Repertorio delle culture dell'Europa preistorica. Eneolitico
di Luca Bachechi
Grande complesso culturale del Calcolitico medio-recente dell’Europa centrale (III millennio a.C.). Questa cultura, che deriva il suo nome dalla città austriaca di Baden, appare ampiamente diffusa su di un vasto territorio che si estende dal Sud della Polonia, alle repubbliche Ceca e Slovacca (dove si parla di gruppo della Ceramica a Solcature Profonde), all’Austria orientale (dove viene definita cultura di Ossarn), a tutta l’Ungheria e alla Serbia (area nella quale si parla di cultura di B. Kostolac); fanno parte inoltre dello stesso gruppo le culture di Coţofeni (Romania occidentale), quelle di Cernavoda II-III (Ungheria) e molte altre, già inquadrate nell’antica età del Bronzo, presenti in Bulgaria, Albania, Macedonia e sulla costa anatolica. La ceramica di B.-P., scura e lisciata, è caratterizzata da alte anse a nastro e da una decorazione incisa con lunghe solcature verticali od oblique, più raramente con motivi a nastro punteggiato. Tra i materiali ceramici sono presenti anche forme con piede e figurine antropomorfe e zoomorfe, oltre a un gran numero di modellini di carro. Per quanto riguarda lo strumentario, esso è rappresentato da asce-martello a perforazione verticale e asce da combattimento. Il metallo è impiegato principalmente per forgiare oggetti di parure, ma sono presenti anche armi di rame.
Si ritiene che questa cultura possa avere avuto origine nella zona dei Balcani orientali, molto probabilmente nelle forme del locale gruppo di Proto-Cernavoda III, sulle quali si sarebbero impiantate influenze provenienti da est e da sud-est. All’interno della cultura di B.-P. si distinguono tre fasi: un periodo antico, denominato anche gruppo di Boleráz, un periodo classico e un periodo recente, durante il quale si verifica una forte regionalizzazione dei gruppi culturali. Gli insediamenti sono poco estesi e collocati, oltre che su terrazzi fluviali, su alture spesso fortificate. Le case risultano generalmente piccole e a pianta quadrangolare (4 x 4 m), ma si conoscono anche tipi di maggiori dimensioni (13 x 6 m) a pianta rettangolare e absidate (Vučedol). Nelle zone montuose risultano diffusamente abitate anche le grotte.
Le pratiche funerarie si differenziano nelle varie fasi e a seconda delle regioni geografiche: incinerazioni nel gruppo di Boleráz, inumazioni e incinerazioni nel B.-P. classico, tombe collettive a pozzo in Slovacchia (Nitriansky-Hrádok), tumuli funerari in Serbia (Mokrin). Legate alla sfera cultuale sono le figurine femminili fittili, alcune delle quali presentano un paio di corna al posto della testa, le figurine zoomorfe e i tamburi in argilla.
Lo studio degli utensili e dei resti faunistici suggerisce l’adozione di un’economia fondata principalmente sull’allevamento di pecore, maiali, bovini e sulla coltivazione di cereali. L’attività agricola era facilitata dall’uso dell’aratro e da mezzi di trasporto la cui morfologia ci è nota attraverso riproduzioni miniaturistiche in argilla di carri a quattro ruote.
J. Banner, Die Péceler Kultur, Budapest 1956.
S. Dimitrijević, Badenska kultura [La cultura di Baden], in PraistJug, 3 (1979), pp. 183-234.
N. Kalicz, The New Results of the Investigation on the Hungarian Copper Age, in RassAPiomb, 7 (1988), pp. 75-103.
di Leone Fasani
Cultura diffusa tra il III millennio a.C. e gli inizi del II dall’Africa settentrionale alle Isole Britanniche, dall’Atlantico alla Boemia e Moravia, all’Ungheria fino a Budapest, nella penisola italiana fino all’Italia centrale e nelle isole Sicilia e Sardegna. Prende il nome dal caratteristico bicchiere con profilo a S con forma di campana rovesciata presente, anche se con varianti regionali, in tutta la vasta area geografica ricordata, associato a particolari elementi come certi tipi di pugnali, brassards (bracciali d’arciere), bottoni perforati a V, ecc. Circa l’origine del B.C. il problema resta ancora del tutto, o quasi, aperto. Le varie aree di diffusione possono essere suddivise in tre ampi gruppi: meridionale, occidentale e orientale, ciascuno dei quali suddiviso in sottogruppi. Nella definizione degli aspetti di detti gruppi si fa riferimento a tre principali stili decorativi che sono: la decorazione di tipo AOC (All Over Cord Impressed ), caratterizzata da impressioni a cordicella che ricoprono tutto il vaso; la decorazione di tipo AOO (All Over Ornamented ), che copre tutto il vaso ed è ottenuta per impressione di strumento a pettine e/o a cordicella; la decorazione “marittima”, “internazionale” o “paneuropea” caratterizzata da impressioni ottenute con cordicella o pettine disposte in fasce, alternate ad altre inornate.
Il gruppo orientale è esteso su quel vasto territorio dell’Europa centro-orientale che comprende la Boemia, la Moravia, l’Austria Inferiore, la regione intorno a Budapest, il Sud della Polonia e, più a occidente, il bacino della Saale, la Baviera e la Svizzera. Una delle caratteristiche del B.C. del gruppo orientale è l’assenza di decorazione negli stili marittimo e AOO. Le forme del B.C. del gruppo orientale sono del tutto simili a quelle del gruppo occidentale e di quello meridionale anche se sono presenti tipi con ansa del tutto sconosciuti ai gruppi stessi. Accanto a essi troviamo ciotole emisferiche e troncoconiche, spesso con bordo decorato, vasi polipodi, ovoidali, ecc. Ciò che più differenzia il gruppo orientale del B.C. dagli altri è la presenza, accanto ai vasi decorati, di forme inornate, la cosiddetta “ceramica accompagnante” (Begleitkeramik). Massima diffusione hanno i brassards e i bottoni conici perforati a V. Tipici ed esclusivi del gruppo in questione sono i pendagli arciformi in osso o ricavati da difese di cinghiale e riprodotti anche in rame. In tutto il gruppo orientale sono noti quasi esclusivamente ritrovamenti fune-rari, prevalentemente tombe con inumato rannicchiato. È noto anche il rito crematorio e si conoscono inoltre tombe dove sono testimoniati i due rituali.
Il gruppo occidentale è diffuso dalle Isole Britanniche alle coste atlantiche della Francia, dai Paesi Bassi alla Germania nord-occidentale con vari sottogruppi regionali e con zone di interferenza con quello orientale. Il gruppo occidentale penetra anche, se pur con qualche variante, nelle regioni centrali e nord-occidentali dell’Italia settentrionale.
La maggiore fonte delle nostre conoscenze è data dalle tombe. L’evoluzione del B.C. inizia con forme decorate nello stile AOC di probabile derivazione dalla ceramica cordata, seguite da quelle nello stile AOO per poi passare allo stile marittimo. La fase più recente è rappresentata, nei Paesi Bassi e nelle regioni limitrofe, da un gruppo locale detto “di Veluwe”. Il B.C. nello stile AOO e quello di tipo paneuropeo sono diffusi anche nella regione del medio Reno a ovest e fino alla Sassonia - Turingia a est. Anche qui, come nei Paesi Bassi, la maggior parte dei resti proviene da inumazioni singole con scheletri rannicchiati. In questo territorio la fase più recente è rappresentata da un nuovo aspetto culturale definito come gruppo di Adlerberg - Straubing che già appartiene all’età del Bronzo. Si conoscono tombe singole con inumati in terra oppure in cista litica (ad es., Grossenbomholt nello Schleswig-Holstein). Sono noti anche alcuni insediamenti dei quali il più famoso è quello di Myrhoj nella penisola dello Jutland, con case rettangolari che arrivavano alle dimensioni di 20 x 6 m. Più a nord, nelle Isole Britanniche e in Irlanda, dopo una fase iniziale in cui compaiono alcune forme di B.C. nello stile AOC, ne segue una nello stile AOO in cui sono presenti anche le prime tracce di metallurgia del rame. A differenza delle altre regioni dell’Europa settentrionale, nelle Isole Britanniche e in Irlanda si conoscono oltre alle tombe anche molti insediamenti.
Con la fase media della cultura del B.C. si ha l’affermazione della metallurgia con la lavorazione del rame, del bronzo e dell’oro. Il rito funebre più frequente è l’inumazione rannicchiata. La diffusione del B.C. in Francia è concentrata essenzialmente in Normandia, Bretagna, nelle coste atlantiche nord-occidentali e nel Sud, in Provenza e Linguadoca; queste ultime regioni, però, rientrano nel gruppo meridionale di diffusione del B.C. La cultura del B.C. di queste due aree è nota quasi esclusivamente da ritrovamenti di tombe collettive di tipo megalitico. I tipi rappresentati sono quelli decorati nello stile AOC, AOO e paneuropeo. Nelle associazioni dei corredi tombali si trovano placchette in foglia d’oro e altri oggetti in oro tra cui pendagli e un diadema, lesine e pugnali in rame, punte di freccia in selce fra cui anche quelle a tagliente trasversale, rari brassards, oggetti in osso e qualche bottone perforato a V.
Al gruppo occidentale, anche se vi sono elementi di chiara influenza dell’Europa centro-orientale come i boccali ansati, sono da collegare pure le presenze campaniformi in Italia settentrionale nella regione subalpina centrale e padana e lungo la fascia preappenninica dove varie decine di località, in prevalenza siti di abitato, hanno restituito resti di B.C. per lo più associati a contesti culturali locali. Sono note anche alcune sepolture (Santa Cristina di Fiesse, Ca’ di Marco e Roccolo Bresciani). Di tipo AOC sono i resti di B.C. venuti in luce nell’ambito del grande complesso megalitico di Saint-Martin di Corleans in Valle d’Aosta strettamente collegato, al di là delle Alpi, con quello di Sion, nel Vallese. Le fasi campaniformi più recenti si confondono con quelle della cultura locale dell’antica età del Bronzo detta “di Polada”.
Il gruppo meridionale è diffuso nella Penisola Iberica, nella Francia meridionale (Linguadoca e Provenza) da dove si estende anche alle coste liguri e alla Lombardia, alla Sardegna, alla regione centrale tirrenica e più a sud, fino alla Sicilia. Nella Francia meridionale il B.C. fa la sua comparsa con bicchieri negli stili AOC e marittimo ma la diffusione dei primi è limitata alla sola regione Linguadoca, dove sono stati ritrovati in tombe collettive di tipo megalitico.
Negli abitati il B.C. non è sempre distinguibile dai contesti locali e i resti campaniformi stessi appaiono spesso intrusivi nell’ambito delle culture calcolitiche indigene. Nelle fasi più recenti del B.C. della Francia meridionale vanno delineandosi due gruppi, il provenzale e il pirenaico, che, pur mantenendo un substrato comune, vanno via via assumendo connotati distinti, per la presenza di proprie forme o decorazioni ceramiche. Oltre alle sepolture, che sono nella quasi totalità in monumenti megalitici di tipo dolmenico, conosciamo anche vari insediamenti; tra questi si ricorda quello di Ribos de Bila (Aude). Dalla Provenza il B.C. penetra, verso est, nell’Italia settentrionale lungo la Riviera ligure e in Lombardia dove sono venuti in luce elementi vari da una decina di località. Un’altra direttrice di espansione proveniente dalla Francia meridionale raggiunge la parte nord-occidentale della Sardegna dove, in tombe a camera delle culture calcolitiche locali, sono state trovate varie sepolture con corredi composti da bicchieri campaniformi e oggetti come bottoni a tartaruga, pugnaletti in rame con codolo, asce piatte e brassards. Sempre dalla Francia meridionale, forse attraverso la Sardegna, sembrano provenire gli elementi campaniformi che raggiungono l’Italia centrale tirrenica e la Sicilia. Tra i ritrovamenti dell’Italia centrale tirrenica è da segnalare il complesso di Fosso Conicchio dove, in un ipogeo che ricorda il tipo di tomba comune nella locale cultura calcolitica di Rinaldone, sono stati trovati sei bicchieri campaniformi, quattro brassards e alcune decine di altri vasi attribuibili a una fase iniziale dell’età del Bronzo. In Sicilia sono note varie località della regione nord-occidentale, nei dintorni di Palermo, che hanno restituito materiali ceramici di tipo campaniforme sempre associati a contesti locali di età calcolitica o del Bronzo Antico.
Per quanto riguarda i B.C. nello stile marittimo con decorazione a cordicella, essi sono, soprattutto, concentrati in Catalogna e sono probabilmente legati alla Linguadoca e alla regione pirenaica. Gran parte dei ritrovamenti del Portogallo provengono dalla zona tra gli estuari del Tago e del Sado. In questa regione sono particolarmente noti i grandi insediamenti fortificati di Vila Nova de Sao Pedro e di Zambujal, che affondano le loro radici nelle precedenti culture neolitiche locali. La fase più recente, detta “di Palmela”, vede un più frequente utilizzo delle grotte come luoghi di sepoltura e il progressivo abbandono dei villaggi fortificati. Per quanto riguarda la Spagna, dopo una fase iniziale in cui è diffuso, come nel resto della Penisola Iberica e in gran parte dell’Europa, lo stile marittimo, si ha l’instaurarsi di tre principali facies locali che interessano, a grandi linee, la Spagna centrale e la valle dell’Ebro, la Catalogna e il Levante spagnolo e, più a sud, l’Andalusia. Tali facies possono essere considerate come aspetti di quel sottogruppo definito “di Ciempozuelos” e la loro differenza è rappresentata, essenzialmente, dalla presenza di varianti locali nelle forme e decorazioni.
I bicchieri campaniformi, in base alle condizioni di ritrovamento e ai contesti di appartenenza, possono essere considerati come oggetti di scambio nei traffici di conchiglie e di avorio tra le aree dell’Africa settentrionale e la Spagna. La diffusione del B.C., sulla base delle datazioni radiometriche, inizia nel corso della prima metà del III millennio a.C. La sua evoluzione si conclude alcuni secoli dopo, verso la fine del millennio stesso, con modalità e tempi diversi a seconda delle differenti regioni.
A. del Castillo Yurrita, La cultura del Vaso Campaniforme (su origen y extensión en Europa), Barcelona 1928.
E. Sangmeister, Die Glockenbecherkultur und die Becherkulturen im nordmainischen Hessen, Melsungen 1951.
J. Kamiénska - A. Kulczycka-Leciejewiczowa, The Bell Beaker Culture, in T. Wislanski (ed.), The Neolithic in Poland, Wrocław -Warszawa - Krakow 1970, pp. 366-82.
H. Case, The Beaker Culture in Britain and Ireland, in R. Mercer (ed.), Beakers in Britain and Europe, Oxford 1977, pp. 71-89.
R.J. Harrison, The Bell Beaker Cultures of Spain and Portugal, Cambridge (Mass.) 1977.
J. Guilaine (ed.), L’Age du cuivre européen. Civilisation à vases campaniformes, Paris 1984.
F. Nicolis - E. Mottes (edd.), Simbolo ed enigma. Il bicchiere campaniforme e l’Italia nella preistoria europea del III millennio a.C. (Catalogo della mostra), Trento 1998.
di Leone Fasani
Il Calcolitico recente dell’Europa centrale, dalla Polonia alla Germania occidentale, dalla Finlandia meridionale alla Svizzera, è caratterizzato da una grande uniformità culturale rappresentata dalla diffusione della C. a C. che sostituisce, in vaste aree, le preesistenti culture del Bicchiere Imbutiforme e delle Anfore Globulari, mentre in altre prende il posto di culture locali come Horgen e Lüscherz nella Svizzera, Cham nella Germania meridionale, Bernburg nella Germania centrale, .Rivnáã in Boemia e Moravia.
Pur con differenze regionali, la cultura della C. a C. presenta, nelle sue varie aree di diffusione, un insieme di elementi comuni sia per quanto riguarda la cultura materiale che per i riti funerari. Su questi ultimi si basano le nostre conoscenze, essendo pressoché sconosciuti gli abitati le cui testimonianze sono ovunque limitate, salvo che per la Svezia nord-occidentale, dove sono presenti alcuni vasti abitati litoranei (Zurigo, Yverdon, Auvernier), per l’Olanda e la Polonia nord-orientale.
Il rito funebre è caratterizzato da sepolture individuali in tumuli, con inumati rannicchiati, posti al centro dei tumuli che avevano un diametro compreso fra 8 e 15 m. La sepoltura è per lo più in una semplice fossa in terra; più raramente sono state individuate tracce di bara lignea. In alcune regioni la sepoltura è talora delimitata da una cista litica. Non sono rari i casi di sepolture multiple dove sono stati de-posti altri inumati, in molti casi attribuibili a culture diverse. Più raro è invece il caso di sovrapposizioni di sepolture, come, ad esempio, nelle necropoli di Forst Lucka e Forst Leina in Turingia. In altri casi, come a Vikletice in Boemia, la densità delle tombe sembra poter escludere l’esistenza di tumuli individuali.
Il corredo è rappresentato generalmente da un’anfora, da un bicchiere e, più raramente, da coppe e scodelle. Associata a tali elementi ceramici vi è l’ascia da combattimento. Gli oggetti in rame sono in massima parte ornamentali: spirali, perle, armille; sono molto rari i pugnali, le lesine e le asce e soprattutto le asce da combattimento. Tra gli oggetti di corredo vi sono strumenti in selce, in osso e, più raramente, manufatti d’ambra, conchiglie, denti forati. La ceramica ha una decorazione impressa a cordicella con motivi a linee o bande orizzontali sul collo dei bicchieri o sul collo delle anfore. Queste ultime sono spesso decorate, sulla parte superiore del corpo, da motivi impressi o incisi disposti a formare disegni a bande orizzontali, a metope, a chevron, a denti di lupo.
A questa unità di fondo dei caratteri che contraddistinguono la cultura della C. a C. durante la sua prima fase di diffusione e stabilizzazione (orizzonte A), succede una più o meno marcata differenziazione a livello regionale. Tali differenziazioni regionali, che spesso vengono descritte sotto il nome di culture diverse, non inficiano l’unitarietà della C. a C. Nell’ambito delle varie aree di diffusione, vengono distinti oltre una decina di gruppi locali che possono essere raggruppati in cinque principali: un gruppo dell’Europa centrale con la Germania centrale, la Piccola Polonia, la Boemia e la Moravia; un gruppo nord-occidentale, con la Germania nord-occidentale, l’Olanda e la Danimarca meridionale (Einzelgrabkultur); un gruppo scandinavo con la Finlandia meridionale (Bootaxkultur); un gruppo baltico con la Lituania, l’Estonia e la Lettonia e Grande Polonia (Haffküstenkultur); un gruppo sud-occidentale, che comprende la Svizzera, la Baviera sud-occidentale e il Baden-Württemberg (schweizerische-südwestdeutsche Schnurkeramik).
La cronologia più accettata pone la cultura della C. a C. tra il 2900 e il 2300-2200 a.C., con le date più antiche nelle regioni nord-orientali della sua diffusione. La prima fase della sua affermazione, che vede una grande omogeneità in tutta l’Europa, ha una durata di due o tre secoli; a essa succede il fenomeno di differenziazione regionale che si colloca tra il 2600 e il 2500 a.C. A partire dal 2400 a.C. inizia un processo di decadimento con forti influenze sui complessi della cultura della C. a C. da parte di gruppi calcolitici locali e di quelli della cultura del Bicchiere Campaniforme e per l’affermazione delle prime manifestazioni culturali dell’antica età del Bronzo.
M. Buchvaldek, Die Schnurkeramik in Böhmen, Praha 1967.
H. Behrens (ed.), Schnurkeramik - Symposium (Halle, 1979), in JSchrVgHalle, 64 (1981), pp. 7-247.
M. Buchvaldek - Ch. Stram (edd.), Die kontinentaleuropäischen Gruppen der Kultur mit Schnurkeramik. Schnurkeramik -Symposium 1990, Praha 1992.
di Marin Dinu
Cultura eneolitica dalla caratteristica ceramica dipinta a superficie brillante, così chiamata dalla località eponima di Cucuteni (dip. di Jasi, nel Nord della Moldavia), dove è stata segnalata per la prima volta nel 1884. Scavi sistematici, condotti nel 1909 e nel 1910 sulla collina Cetatuia e a Dimbul Morii permisero di individuare le tre fasi classiche di questa cultura con ceramica dipinta, C. A, AB e B, corrispondenti alle fasi Tripol´e B1, B2 e C della periodizzazione di T.S. Passek relativa all’aspetto tripoliano della cultura di C. nell’Ucraina dell’Ovest. L’inizio e la fine di questa cultura sono stati scoperti e definiti tramite ulteriori ricerche condotte a Izvoare e in parecchi altri insediamenti presenti sul territorio della Moldavia. Essi sono inquadrati in quella che si chiama la cultura Pre-C., caratterizzata da tre fasi di evoluzione (I-III). L’ultima fase, Pre-C. III, è documentata anche sul territorio dell’Ucraina dell’ovest ed è attribuita alla fase Tripol´e A. Sono stati scoperti anche gli stanziamenti del periodo finale della cultura di C., chiamata Horodiştea-Erbiceni-Gorodsk.
Recenti ricerche hanno provato che le fasi antiche, C. A, AB e B rappresentano di fatto dei periodi a loro volta suddivisi in diverse fasi. Alla luce delle nuove ricerche C. rappresenta una cultura bimillenaria e unitaria che si è evoluta, tra il 4200 e il 2000 a.C., in cinque grandi periodi di sviluppo: il Pre-C. I-III (4200-3750/3700 a.C.), che è il periodo di formazione con una ceramica monocroma incisa, excisa e anche dipinta, specialmente nella terza fase quando si constata l’influenza dell’aspetto Stoicani-Aldeni appartenente alla cultura Gumelniţa; il periodo C. A1-A4 (3750-3400 a.C.), che è il periodo classico caratterizzato dalla ceramica policroma, con motivi originali formati da strisce a spirale, di alto livello tecnico e decorativo, organizzati secondo le regole del rituale e della simmetria, in funzione della forma del recipiente, decorato anche nella parte interna; il periodo C. AB1-AB2 (3400-3000 a.C.), che è un periodo relativamente breve, con grande varietà di stili pittorici organizzati in registri; il periodo C. B1-B2 (3200-2600 a.C.), con ceramica dipinta; il periodo Horodiştea-Erbiceni-Gorodsk (2600-2000 a.C.) che risulta suddiviso in più fasi. Questo periodo rappresenta il periodo finale della cultura C.-Tripolje ed è di transizione all’età del Bronzo.
Nata nei Carpazi dell’est, la cultura C. si diffonde in territorio rumeno, nella metà orientale della Transilvania, nell’Est e nel Nord-Est della Valacchia, sui territori della Moldavia e della Bucovina, cioè lungo i corsi superiori dei fiumi Siret, Prut e Dnestr e sul territorio dell’Ucraina dell’ovest, lungo il corso superiore del Bug meridionale, vicino a Kiev (l’aspetto Tripol´e). Sul territorio dell’attuale Romania sono stati scoperti più di 2000 siti. Ci sono inoltre 500 stanziamenti identificati tra il Prut e il Dnestr (la Bessarabia e la Bucovina del nord), senza parlare di quelli dell’Ucraina dell’ovest, attribuiti all’aspetto Tripol´e.
Il numero delle strutture abitative di un sito poteva variare mediamente da un minimo di 20 a un massimo di 100, ma sono documentati casi con oltre 100 abitazioni (Cucuteni, Hăbăşeşti, Dunesti-Vaslui, Traian, Valea-Lupului, Truşeşti, Tarigrad-Drochia, ecc.).
Si conoscono dei siti con più di 400 case, a Medveia e Petreni in Bessarabia. Nell’area tripoliana, tra il Bug meridionale e il Dnepr, si sono trovati a Majdanetk, Dobrovodi e Talianki alcuni enormi insediamenti con 1500-2000 case disposte su centinaia di ettari. Non si conoscono le necropoli di questi grandi complessi, eccetto quella di Vihvatinti, sul medio Dnestr, datata al periodo finale Horodiştea- Erbiceni-Gorodsk della cultura Cucuteni-Tripol´e. Le tribù C. conoscevano il carro a quattro ruote (senza raggi), l’aratro con il vomere in corno di cervo e la trazione animale (con bovini).
La filatura, la tessitura, la fabbricazione di utensili in selce, in pietra e in corno e la fabbricazione della ceramica con la ruota a mano, erano praticati ovunque. Questo ha permesso ai cucuteniani la precoce utilizzazione della metallurgia dell’oro e in particolare di quella del rame. Con questo metallo sono fabbricati gioielli e piccoli utensili, oltre ad accette e asce con i manici incrociati, fuse in forme bivalvi e complesse.
L. Ellis, The Cucuteni-Tripolye Culture: a Study in Technology and the Origins of Complex Society, Oxford 1984.
D. Monah, Cucuteni, dernière grande civilisation énéolithique du sud-est de l’Europe, in Anatolica, 19 (1993), pp. 151-65.
M. Dinu, Sur le début du systéme patriarchal dans le centre et le sud-est de l’Europe, in Actes du XII Congrés international des sciences préhistoriques et protohistoriques (Bratislava, 1-7 septembre 1991), Nitra 1993, pp. 532-55.
di Enrico Pellegrini
Facies del pieno Eneolitico (secondo e terzo quarto del III millennio ca. in cronologia non calibrata), diffusa prevalentemente in Campania, ma presente sul versante tirrenico fino alla Calabria e nell’Italia sud-occidentale (Basilicata), che prende il nome da una necropoli con tombe a inumazioni multiple.
Il sito eponimo, posto circa 1500 m a nord dell’antica Paestum (Salerno), fu scoperto casualmente nel 1943; l’area fu sistematicamente indagata tra il 1945 e la metà degli anni Sessanta del XX secolo, consentendo il rinvenimento di 34 tombe. La cultura del G. è nota principalmente attraverso i materiali delle necropoli, le attestazioni più tipiche delle quali sono concentrate nella Campania centrale, in un’area compresa tra Napoli, Mirabella Eclano, Buccino e Paestum.
La caratteristica struttura funeraria (“tomba a grotticella artificiale”), che poteva accogliere fino a circa 25 inumazioni, è scavata nella roccia ed è costituita da un pozzo verticale dal quale si accede, talvolta mediante un breve corridoio, a una o due camere sepolcrali.
L’ingresso alla cella sepolcrale era chiuso da una lastra di grandi dimensioni, mentre il pozzo d’accesso veniva colmato di detriti: la presenza di ossa di animali e di frammenti ceramici all’interno del riempimento di quest’ultimo attestano la pratica di cerimonie rituali. Strutture funerarie di tipologia diversa (tombe a cista o a fossa) sono attestate in un’area più interna (Pozzilli, Monteroduni, Colle Sannita, ecc.); è probabile anche l’utilizzazione a scopo sepolcrale di cavità naturali (grotta Nicolucci). Tranne alcuni casi in cui il corpo è rannicchiato su un fianco, le deposizioni avvenivano generalmente con il defunto in posizione supina e con gli arti inferiori flessi verso il torace, probabilmente tenuti da legacci. Sono comunque attestati anche casi di sepolture singole, riservate a personaggi socialmente eminenti: tra queste, la cosiddetta “tomba del capo tribù” di Mirabella Eclano, un uomo sepolto insieme a un cane, si caratterizza per il ricco corredo che presenta, oltre a ceramiche e oggetti litici, armi di metallo (una coppia di pugnali e un’ascia) e un cosiddetto “bastone di comando” d’osso.
Tra gli elementi del corredo funebre, la produzione vascolare della facies del Gaudo si presenta particolarmente varia nelle forme. I vasi, modellati a mano, sono prevalentemente d’impasto fine e di colore bruno; la superficie è spesso lucidata. Le forme più caratteristiche sono i vasi askoidi, le pissidi con coperchio, le cosiddette “saliere” (vasi gemini) e le brocche ad alto collo distinto, per le quali gli studiosi hanno da tempo sottolineato le affinità con materiali egeo-orientali (Troia in particolare). La decorazione, incisa o impressa, è poco attestata ed è normalmente riservata ai vasi di piccole dimensioni; cordoni plastici sono talvolta posti a sottolineare l’articolazione delle forme vascolari. Anche l’industria litica presenta una spiccata varietà e una lavorazione particolarmente accurata. Caratteristici appaiono, in particolare, i pugnali “stiloidi” su lunga lama, prevalentemente a ritocco monofacciale, e quelli di forma ovale, a ritocco bifacciale; più comuni sono le cuspidi di freccia con alette e peduncolo e gli elementi geometrici. La produzione metallica risulta poco attestata, ma di notevole qualità tecnica. Sono infatti impiegate leghe arsenicali e forme di fusioni bivalve, in particolare per la produzione di pugnali con costolatura centrale. Di rame sono anche alcuni punteruoli e oggetti d’ornamento: per questi ultimi è attestata anche una produzione in argento (anellini) e in osso (spilloni a T).
Relativamente agli abitati, sono attestati sia insediamenti all’aperto (Calvi, Licola, Avella, ecc.) che frequentazioni di cavità naturali (grotta delle Noglie, grotta Polla, Praia a Mare, grotta Cardini, ecc.); tuttavia, gli scarsi dati attualmente disponibili non consentono un’adeguata definizione delle attività economiche praticate. L’alta percentuale di caprovini tra la fauna potrebbe comunque indicare una prevalenza dell’allevamento rispetto all’agricoltura.
Una serie di datazioni al radiocarbonio disponibili per i livelli di base del riempimento del fossato dell’abitato di Toppo Daguzzo (Basilicata) e per la necropoli di Buccino (Campania) forniscono gli estremi, rispettivamente superiore (2760±80 a.C.) e inferiore (2060±100 a.C.) della facies, evidenziando un notevole excursus cronologico.
R.R. Holloway (ed.), Buccino. The Eneolithic Necropolis of S. Antonio and Other Prehistoric Discoveries Made in 1968 and 1969 by Brown University with a Study of Human Remains from the Necropolis, Roma 1973.
G. Bailo Modesti - P. Gastaldi - B. D’Agostino, Seconda mostra della Preistoria e della Protostoria del Salernitano, Salerno 1974.
A. Cazzella, Le facies culturali del pieno Eneolitico, in A. Cazzella - M. Moscoloni (edd.), Popoli e Civiltà dell’Italia Antica, XI. Neolitico ed Eneolitico, Bologna 1992, pp. 507-28.
G. Bailo Modesti - A. Salerno, Pontecagnano, II, 5. La necropoli eneolitica, Napoli 1998.
di Enrico Pellegrini
G. costituisce la terza fase dell’età del Rame dell’arcipelago maltese; nella sequenza stratigrafica del sito di Skorba essa segue la fase di Mgarr e precede quella di Saflieni. Si tratta di una fase di lunga durata, per la quale tuttavia non si possiede una soddisfacente evidenza cronologica.
La data al 14C di 3290±150 a.C. ottenuta per questa fase è risultata infatti inquinata; sulla base delle altre date conosciute, è ragionevole comunque supporre che lo sviluppo della fase di G. comprenda buona parte della seconda metà del III millennio: 3600-3300/3000 a.C. circa in cronologia calibrata.
I templi fanno la loro comparsa in questa fase e durante lo svolgimento di essa è possibile seguirne lo sviluppo dal tipo più antico con pianta a due absidi dell’Edificio Est di Kordin III ai più recenti esempi comprendenti cinque ambienti absidati. Anche l’impiego del calcare a globigerine, più facilmente lavorabile, per le parti interne spesso decorate a bassorilievo, è databile a questa fase.
Relativamente alle origini di queste costruzioni, che non hanno corrispondenza alcuna al di fuori dell’arcipelago maltese, una teoria soltanto sembra avere, per ora, qualche argomento di supporto. Secondo J.D. Evans i templi sarebbero la riproduzione in elevato di un tipo di tomba ipogeico documentato nella località di Xemxija a Malta. In questa necropoli, nel 1955, furono esplorate sei tombe scavate nella roccia pertinenti a un orizzonte antico della fase di G. Le tombe, alle quali si accede tramite un pozzo verticale, presentano una pianta reniforme; la tomba 5, più ampia, è ripartita in ambienti minori tramite diaframmi risparmiati e, complessivamente, ricorda la forma più semplice dei templi maltesi.
Il sito eponimo della fase di G., detto anche Torri tal Gganti (Torre dei Giganti), ubicato nell’isola di Gozo, è costituito da un complesso megalitico che racchiude, all’interno di un unico e possente muro di cinta, due templi comprendenti ciascuno cinque ambienti absidati; entrambi gli edifici sono dotati di un proprio accesso.
L’edificio meridionale è il più antico e anche il più imponente, misurando circa 30 m di lunghezza e quasi altrettanti di larghezza massima. La pianta dell’edificio è di tipo evoluto: la più antica disposizione a trifoglio dei vani interni è infatti preceduta da una coppia di ambienti laterali. Tale innovazione è stata ricollegata a un mutamento del rituale: è probabile che i vani anteriori, spesso decorati, fossero pubblici, mentre quelli più interni fossero riservati alla sola classe sacerdotale. Agli ambienti principali si aggiungono nicchie, passaggi e altre strutture, tra le quali i cosiddetti “altari”, che fanno la loro comparsa in questa fase. L’edificio settentrionale è di dimensioni minori, misurando circa 19,5 m di lunghezza.
Altri edifici templari attribuibili a questa fase sono quelli di Skorba Ovest, Bugibba, Mnaidra Est, Santa Verna e l’edificio più orientale di Tarxien. Nella fase di G. furono realizzate alcune delle camere dell’ipogeo di Hal Saflieni. Per questa fase sono attestate anche diverse capanne di abitazione con fondazioni di pietra e muri di mattoni di argilla essiccata al sole dal sito di Skorba e tombe rupestri a Nadur e Busbisija.
La produzione vascolare della fase di G., che si presenta di colore prevalentemente scuro, è caratterizzata da uno schema decorativo inciso leggermente sulla superficie del vaso dopo la cottura; tali motivi servivano soltanto a limitare le zone che successivamente erano ricoperte da una pasta di colore rosso. Tra le forme vascolari predominano quelle con il fondo arrotondato. Caratteristici di questa fase appaiono i bacili con cordone applicato presso l’orlo e i coperchi a basso corpo cilindrico. Le attestazioni diverse da quelle della produzione ceramica sono assai scarse e consistono in alcune lesine e aghi d’osso, ornamenti su conchiglie e industria litica; sono presenti anche svariati esemplari di macine di pietra rinvenute a Skorba in un unico ambiente denominato “la casa delle macine”.
J.D. Evans, Two Phases of Prehistoric Settlement in the Western Mediterranean, in BALond, 4 (1958), p. 8 ss.
Id., Prehistoric Antiquities of the Maltese Islands: a Survey, London 1971.
di Enrico Pellegrini
Cultura dell’Eneolitico antico (5700-5200 B.P. - seconda metà del IV millennio ca.) la quale segue, sostituendoli, gli aspetti del Neolitico recente Boian e Marica nelle stesse aree di diffusione, ovvero in Bulgaria, Romania sud-orientale e Tracia greca. G., conosciuta anche come G.-Kodžadermen-Karanovo VI, dal nome di altrettanti siti, appare relativamente omogenea nelle sue manifestazioni principali, fortemente permeate dall’attività metallurgica e dalle attività a essa connesse, ma sono stati individuati anche aspetti regionali, quali Krivodol-Salcuţa, attestato nella Bulgaria occidentale e nella Romania sud-occidentale e dipendente dagli esiti delle precedenti facies neolitiche (Marica) e il gruppo di Varna sul Mar Nero. Gli insediamenti G. sono prevalentemente situati in valli fluviali e sulle rive di laghi, spesso su installazioni più antiche. Si tratta per lo più di villaggi con 10-15 abitazioni, 20 al massimo, distribuite in base a una progettazione su un’area pressappoco ovale difesa, talvolta, da fossati protetti da palizzate e terrapieni.
Alcuni insediamenti mostrano tracce di canalizzazioni, altri di vicoli, spazi vuoti ed edifici di grandi dimensioni posizionati in aree centrali. Le abitazioni, realizzate con pareti a graticcio ligneo rivestito di argilla, sono costituite da uno a tre ambienti; la pianta è rettangolare o “a megaron” e se ne conoscono diverse riproduzioni fittili con finestre rotonde. Le loro dimensioni raggiungono per lo più i 20 m2, ma sono attestate anche costruzioni di 50 m2 e oltre, fino a un massimo di 170 m2.
L’economia primaria è a carattere misto e comprende allevamento, caccia e pesca, raccolta di molluschi e coltivazione di cereali. Quest’ultima, che occupa un ruolo di primo piano per l’approvvigionamento del cibo, sembra fosse sapientemente regolata nella varietà delle sementi e nei sistemi di rotazione al fine di assicurare scorte per l’immagazzinamento riposte in grosse anfore.
La produzione vascolare si caratterizza nella fase antica (G. A) per le pareti sottili e l’uso di pittura a grafite, che spesso conferisce al vaso un aspetto metallico; nella fase recente (G. B) predominano le decorazioni a impressioni. Altri prodotti dell’artigianato sono costituiti da utensili in pietra (grandi asce e larghe lame), da oggetti d’ornamento su conchiglia e dalla lavorazione del metallo: rame e oro. La metallurgia del rame, che utilizza forme di fusione aperte o bivalve o la semplice martellatura, vede per la prima volta la realizzazione di utensili di grandi dimensioni (asce) accanto agli oggetti d’ornamento (tra questi numerosi sono gli spilloni).
Complessivamente la produzione metallica è conosciuta dai corredi funerari, ma talvolta oggetti d’ornamento e utensili costituiscono anche specifici depositi rinvenuti all’interno degli abitati (Chotnica, Boian B, Ruse). Mentre non ci sono riscontri sull’esistenza di artigiani che lavorino a tempo pieno, la grande organizzazione che presiede alla lavorazione metallurgica e ai commerci a lunga distanza dei prodotti finiti spinge a ipotizzare l’esistenza nella cultura di G. di gruppi sociali in possesso di una forma di autorità e di controllo. Questa evidenza è ben attestata nelle necropoli dell’area meridionale, nelle quali un articolato rituale funerario con deposizioni di oggetti di prestigio d’oro, di rame e di pietra in tombe o cenotafi, risulta appannaggio di un’élite quale quella attestata nell’area cimiteriale di Varna. La presenza nella cultura di G. di figurine femminili di terracotta, osso, marmo e oro intenzionalmente spezzate e di falli di terracotta è stata collegata con rituali della fertilità.
V. Dumitrescu, Fouilles de Gumelniţa, in Dacia, 2 (1925), pp. 29-103.
H. Todorova, The Eneolithic Period in Bulgaria in the Fifth Millennium B.C., Oxford 1978.
D.W. Bailey, Balkan Prehistory, London 2000.
di Renata Grifoni Cremonesi
Denominazione con la quale si comprendono le varie manifestazioni che caratterizzano l’Eneolitico e la prima età del Bronzo nell’area apulo-materana.
I due toponimi fanno riferimento alla necropoli di tombe a grotticella scoperte nel 1966 presso Laterza (Taranto) e alla tomba a grotticella di Cellino San Marco (Brindisi), scoperta nel 1948. La cultura è nota da numerose sepolture, in grotticella artificiale, a fossa o cassone litico, distribuite soprattutto in Puglia e Basilicata e da numerosi rinvenimenti, anche funerari, in grotte naturali, oltre che da scarsi siti di abitato, situati sul versante tirrenico fino al Lazio meridionale.
In Puglia, oltre a quelle di Laterza, si conoscono numerose grotticelle artificiali dal Gargano al Salento; altre sono a Matera e a Lavello. Del tutto particolare è la grande tomba a cassone di pietre di contrada Panevino di Tursi (prov. di Matera) con un solo individuo. Le forme degli ipogei sono abbastanza varie, generalmente del tipo a cella singola, a contorno subcircolare o rettangolare, con pozzetto o breve corridoio di accesso, talvolta con gradini. Si differenzia la tomba di Cellino San Marco, con profondo pozzetto cilindrico e tre celle. Erano adibite a sepolture collettive, spesso con elevato numero di individui (più di 100 nella tomba 3 di Laterza, 76 in due delle celle di Cellino San Marco). A Laterza la tomba n. 5, ben rifinita, non conteneva resti ed era probabilmente usata per funzioni cultuali. Un vero e proprio ossario è la Grotta Cappuccini di Galatone (Lecce), in cui è stato trovato anche uno strato di ossa combuste. Siti di abitato sono le grotte di Latronico, in particolare la L3, il sito campano di Castel Baronia, quello di Piscina di Torre Spaccata (Roma), e quello di Selva dei Muli.
La ceramica comprende sia la classe a superfici scabre, che ceramiche fini di impasto bruno nerastro lucido. Tra le forme si hanno ciotole emisferiche o lenticolari con prese bilobate o trapezoidali sull’orlo, tazze con anse munite di sopraelevazione a bottone, olle ovoidi biansate; nel momento finale appaiono bicchieri carenati e anse pizzute o a gomito, pastiglie, perforazioni delle pareti sotto l’orlo. La decorazione comprende file sovrapposte di tratti verticali, bande orizzontali con motivi incisi a tratteggio, a zig-zag, a triangoli riempiti di punti, a reticolo, a cordoni. L’industria litica presenta lame a ritocco erto, trapezi, semilune, rare cuspidi di freccia e ciottoli con profonde solcature, probabili affilatoi. L’industria ossea è costituita da punteruoli, punte sbiecate alle due estremità, ami compositi. Sono abbondanti gli ornamenti: pendagli di pietra, ambra, osso, conchiglia, denti animali forati, perline di steatite e terracotta. Dalla tomba di Tursi e dalla Grotta Cappuccini provengono due aste di arenaria con testa ad anello, simili a quella di Mirabella Eclano e interpretate come emblemi di comando. Più rari gli oggetti in metallo: lamette quadrangolari con due o tre chiodetti o triangolari asimmetriche con due chiodetti, un pugnale stiloide da Tursi e uno triangolare da Lavello. A Laterza 3 sono pertinenti due lamine con codolo semilunato che trovano confronti in contesti del Gaudo, Chiusazza -Malpasso e del tardo Eneolitico toscano. Da Laterza 3 proviene inoltre un grande anello, mentre una testa di spillone a disco è stata rinvenuta nella Grotta Cappuccini. Si hanno indicazioni di attività agricole, di allevamento di caprovini, del maiale e del cane, attività di caccia. Per la struttura sociale si può ricordare la tomba di Tursi, che sembra indicare l’esistenza di personaggi eminenti nell’ambito delle comunità.
Nella sua ampia diffusione la cultura L.-C. S. M. ha contatti con altre cerchie culturali: i più intensi sono quelli con la cultura del Gaudo, nel cui territorio penetra e si afferma. Sul versante tirrenico la stessa coesistenza si ha nelle grotte di Latronico e nelle tombe 1497, 548, 551 e nei due “depositi” di Pontecagnano. Contatti sembrano esserci anche con la cultura di Ortucchio e rapporti con le aree transadriatiche sono infine attestati dai boccali tipo Cetina rinvenuti a Laterza.
F. Biancofiore, La necropoli eneolitica di Laterza. Origini e sviluppo dei gruppi “protoappenninici” in Apulia, in Origini, 1 (1967), pp. 195-299.
F. Biancofiore, La civiltà eneolitica di Laterza, in La Puglia dal Paleolitico al Tardoromano, Bari 1979, pp. 128-49.
A. Cazzella, Sviluppi culturali eneolitici nella penisola italiana, in A. Cazzella - M. Moscoloni (edd.), Popoli e Civiltà dell’Italia Antica, XI. Neolitico ed Eneolitico, Bologna 1992, pp. 351-643.
di Manuel Santonja Gomez
Facies dell’età del Rame del Sud-Est della Penisola Iberica che succede alla cultura di Almería (Neolitico) e che si sviluppa in maniera autoctona.
In un arco di tempo compreso tra il 2500 e il 1900 a.C. circa, si verifica una notevole crescita della popolazione, concentrata in insediamenti di una certa entità, dai quali viene organizzato lo sfruttamento del territorio contiguo. Los Millares, la località più rappresentativa, è un giacimento eccezionale che l’ingegnere belga L. Siret scoprì e cominciò a scavare alla fine dell’Ottocento.
Il gruppo di case di Los Millares, difeso da tre linee di muraglia rinforzata da bastioni, raggiunse una superficie di più di 4 ha, e ospitò una popolazione che si calcola tra le 1000 e le 1500 persone nel corso dei secoli. Tra le principali attività economiche spiccavano lo sfruttamento agricolo della fertile pianura dell’Andárax, l’allevamento di bovini, ovini e caprini e lo sfruttamento di alcune materie prime, selce e minerale di rame, presenti nel territorio circostante. Le sepolture collettive della necropoli, a camera circolare e con corridoio, sono state messe in relazione con l’esistenza di lignaggi all’interno del gruppo, mentre gli evidenti segni di disuguaglianza sociale rivelerebbero una società che si trovava ancora agli inizi della formazione di un sistema gerarchico. Le camere, il cui diametro talvolta raggiunge i 6 m, venivano edificate con grandi lastre di pietra o con l’utilizzazione di pietre a secco; la maggior parte di esse erano chiuse da false cupole, la cui chiave poggia occasionalmente sopra una base diritta.
La maggior parte dei manufatti o oggetti di ornamento rinvenuti a Los Millares è di fabbricazione locale, a eccezione di alcuni manufatti in avorio o in guscio di uovo di struzzo di provenienza nordafricana. La ceramica, in genere grossolana, è talvolta ornata con motivi incisi a occhio e a forma di sole; è talvolta anche presente una decorazione geometrica dipinta. Nell’ultima fase dell’abitato compare un vasellame caratterizzato dallo stile campaniforme. Gran parte degli utensili continua a essere di pietra, come le punte di frecce bifacciali, le lame e i pugnali e le alabarde di selce. Sono numerose anche le scuri e le asce di pietra levigata. In osso e in corno venivano fabbricati punteruoli, ami e spatole, così come bottoni e idoletti, questi ultimi su diafisi di ossa lunghe. L’attività metallurgica si limitò a produrre alcuni utensili, asce piane, piccoli scalpelli, lesine e anche alcune armi, in particolare corti pugnali triangolari.
La cultura di L. M. si estende nella provincia di Almería e nel settore nord-orientale di quella di Granada. Terrera Ventura, El Tarajal e Almizaraque ad Almería, El Malagón ed El Cerro de la Virgen a Granada, sono alcuni abitati rappresentativi di questo momento.
M. Almagro - A. Arribas, El poblado y la necrópolis megalíticos de Los Millares (Santa Fé de Mondújar, Almería), Madrid 1963.
R. Chapman, Emerging Complexity. The Later Prehistory of South-East Spain, Iberia and the West Mediterranean, Cambridge 1990.
di Enrico Pellegrini
Aspetto culturale definito alla fine dell’Ottocento nel quale confluivano, fino a pochi decenni fa, tutte le manifestazioni dell’Italia settentrionale riferibili all’Eneolitico.
Dopo i numerosi e importanti rinvenimenti degli ultimi trenta anni effettuati nelle diverse regioni del settentrione (Monte Covolo, riparo Valtenesi, Spilamberto, S. Martin de Corléans, Similaun, ecc.), che hanno evidenziato una ricca e articolata presenza culturale, più approfondite analisi sulla documentazione della necropoli eponima, in provincia di Brescia, hanno consentito di delineare un quadro maggiormente definito della facies di R.
Nell’ambito di una più ampia area di diffusione del rito funerario della sepoltura individuale in fossa, che comprende l’area di pianura centro-orientale dell’Italia settentrionale (Lombardia orientale, Veneto ed Emilia), R., attestato in particolare nell’area compresa tra il basso corso dell’Oglio, del Chiese e del Gambara, si caratterizza per la presenza nei corredi di tipi particolari di armi, sia di rame che di selce e di ceramica con decorazione incisa di stile metopale, ricollegabile alla tradizione Fontbouisse. Particolarmente importante appare la produzione metallica, incentrata su pugnali a lama triangolare e base rettilinea e con codolo forato. Pugnali di questo tipo, prodotti in una fase avanzata di R. (R. II), si ritrovano nell’area meridionale (Buccino) e nell’arco alpino, dove sono spesso riprodotti nelle stele antropomorfe e sui massi incisi.
La recente analisi del sepolcreto di R., che costituisce a tutt’oggi la più vasta necropoli riferibile a questo aspetto culturale con 128 tombe note disposte su due piccoli dossi a breve distanza l’uno dall’altro, ha evidenziato l’esistenza di precise disposizioni che regolavano i riti funerari, stabiliti sulla base del sesso e della classe d’età. In generale, i maschi adulti erano deposti in posizione rannicchiata, generalmente su un fianco, e con corredo di armi variabile (punte di freccia di selce, pugnali e asce di selce o di rame); le donne erano deposte in posizione supina, senza corredo o con un vaso di ceramica; i bambini e i subadulti erano seppelliti senza corredo o con una scheggia di selce, in posizione supina o rannicchiata. Nei corredi più ricchi sono attestati anche oggetti d’ornamento su conchiglia, marmo e steatite e uno spillone d’argento a T di probabile importazione dall’area culturale della Ceramica a Cordicella. Una situazione analoga per quanto riguarda il rito funerario si riscontra nelle vicine necropoli di Fontanella Mantovana e Volongo.
L’analisi tipologica e le datazioni 14C hanno fornito la base per una suddivisione cronologica di questo aspetto culturale in due fasi: R. I (tra 3400 e 2900/2800 a.C.) e R. II (tra 2900/2800 e 2400 a.C. in cronologia calibrata), evidenziandone la lunga durata, che occupa in pratica l’intero sviluppo dell’Eneolitico.
R.C. De Marinis - A.L. Pedrotti, L’età del Rame nel versante italiano delle Alpi centro-occidentali, in La Valle d’Aosta nel quadro della preistoria e protostoria dell’arco alpino centro-occidentale, Atti della XXXI Riunione Scientifica IIPP, Firenze 1997, pp. 247-300.
di Alberto Cazzella
Cultura definita a partire da un nucleo di complessi funerari posti soprattutto nella zona al confine tra la Toscana e il Lazio.
La struttura più caratteristica è rappresentata dalla tomba a grotticella artificiale con accesso frontale o con pozzetto verticale, che ospita una o, più spesso, diverse deposizioni. Il corredo funerario può comprendere vasellame in ceramica, tra cui il “vaso a fiasco” è la forma più ricorrente, punte di freccia, asce-martello di pietra levigata, pugnali di metallo e, più raramente, oggetti di ornamento di pietra o metallo. Alcune sepolture mostrano, in particolare nel corredo, differenze rispetto alle altre, ma non sembrano aversi indizi di trasmissione ereditaria di status elevato. In alcuni casi le analisi antropologiche hanno consentito di riconoscere indizi di correlazione fisica stretta tra nuclei di individui dello stesso sesso, facendo ipotizzare per la Selvicciola una situazione di tipo matrilineare/uxorilocale e per Ponte San Pietro patrilineare/virilocale. Come avviene anche in altri ambiti culturali contemporanei (ad es., la cultura del Gaudo), almeno in alcuni casi lo scheletro sembra essere stato soggetto a spostamenti, sia all’interno della cella stessa in cui il corpo era stato deposto, che tra più celle. Tombe con queste caratteristiche, sia pure con specifiche variazioni locali, si ritrovano su un’area più vasta, che comprende quasi tutta l’Italia centrale, mentre complessi funerari della medesima area, diversi per struttura e rituale (tombe a fossa, sepolture in grotta), presentano nel corredo alcuni elementi in comune con le necropoli di tombe a grotticella artificiale. Se si considera quest’area più ampia, va notato che non mancano situazioni di sovrapposizione territoriale con manifestazioni culturali diverse (Laterza e Gaudo nel Lazio a sud del Tevere; Conelle e Ortucchio nell’Italia centro-orientale), nei confronti delle quali è difficile individuare l’eventuale esistenza di scarti cronologici. Problematico resta in genere il rapporto con le testimonianze offerte dagli abitati, dove si ritrovano in modo limitato i manufatti più caratteristici della cultura di R.: non si può del tutto escludere l’ipotesi che almeno in parte i manufatti inseriti nelle tombe siano stati realizzati specificamente a scopo funerario.
La cultura di R. sembra aver avuto un’ampia durata, dalla seconda metà del IV fino oltre la metà del III millennio: resta ancora da chiarire se sia persistita in parallelo all’affermazione delle presenze del Campaniforme nell’Italia centrale, o se da questo sia stata sostituita, almeno nell’area centrale tirrenica. I manufatti metallici indicano un elevato livello tecnologico in questo campo: adozione di matrici bivalvi; uso di diversi tipi di metallo, oltre il rame, come l’antimonio e l’argento; sfruttamento di minerali polimetallici; comprensione del ruolo dell’arsenico, presente naturalmente in alcuni minerali o aggiunto intenzionalmente; realizzazione di una lega rame-argento nel pugnale della tomba di S. Biagio della Valle in Umbria. Almeno per quel che riguarda le tecniche metallurgiche è probabile che tali livelli elevati di complessità siano dovuti all’ispirazione da modelli di origine egeo-balcanica.
D. Cocchi Genick - R. Grifoni Cremonesi, L’età del rame in Toscana, Viareggio 1989.
N. Negroni Catacchio, La cultura di Rinaldone, in RassAPiomb, 7 (1988), pp. 348-62.
N. Negroni Catacchio (ed.), Preistoria e Protostoria in Etruria. La cultura di Rinaldone. Ricerche e scavi. Atti del Primo incontro di Studi (Saturnia, Manciano - Farnese, 17-19 maggio 1991), Milano 1993.
di Enrico Pellegrini
Denominazione sotto la quale sono riuniti alcuni gruppi regionali della Francia centro-orientale e della Svizzera occidentale riferibili all’Eneolitico medio (III millennio, Neolitico recente nella terminologia locale), conosciuti quasi esclusivamente per gli abitati.
Importanti, per la quantità e la qualità dei dati forniti, in particolare i materiali organici (vegetali, oggetti di legno e vimini, ecc.), sono gli abitati lacustri: Charavines nel lago di Paladru, Auvernier nel lago di Neuchâtel, gli abitati di Chalain, di Clairvaux e di Ouroux sulle rive della Saône. Si tratta, in generale, di villaggi di piccola estensione con abitazioni a pianta quadrangolare costruite in legno, talvolta in posizione serrata e divise da vicoli; sul lato della terraferma gli abitati erano protetti con modeste palizzate. I villaggi composti in questo modo avevano un breve arco di vita, dopodiché venivano ricostruiti a breve distanza.
Abbondante risulta l’industria su corno di cervo; l’industria litica presenta pugnali, armature di freccia a intaccatura laterale e oggetti di ornamento di pietra (perle ad alette). La ceramica è di fattura grossolana, con vasi tronco-ovoidi lisci o decorati con cordoni. Nella fase finale S.-R. mostra rapporti con l’aspetto della Ceramica a Cordicella dell’Eneolitico recente.
J.-P. Thevenot et al., La civilisation Saône-Rhône, in RAE, 27 (1976), pp. 331-420.
J-L. Voruz (ed.), Chronologies néolithiques. De 6000 à 2000 avant notre ère dans le Bassin Rhodanien. Actes du Colloque d’Ambérieu-en-Bugey, Ambérieu-en-Bugey 1995.
di Enrico Pellegrini
Aspetto culturale del Calcolitico medio e recente (2500-2100 in date 14C non calibrate) così denominato in base alla distribuzione delle testimonianze archeologiche nella Francia nord-orientale e nel Belgio, lungo le valli dei fiumi Senna, Oise e Marna.
Definita nel 1926 da P. Bosch Gimpera e J. de C. Serra Ràfols, la cultura S.-O.-M., come viene spesso indicata, presenta una marcata diversità nel tipo dei giacimenti noti, in particolare per quanto riguarda gli aspetti funerari che comprendono strutture di tipo sia megalitico sia a grotticella artificiale.
Gli abitati sono numerosi e si distribuiscono prevalentemente in aree di fondovalle, ma sono pochi quelli indagati in maniera adeguata (Pré-aux-Vaches).
L’aspetto meglio conosciuto è quello funerario, con sepolture collettive prevalentemente a inumazione; rari sono i casi di incinerazioni. Le strutture funerarie sono costituite da ambienti ipogeici (settore orientale del bacino parigino), “tombe a corridoio” (settore occidentale del bacino parigino), tombe a cista e cavità naturali. La concentrazione maggiore di strutture funerarie ipogeiche si riscontra nella regione della Marna; nella necropoli di Razet a Coizard ne sono attestate 37. Questo tipo di tomba è costituita da una camera rettangolare scavata nella roccia alla quale si accede mediante una rampa; alcune sono provviste di antecella.
Le “tombe a corridoio” erano invece costruite con lastre verticali e orizzontali in una trincea rettangolare successivamente interrata; la camera era preceduta da un vestibolo e l’accesso era ricavato sul lato corto. Alcune delle tombe a corridoio e degli ipogei presentano raffigurazioni di asce immanicate e figure femminili schematiche. Il numero delle deposizioni varia notevolmente; nelle tombe a corridoio esso oscilla da un minimo di 5 a un massimo di 150 individui di entrambi i sessi e di tutte le classi di età. La maggior parte degli inumati era in connessione, ma in alcuni casi è stato osservato il dislocamento delle ossa; la posizione dei corpi è varia e non sembra riconducibile a specifici criteri.
Una maggiore omogeneità è riscontrabile nei corredi funerari: caratteristica appare l’industria litica con pugnali di selce proveniente dalle miniere del Grand-Pressigny, asce di selce levigata montate su foderi di corno traforato e armature di frecce a tagliente trasversale. Tra gli oggetti d’ornamento sono attestati perle di ambra e di cristallo di rocca, elementi di collana su conchiglia e pietra dura, piccole asce forate usate come pendenti. Abbondante è l’industria su osso e su corno, mentre la produzione fittile è poco sviluppata e comprende una sola forma peculiare denominata a “vaso da fiori”, con fondo piatto e svasato, normalmente priva di decorazione.
P. Bosch-Gimpera - J. De C. Serra Ràfols, Étude sur le Néolithique et l’Enéolithique en France, in RA, 17 (1927), pp. 26-50.
G. Bailloud, Le Néolithique dans le bassin Parisien, in GalliaPrehist, suppl. 2 (1976).
J. Lichardus - M. Lichardus-Itten, La Protohistoire de l’Europe, Paris 1985, pp. 561-63.
di Enrico Pellegrini
Aspetto culturale del Calcolitico del Portogallo meridionale, conosciuto anche con il nome di cultura di Vila Nova de Sao Pedro (V.N.S.P.), dal nome di un sito fortificato localizzato a nord di Lisbona (Azambuja), diffuso nell’area dell’ampio estuario del fiume Tago.
La definizione di una sequenza culturale del Calcolitico della Penisola Iberica è ancora in fase di elaborazione, ma lo stato delle ricerche consente di collocare la comparsa della cultura T.-V.N.S.P. nella fase media del Calcolitico (2500 a.C. ca. in cronologia 14C non calibrata). Nella sequenza culturale stabilita attualmente per il Portogallo, la cultura T.-V.N.S.P. segue la cultura dell’Alentejo e precede la comparsa dell’aspetto culturale del Bicchiere Campaniforme.
La cultura T.-V.N.S.P. è caratterizzata dalla presenza di abitati con imponenti fortificazioni, che sembrano sorgere su aree prive di insediamenti precedenti, da piccoli abitati non fortificati e da sepolture collettive in tombe megalitiche con copertura a falsa volta, dolmen e cavità naturali o artificiali. Tra gli insediamenti fortificati, il sito di Vila Nova de Sao Pedro si sviluppa su una superficie di circa 80 ha; esso è circondato da una complessa cinta muraria realizzata in pietra e munita di bastioni, che raggiunge 5 m di spessore. Nel corso della seconda metà del III millennio si sviluppa una fiorente lavorazione del rame attestata da asce, pugnali, lesine, ecc.; insieme agli oggetti metallici compaiono anche numerosi oggetti di lusso destinati a individui che rivestivano un ruolo particolare nella società. Tra questi manufatti di prestigio si segnalano pugnali di selce di raffinata fattura, spilloni per fermare le vesti, spatole, piccole “scatole per cosmetici” di osso, avorio e pietra e placchette di scisto decorate; una serie di oggetti di pietra di uso sconosciuto, detti “betili” o “lunule”, provengono esclusivamente da contesti funerari. La fase terminale della cultura è associata con elementi pertinenti al fenomeno culturale del Bicchiere Campaniforme.
B.M. Blance, Early Bronze Age Colonists in Iberia, in Antiquity, 35 (1961), pp. 192-201.
H.N. Savory, Spain and Portugal, London 1970.
R.J. Harrison, The Bell Beaker Cultures of Spain and Portugal, Cambridge (Mass.) 1977.
di Giovanni Lilliu
Aspetto culturale delle Baleari suddiviso in due grandi e lunghi periodi, Pre-T. e T., la cui denominazione viene dal catalano talaiot, monumento di grosse pietre a secco, a forma di torre troncoconica o troncopiramidale.
Il periodo pre-t., nel quale alcuni studiosi introducono due sotto-periodi (I-II), può ipotizzarsi in coincidenza con il Neolitico e l’Eneolitico (altrimenti Calcolitico o Bronzo I per gli archeologi spagnoli); tale periodo potrebbe avere compreso un arco di tempo di 2200 anni circa (dal 4000 al 1800 a.C.). Al sottoperiodo T. I, a Maiorca, indirizzano le date in cronologia radiocarbonica non calibrata riferite a resti di ossa umane nella grotta naturale di Muleta (3984±109 a.C.) e a carboni della Caverna di Son Matge (3800±115 a.C.). Del Pre-T. II è indice cronologico la datazione 14C di 1870±120 a.C. offerta dal livello superiore dell’ultima grotta citata.
È caratteristico del più remoto periodo Pre-T. (Neolitico) l’uso delle caverne per abitazione e sepoltura di inumati. In quelle già citate di Muleta e Son Matge (livello inferiore) ai defunti si accompagnavano, come corredo, oggetti litici e ossei; in altre (Vernissa, Sa Canova d’Ariany, Sa Cova des Bous a Maiorca, Sa Cova Murada a Minorca) compaiono ceramiche per lo più inornate. Più evidenti stilisticamente sono gli esemplari decorati a incisione lineare con motivi geometrici aventi il gusto dell’ornato di tradizione chasseana franco-ligure (fine del IV - inizi del III millennio a.C.). Al Pre-T. I (Neolitico recente molto avanzato, se non Subneolitico) può riportarsi l’avvento delle grotticelle artificiali funerarie con vano circolare “a forno” e gli ipogei a cellette plurime con pozzetto verticale d’accesso, in seguito incorporati da edifici naviformi supposti di dimora.
Intorno al 2000 a.C. si conoscono i primi monumenti megalitici, nella forma del dolmen usato come sepolcro. Nell’Isola di Minorca ad Alcaidus d’en Fàbruegues è presente la forma della allée couverte (sepoltura megalitica) bipartita per la quale vanno segnalati numerosi paralleli perimediterranei ed europei.
Coi dolmen si entra nel subperiodo Pre-T. II, cioè nell’età eneolitica. Si sviluppò allora, tra 2000 e 1800 a.C., la forma architettonica dell’ipogeo scavato nella roccia con pianta a lungo vano rettangolare absidato, diffusa in gruppi rilevanti a Maiorca (Cala Sant Vicenç, Son Sunyer, ecc.), presente anche a Minorca (Torre del Ram I-II, Son Vivò, Son Escudero, ecc.). Alla stessa famiglia tipologica degli ipogei fune-rari di cui sopra appartengono dimore in muratura a vista di forma rettangolare absidata. Non si esclude che a promuovere culturalmente questo stadio del Pre-T. II abbia contribuito l’apporto mercantile della corrente del Bicchiere Campaniforme; materiali riferibili a essa sono stati infatti rinvenuti negli ipogei a camera allungata di Na Fonda, di Sant Vicenç, Son Sunyer 5 e nell’edificio naviforme “Alemany” -Son Massot - Calvià. Verso il 1800 a.C. si fa cominciare il periodo t., suddiviso in tre o in quattro subperiodi, che dura sino alla conquista romana delle Baleari.
J. Maluquer de Motes, La edad del bronce en las Islas Baleares, in Historia de España, Madrid 1947-54, pp. 718-51.
G. Lilliu, Baleari, in G. Lilliu - H. Schubart, Civiltà mediterranee. Corsica, Sardegna, Baleari. Gli Iberi, Milano 1967, pp. 115-80.
(Red.)
Nel corso dell’orizzonte più antico dell’età del Rame (età del Rame I, compreso tra circa il 3400 e il 2900/2800 a.C.) le aree sudalpina e nordalpina mostrano stretti contatti culturali. Insieme al rinvenimento in siti pertinenti alla cultura di Cham (Baviera meridionale) di pugnali di tipo remedelliano in selce dei monti Lessini, in entrambi i versanti alpini si osserva la comparsa di una precoce attività metallurgica, anche se essa risulta ancora scarsamente praticata, e la diffusione di recipienti a pareti cilindriche decorati da cordoni lisci di ceramica grossolana. Per quanto riguarda il versante italiano, questa caratteristica produzione ceramica di tradizione Horgen è stata studiata in particolare nel sito di Isera la Torretta, nei pressi di Rovereto, dove compare nei livelli attribuiti alla fase 5, ma è attestata anche in Trentino, Alto Adige, Veneto occidentale, Lombardia e Piemonte. A nord delle Alpi essa è presente nella zona dei Grigioni, con i siti di Tamins “Crestis” e Cazis-Petrushügel. Sulla base della distribuzione di questa ceramica è stato definito un gruppo culturale denominato Tamins-Isera al quale è stato associato anche l’uomo di Similaun che, con il suo equipaggiamento, tra cui spiccano il pugnale in selce di tipo remedelliano e l’ascia di rame puro, sembra ben rappresentare il gruppo.
di Alessandra Costantini
L’importanza scientifica della scoperta della mummia del Similaun, rinvenuta nel 1991 da due escursionisti tedeschi nelle Alpi dell’Ötztal a 3210 m s.l.m., consiste nel fatto che si tratta dei resti di un individuo morto in itinere, 5300 anni fa, con gli indumenti e l’equipaggiamento ancora perfettamente conservati.
L’eccezionale stato di conservazione del reperto, che si trova attualmente nel Museo Archeologico di Bolzano a una temperatura costante di -6 °C, è dovuto alla combinazione di diversi fattori: la posizione del corpo all’interno di una conca rocciosa che lo ha protetto dall’azione erosiva del ghiacciaio della Niedertal; le condizioni climatiche all’epoca della morte (inizio o fine estate) per cui il processo di mummificazione naturale ha potuto concludersi prima che la successiva coltre nevosa congelasse il corpo; la formazione di uno strato di ghiaccio permanente che ha iniziato a sciogliersi solo negli ultimi decenni, lasciando affiorare parzialmente il corpo e consentendo ai due escursionisti di individuarlo prima che la neve lo ricoprisse nuovamente.
Al momento del decesso l’uomo indossava un perizoma, un paio di gambali e una sorta di giaccone confezionati con strisce di pelle di capra cucite a sopraggitto utilizzando tendini d’animali, un mantello formato da un intreccio di steli di graminacee alpine, un berretto di pelle d’orso e un paio di scarpe, composte all’interno da una fitta rete di fibra vegetale usata per tenere ferma l’imbottitura d’erba secca e all’esterno da una tomaia di pelle di cervo. L’uomo portava una cintura di pelle di vitello legata in vita con una piccola tasca di cuoio che conteneva un raschiatoio, un perforatore, una lametta in selce, una lesina d’osso, sorta di strumento multiuso utilizzato per cucire, e un fungo d’esca, il Fomes fomentarius, che serviva per accendere il fuoco. Era inoltre dotato di un equipaggiamento assai funzionale che comprendeva un arco di legno di tasso, una faretra di pelle di camoscio con dodici frecce non finite e due pronte per l’uso, un’ascia con la lama metallica ancora inserita nel manico insieme a tutta la legatura, il pugnale con il suo fodero, due vasi di corteccia di betulla che racchiudevano le braci di carbone tolte dal focolare e avvolte in foglie di acero riccio, utilizzate come termoisolante, uno zaino e due pezzi di poliporo di betulla, un fungo che contiene sostanze antibiotiche efficaci contro le infezioni.
La mummia del Similaun rientra nella categorie delle mummie cosiddette “umide”, in quanto conserva ancora nei tessuti un certo grado di flessibilità. L’età della morte è stata calcolata intorno ai 46 anni; la corporatura rientra nella media delle popolazioni tardoneolitiche, con un’altezza di circa 1,6 m e un peso di 50 kg. Le articolazioni risultano piuttosto usurate, i vasi sanguigni calcificati e, inoltre, manca la dodicesima coppia di costole, una singolare anomalia che, a quanto pare, non lo limitava. Le fotografie a raggi infrarossi hanno evidenziato una cinquantina di tatuaggi raffiguranti gruppi di linee e croci, eseguiti con sottili incisioni della pelle sulle quali era stato strofinato del carbone vegetale, che probabilmente avevano una valenza terapeutica in quanto concentrati in corrispondenza della spina dorsale e delle articolazioni dove si sono riscontrati fenomeni di artrosi. Soltanto di recente è stato possibile appurare la causa reale della morte dell’uomo del Similaun: ulteriori radiografie hanno rilevato la presenza di una punta di freccia conficcata all’altezza della spalla sinistra, a 15 mm dal polmone, che, pur non avendo leso alcun organo vitale, ha raggiunto i fasci vasomotori del braccio sinistro danneggiandoli e provocando verosimilmente una forte emorragia con probabile paralisi dell’arto.
Sui motivi che hanno indotto l’uomo a spingersi a quote così elevate sono state formulate varie ipotesi: inizialmente si era pensato che si trattasse di un mercante, visto che il suo corpo è stato trovato in prossimità di un importante valico tra nord e sud e che il baratto era diffuso in epoca neolitica. Ma nel suo equipaggiamento mancano oggetti legati allo scambio così come elementi per poterlo identificare con un cercatore di metalli. La presenza dell’ascia, che nell’età del Rame contraddistingueva gli appartenenti alla classe dominante e i guerrieri, indica che l’individuo occupava una posizione di prestigio all’interno della comunità: probabilmente era un capovillaggio oppure, ipotesi più accreditata, un proprietario di greggi che stava portando le sue mandrie in transumanza. Per quanto riguarda la provenienza dell’uomo del Similaun, la presenza nel tratto digestivo di pollini di carpinella, un albero che cresce a sud delle Alpi, indica che era originario della Val Senales o della Val Venosta.
M. Primas, Die Sondierung von Tamis “Crestis”, Graubünden. Neue Aspekte des Alpinen Spätneolithikhums, in AKorrBl, 7 (1977), pp. 23-29.
K. Spindler, Der Mann im Eis. Die Otztaler Mumie verrät die Geheimnisse der Steinzeit, München 1993.
R.C. De Marinis - A.L. Pedrotti, L’età del Rame nel versante italiano delle Alpi centro-occidentali, in La Valle d’Aosta nel quadro della preistoria e protostoria dell’arco alpino centro-occidentale. Atti XXXI Riunione Scientitfica IIPP, Firenze 1997, pp. 247-300.
R.C. De Marinis - G. Brillante, La mummia del Similaun, Venezia 1998.
di Enrico Pellegrini
Nome di due fasi culturali che marcano, rispettivamente, una la fine della civiltà maltese legata alle costruzioni templari, l’altra il sopraggiungere nell’isola di una popolazione alloctona e che prende il nome dai rinvenimenti effettuati a partire dal 1913 nel sito di Tarxien, posto nella zona orientale dell’isola di Malta, a pochi chilometri dalla capitale La Valletta.
La fase più arcaica, T. Templi (3000/3000-2500 a.C. ca. in cronologia calibrata), è caratterizzata dal complesso templare di Tarxien, la cui costruzione ha inizio durante la fase di Ggantjia. Si tratta di quattro distinti edifici dei quali quello centrale, che costituisce il tempio più recente, mostra l’evoluzione tecnica e progettuale raggiunta dalla civiltà maltese in questo campo. La planimetria di questo edificio comprende sei vani absidali simmetricamente disposti lungo un asse centrale che termina nel cosiddetto “recesso” absidato. L’interno dell’edificio è riccamente decorato con motivi scolpiti a bassorilievo (spirali, volute e figure di animali) e mostra anche tracce di pitture. Il rinvenimento più notevole è costituito dalla parte inferiore di una statua di pietra raffigurante il tradizionale tipo delle figura femminile obesa stante, ma di enormi proporzioni: l’altezza complessiva è stata calcolata pari a circa 2,75 m. Durante gli scavi sono state rinvenute anche numerose figure femminili del tipo seduto e testine stilizzate o di stile naturalistico, sia di calcare che di argilla. Per quanto riguarda la produzione ceramica, la tipologia vascolare della fase di T. Templi mostra una quantità di forme nuove, così come inediti appaiono alcuni tipi di decorazione. Tra le forme vascolari sono da ricordare un tipo di tazza carenata con manico triangolare, probabilmente legata al culto, le anfore con copia di anse “a tunnel”, mestoli, colini, ecc.; sono attestati anche recipienti di pietra, a volte di grandi dimensioni. Tra l’industria litica sono presenti anche alcune punte di freccia in ossidiana di Lipari. Durante la fase di T. Templi, Malta intrattiene stretti contatti con la Sardegna (facies di Ozieri) e con la Sicilia (facies di Sant’Ippolito).
La fase di T. Cemetery, pertinente già all’età del Bronzo (2500-1500 a.C. ca. in cronologia calibrata), segna una profonda cesura nello sviluppo culturale dell’arcipelago maltese. La documentazione nota per questa fase proviene da una necropoli a incinerazione posta all’interno del complesso templare di Tarxien. Il deposito, che occupava parzialmente il Tempio Sud, era costituito da terreno scuro e ceneri e conteneva ossa cremate e frammenti ceramici. Furono recuperate un centinaio di anfore frammentarie, utilizzate come urne cinerarie, insieme ad altri vasi di fogge nuove: askòi, vasi doppi o tripli, vasi a collo doppio, ecc. Numerosi appaiono, per la prima volta, gli oggetti di metallo, principalmente pugnali triangolari e asce. Tra gli oggetti di ornamento sono attestate collane realizzate con vertebre di pesci o perline di conchiglie e pendenti d’argilla raffiguranti animali; in argilla sono realizzate anche alcune figurine femminili stilizzate, caratterizzate da un corpo a disco recante un’elaborata decorazione incisa. Nell’area della necropoli sono state rinvenute anche due ossa decorate del tipo “a globuli”. Per questa fase, stretti e numerosi sono i contatti con la cultura siciliana di Castelluccio e con quella di Capo Graziano.
T. Zammit, Prehistoric Malta. The Tarxien Temples, Oxford 1930.
J.D. Evans, Bossed Bone Plaques of the Second Millennium, in Antiquity, 30 (1956), pp. 80-93.
Id., Prehistoric Antiquities of the Maltese Islands: a Survey, London 1971.
di Enrico Pellegrini
Aspetto culturale del Calcolitico antico ungherese che prende nome da una necropoli nella contea di Hajdú-Bihar (Ungheria orientale).
La posizione cronologica della cultura di T. risulta definita da varie sequenze stratigrafiche nelle quali T. è interposta tra livelli tardo-neolitici Tisza e livelli Bodrogkeresztúr del Calcolitico medio. Gli abitati, la cui area di diffusione ricalca quella della cultura di Tisza, sono distribuiti prevalentemente lungo i corsi fluviali e consistono, per la maggior parte, di piccoli siti e abitazioni con singoli ambienti rettangolari realizzati in legno.
Le ossa di animali rinvenute negli abitati mostrano una leggera diminuzione della selvaggina e un aumento degli animali domestici, tra i quali prevalgono i bovini e i caprovini. La produzione vascolare è caratterizzata da vasi su alto piede, recipienti a fondo piatto e orlo svasato con numerose prese forate e coperchi troncoconici. Nella produzione fittile sono scarsamente attestate figurine plastiche e vasi zoomorfi.
L’aspetto meglio conosciuto della cultura di T. è quello funerario:le sepolture, a inumazione, sono raggruppate in apposite aree distinte dagli abitati. Si tratta di grandi necropoli, oltre 160 sepolture nella necropoli eponima, con deposizioni per lo più individuali in posizione laterale ripiegata; si osserva una distinzione tra le deposizioni maschili, normalmente sul lato destro e quelle femminili sul lato sinistro. Sono attestate anche sepolture parziali, sepolture del solo cranio e sepolture simboliche (cenotafio); il rito funerario dell’incinerazione,anche se raro, è comunque testimoniato. Nelle sepolture sono talvolta presenti offerte di cibo (caprovini), mentre scheletri interi di caprovini e di arti di cavalli domestici documentano pratiche rituali. I corredi comprendono numerosi recipienti fittili, armi e strumenti litici (accette di pietra levigata, lunghe lame di selce), oggetti d’ornamento(collane e placchette perforate d’osso o di metallo) e piccoli strumenti di rame (lesine); assai rare sono le asce-martello di rame; di particolare interesse risulta la presenza di piccoli dischi di rame o d’oro muniti di fori per la sospensione.
I. Bognár-Kutzián, The Early Copper Age. Tiszapolgár Culture in the Carpathian Basin, Budapest 1972.
J. Lichardus - M. Lichardus-Itten, La Protohistoire de l’Europe, Paris, 1985.
di Enrico Pellegrini
Cultura dell’Eneolitico recente (prima metà del III millennio a.C. ca.) presente in Croazia, Bosnia settentrionale e Serbia centrale, ma le cui manifestazioni hanno influenzato un’ampia zona compresa tra la Slovacchia, la costa adriatica, i Carpazi e le Alpi; nella fase finale sono attestati contatti con l’aspetto culturale del Bicchiere Campaniforme.
Nel sito di Gomolava (Serbia) e in quello eponimo in Croazia gli strati V. succedono a quelli della cultura Baden (fase Kostolac) dell’Eneolitico medio, dalla quale V. si sviluppa. Gli insediamenti, per lo più situati sulle rive dei grandi fiumi (Danubio, Sava, Drava), sono caratterizzati per la maggior parte da articolate strutture difensive, costituite da fossati singoli o doppi, palizzate, talvolta accentuate dalla stessa posizione in zone montuose (Debelo Brdo, Zecovi, Jasik). Questa esigenza difensiva è stata messa in relazione con la necessità di contrastare la penetrazione dei cosiddetti “popoli delle steppe”, già attestata alla fine di Baden.
La cultura di V. mostra chiari indizi dell’esistenza di una stratificazione sociale sia negli abitati sia nei contesti funerari. In alcuni abitati,come V. o Sarva è sono presenti edifici situati in aree distinte da quelle delle restanti abitazioni, destinati probabilmente a personaggio gruppi eminenti; ancora a V., l’attestazione di un forno fusorio per il rame rinvenuto sulla cosiddetta “acropoli”, negli stessi livelli di un’ampia struttura “a megaron” insieme a lingotti, scorie e a una forma di fusione, sembrano indicare che la metallurgia era appannaggio di individui di rango elevato. Testimonianze relative all’esistenza di una gerarchia sociale sono riscontrabili anche nell’ambito funerario, dove i riti, le modalità di deposizione e le strutture sono molteplici: coesistono inumazione e incinerazione, mentre le deposizioni possono essere singole, doppie o multiple. A V. una tomba ipogea a grotticella, probabilmente influenzata nella forma da quella delle “catacombe”della Russia meridionale, conteneva la sepoltura bisoma di un uomo e di una donna con ricco corredo di armi e oggetti d’ornamento;nell’area orientale sono maggiormente attestate sepolture sotto tumulo,tra le quali si distinguono per la ricchezza del corredo quelle di Mala Gruda.
La ceramica V. presenta un’elevata raffinatezza, sia nelle forme vascolari sia nella decorazione. La superficie nera e lisciata di coppe e di tazze carenate pone in risalto i motivi decorativi incisi o impressi a punteggiatura e riempiti da incrostazioni di pasta bianca, gialla o rossa;questo tipo di decorazione coprente compare anche all’interno dei vasi oltre che su figurine antropomorfe e zoomorfe e su singolari vasi di probabile uso rituale.
Particolarmente importante appare anche l’industria su osso di cervo,mentre la lavorazione della pietra presenta tipi diversi di asce e la metallurgia del rame asce piatte, asce a occhio e oggetti d’ornamento; la pratica della domesticazione del cavallo è assai diffusa.
N. Tasić, Badenskii vučedolski kulturni kompleks u Jugoslaviji [Il complesso Vučedol della cultura Baden in Iugoslavia], Beograd 1967.
Id.,Praistorijia jugoslovenskih zemalia, III. Eneolitsko doba [Preistoria delle regioni iugoslave, III. L’Eneolitico], Sarajevo 1979.
Id. The Middle and Late Eneolithic in Yugoslavia, in L’età del Rame in Europa, Atti del Congresso Internazionale (Rassegna di Archeologia 7, 1988), pp. 51-62.
S. Forenbaher, The Late Copper Age Architecture at Vučedol, Croatia, in JFieldA, 21 (1994),pp. 307-23.
di Enrico Pellegrini
Prima fase dell’Eneolitico maltese (4100-3800 a.C. ca. in cronologia calibrata), identificata sulla base di cinque tombe rinvenute nel 1947 in località ta Trapna, nel distretto di Zebbuǵ.
Le strutture funerarie consistevano in semplici depressioni di forma ovale scavate nella roccia, ma è presumibile che in origine fossero vere e proprie camere sotterranee, la cui parte superiore è stata asportata per essere riutilizzata come materiale da costruzione. Le sepolture, a deposizione sia individuale che multipla, presentavano ceramiche e oggetti d’ornamento costituiti da perle e bottoni su conchiglia e osso, insieme a scarsi elementi di industria litica; in diversi casi le ossa umane erano cosparse di ocra rossa. La tomba 5, individuale, si distingue per la presenza di numerosi elementi d’ornamento su conchiglia,tra cui un bottone con perforazione a V e una stele di calcare frammentaria di 19,5 x 18 cm che reca scolpita una testa umana stilizzata; la lastra era cosparsa di ocra rossa.
La produzione ceramica della fase eneolitica di Z. è conosciuta principalmente sulla base del vasellame recuperato nelle tombe e da livelli di questa fase attestati nel sito di Skorba. Si tratta di una ceramica dalle pareti sottili, che presenta due varietà: una, più fine, a superficie scura e lucidata, l’altra, più grossolana, di colore giallastro a superficie grezza. La decorazione incisa è largamente usata e riempie tutta la superficie del vaso con linee dritte o curve; in alcuni casi è attestatala riproduzione schematica della figura umana. Alcuni frammenti presentano una decorazione dipinta in rosso o bruno sulla superficie gialla o color crema.
Le forme vascolari sono molteplici e includono, oltre a scodelle e ciotole, una grande varietà di forme chiuse tra cui boccali con ampie anse a orecchio, olle con collo a campana e olle con collo conico; entrambe le forme sono associate a una decorazione specifica;tra la produzione ceramica sono attestati anche alcuni “cucchiai”. Nell’industria litica, la presenza di ossidiana, proveniente dai giacimenti dell’isola di Lipari, è notevolmente ridotta rispetto alle fasi precedenti.
Diversi autori hanno sottolineato le strette somiglianze esistenti tra la produzione ceramica di questa cultura e quella invece caratteristica facies eneolitica siciliana di San Cono; confronti per la ceramica dipinta sono stati invece avanzati con la produzione di Lipari.
J.G. Baldacchino - J.D. Evans, Prehistoric Tombs near Zebugg, in BSR, 22 (1954), pp. 1-21.
D.H. Trump, Skorba, Oxford 1966.
J.D. Evans, Prehistoric Antiquities of the Maltese Islands: a Survey, London 1971.
C.A.T.Malone et al., Mortuary Ritual of 4th Millennium BC Malta: the Zebbug Period Chambered Tomb from the Brochtorff Circle at Xaghra (Gozo), in ProcPrehisSoc, 61 (1995), pp. 303-45.