RENDIMENTO
. Il concetto di rendimento. - La nozione di rendimento è intuitiva: essa serve a misurare l'efficienza di un certo processo o di una certa macchina nel raggiungere un determinato scopo. La nozione di rendimento implica quindi il paragone tra il risultato utile che si ottiene e quello che si è speso per ottenerlo.
Il rendimento deve essere definito in modo preciso caso per caso; la definizione si sceglie sempre in modo che il rendimento sia un rapporto tra quantità della stessa specie: il rendimento quindi è sempre un numero puro, inferiore all'unità o al massimo uguale all'unità. In una stufa elettrica, per es., il riscaldamento è fornito dal calore sviluppato per effetto Joule in una resistenza elettrica nella quale passa la corrente: siccome tutta l'energia elettrica consumata viene trasformata in calore, il rendimento di una stufa elettrica, definito come il rapporto tra la quantità di calore sviluppata e l'energia elettrica consumata, è uguale a 1.
Il rendimento industriale di una dinamo si definisce evidentemente come il rapporto tra la potenza elettrica disponibile nel circuito di utilizzazione e la potenza meccanica fornita dal motore (macchina a vapore, motore idraulico, ecc.) che aziona la dinamo; nelle dinamo di grande potenza il rendimento industriale è molto elevato, e può andare fino a 95% e più.
Nella tecnica dell'illuminazione si usa spesso definire un "rendimento luminoso spettrale" per individuare l'efficienza di una sorgente, di luce; le usuali sorgenti di luce consistono in corpi i quali emettono quantità notevoli di energia raggiante, di cui soltanto una parte ha interesse ai fini dell'illuminazione, avendo una lunghezza d'onda compresa entro lo spettro visibile. Orbene, viene definito "rendimento luminoso spettrale" il rapporto tra l'energia irradiata entro i limiti dello spettro visibile (in cifra tonda da λ = 7000 Å a λ = 4000 Å) e l'energia totale irradiata.
Anche in chimica si fa uso corrente del concetto di rendimento di una reazione chimica o di un certo processo chimico industriale.
Per citare un esempio in un campo diverso dai precedenti, definiamo il rendimento di una trasformazione nucleare; in fisica nucleare, per disintegrare i nuclei atomici, si bombardano i nuclei stessi a mezzo di corpuscoli come le particelle α, i protoni, i neutroni. In generale, per ottenere una sola disintegrazione, occorre un gran numero di corpuscoli proiettili; il rendimento serve a misurare l'efficienza dei processi e si definisce quindi come il rapporto tra il numero di nuclei disintegrati e il numero di proiettili impiegati; le disintegrazioni fatte con bombardamento di particelle α, per es., hanno un rendimento dell'ordine di 1/1.000.000; cioè occorre in media 1.000.000 di particelle α per ottenere una sola disintegrazione nucleare.
Il rendimemo di una macchina termica. - In termodinamica ha fondamentale importanza il concetto di rendimento di una macchina termica, di una macchina cioè che fornisca lavoro meccanico a spese di calore; per comprendere la natura della differenza esistente tra il rendimento di una macchina termica e quello di una macchina che fornisca lavoro a spese di energia diversa dalla termica, occorre riattaccarsi al 2° principio della termodinamica.
Consideriamo una macchina che trasformi energia di forma qualsiasi, purché non termica, in lavoro, e supponiamo dapprima che i fenomeni siano tutti reversibili (v. reversibile, processo): se chiamiamo rendimento di una macchina il rapporto tra la quantità di energia ottenuta nella nuova forma e la corrispondente quantità fornita nella forma antica, si può asserire che il rendimento delle macchine non termiche è sempre uguale all'unità. Per es., se tutti i fenomeni fossero reversibili, un alternatore fornirebbe tanta energia elettrica quanta ne corrisponde all'energia potenziale dell'acqua del salto che si sfrutta. In realtà i rendimenti sono sempre minori di i perché i fenomeni reali non sono mai perfettamente reversibili.
Quando si vuole invece convertire calore in lavoro, si trova che, qualunque sia la macchina termica adoperata, la trasformazione non riesce mai interamente, in quanto tutte, le macchine termiche trasformano in lavoro meccanico soltanto una parte del calore che viene loro comunicato; il resto del calore viene restituito dalla macchina, ma a temperatura più bassa di quella alla quale esso è stato fornito alla macchina stessa, cioè a una temperatura tale da non poter essere più utilizzato.
Si può concludere che il rendimento di una macchina termica, anche nel caso che tutti i processi siano reversibili, è sempre minore dell'unità, al contrario di quanto avverrebbe nelle altre macchine; la differenza tra il rendimento di una macchina termica e quello di un'altra macchina è tanto minore, quanto più alta è la temperatura alla quale il calore viene fornito alla macchina termica. La situazione naturalmente peggiora, in presenza di processi irreversibili. Si può riassumere tutto ciò dicendo che il calore è una forma di energia di "qualità" inferiore alla qualità delle altre forme di energia e che il calore stesso è di qualità tanto più bassa quanto più bassa è la temperatura alla quale esso è disponibile.
Nelle macchine termiche che oggi si adoperano si raggiunge lo scopo costringendo un fluido a descrivere un conveniente ciclo di trasformazioni, lungo il quale esso riceve una quantità di calore Q1 e ne 'restituisce una Q2, trasformando la differenza Q1 − Q2 in lavoro meccanico; questo avviene a mezzo di 3 parti essenziali della macchina: una sorgente di calore a temperatura elevata, un insieme di meccanismi entro cui il fluido compie convenienti trasformazioni, un serbatoio di calore a temperatura bassa. Il rendimento sarà:
perché, come abbiamo detto, Q2 viene restituito a bassa temperatura ed è quindi inutilizzabile.
Ci si può porre la seguente domanda: assegnate le due temperature estreme T1 e T2 tra le quali funziona la macchina, quale è fra gl'infiniti cicli di trasformazione compresi tra T1 e T2 quello al quale corrisponde un rendimento massimo? La termodinamica risponde che il rendimento massimo spetta alla macchina che funzioni con ciclo di Carnot, con un ciclo cioè formato da due trasformazioni isotermiche reversibili, corrispondenti a T1 e T2 e da due trasformazioni adiabatiche; inoltre tutti i cicli di Carnot che funzionano tra gli stessi limiti di temperatura hanno lo stesso rendimento. Quest'ultima affermazione permette di definire una scala della temperatura assoluta, cioè indipendente dalle proprietà di questo o quel corpo e dalla scelta del termometro; precisamente, per definizione, si ha che, in un ciclo di Carnot, se Q1 è la quantità di calore, fornita dalla sorgente calda e Q2 la quantità di calore ceduta alla sorgente fredda, le temperature assolute T1 e T2 delle due sorgenti obbediscono alla relazione:
Il rendimento di una macchina funzionante secondo un ciclo di Carnot si potrà allora scrivere:
Ricordando che 0° corrispondono a 273° K(K, iniziale di Lord Kelvin, designa i gradi assoluti), la (2) permette di avere un'idea dell'ordine di grandezza dei rendimenti ottenibili con le macchine termiche usuali. La temperatura T2 non può essere inferiore alla temperatura ambiente: sia per es., T2 = 27° = 300° K; il rendimento teorico η è tanto più vicino a 1 quanto più grande è T1; per es., se T1 = 100° = 373° K segue da (2): η = 0,19; ossia su 100 calorie fornite dalla sorgente calda al massimo 19 sono trasformate in lavoro. In realtà il rendimento effettivo sarà molto minore, perché un vero ciclo di Carnot non è realizzabile. Nella corsa alle alte temperature si è giunti nelle macchine termiche fino a temperature superiori ai 1000°, ma con cicli molto diversi da quelli di Carnot, e quindi di minore rendimento relativo. Si osservi che secondo la (2) un rendimento uguale a 1 sarebbe possibile soltanto o con una temperatura Ti infinita della sorgente calda, o con una temperatura T2 = 0° K del condensatore, condizioni ambedue impossibili a realizzarsi.