TEBALDI, Renata
TEBALDI, Renata. – Nacque a Pesaro, in via XX settembre, il 1° febbraio 1922, da Teobaldo, violoncellista, e da Giuseppina Barbieri, due anni dopo il matrimonio, che non si rivelò felice.
La madre tornò ben presto al paese d’origine, Langhirano, dove la figlia trascorse l’infanzia. Nel 1935 iniziò gli studi pianistici con Giuseppina Passani, che intuì le potenzialità della sua voce. In anticipo sull’età prevista fu ammessa al Conservatorio di Parma, nella classe del maestro Ettore Campogalliani. Nel 1940 a Pesaro fu ascoltata da Carmen Melis, celebre soprano, specializzata nel repertorio naturalista, che l’ebbe allieva nel locale conservatorio. Nel 1943 si esibì in concerto al teatro Raffaello Sanzio di Urbino, diretta da Riccardo Zandonai. Si fece ascoltare alla Scala su interessamento di Novi Mengaroni, responsabile della sartoria del teatro, ma l’audizione non diede esito.
Nel 1944 debuttò al teatro Sociale di Rovigo nel Mefistofele di Arrigo Boito (Elena). L’anno dopo al Ducale di Parma cantò La bohème di Giacomo Puccini (Mimì), che replicò al Verdi, dove si produsse in Andrea Chénier di Umberto Giordano e nell’Amico Fritz di Pietro Mascagni, mentre al Verdi di Trieste fu Desdemona nell’Otello verdiano e al Regio di Parma Elsa nel Lohengrin wagneriano. Per il crescente successo si interessò a lei la potente Agenzia ALCI; si perfezionò con il maestro Giuseppe Pais, mentre il tenore Giacinto Prandelli, suo partner nell’Amico Fritz a Brescia (aprile 1946), le procurò una nuova audizione scaligera con Arturo Toscanini, che la volle per il concerto inaugurale del ricostruito teatro alla Scala. L’11 e il 14 maggio 1946 cantò nella Preghiera del Mosè di Gioachino Rossini e nel Te Deum di Giuseppe Verdi. Nacque qui la leggenda che durante le prove il maestro l’avesse definita ‘voce d’angelo’, mentre in realtà Toscanini con queste parole semplicemente dava l’attacco al soprano cui spetta la cosiddetta parte dell’Angelo per In te, Domine, speravi. Divenne subito una delle voci predilette dal pubblico della Scala, cantandovi nel 1946 Lohengrin, nel 1947 La bohème e I maestri cantori di Norimberga. Nel 1947 debuttò alla Fenice di Venezia (Otello e Tosca), all’Opera di Roma (Otello), al Bellini di Catania (Andrea Chénier); avrebbe dovuto inaugurare la stagione dell’Arena di Verona nel Faust di Charles Gounod (Margherita), a fianco del giovane basso Nicola Rossi-Lemeni, ma il maltempo impedì la ‘prima’ e la stagione iniziò con La Gioconda, protagonista una giovane e allora sconosciuta soprano greca, Maria Callas. Nel 1948 debuttò al San Carlo di Napoli nella Traviata, alle Terme di Caracalla in Mefistofele, mentre alla Scala cantò Andrea Chénier e Faust; nel 1949 vi cantò Otello con Ramón Vinay e Andrea Chénier con Mario Del Monaco, direttore Victor De Sabata, e comparve al São Carlos di Lisbona con Andrea Chénier e Don Giovanni (Elvira). Nel 1949 debuttò al Maggio musicale fiorentino in una famosa ripresa di L’assedio di Corinto rossiniano (Pamira), e l’anno dopo fu Olimpia nell’omonima opera di Gaspare Spontini. Nel 1950 debuttò in Aida alla Scala, vi cantò Falstaff (Alice), il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart, diretto da Guido Cantelli, e la Messa da Requiem di Verdi, diretta da Toscanini, si esibì alla Royal Opera House di Londra (Messa da Requiem, con i complessi del teatro milanese), tornò al São Carlos (Faust, La traviata, Stabat mater di Rossini, Falstaff), poi passò negli Stati Uniti, a San Francisco, a Los Angeles e a Fresno con Aida, Le nozze di Figaro (Contessa d’Almaviva) e Otello, con cui poi il 26 dicembre inaugurò la stagione della Scala. Nel 1951 vi cantò La traviata, ma il soprano cancellò tutte le recite, dopo l’esito infelice della ‘prima’, il 3 febbraio, subendo un’«immeritata umiliazione, quando si era illusa di aver conquistato il cuore del pubblico» (Lauri-Volpi, 1960, p. 73).
L’insuccesso fu riscattato dal trionfo che le venne decretato nel marzo seguente nella stessa opera al San Carlo, dove in occasione del 50° anniversario della morte di Verdi tenne pure il ruolo eponimo in una rara ripresa di Giovanna d’Arco, che cantò poi al teatro dell’Arte di Milano con Carlo Bergonzi agli esordi. In quell’anno partecipò a una tournée in Sud America, a San Paolo e a Rio de Janeiro: qui, il 14 settembre, si tenne un concerto cui parteciparono Callas e Tebaldi; avrebbe preso avvio in quell’occasione la rivalità tra le due primedonne che per anni occupò poi le pagine dei rotocalchi e divise i pubblici di tutto il mondo in fazioni avverse, mescolando le ragioni dell’arte con i più svariati pettegolezzi. Cominciarono, intanto, a guastarsi i rapporti con la Scala: a Tebaldi vennero proposti i titoli consueti, mentre i riflettori si accesero sull’inaugurazione della stagione 1952-53 con I vespri siciliani, protagonista Maria Callas. Dopo una seconda tournée in America Latina, il 7 dicembre Tebaldi inaugurò la Scala con La Wally di Alfredo Catalani, ma tre giorni dopo andò in scena Medea di Luigi Cherubini, che impose Callas alla generale attenzione e le aprì la strada a una sempre più stretta collaborazione con il teatro milanese, sorretta e voluta dall’establishment mondano e culturale meneghino. In maggioTebaldi debuttò nell’Eugenio Onegin (Tatiana), con Giuseppe Di Stefano, in un’edizione in italiano delle «scene liriche» di Pëtr Il′ič Čajkovskij.
Mentre mieteva successi nei principali teatri italiani, soprattutto al San Carlo, il cui pubblico la idolatrava, Tebaldi effettuò un’altra tournée in America Latina e maturò il debutto al Metropolitan di New York, il 31 gennaio 1955 con Otello, a fianco di Del Monaco e Leonard Warren, eccelso baritono statunitense. Si avviò così un rapporto destinato a durare fino al 1973, in complessive diciassette stagioni, con un repertorio che comprendeva Adriana Lecouvreur, Aida, Andrea Chénier, La bohème, Falstaff, La fanciulla del West, La forza del destino, La Gioconda, Madama Butterfly, Manon Lescaut, Simon Boccanegra, Tosca e La traviata, oltre ai concerti di gala; comparve anche, con Io son l’umile ancella da Adriana Lecouvreur e altri due pezzi, come cantante-ospite nel festino del principe Orlovsky di Die Fledermaus di Johann Strauss, il 31 dicembre 1955.
Gli impegni d’Oltreoceano non impedirono alla cantante di ritornare spesso in Italia e in Europa. Tra tante presenze spiccano nel 1956 Guglielmo Tell al San Carlo, La traviata e La forza del destino al Maggio musicale fiorentino, Tosca e Aida al Liceu di Barcellona, dove fu presente anche nel 1958, anno in cui debuttò alla Staatsoper di Vienna con Tosca diretta da Herbert von Karajan, mentre al San Carlo fu protagonista di Adriana Lecouvreur. Nel 1959 fece con Tosca la sua rentrée alla Scala, da dove mancava da La forza del destino del 1955 (nel gennaio del 1957 aveva tenuto al Manzoni di Milano uno storico concerto accompagnata al pianoforte da Giorgio Favaretto). La sua attività si protrasse intensissima, con presenze anche su altri palcoscenici statunitensi, tra cui alla Lyric Opera di Chicago. Alle opere si erano aggiunti i concerti ed era avvenuto il debutto in Giappone.
Nel 1960 si riconciliò con il padre (non l’aveva più visto fin da quando, nel 1941, si era legato a una nuova compagna). Il 30 dicembre 1962 abbandonò la recita della Bohème al San Carlo dopo il primo quadro. La stanchezza per una carriera che durava senza interruzioni da più di quindici anni, la delusione per la fine della relazione con il direttore Arturo Basile, con il quale aveva condiviso anche numerosi impegni artistici, lo stress di una vita pubblica sempre sotto i riflettori del pianeta, la rivalità con Callas, perennemente rinfocolata dai quotidiani anche con episodi spiacevoli, la spinsero a prendersi un lungo periodo di riposo, interrotto soltanto nel gennaio-febbraio del 1963 dalle recite di Adriana Lecouvreur, che finalmente, dopo molto insistenze, era riuscita a far ammettere sul palcoscenico del Metropolitan (vi era andata in scena una sola volta nel 1907), vincendo le resistenze di Rudolf Bing, allora sovrintendente, cui l’opera di Francesco Cilea andava a contraggenio.
L’attività riprese intensa dal 10 marzo 1964 con La bohème a Filadelfia e si svolse esclusivamente negli Stati Uniti fino al 1967. Ai consueti titoli, Tebaldi aggiunse La Gioconda nel settembre del 1966 in occasione dell’apertura della nuova sala del Metropolitan al Lincoln Center. Alla fine del 1967, nonostante le insistenze dei vertici scaligeri, scelse di dare l’opera di Amilcare Ponchielli al San Carlo. Il 16 settembre 1968, in occasione della ‘prima’ di Adriana Lecouvreur, scelta per l’apertura della stagione al Met, e stavolta ben accolta dalla critica newyorkese, nel camerino di Franco Corelli, che interpretava Maurizio di Sassonia, ebbe luogo l’incontro della riconciliazione con Callas; quest’ultima aveva espresso il desiderio di assistere alla recita e di incontrare la collega. In quell’anno Tebaldi cantò in Europa La Wally a Montecarlo. Nel 1973, in gennaio, si produsse per l’ultima volta in un’opera, Otello, al Met; fino al 1976 tenne però ancora concerti in tutto il mondo (a Mosca e a Leningrado nell’ottobre del 1975, unica sua apparizione in Russia), spesso con Corelli, con il quale fin dagli anni Sessanta aveva stretto un sodalizio artistico. Chiuse la carriera americana il 19 febbraio 1976 con un concerto alla Carnegie Hall di New York, che ricompensava il pubblico dalla delusione di quello del 16 gennaio, quando Tebaldi, presentatasi alla ribalta, non riuscì a cantare. Al termine del concerto, dopo che Tebaldi ebbe intonato la frase di Mimì, «Addio senza rancore», il pubblico ebbe incredibili reazioni di commosso entusiasmo, che vanno ricordate per sottolineare le dimensioni del carisma dell’artista italiana.
Il 23 maggio 1976 si congedò dal pubblico italiano con un concerto alla Scala, dov’era già tornata l’anno prima con due concerti, uno alla Piccola Scala e uno nella sala del Piermarini, salutata da manifestazioni di indescrivibile entusiasmo, che il critico del Corriere della sera Duilio Courir dichiarò meritevoli di essere esaminate da uno psicologo. Dopo il ritiro dalle scene visse a Milano nell’appartamento di piazzetta Guastalla, acquistato negli anni Cinquanta, sempre assistita da Ernestina Viganò, a tutti nota come Tina, sua ammiratrice fin dagli anni degli esordi, che poi divenne la fidata governante. Tebaldi rimase nubile, non insegnò mai canto né tenne masterclasses.
Morì a San Marino il 19 dicembre 2004. Il 30 dicembre dello stesso anno è stata costituita la Fondazione Renata Tebaldi. Nel 2014, nelle scuderie di Villa Pallavicino a Busseto, è stato inaugurato il Museo Renata Tebaldi.
Accanto alla carriera teatrale, Tebaldi svolse un’intensissima attività discografica. Dopo le prime incisioni a 78 giri, realizzate per Fonit-Cetra, dagli anni Cinquanta firmò un contratto in esclusiva con Decca, che mantenne fino alla fine. Oltre ai numerosi recital, registrò una collana di opere complete, molte di esse con Mario Del Monaco (Aida, La forza del destino, Il trovatore, La Wally, Adriana Lecouvreur, Andrea Chénier, La fanciulla del West, Manon Lescaut, Tosca, il Trittico pucciniano, e due registrazioni di Otello, di cui la seconda diretta da von Karajan), formando con il tenore una coppia artistica antagonista rispetto a quella formata da Callas e Di Stefano, che registrava in esclusiva per Columbia; nondimeno, alla fine degli anni Cinquanta, Tebaldi e Di Stefano registrarono una selezione dal Mefistofele, direttore Tullio Serafin, immessa sul mercato solo molti anni dopo. Il mezzo discografico potenziò la fama planetaria del soprano, che peraltro registrò opere da lei mai affrontate in teatro, il citato Trovatore, Don Carlos (direttore George Solti, con Nicolai Ghiaurov, Carlo Bergonzi e i complessi del Covent Garden) e Un ballo in maschera (direttore Bruno Bartoletti, con Luciano Pavarotti). Accanto alle incisioni ufficiali, è oggi presente sul mercato un ingente numero di registrazioni dal vivo, documenti importanti per ricostruire e valutare la parabola artistica della cantante.
Splendida voce di soprano lirico, tra le più belle che si siano mai ascoltate, dal timbro spiccatamente muliebre e intenso, capace di sfumature angeliche, che gli straordinari armonici rendevano potente e penetrante senza che mai perdesse in dolcezza e morbidezza, con suoni trasparenti e ‘soffiati’che a detta di Eugenio Gara ricordavano la purezza dei vetri di Murano. Tanta claritate ospitava una vibrante passione e un canto pieno di autentico, umanissimo trasporto. Incarnò così il tipo della voce per antonomasia italiana, baciata dalla natura, anche se di fatto sostenne le proprie doti originarie con una tecnica agguerrita, un canto d’alta scuola (sebbene non vada sottaciuto qualche problema nel registro acuto, non particolarmente esteso). Nei primi anni della carriera seppe affrontare con notevoli risultati anche partiture del primo Ottocento dalla vocalità decisamente belcantistica, che per scelta non volle approfondire, declinando il suggerimento di Serafin di cimentarsi con Norma, alla quale pure la riteneva adatta lo stesso Giacomo Lauri-Volpi. Pur avendo ottenuto risultati egregi nelle Nozze di Figaro, nella Traviata, in Lohengrin (fu tra gli ultimi artisti che contribuirono al filone del Wagner cantato in italiano), trovò il terreno d’elezione nella produzione della maturità verdiana (La forza del destino, Otello, Falstaff, Aida) e della Scapigliatura (La Gioconda), nonché nella Giovane Scuola (La bohème, Tosca, Madama Butterfly, La fanciulla del West, Andrea Chénier, Adriana Lecouvreur): e qui seppe aggiornare lo stile verista di voci storiche come Maria Caniglia al rinnovamento del gusto, che esigeva un canto più sorvegliato.
La rivalità con Callas e il continuo confronto tra le due prime donne, sostenuto da critici illustri, troppo insistenti nel definire il canto di Tebaldi angelico e apollineo e quello di Callas demoniaco e dionisiaco, ha in parte pregiudicato l’esatta valutazione dei meriti specifici della cantante pesarese sotto il profilo vocale e interpretativo: si è esagerato nel sottolineare i presunti limiti dell’attrice, né è stata evidenziata a sufficienza l’espressività che sapeva conferire al canto, creando personaggi vivi e palpitanti.
Più calzante è il dittico che alle due dive, mascherate sotto gli pseudonimi di Giulia Pascucci (Tebaldi) e Sdenka Di Carlo (Callas), ha dedicato Rodolfo Celletti nel romanzo Tu che le vanità (Milano 1981). Tra tanti passi illuminanti, spicca il parallelo tra le due cantanti in rapporto a Verdi: se i meriti della cantante balcanica rifulgevano in Nabucco e Macbeth, ruoli che recano netta l’impronta del cosiddetto soprano drammatico d’agilità di primo Ottocento (p. 189), per tacere della Traviata («Sdenka, oltre a prevalere nei virtuosismi del primo atto, era splendidamente salottiera. Voglio dire lievissima e civetta», p. 190), nelle opere del Verdi «contadino», in primis in Aida o nella Forza del destino, svettava l’italiana. La Leonora di Giulia, «anche scenicamente, era davvero l’aristocratica che per il rimorso si vota a Dio. Tutte le antiche pietose nenie e tetre ballate di baronesse, contesse, marchese, principesse entrate in convento per una pena d’amore o per scontare il peccato, s’insinuavano nel suo canto con il tremito della commozione popolare. Ma con l’accento della gran dama» (p. 191). In altre parole, «prevaleva l’angelo italiano» (p. 192), libero da pose intellettuali. Tebaldi, insomma, non poteva essere «divina» alla maniera della Callas o di Greta Garbo (p. 193), ma ci fu sempre in lei, anche negli anni del declino, una gioia sorgiva nel cantare che nessun confronto ha mai potuto appannare.
Fonti e Bibl.: V. Seroff, R. T. The woman and the diva, New York 1958; G. Lauri-Volpi, Voci parallele, Milano 1960, p. 73; W. Panofsky, R. T., Berlino 1961; R. Celletti, Le grandi voci, Roma 1964, pp. 842-849; H. Harris, R. T., New York 1974; C.M. Casanova, R. T. La voce d’angelo, Milano 1978; A.M. Rossotto, La T., Firenze 1978; R. Celletti, Il teatro d’opera in disco. 1950-1987, Milano 1988, pp. 123, 137 s., 162, 266 s., 271, 286, 575 s., 590, 592, 598, 602, 604, 609, 611 s., 619, 621, 628, 631, 637, 640, 642 s., 646, 649, 824-826, 845, 851, 869, 900, 908-912, 925, 969, 971, 975, 1029, 1032, 1034-1036, 1058; V.R. Bisogni, A R. T., unica ed amatissima, Firenze 1992 (con repertorio, discografia, nastrografia); G. Marchesi, Canto e cantanti, Milano 1996, pp. 310, 460; V.R. Bisogni, R. T. Viaggio intorno ad una voce, Parma 1999; Omaggio a R. T., a cura di P. Isotta, Milano 2002; S. Papi, R. T., Milano 2007; J. Kesting, Die großen Sänger, Kassel 2010, pp. 1523-1530; J. Pellegrini, Il falò delle vanità. «Voci d’angelo» a confronto, in Rodolfo Celletti, maestro di scrittura e (censore) di voci, a cura di A. Foletto, Fasano 2018, pp. 130-158; V.R. Bisogni, R. T. “Dolce maestà”. Figlia, donna, icona, Varese 2019.