreali che ebbe grande fortuna come fonte di notizie su quei paesi, come conferma il fatto che Nannini ne redasse due edizioni, l’una compendiaria, l’altra integrale, uscite a breve distanza tra loro.
Dal 1562 curò diverse ristampe della Historia d’Italia di Francesco Guicciardini e nel 1567 ne realizzò una nuova edizione nella collana di testi di storia promossa da Giolito. Caratteristica di quest’ultima è la verifica della veridicità del contenuto attraverso uno scrupoloso confronto con gli autori contemporanei, con l’intenzione di rispondere alle critiche avanzate in merito alla narrazione guicciardiniana e a sue presunte divergenze dagli altri storici. In ossequio ai criteri filologici ai quali si ispirava l’impresa, il testo fu tratto da un esemplare della editio princeps fiorentina di Lorenzo Torrentino del 1561 messo a disposizione dal nipote di Guicciardini, Agnolo. Al testo Nannini fece precedere una Vita dell’autore, secondo i criteri della collana. Alla Historia e a un’altra opera guicciardiniana, i Ricordi, Nannini dedicò le Considerazioni civili sopra l’historie di Francesco Guicciardini e d’altri historici, che furono edite postume (D. Zenaro, 1582) grazie all’interessamento di un confratello del convento veneziano, Sisto, sul quale non si hanno altre notizie.
Le Considerazioni civili costituiscono l’apice della produzione storiografica di Nannini. Improntate a una visione razionale e pragmatica del reale, rivelano una profonda padronanza dei meccanismi e delle dinamiche che regolano la sfera politico-istituzionale, lasciando trapelare un consistente lascito di precetti e principi desunti da Guicciardini, con il cui pensiero Nannini si mostra sovente allineato, ma anche l’influenza di Machiavelli, non mancando riferimenti più o meno espliciti ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio.
La vocazione a tracimare dalla storiografia alla trattatistica de regimine è confermata dall’edizione del De oboedientia di Giovanni Pontano, nel volgarizzamento di Iacopo Baroncelli (Venezia, G. Giolito, 1568), con dedica all’allora adolescente don Pietro de’ Medici. Al 1573 risale il volgarizzamenti del De rebus Siculis del Domenicano Tommaso Fazello (Venezia, D. e G.B. Guerra, 1573), eseguito per volontà dello stesso autore, e al 1576 quello delle Historie venetiane di Paolo Giustinian, quest’ultimo compiuto in parte da Giuseppe Orologi e per il resto da Nannini (Venezia, L. Avanzi).
Al periodo veneziano sono da ascrivere anche rime extravaganti, presenti in antologie di rime cinquecentesche a stampa o inviate per lettera ai corrispondenti: oltre a sonetti di corrispondenza e d’occasione, si segnalano un frammento di 119 versi con la descrizione in versi sciolti del diluvio avvenuto a Firenze il 27 settembre 1557 e una Canzone alla gloriosissima Vergine improntata a Rerum vulgarium fragmenta 356, a stampa nel 1576 (due edizioni: Venezia, G. Giolito; Vicenza, G. Angelieri). Un gruppo di 26 Lettere familiari risalenti agli anni 1546-74 fu edito da frate Sisto in calce all’edizione postuma delle Considerazioni civili. Esse riguardano per lo più argomenti teologici e morali, non mancando tuttavia di riferire alcune delle ‘collaborazioni’ poetiche intrattenute da Nannini (per esempio con Girolamo Ruscelli per la commemorazione della morte di Carlo V e con Giovan Girolamo de’ Rossi per quella di Pietro Bembo) e rivelano interessi inaspettati (per la numismatica, l’epigrafia, l’iconografia), nonché l’attenzione verso tematiche letterarie e artistiche vive nel Cinquecento, quali la supremazia del petrarchismo, le problematiche connesse alla tecnica versificatoria volgare, la moda delle raffigurazioni di imprese e di soggetti allegorici. Tra i destinatari sono Annibal Caro, i pittori Parrasio Micheli e Francesco Salviati, i quali avevano chiesto a Nannini suggerimenti su come dipingere soggetti allegorici. Due lettere inedite, una a Cosimo I del 10 luglio 1557 e una del 28 settembre 1578 a Francesco de’ Medici, sono conservate presso l’Archivio di Stato di Firenze (la seconda nel Carteggio universale di Francesco I, filza 715, c. 281r).
Come si ricava dal Necrologio di Santa Maria Novella e dalla Chronica conventus Sanctae Mariae Novellae, Nannini morì a Firenze il 3 ottobre 1580, per una febbre improvvisa; il giorno seguente sarebbe dovuto rientrare a Venezia dopo aver trascorso un breve soggiorno nella sua città natale (Considerationi civili, A i studiosi lettori, c. 132r). Gli fu concessa la sepoltura nel cimitero di S. Maria Novella, riservato ai frati del convento e perciò non spettante a Nannini, che se ne era allontanato 25 anni prima.
Probabili apocrifi sono alcune pubblicazioni postume: l’Egloga pastorale (Venezia, G. Angelieri, 1583), un libretto di canzonette musicali e due capitoli burleschi compresi nel terzo volume delle Rime piacevoli (Vicenza 1603, 1610; Venezia 1627), uno dei quali contenente un riferimento cronologico posteriore alla morte di Nannini. Dovuta a semplice scambio di persona con Remigio d’Auxerre l’assegnazione di un commento al De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella (Cosenza, 1962, p. 3023).
Le Rime sono edite con criteri filologici da D. Chiodo, Torino 1997.
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