REMONDINI
– Fondatore dell’impresa tipografica e libraria fu Giovanni Antonio, un mercante nato a Padova il 12 dicembre 1634.
Trasferitosi a Bassano nel corso degli anni Cinquanta, nel 1657 prese in affitto una casa e iniziò a stampare. L’anno successivo sposò Corona Nosadini, figlia di uno speziale, e pubblicò il primo libro con data certa, un opuscolo di 16 carte in ottavo intitolato La morte di Buovo d’Antona con la vendetta di Sinibaldo e Guidone suoi figliuoli, un poemetto cavalleresco in ottava rima sul cui frontespizio il nome dello stampatore risultava ancora nella forma veneta «Remondin», rimasta in uso sino al 1670. Nel 1676 acquistò le case della piazza centrale di Bassano che sarebbero divenute la sede dei suoi laboratori. Sin dagli inizi indirizzò la propria attenzione verso molteplici direzioni e alla morte, oltre alla stamperia, risultava proprietario anche di un lanificio, un setificio, una tintoria, una merceria e una drogheria.
È probabile che Giovanni Antonio fosse giunto a Bassano con una certa disponibilità di capitali e dotato di materiali da stampa recuperati da vecchie tipografie padovane e che abbia ritenuto, in anni di forte crisi per l’industria editoriale veneta, che Bassano, centro economico di qualche vivacità ma privo di stamperia, potesse essere luogo idoneo per sviluppare la nuova attività. Nel 1663 rafforzò la propria posizione ottenendo dal tipografo ducale veneziano Giovanni Pietro Pinelli la concessione di stampare per la zona di Bassano editti e documenti pubblici. Tale facoltà si allargò presto a materiale pubblico anche per altre città della terraferma veneta.
Il poemetto cavalleresco sopra citato era nei repertori classici di molti piccoli stampatori e librai italiani e, come di consueto nell’editoria popolare, il frontespizio annunciava che il testo era «nuovamente ristampato, e di molti errori corretto». L’opera rientrava a pieno titolo nella categoria che nei cataloghi successivi sarebbero stati definiti «da risma», poiché erano venduti a foglio a un tanto a risma, senza essere piegati. La denominazione non identificava un genere editoriale vero e proprio, quanto piuttosto una modalità di produzione e diffusione. Erano libri e fogli realizzati con carta e caratteri di bassa qualità, mentre i testi tendevano a ripetersi sempre uguali nel tempo, con minime modifiche limitate essenzialmente all’ortografia. La ripetitività consentiva peraltro di eludere le norme prescritte dalla censura preventiva ecclesiastica e laica ed è questa la ragione per la quale molto frequentemente sui frontespizi non compariva l’anno di stampa.
Il catalogo di Laura Carnelos (2008) elenca 632 titoli differenti editi dai Remondini a Bassano tra il XVII e il XIX secolo, riprodotti in un numero indefinibile di edizioni. Della sola Imitazione di Cristo si registrano diciannove edizioni diverse in italiano e dodici in latino. I soggetti erano prevalentemente di materia religiosa – circa il 75% – con una prevalenza verso i temi devozionali: vi figurano orazioni, manuali per la meditazione, dottrine cristiane, catechismi, vite di santi, istruzioni per confessori e comunicandi, testi spirituali di vario genere. Tra gli autori della prima stagione spicca il nome del gesuita Paolo Segneri, soprattutto per il Confessore istruito e il Penitente istruito. Vi è poi un 11% di manualistica a uso delle scuole, dagli abachi alle grammatiche e ai testi della letteratura latina in uso nei vari percorsi educativi. Il resto era costituito dai titoli classici della letteratura popolare italiana di tradizione cavalleresca, come il Guerin meschino e i Reali di Francia, dalle operette di Giulio Cesare Croce come il Bertoldo, dal Viaggio da Venezia al Santo Sepolcro, dalle composizioni in ottava rima. A tale repertorio si accompagnò una quantità imprecisabile, ma certamente imponente di fogli volanti dalla difficile identificazione, definiti nel primo catalogo di vendita noto, del 1729, un «sortimento copioso di orationi, historie e di più sorte e più qualità», costituito da brevissime composizioni stampate in genere in un mezzo foglio di formato in sedicesimo.
A questi materiali Giovanni Antonio affiancò presto la stampa di immagini religiose, un repertorio enorme che fu uno degli aspetti caratterizzanti la produzione della sua casa. A metà Settecento era costituito da non meno di diecimila immagini diverse, con varianti di formato e di soggetti in relazione alle aspettative devozionali di ogni città e paese. Immagini semplici, spesso colorate vivacemente, tutte realizzate a Bassano, ma in grado di adattarsi, a seguito di opportune modifiche, ai gusti dei popoli più remoti, diffuse per l’Europa e oltre tramite l’impiego sistematico di centinaia di venditori ambulanti originari, a partire per lo meno dal 1685, dalla zona del Tesino, una conca poco a nord della Valsugana comprendente i paesi di Castello, Pieve, Strigno, Cinte. Nei decenni successivi, ai girovaghi tesini si aggiunsero i tirolesi dalla Val Gardena e, dal 1750, gli sloveni veneti della valle del Natisone, soliti, questi ultimi, dirigersi verso i territori slavi e orientali dell’impero d’Austria, Boemia, Moravia, Croazia, Ungheria, Galizia, Transilvania. Per oltre un secolo e mezzo costoro furono i principali distributori dei prodotti della stamperia di Bassano, alla quale si avvicinavano allettati da un finanziamento iniziale concesso per l’avvio del viaggio dietro rilascio di qualche forma di garanzia. In tal modo la famiglia Remondini legò a sé centinaia di uomini che avrebbero diffuso i suoi prodotti per l’Europa e il mondo. Venne così superato lo svantaggio di una posizione periferica, che fu anzi trasformato in uno dei più significativi elementi di forza, anche perché al ritorno in patria gli ambulanti riferivano circa i gusti e le devozioni dei Paesi che percorrevano, consentendo quindi di realizzare a Bassano immagini che potevano essere riconosciute come proprie dalle Americhe alla Russia.
Giovanni Antonio morì a Bassano alla fine del 1711.
Sino al 1725 i libri continuarono a uscire con il suo nome sul frontespizio. Solo in quell’anno si giunse a una definitiva separazione tra gli eredi. I lanifici spettarono al figlio primogenito Francesco (1658-1729) che alimentò il ramo detto «delle Grazie», cui appartenne Baldassare Remondini (1698-1777), vescovo di Zante e Cefalonia dal 1736 alla morte e autore di una storia di Zante, De Zacynthi antiquitatibus, et fortuna commentarius (Venezia 1756).
La stamperia e tutte le attività connesse passarono a Giuseppe (1672-1742) che da quel momento prese a dedicarsi con particolare impegno al potenziamento dell’azienda, denominata da allora Ditta G. Remondini e figli con il chiaro intento di riuscire a controllare tutto il processo produttivo, dalla fabbricazione della carta alla commercializzazione dei prodotti. Dalla morte di Giovanni Antonio gli eredi avevano iniziato a interessarsi di cartiere in grado di rifornire direttamente gli stabilimenti di Bassano, prima a Vas sul Piave, quindi dopo il 1730 a Oliero e Campese sul fiume Brenta e ad Arsiero in Val d’Astico. Negli anni successivi Giuseppe avviò inoltre una fortunata serie di lavorazioni che richiedevano la necessità di combinare la produzione della carta e i laboratori della stamperia. Dal 1738 fu avviata, grazie anche alla collaborazione di tecnici stranieri, la produzione di un vastissimo assortimento di carte decorate in precedenza importate da Augusta e in uso in Francia e Inghilterra destinate agli usi più svariati, per legature a basso prezzo dei libri o per decorazione e arredo, rivolte prevalentemente alle classi medie. Una delibera del 1755 della magistratura veneziana dei Cinque Savi alla mercanzia che concedeva a Remondini un monopolio per tali carte dava atto dell’utilità della produzione di un bene precedentemente importato che, con poca spesa, forniva ai «popolari» «il modo di coprire decentemente e con bella vista li muri» (Infelise, 1990, p. 75).
Da quegli anni e nei decenni successivi si sfruttarono tutte le possibilità che la carta combinata con la stampa delle immagini poteva fornire. Dai laboratori di Bassano iniziò a uscire una straordinaria varietà di prodotti il cui immaginario iconografico dipendeva molto dalle mode e delle loro evoluzioni: ventole, giochi da tavolo di ogni genere realizzati anche in lingue diverse, carte da gioco, vedute ottiche di città utilizzate negli spettacoli di mondo nuovo, stampe predisposte per essere incollate ai mobili detti «a lacca povera» o su altri oggetti, come scatole e tabacchiere, fogli con figure da ritagliare con gruppi di immagini quali presepi, soldatini, mestieri, biglietti da visita, tutti materiali puntualmente registrati nei ricchissimi cataloghi che dal 1729 iniziarono a essere regolarmente pubblicati e che costituiscono una delle fonti principali per lo studio della produzione dei Remondini (Remondini, 1990, pp. 77-81; Carnelos, 2008, pp. 37-39). Giuseppe curò anche la costituzione di un laboratorio affidato alle cure di Giuliano Giampiccoli e quindi di Antonio Baratti per la formazione pratica degli incisori necessari alla ditta, impropriamente definito «scuola di intaglio».
Morì a Bassano il 16 novembre 1742.
Lasciò ai figli Giambattista (1713-1773) e Giovanni Antonio (1700-1769) un’impresa molto solida, in grado ormai di approdare a Venezia e affrontare nel campo della produzione dei libri i più attrezzati editori veneziani, allora i principali d’Italia. Entrambi nel 1747 chiesero l’ascrizione all’Università degli stampatori e librai, al fine di godere di tutti i diritti che spettavano agli immatricolati e soprattutto di poter aprire una libreria a Venezia. Malgrado la decisa opposizione dei più potenti e vecchi membri della corporazione che temevano la concorrenza impari di un nuovo ricco editore con cospicui stabilimenti in terraferma, dopo tre anni di battaglie legali e il versamento di 300 ducati, Giambattista ottenne l’immatricolazione divenendo il responsabile dell’azienda. Negli anni precedenti aveva sposato Barbara Perli, di nobile famiglia bassanese.
Da quel momento Giambattista mutò sostanza all’impegno editoriale della tipografia e, ai libri da risma a cui si accennava e che comunque continuarono a essere stampati, affiancò una cospicua produzione libraria di livello superiore. Aprì una grande libreria a Venezia nella merceria di San Salvador, che funse da principale punto di riferimento commerciale, e da allora i libri presero a uscire con la regolare datazione di Venezia o, a seguito delle sistematiche proteste dei librai veneziani, con l’ambigua formula «in Bassano a spese di Remondini di Venezia». Non si esaurirono intanto i conflitti all’interno della corporazione, anche perché Giambattista, per nulla conciliante con la concorrenza, prese a ristampare con una certa sistematicità tutte le opere di qualche successo dei librai veneziani, non appena si esauriva il loro periodo di privilegio. Nel giro di pochi anni quindi la ditta bassanese divenne la più potente casa editrice dello Stato veneto e d’Italia e tra le maggiori d’Europa, in grado di competere sul piano quantitativo con gli editori di maggior prestigio.
Se negli anni Quaranta le licenze di stampa (che non tengono conto del repertorio da risma) rilasciate ai Remondini erano state in tutto 86, pari al 4,6% del totale dello Stato, nel decennio successivo passarono a 354, ovvero al 14,7%. In media ogni anno, tra ristampe e nuove edizioni, uscivano una trentina di titoli nuovi. La capacità produttiva dei diciotto torchi di Giambattista superò allora di gran lunga quella di ogni altro stampatore veneto e italiano. Anche in questo ambito i prodotti bassanesi avevano significativi elementi di vantaggio rispetto agli altri, contando soprattutto sul fatto che la produzione avveniva a costi inferiori e che per lo smercio poteva contare su una rete distributiva molto ampia ed efficiente dislocata lungo tutta la penisola.
Sotto la cura di Giambattista, gli investimenti destinati nel campo editoriale vero e proprio determinarono un mutamento dei rapporti con gli autori contemporanei, molti dei quali iniziarono a rivolgersi a Bassano per la stampa delle proprie opere, soprattutto contando sulla grande capacità di diffusione. Tra i primi a scorgere tali potenzialità figurano i religiosi, in primo luogo negli anni Cinquanta soprattutto i gesuiti – tra cui spicca la figura di Francesco Antonio Zaccaria. Ma presto Giambattista comprese il rischio che avrebbe potuto correre se fosse passata l’idea che i suoi torchi erano al servizio della Compagnia di Gesù. Cercò quindi di allentare i rapporti e strinse anche importanti legami con loro avversari, come Angelo Calogerà o Gian Lorenzo Berti. Uno degli autori trainanti in assoluto risultò essere Alfonso Maria de Liguori, vescovo di Sant’Agata dei Goti, autore di testi ascetici, devozionali e teologici, che rispose positivamente alle offerte dell’editore, divenendo dal 1756 uno dei punti di forza della casa. Dal 1756 al 1791 i Remondini ottennero 80 autorizzazioni alla stampa per sue opere. Titoli come le Glorie di Maria, l’Apparecchio alla morte, le Massime eterne, le Istruzione e pratica per li confessori furono una presenza sistematica nei cataloghi Remondini, con ristampe continue e tirature di gran lunga superiori alle medie, determinate dalla straordinaria capacità di quei testi di coinvolgere emotivamente il lettore devoto, grazie anche all’uso di una lingua italiana, semplice e curata al tempo stesso, che poteva essere intesa senza sforzi da un pubblico limitatamente alfabetizzato.
L’affermazione in campo editoriale tese a trasformare le caratteristiche della casa. Nella nuova situazione si impose anche la necessità di stringere nuove alleanze e relazioni politiche con il patriziato veneziano, fondamentali per consolidare la posizione. Molto probabilmente fu oggetto di discussione anche l’opportunità di trasferire la famiglia a Venezia per ragioni di convenienza politica e per rispondere alle insistenti critiche rivolte dai concorrenti veneziani. Finché visse, tuttavia, Giambattista continuò a invitare gli eredi a rimanere a Bassano e in questo senso si espresse anche nel testamento. Solo un’eventuale aggregazione al patriziato veneziano avrebbe potuto indurre a mutare tale convinzione.
Sotto la direzione di Giambattista la ditta raggiunse dimensioni imponenti in termini di investimenti, di dimensione dei traffici e di occupati. A quest’ultimo riguardo le cifre fornite dalle fonti oscillano molto: si parla di 800 impiegati nel 1761, di 1500 nel 1764, di 2400 nel 1768. L’ipotesi di un migliaio di addetti è comunque verosimile, senza contare tra questi le centinaia di girovaghi che continuavano a portare le stampe in giro per il mondo coordinate dalle due agenzie istituite a Pieve Tesino e a San Pietro al Natisone dirette da agenti direttamente in relazione con Bassano. Dal 1730 era infatti iniziata la penetrazione nella penisola iberica. Da Cadice, inoltre, non pochi ambulanti salparono alla volta dell’America spagnola. Proseguivano inoltre i traffici in Europa centrale, verso l’Austria e l’Ungheria e nelle terre slave sino a Mosca, San Pietroburgo e oltre, in direzione della Siberia: «vanno – avrebbe scritto nel 1781 l’arciprete del Tesino a proposito dei viaggi dei suoi parrocchiani – nelle principali città di Spagna, Fiandra, Olanda, Germania ed Italia, e la maggior parte poi trascorrono continuamente città per città, e villa per villa i detti paesi e l’Ungheria, Polonia etc. e gran parte dell’Impero russo fino nelle Siberie e in Astracan, ritornando qui ogni tre anni o quattro al più a far le nuove provviste» (Infelise, 1990, p. 117).
La tumultuosa crescita delle attività impose a Giambattista la necessità di fronteggiare ostacoli di diversa natura. La stessa gestione di un’azienda così complessa, con circa 50 torchi tra tipografici e calcografici e molti laboratori per la decorazione delle carte, dove si lavorava tra le 12 e le 14 ore al giorno, aveva richiesto uno specifico regolamento emanato dalla magistratura veneziana dei Cinque Savi alla mercanzia, in cui si fissavano orari e regole da rispettare. Ma tali disposizioni non erano state sufficienti a eliminare gli inconvenienti. Nel 1767 Giambattista era stato vittima di un tentato omicidio da parte di un operaio. Le corrispondenze con gli incisori che lavoravano a domicilio per la casa, attestano relazioni spesso tese. L’imprenditore pretendeva rapidità nell’esecuzione delle commissioni, mentre non sempre appariva puntale nei pagamenti.
Endemici furono i conflitti con i principali tipografi veneziani, quali i Baglioni e i Pezzana, che continuarono ad accusare Remondini di sfruttare i vantaggi di manodopera più economica in terraferma e di non rispettare i termini prescritti per i privilegi. Gli scontri continui determinarono in varie occasioni l’intervento delle magistrature veneziane e del sovraintendente alle stampe della Repubblica, lo scrittore Gasparo Gozzi, autore tra il 1764 e il 1780 di varie relazioni ai Riformatori dello Studio di Padova sulla questione in parte attente al ruolo positivo che la casa Remondini stava avendo per l’economia veneta, in parte critiche verso il comportamento eccessivamente aggressivo ai danni dei librai veneziani.
Di non minore rilevanza furono le vertenze che Giambattista dovette sostenere al di fuori dello Stato veneto. Tra il 1766 e il 1772 fu impegnato in una lunga controversia con il potente editore Daniel Herz von Herzberg, direttore dell’Accademia di Arti liberali di Augusta, che l’accusava di commercializzare in Germania stampe che violavano i privilegi dei calcografi tedeschi. La vertenza si concluse con un difficile compromesso. Di ben maggiore risonanza tra Europa e America fu la cosiddetta causa di Spagna che nel 1772 spinse la Spagna a chiedere alla Repubblica di Venezia l’arresto dell’ormai anziano editore per aver stampato e diffuso un’incisione del Giudizio universale ritenuta offensiva e realizzata su istigazione dei gesuiti, in quegli anni al centro di vivacissimi contrasti proprio con i sovrani della famiglia Borbone.
La vicenda aveva avuto origine a Popayan, nell’attuale Colombia, dove nel gennaio di quell’anno era stata vista la stampa incriminata, acquistata poco tempo prima a Cartagena de Indias, città sulla costa caraibica. Dall’America la notizia aveva raggiunto Madrid e alimentato un’inchiesta culminata con l’incriminazione di Remondini. Il timore dell’arresto lo indusse a cercare rifugio nelle sue proprietà di Castel Tesino, al di là dei confini veneti. Fu il figlio Giuseppe a operare a Venezia per discolpare il padre da un’accusa priva di fondamento – la stampa era stata realizzata su commissione del mercante di stampe francese Louis Bonnardel residente a Cadice a imitazione di una stampa di Jean-Baptiste Poilly che a sua volta si ispirava a un’incisione del 1606 realizzata da Philipp Thomassin per lo stampatore romano Giovanni Giacomo De Rossi – che stava avendo grande risonanza internazionale con notizie pubblicate su varie gazzette. Tra minacce di bloccare i traffici dei Remondini in Spagna solo nell’aprile 1773 la questione si concluse con il riconoscimento dell’innocenza di Giambattista.
Soltanto allora, provato dalla vicenda, tornò in patria e morì il 9 luglio successivo. Il giorno prima aveva dettato il testamento nel quale istituiva eredi i due figli Giuseppe (v. la voce in questo Dizionario) e Antonio.
Fonti e Bibl.: Bassano del Grappa, Museo, Biblioteca Archivio, Epistolario Remondini; fondo Archivio Remondini (su cui si veda M. Infelise, La famiglia, in R. Un editore del Settecento, a cura di M. Infelise - P. Marini, Milano 1990, p. 60; a tale descrizione sono da aggiungere nove volumi, catastici, rinvenuti nel 2005 nell’archivio privato dei conti Piovene di Mussolente); Ibid., L. Zellini, L’arte della stampa a Bassano, tesi di laurea, Università di Padova 1892-93, Mss., 30.B.18.1-2; Archivio di Stato di Venezia, Riformatori dello Studio di Padova, f. 365; Provveditori sopra feudi, b. 533; Inquisitori di Stato, b. 924.
Indice de libri stampati in Bassano nella stamperia R. sino l’anno 1729, Bassano 1729 (sui cataloghi di vendita e la loro collocazione: Carnelos, 2008, pp. 47-53; R. Un editore del Settecento, cit., pp. 77-81); G. Gozzi, Scritti [...] con giunta d’inediti e rari, scelti e ordinati da Niccolò Tommaseo, II, Firenze 1849, pp. 397-470; O. Brentari, La casa R: e la Corte di Spagna, Bassano 1882; A. Bertarelli, La Remondiniana di Bassano Veneto, in Emporium, LXVIII (1928), pp. 358-369; A. Bertarelli, L’imagerie populaire italienne, Paris 1929, pp. 90-93; M. Berengo, La crisi dell’arte della stampa veneziana alla fine del secolo XVIII, in Studi in onore di Armando Sapori, II, Milano 1957, pp. 1321-1338; F. Ferrero, San Alfonso Maria de Ligorio y los dos procesos de 1772-1773 contra G. R., in Spicilegium historicum Congregationis SSmi Redemptoris, XIX (1971), pp. 304-390; Mostra dei R., calcografi e stampatori bassanesi, a cura di G. Barioli, Bassano del Grappa 1958; Stampe per via. L’incisione dei secoli XVII e XVIII, a cura di B. Passamani, Pieve Tesino 1972; T. Rey-Mermet, Il santo del secolo dei lumi: Alfonso de’ Liguori (1696-1787), Roma 1983, ad ind.; E. Fietta Ielen, Con la cassela in spalla: gli ambulanti di Tesino, Ivrea 1987; M. Infelise, L’editoria veneziana nel ’700, Milano 1989, ad ind.; Id., I R. di Bassano. Stampa e industria nel Veneto del Settecento, Bassano del Grappa 1990; R.J. Wolfe, Marbled paper: its history, techniques, and patterns with special reference to the relationship of marbling to bookbinding in Europe and the Western world, Philadelphia 1990, pp. 49-52, 183; L’editoria del ’700 e i R., a cura di M. Infelise - P. Marini, Bassano del Grappa 1992; L. Fontaine, Histoire du colportage en Europe, XVe-XIXe siècle; Paris 1993, pp. 91 s., 243; R.R. Moro, Las torpes imágenes americanas: devociones locales entre los Alpes y los Andes a través de las estampas R., in Revista Andina, XII (1994), pp. 487-537; C.A. Zotti Minici, Le stampe popolari dei R., Vicenza 1994; Mirabili visioni. Vedute ottiche della stamperia R., a cura di C.A. Zotti Minici, Trento 1996; A.W.A. Boschloo, The prints of the Remondinis: an attempt to reconstruct an eighteenth-century world of pictures, Amsterdam 1998; V. Gosen, Incidere per i R. Lavoro, denaro e vita nelle lettere degli incisori a un grande editore del ’700, Bassano del Grappa 1999; G. Gozzi, “Col più devoto ossequio”. Interventi sull’editoria (1762-1780), a cura di M. Infelise - F. Soldini, Venezia 2003, ad ind.; P. Ragon, Louis Bonnardel, marchand d’images sous Charles III d’Espagne, in Dieu(x) et hommes: histoire et iconographie des sociétés païennes et chrétiennes de l’Antiquité à nos jours, Rouen-Le Havre 2005, pp. 641-657; I santi dei R., a cura di G. Ericani, Bassano del Grappa 2007; Passio i negoci: art a la Venecia dels segles XVII i XVIII, Barcellona 2007; L. Carnelos, I libri da risma. Catalogo delle edizioni R. a larga diffusione (1650-1850), Milano 2008; Bartolomeo Gamba. Una vita tra i libri, a cura di G. Berti et all., Milano 2008, ad ind.; J. Antón Pelayo, La “causa di Spagna”: antijesuitismo, comercio de estampas y relaciones diplomáticas entre España y Venecia durante el reinado de Carlos III, in Estudis. Revista de historia moderna, XXXV (2009), pp. 221-258; Guziranje. Dalla Schiavonia veneta all’Ongheria con le stampe dei R., Stregna-Passariano 2009; A. Rodríguez Romero - G. Siracusano, El pintor, el cura, el grabador, el cardenal, el rey y la muerte. Los rumbos de una imagen del Juicio Final en el siglo XVII, in Eadem Utraque Europa, VI (2010), pp. 9-29; L. Carnelos, “Con i libri alla mano”. L’editoria di larga diffusione a Venezia tra Sei e Settecento, Milano 2012, ad ind.; M. Infelise, La casa R., in Storia di Bassano del Grappa, II, Bassano del Grappa 2013, pp. 304-319; A. Milano, Selling prints for the R.’: Italian pedlars from the Tesino and Natisone Valleys travelling through Europe during the eighteenth century, in Not dead things the dissemination of popular print in England and Wales, Italy, and the Low Countries, 1500-1820, Amsterdam 2013, pp 75-96.