RICCI, Renzo
RICCI, Renzo. – Nacque a Firenze il 27 settembre 1899, figlio di Giulio, insegnante di recitazione all’Accademia dei Fidenti e al collegio Alla Querce dei barnabiti, e di Adolfa Ciapini, figlia del baritono Massimo.
Attore e regista teatrale, crebbe in un ambiente che lo indirizzò sin da piccolo verso il mondo delle scene. Tra grandi interpretazioni e qualche fragilità iniziale si rivelò un attore nuovo nel panorama teatrale del suo tempo grazie a una recitazione sobria e raffinata.
Iniziò come professionista l’8 marzo 1916, quando firmò il suo primo contratto come debuttante, ultimo generico al Politeama Giacosa di Napoli, nella compagnia Carini-Piperno. In quei primi due anni conobbe alcuni tra i maggiori attori del tempo: Lydia Borelli, Tullio Carminati, Luigi Almirante, Egisto Olivieri e Memo Benassi. Fu un periodo formativo e di intense letture, anche se sulle scene era costretto in ruoli di comparsa. L’evento imprevisto della guerra cambiò le prospettive: con i più grandi attori impegnati al fronte molte compagnie ripiegarono sui giovani, forzati così ad accelerare la formazione sotto il carico di parti più rilevanti. Per Ricci, che cominciava ad affinare il mestiere senza ancora comprenderne la strada, furono anni difficili, spesi tra studio incostante e duro lavoro. Era appena diciottenne.
Dal 1918 al 1920 fu scritturato nella compagnia di Antonio Gandusio. Il 2 dicembre 1919 al teatro Olimpia di Milano conobbe il suo primo successo con la pièce Acidalia di Dario Niccodemi, nella parte del conte Gioia.
Renato Simoni e Marco Praga parlarono di una mimica sobria ancora difficile da tratteggiare, lontana dagli attori delle generazioni precedenti e vicina a un gusto moderno. Le loro parole riflettevano quelle di un pubblico sempre più esigente, avido di attori nuovi e consapevole di quel che stava accadendo nel resto d’Europa.
In Acidalia Ricci inaugurò una stretta affinità con la recitazione di Ruggero Ruggeri, legame che – nei primi anni – divenne anche un difficile marchio cui sottrarsi.
Nella stagione 1920-21 cominciò il suo apprendistato più programmatico come primo attore giovane nella compagnia di Virgilio Talli. Questi desiderava un teatro-scuola, ma era appena l’inizio del cedimento di una struttura teatrale che si rispecchiava ancora in coordinate prenovecentesche.
L’anno successivo (1922-23) Ermete Zacconi lo volle come primattore giovane assoluto nella sua compagnia. Ricci conobbe l’intera famiglia ed entrò nel ménage familiare sposando, nella primavera del 1923, la figliastra di Zacconi, Margherita Bagni, figlia di Ines Cristina e del suo primo marito Ambrogio Bagni. Le qualità di Ricci sollecitarono Zacconi ad affiancare alla propria compagnia una ditta del tutto indipendente, la Ricci-Bagni, dove Renzo divenne finalmente primo attore unico.
Piero Gobetti, critico teatrale e detrattore di Zacconi, vide nel giovane Ricci tutti i tratti negativi del suo maestro, pur costatando che proprio nell’incertezza si potevano scorgere il barlume di una «speranza di un suo rinnovamento» (Teatri e concerti. Renzo Ricci, in L’Ordine Nuovo, 14 giugno 1922).
Il 1923 fu l’anno della prima tournée in Sudamerica. Ricci offrì un repertorio in gran parte shakespeariano e si differenziò dai mattatori della sua generazione per un carattere recitativo più sobrio, caratterizzato dalla musicalità della voce e dalla dinamica dei toni.
Al ritorno in Italia, il 19 luglio 1924 Renzo e Margherita Bagni ebbero la loro unica figlia, Eleonora (Nora).
Dopo un passaggio stagionale nella compagnia di Maria Melato (1924-25), continuò fino al 1928 come primattore nella sua ditta Ricci-Bagni diretto da Zacconi. Il repertorio della compagnia rispecchiava fin troppo quello del maestro: La morte civile di Paolo Giacometti, Spettri di Henrik Ibsen.
Seguirono anni di fitta attività e grandi conferme. Ben presto Zacconi lasciò il posto di direttore allo stesso Ricci, che si trovò a sostenere il ruolo doppio di capocomico e primo attore.
Si spese in lunghi periodi di ricerca per arrivare a quel dolore misurato e controllato, accompagnato da risonanze dolci della voce. La successiva permanenza come primattore giovane nella compagnia delle sorelle Gramatica (1928-29) e la vicinanza con attori più innovativi, lo aiutarono a superare in parte la lezione di Zacconi, spingendolo verso la contemporaneità. Eppure non ci fu mai totale rifiuto della tradizione se Roberto De Monticelli arrivò a definirlo «eroe del teatro perduto» (Renzo Ricci, eroe del teatro perduto, in Il corriere della sera, 22 ottobre 1978).
Il 2 maggio del 1929 con la compagnia Za Bum drammatica, diretta da Mario Mattoli e Luciano Ramo, partecipò a Il processo di Mary Dugan di Bayard Veiller. Ottenne notorietà e successo, ma il ritmo serrato del lavoro lo allontanò in parte dalla propria ricerca estetica.
Ricci partecipò al dibattito culturale di quegli anni interessandosi al tema della nascita della regia, della crisi del teatro e delle sue ansie di rinnovamento. Quindi, quando il regista Guido Salvini gli propose la parte del dottor Hinkfuss in Questa sera si recita a soggetto non si lasciò sfuggire un’ulteriore occasione di crescita. Fu un’esperienza fra le più significative: l’opera di Pirandello era una novità, e quella del 14 aprile 1930 al Teatro Regio di Torino la sua prima messinscena.
Poco dopo, il 12 maggio 1930, ancora con Salvini, recitò in Süss, l’ebreo di Ashley Dukes al teatro Manzoni di Milano.
La recitazione di Ricci divenne punto di riferimento per chi ambiva a un rinnovamento artistico del teatro italiano, ma anche per quelli che desideravano continuità con la tradizione. Ebbe un’evoluzione artistica, mai troppo audace, mai troppo cauta, a metà strada, ma non incerta, in disaccordo con i tradizionalisti e mai eccessivamente in rottura con il passato.
Un altro importante trionfo, che definì la sua «prima vera interpretazione» (Ricci, 1939, p. 7), fu con Stefano di Jacques Deval (dicembre 1930) per la compagnia Gramatica-Carini. Nuove sfumature e velature espressive sancirono la completa maturità facendo di Ricci non un dominatore della scena, ma un attore nuovo. Lavorava su dettagli apparentemente minori, elaborava tutte le sfumature di una voce già di per sé dinamica e musicale, fino ad arrivare a una dizione che era quasi un soffio, impercettibile a tratti, in cui l’attrito – seppur minimo – scavava a fondo nella percezione di chi stava a guardare.
Renato Simoni, che in Ricci aveva riposto molte speranze, non tardò a sancirne l’acquisita maturità. Affascinato dall’eco dei grandi registi che attraversavano l’Europa, tra il 1932 e il 1933 affrontò di nuovo la prova del capocomicato con la rinata Bagni-Ricci. Di questi anni furono La dolce intimità di Noël Coward, Ettore di Henri Decoin, Il problema di Doretta di Enrico Segal, Non si recita per divertirsi e Mio padre aveva ragione di Sacha Guitry.
Dal 1933 al 1934 fu primo attore e direttore della Nuova compagnia della commedia, insieme a Laura Adani, Gino Cervi, Ada Montereggi, Egisto Olivieri e Amelia Chellini; portò in scena tra gli altri Il cuore in due di Giulio Cesare Viola e Sorellina di lusso di André Birabeau.
Il 17 luglio 1934 incrociò la grande regia europea: al Campo San Trovaso di Venezia recitò come Bassanio nel Mercante di Venezia di Max Reinhardt.
Per una breve stagione fu in compagnia con Luigi Carini, insieme a Rina Morelli, Paolo Stoppa e Lola Braccini; a proposito della messinscena de Il ragno di Sam Benelli, Simoni (1935) scrisse: «questo attore, nel quale ho fede da tanto tempo, e che pure più di una volta mi ha deluso, ieri sera ha spiegato tutta la sua bella potenza […] che nettezza, che chiarezza, nell’impeto di passaggi, di mutazioni, di passione!» (p. 6).
Nel 1937 fu di nuovo in tournée in Sudamerica insieme ad Adani e diretto da Anton Giulio Bragaglia. L’originalità espressiva di quegli anni si appoggiò a classici e moderni: Il corsaro di Marcel Achard, Vita privata di un uomo celebre di Harald Bratt, La vita è sogno di Pedro Calderón de La Barca, Lorenzaccio di Alfred de Musset.
Le sottigliezze recitative cariche di sommessa allusività e il raffinato umorismo ne fecero un riferimento per gli attori del tempo.
L’estate del 1938 fu quella dei grandi spettacoli all’aperto diretti da Salvini: La figlia di Iorio e Ifigenia in Tauride al teatro Licinium di Erba. E poi i grandi spettacoli d’eccezione: Il ventaglio per la regia di Renato Simoni, e ancora con Simoni l’Adelchi messo in scena il 4 giugno 1940 nel giardino di Boboli a Firenze.
Nel 1940 intrecciò una breve relazione amorosa con Laura Adani, ma nella stessa compagnia conobbe presto Eva Magni che, dall’ottobre del 1940, divenne sua compagna per l’intera vita.
Lo sguardo acuto e analitico di Ricci trovò punte di estremo equilibrio nelle grandi collaborazioni dei decenni successivi: insieme a Giorgio Strehler per il Caligola di Albert Camus (febbraio 1946); con Orazio Costa nell’Edipo re (Piccolo Teatro di Roma, dicembre 1949); con Luchino Visconti nel Troilo e Cressida (Firenze, 21 giugno 1949), e ancora con Strehler per il Riccardo III con la traduzione di Salvatore Quasimodo (Piccolo Teatro di Milano, 15 febbraio 1950); per la regia di Salvini fu Tiresia ne Le baccanti (teatro greco di Siracusa, 9 maggio 1950), e Dario ne I persiani di Eschilo; debuttò poi con Luigi Squarzina il 22 dicembre 1957 al teatro Duse di Genova in Misura per misura di Shakespeare.
Sono titoli che testimoniano collaborazioni e indagini incessanti tra le necessarie complessità del proprio sviluppo estetico.
Lontano quasi sempre dal cinema, nel 1960 Michelangelo Antonioni lo chiamò nel suo film L’avventura, e poi Roberto Rossellini gli offrì la parte di Garibaldi in Viva l’Italia del 1961.
Nel giugno del 1974, settantacinquenne, fu diretto da Strehler nel Giardino dei ciliegi. Angelo Maria Ripellino scrisse: «Chi potrà dimenticare il decrepito Firs di Renzo Ricci? Fedine bianche, luttuosa redingote da becchino, feluca napoleonica (quasi a ricordo di un personaggio che opprime le lettere russe). Passa ricurvo e svanito con la caffettiera o un vassoio nelle mani inguantate di bianco. Alla fine, nella muffa del buio che succede alla smodata bianchezza, si stende, come il guardiano di una cripta deserta, su un canapè ricoperto di tela e lugubre rantola le sue ultime battute» (Cechov coperto di gesso, in L’Espresso, 9 giugno 1974).
Riprese il personaggio di Firs anche nell’ultima apparizione televisiva del 1978: Il giardino dei ciliegi con la regia di Strehler e Carlo Battistoni.
Morì poco dopo a Milano, il 20 ottobre 1978.
La figlia Eleonora (Nora), nata a Viareggio il 19 luglio 1924, fu attrice di teatro, cinema e televisione. Moglie di Vittorio Gassman, con cui ebbe, nel 1945, la figlia Paola e dal quale si separò nel 1952, esordì in teatro con la compagnia di Laura Adani. Attrice eclettica e multiforme, lavorò con Franca Valeri in Lina e il cavaliere (1958) e con la compagnia di De Lullo in Victor o i bambini al potere (1968). Per il cinema Luchino Visconti la volle con sé in Bellissima (1951), Le Streghe (1967), La caduta degli dei (1969), Morte a Venezia (1971) e Ludwig (1972). Sempre per il cinema collaborò, tra gli altri, anche con Giuseppe Patroni Griffi in Metti una sera a cena (1969). Morì a Roma il 16 aprile 1976.
Fonti e Bibl.: M. Praga, Acidalia, in L’Illustrazione italiana, 13 maggio 1919; P. Gobetti, R. R., in L’Ordine nuovo, 10 giugno 1922; P. Lissa, Elogi: alterno stile di R. R., in Il dramma, 1° marzo 1934; R. Simoni, Il ragno, in Il corriere della sera, 20 marzo 1935; E. Bertuetti, Ritratti quasi veri: R. R., in Il dramma, 15 dicembre 1935; R. Simoni, Teatri di ieri. Ritratti e ricordi, Milano 1938, passim; R. Ricci, Quarant’anni: esame di maturità, in Scenario, febbraio 1939; L. Rapaci, Ricci santo e re al Nuovo, in L’Illustrazione italiana, dicembre 1940; M. Ramperti, Attori d’Italia. R. R., in Scenario, gennaio 1941; E.F. Palmieri, Uno e due. R. R., in Scenario, gennaio 1942; R. Ricci, Intervista a quattr’occhi con R. R., in Sipario, novembre 1955; R. R., in Enciclopedia dello spettacolo, VIII, Roma 1961; L. Ridenti, Teatro italiano fra le due guerre 1915-1940, Genova 1968, passim; D. Fabbri, Ricordo di R. R., in Il Dramma, aprile 1979; G. Rocca, R. R., in La vampa della ribalta, Torino 2002, pp. 224 s.; R. Ricci, Diario del cammino di un attore, in P. Gassman, Una grande famiglia dietro le spalle, Venezia 2007, pp. 3-31.