ANGIOLILLO, Renato
Nacque a Ruoti, in provincia di Potenza, il 4 ag. 1901 da Giuseppe, avvocato, e da Gaetana Martorano. Laureatosi in giurisprudenza, esordì giovanissimo nel giornalismo a Napoli. A diciotto anni lavorava presso il quotidiano Giornale della sera, di cui era direttore il fratello Ugo, e due anni dopo divenne redattore capo dell'Ecodella Sicilia e delle Calabrie; l'A. collaborò in seguito a Il Lavoro di Genova e fondò a Napoli il settimanale Il Vecchio paese. Egli gravitava allora, come la sua famiglia del resto, nell'ambito politico del corregionale F. S. Nitti. Allorché, con l'avvento del fascismo, cominciarono le difficoltà per la libera espressione della stampa democratica, l'A. abbandonò il giornalismo per dedicarsi all'attività editoriale. Fu fondatore e direttore, sempre a Napoli, della casa editrice Tirrena, che nel corso degli anni Venti pubblicò diversi volumi in due principali collane: una di poesia dialettale napoletana e l'altra di saggi politici, nella quale apparvero, tra gli altri, scritti di Arturo Labriola. In quel periodo l'A. scriveva novelle ed articoli di colore per Il Lavoro e Il Popolo di Roma firmandoli con pseudonimi, quali "Il foggiano" e "Blasco Rumor"; abbandonata l'attività editoriale in proprio, l'A. lavorò quindi come dirigente, presso l'editore Morano. Alla fine degli anni Venti l'A., che pure intratteneva rapporti di personale amicizia con alcuni esponenti del fascismo napoletano, entrò in conflitto con gli ambienti fascisti più rigidi e fu costretto a trasferirsi a Bari; qui rimase per nove anni, dedicandosi all'editoria pubblicitaria.
Alla vigilia della guerra mondiale l'A. si stabilì a Roma iniziando una poliedrica attività nel settore cinematografico. Fu infatti produttore, nonché talvolta soggettista e sceneggiatore, di varie opere cinematografiche realizzate intorno agli anni Quaranta; produsse, tra gli altri, il film Un garibaldino al convento con la regia di V. De Sica e Caravaggio di G. Alessandrini.
Nel 1943 l'A. tornò ad occuparsi di giornalismo, intenzionato a dar vita ad un nuovo quotidiano. Il gerarca fascista G. Bottai aveva acquistato, sembra proprio in società con l'A., l'antica testata dell'Italie che, dall'ottobre 1940, si pubblicava con il nuovo titolo di Italia. Quotidiano politico fondato nel 1859 dalconte di Cavour. Quando, alla caduta del fascismo, il giornale entrò in crisi, l'A. ne approfittò per far rilevare, a basso prezzo, da un gruppo di antifascisti suoi amici il pacchetto azionario della Società editoriale romana, proprietaria della testata; la compravendita era stata realizzata di nascosto ed allorché venne scoperta, da parte della ripristinata autorità fascista, il giornale nel gennaio '44 fu soppresso. Roma era infatti occupata dai Tedeschi; l'A. dovette rimandare a tempi migliori la realizzazione del suo progetto, nel quale aveva intanto coinvolto lo scrittore antifascista Leonida Repaci. Con l'ingresso delle truppe alleate a Roma, il 4 giugno 1944, l'A. si rivolse allo Psychological Warfare Branch (PWB), la branca dell'autorità militare alleata che si occupava della stampa, per ottenere l'autorizzazione a pubblicare il suo giornale che gli fu infine concessa: l'A., durante l'occupazione nazista, avrebbe stampato un bollettino clandestino con notizie riprese dalla radio inglese e americana e ciò lo poneva in buona luce agli occhi degli alleati.
Per il suo quotidiano l'A. aveva deciso di rinunciare alla vecchia testata Italia scegliendo quella de Il Tempo, ripresa anch'essa da un giornale romano, fondato e diretto nel primo dopoguerra da Filippo Naldi e poi soppresso dal fascismo. Il primo numero del Tempo uscì il 6 giugno 1944 con il sottotitolo "quotidiano socialdemocratico" e con la firma, come direttori, di Rèpaci e dello stesso Angiolillo.
Il richiamo alla socialdemocrazia non era tuttavia inteso in senso classico, ma piuttosto come adesione ad un socialismo di vaga e confusa ispirazione rivoluzionaria e blanquista. Già dal terzo numero tale sottotitolo venne però eliminato, mentre qualche giorno dopo IlTempo esplicitava il collegamento ideale "con la stampa clandestina dem movimento partigiano" e l'intenzione di voler essere "la voce del popolo lavoratore, teso verso il completo affrancamento sociale, politico e morale" (13 giugno 1944).
Nonostante queste affermazioni di principio il Comitato di liberazione nazionale (CLN) chiese ed ottenne, il 22 giugno, dall'autorità militare alleata la soppressione del quotidiano, in quanto, secondo gli accordi, doveva essere consentita la pubblicazione soltanto dei giornali organi dei sei partiti del CLN. L'A. e Rèpaci riuscirono, appena qualche giorno dopo, a farsi nuovamente confermare l'autorizzazione e così Il Tempo riprese le pubblicazioni, assumendo il nuovo sottotitolo "quotidiano indipendente". Per dare a gruppi e partiti non appartenenti al CLN la possibilità di esprimere le loro opinioni, la commissione alleata per le pubblicazioni aveva stabilito che Il Tempo doveva riservare ogni giorno due colonne, intitolate "Tribuna libera", al notiziario di questi gruppi e partiti.
Per un breve periodo Il Tempo ospitò questa rubrica, mentre l'A. dimostrava di sapersi muovere con accortezza e capacità riuscendo a far decollare il suo quotidiano in una situazione di generale difficoltà per la stampa. In tempi in cui la carta veniva razionata l'A. riusciva a farsene assegnare in quantitativi superiori alle necessità; Il Tempo fu poi tra i primi giornali ad ospitare avvisi economici a pagamento. Quando ancora i quotidiani uscivano a sole due pagine Il Tempo dedicava un discreto spazio alla cultura, potendo vantare illustri collaboratori, tra i quali C. Alvaro, V. Brancati, M. Bontempelli, E. Cecchi e G. Piovene. Approfittando inoltre dell'assenza dalle edicole di un quotidiano romano di antica tradizione quale Il Messaggero - lacui pubblicazione era stata impedita per i trascorsi fascisti della testata -, Il Tempo si andava affermando con ottime tirature, conquistando lettori in settori di opinione pubblica moderata.
L'A. comprese appieno le vaste possibilità di diffusione che si sarebbero aperte al suo giornale, se fosse stato in grado di rendersi interprete di quella parte della popolazione che non si riconosceva nella prospettiva di rinnovamento politico e sociale, bensì la paventava, che temeva i provvedimenti dell'epurazione antifascista e che, in fin dei conti, rifuggiva da una condanna del passato regime. Con una certa spregiudicatezza l'A. attuò un repentino spostamento della linea del giornale verso le posizioni moderate, entrando per questo in conflitto con Rèpaci, favorevole al mantenimento di una linea di sinistra. Il contrasto tra i due si risolse con la liquidazione di Rèpaci, che nel dicembre 1944 abbandonò un giornale nel quale erano ormai molti, tra redattori e collaboratori, ad avere trascorsi fascisti più o meno compromettenti.
L'A. perseguiva una ben chiara linea politica ed editoriale, come egli stesso dichiarò al PWB: "Il mio giornale è un giornale indipendente. La mia linea è combattere il comunismo e il socialismo. Non mi piacciono i loro uomini, le loro idee, i loro giornali. Appena sarà liberato il Nord, andrò a Milano al solo scopo di attaccare la stampa di sinistra. Sono contro l'epurazione. Se qualcuno ha fatto fortuna sotto il fascismo perché toglierli la sua fortuna? Può essere utile al nuovo regime con la sua abilità, se si impegna a non contrastarlo. Tutti i miei collaboratori al Tempo sono stati, chi più chi meno, fascisti. A me sta bene" (Faenza-Fini, p. 107). Non andava dunque lontano dal vero Leonida Rèpaci allorché definiva l'A. "fondamentalmente un borghese, un reazionario, non crede nella Resistenza, non crede nella Costituzione che da essa dovrà nascere" (Rèpaci, p. 351). Queste definizioni aiutano comunque ad inquadrare la personalità dell'A. nel momento in cui egli compiva scelte professionali e politiche decisive e alle quali rimase fondamentalmente fedele.
Da allora si può dire che la biografia dell'A. si identifichi con le vicende del giornale, di cui egli era proprietario e direttore. La linea che egli impose al Tempo non si caratterizzava nell'appoggio costante ad una determinata forza politica (il che accadeva in occasione delle elezioni), quanto nell'esprimere il variegato blocco della destra economica e politica. Amico personale del fondatore del Fronte dell'uomo qualunque, Giannini, l'A. condivideva i motivi di fondo del qualunquismo, che organizzava la protesta, contro l'antifascismo, di "quei ceti medi, ancora una volta trascurati, vilipesi, ignorati" (La grande lava si è mossa, in Il Tempo, 13 nov. 1945).
Il Tempo era insomma diventato il giornale che raccoglieva "le voci dei molti scontenti, le sofferenze dei poveri 'epurati', il disagio dei ceti medi burocratici, la stanchezza generale provocata dalle due occupazioni, tedesca ed alleata, le ancor timide, ma rancorose proteste dei militari sconfitti, sotto l'insegna generosa della 'pacificazione'" (Cimone, p. 231). Sul Tempo cominciavano anche ad apparire le firme di esponenti di spicco del regime fascista, come quelle di A. De Stefani, G. Bottai, V. Borghese. In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 il quotidiano dell'A. si schierò a favore della monarchia. In quel periodo Il Tempo insidiava il primato delle vendite al ricomparso Messaggero. Ilgrande balzo nella tiratura e nella diffusione era avvenuto grazie alla pubblicazione a puntate degli estratti del Diario di Galeazzo Ciano, di cui l'A. aveva acquistato i diritti; in pochi giorni la tiratura salì da 30.000-35.000 a 150.000 copie.
Sempre in quel periodo l'A. diede vita ad una edizione milanese del Tempo con l'intenzione di far concorrenza al Corriere della sera, assumendone collaboratori e redattori epurati. Il tentativo non ebbe tuttavia successo; e dopo poco tempo l'A. cedette la testata ad un gruppo di industriali milanesi.
Alle elezioni del 18 apr. 1948 l'A. si presentò candidato al Senato per il collegio di Bari, come indipendente in una lista liberale, che aveva anche il sostegno della Democrazia cristiana, risultando eletto con 45.726 voti; in Senato l'A. fece parte della commissione Lavoro, Emigrazione e Previdenza Sociale. Mentre Il Tempo patrocinava nel 1950 il progetto di legge per la difesa civile, inteso come strumento contro la "minaccia" di sinistra, l'A. si fece sostenitore sul giornale ed in Senato della campagna di "pacificazione" portata avanti dai neofascisti. Intervenendo, il 23 genn. 1952, in Senato contro la proposta di legge per la repressione dell'attività fascista l'A. invocò "un'impostazione di cristiana giustizia e di responsabilità politica, per cui si vieti il deprecabile errore di porre praticamente fuori legge una massa importante di italiani, con cui si può e si deve collaborare e da cui si può e si deve chiedere apporto di attività. Non si costruisca - concludeva l'A. - una barriera a destra mentre non si è voluto finora, elevarne una a sinistra" (Discorso contro la proposta di legge per la cosiddettarepressione dell'attività fascista, Roma 1952, pp. 14 s.). Alle elezioni del 7 giugno 1953 l'A. fu nuovamente candidato dal partito liberale al Senato, questa volta nel collegio di Rieti, ma non venne eletto. Nondimeno continuò ad esercitare un ruolo importante sul piano politico.
Ben oltre l'affermazione editoriale, Il Tempo divenne negli anni Cinquanta un portavoce autorevole del blocco conservatore. In politica estera esprimeva posizioni nazionaliste, ma sempre ancorate ad un rigido allineamento alla politica degli Stati Uniti. In politica interna sosteneva, ancor più dopo le elezioni del 1953, la necessità di una apertura alla destra monarchica e neofascista. In politica economica IlTempo rifletteva le posizioni della Confindustria, e si pronunciò contro lo sganciamento delle aziende a partecipazione statale dall'associazione degli industriali. Il giornale fu altresì sostenitore della politica dei coltivatori diretti e dei consorzi agrari, guidati da Paolo Bonomi, e degli interessi dei proprietari terrieri meridionali contrari alla riforma agraria. Un altro tratto peculiare del Tempo continuò ad essere l'attenzione rivolta ai fatti della cultura e dello spettacolo; nella terza pagina del giornale comparivano articoli di scrittori e critici stimati anche in ambienti politicamente lontani dal Tempo.
Nel novembre 1957 l'A. trasformò la Società editoriale romana, di cui era unico proprietario, in società per azioni, e l'anno successivo la metà delle azioni furono rilevate dall'armatore genovese Ernesto Fassio. Questi divenne presidente del consiglio di amministrazione della società editrice, mentre all'A. restavano l'altra metà delle azioni, l'incarico di direttore a vita ed il diritto di rescissione del contratto. Nel corso degli anni Sessanta, di fronte all'emergere di nuovi scenari in politica interna ed internazionale, l'atteggiamento del Tempo fu caratterizzato in ogni campo dalla difesa dello status quo e, allorché ciò non era possibile, dal sostegno alle posizioni più moderate nell'ambito delle ipotesi di cambiamento.
Così fu a proposito del dialogo tra cattolici e socialisti, incoraggiato dal nuovo corso impresso alla Chiesa dal pontificato di Giovanni XXIII. Il Tempo si distinse tra i giornali più tenacemente avversi al varo della politica di centrosinistra, non lesinando duri attacchi a quegli esponenti democristiani che più si battevano per una coalizione di governo con i socialisti. Medesime ragioni, ma non solo quelle, erano all'origine dell'ostilità verso la politica di E. Mattei, presidente dell'ENI (Ente nazionale idrocarburi), sostenitore del centrosinistra e artefice di importanti intese dirette con i paesi produttori di petrolio, in contrasto con gli interessi delle grandi compagnie internazionali del settore. Giornale cattolico, Il Tempo fu portavoce degli ambienti più conservatori della Curia romana contrari alle aperture del concilio Vaticano II. Varato il centrosinistra, Il Tempo si dimostrò "una testata quanto mai mobile, sempre naturalmente nella cornice di una rivendicazione continua del più intransigente conservatorismo" (La stampa quotidiana romana…, 1967, p. 331). Promotore di campagne, come quella contro la legge urbanistica Sullo, rivolte a contrastare la politica delle riforme, Il Tempo, specialmente dopo la ritrovata unità politica tra il centrosinistra e i grandi gruppi privati, fu tuttavia un quotidiano "filogovernativo". Verso la fine degli anni Sessanta, in presenza di fatti nuovi come la contestazione studentesca ed una forte ripresa delle lotte operaie, Il Tempo si segnalò come uno dei giornali più decisi nel reclamare la repressione di tali movimenti.
Nel 1970 intervennero sostanziali mutamenti nella proprietà del giornale. Conclusa nel giro di un breve periodo la società con Fassio, l'A. era nuovamente proprietario assoluto del giornale, la cui gestione economica diveniva sempre più pesante. In un momento caratterizzato da intense e spesso segrete manovre rivolte al controllo dei quotidiani da parte di imprese economiche pubbliche e private, la proprietà del Tempo venne ad interessare l'ENI, che ne assunse una rilevante partecipazione di minoranza. Nel 1971 l'ENI divenne proprietaria di una quota del 33,3% con diritto d'opzione su di un altro terzo. Il 61,7% rimaneva di proprietà dell'A., mentre il restante 5% passò ad una società concessionaria di pubblicità. Si andavano così definendo le linee dell'assetto proprietario, che, con ulteriori partecipazioni e suddivisioni di quote, avrebbe rilevato la società editrice dopo la scomparsa dell'Angiolillo. Questi, ancora nel luglio 1973, teneva tuttavia a precisare di essere il solo proprietario del Tempo.
L'A. morì a Roma il 16 ag. 1973.
Fonti e Bibl.: Si vedano i numeri de Il Tempo del 17 e 18 ag. 1973 contenenti ricordi e necrologi e, inoltre E. Veo, Quotidiani e periodici usciti in Roma dopo il 4giugno 1944, in Capitolium, XIX (1944), n. 6-8, p. 109; La stampa quotidiana romana, in Belfagor, VI (1951), pp. 334-336; Cimone, La stampa quotidiana, in Occidente, XII (1956), n. 3, pp. 228-236; n. 4, pp. 289, 306; Annuario della stampa italiana 1957-58, Milano 1957, pp. 119 s.; L. Rèpaci, Taccuino segreto, Lucca 1967, ad Indicem; La stampa quotidiana romana dal 1951a oggi, in Belfagor, XXII (1967), pp. 329 ss.; I. De Feo, Tre anni con Togliatti, Milano 1971, ad Indicem; M. Isnenghi, La stampa quotidiana del Centro Sud, I, "Il Tempo" e "Il Giornale d'Italia", in Giovane critica, 1971, n. 28, p. 73; Almanacco d'Italia 1974, Roma 1973, pp. 225, 250-268; E. Scalfari-G. Turani, Razza padrona, Milano 1974, ad Indicem; S. Setta, L'uomo qualunque 1944-1948, Bari 1975, ad Indicem; La stampa italiana del neo-capitalismo, a cura di V. Castronovo-N. Tranfaglia, Roma-Bari 1976, pp. 557 s.; R. Faenza-M. Fini, Gli Americani in Italia, Milano 1976, ad Indicem; G. Pansa, Comprati e venduti. I giornali e il potere negli anni '70, Milano 1977, ad Indicem; P. Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra, Roma-Bari 1978, ad Indicem; La starnpa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, a cura di V. Castronovo-N. Tranfaglia, Roma-Bari 1980, ad Indicem; G. Afeltra, Missiroli e i suoi tempi, Milano 1985, ad Indicem; M. Zeri, E R. A. fondò "Il Tempo", in Il Tempo, 4 nov. 1985. Ulteriori informazioni sono reperibili in: Chi è?, Roma 1948, ad vocem; I deputati e senatori del primo Parlamento repubblicano, Roma 1949, ad vocem; Panorama biogr. degli Ital. d'oggi, a cura di G. Vaccaro, I, Roma 1956, ad vocem.