Repertorio delle culture dell'Europa preistorica. Eta del Bronzo
di Maria Antonietta Fugazzola Delpino
Cultura della media età del Bronzo, diffusa in Italia centro-meridionale soprattutto nella seconda metà del II millennio a.C.
Fu U. Rellini, negli anni Trenta del Novecento, il primo a riconoscere l’esistenza di una cultura diffusa su vaste zone dell’Italia centro-meridionale, caratterizzata da aspetti molto diversi da quelli propri delle culture terramaricole e per questo da lui inizialmente definita come “extra-terramaricola”; in un secondo momento lo stesso Rellini, avendo presente la dislocazione lungo la dorsale appenninica dei giacimenti attribuiti a questa cultura, coniò il termine di cultura A. e ne ipotizzò una distinzione in fasi.
Nel 1959 S.M. Puglisi propose una ricostruzione complessiva di quella che egli interpretava come la “civiltà appenninica”. Dopo avere operato una suddivisione in tre grandi gruppi peninsulari (settentrionale, centrale e meridionale), credette di riconoscerne la zona di diffusione primaria nel gruppo centrale (territori dell’Umbria e delle Marche). Dal rinvenimento di varie stazioni dislocate lungo la dorsale appenninica a quote elevate, dall’analisi di alcuni particolari aspetti della cultura materiale (quali, ad es., la presenza nei giacimenti appenninici di bollitoi e di vasetti di piccole dimensioni, secondo lui utilizzati per il trasporto del caglio) e da arditi paragoni con odierne culture africane caratterizzate dal nomadismo e dalla supremazia di pastori-guerrieri, trasse la convinzione che la “civiltà appenninica” avesse come base economica fondamentale la pastorizia e fosse caratterizzata da seminomadismo e da attività belliche. S.M. Puglisi introdusse anche il concetto di “subappenninico”, quale particolare modo di essere della cultura A., con un’economia più articolata, insediamenti stabili, molte forme vascolari nuove e forti spinte a fenomeni di acculturamento anche su scala regionale; il Subappenninico non era per lui una facies archeologica attribuibile a un periodo preciso, ma doveva essere invece considerato come cronologicamente variabile a seconda dei differenti processi che si andavano manifestando in una realtà culturale non uniforme.
Una tesi opposta a quella espressa da S.M. Puglisi fu sostenuta nello stesso anno da R. Peroni, che considerava l’aspetto culturale subappenninico come “fase cronologica a sé stante”. Furono notate significative differenze tra l’A., attribuito alla media età del Bronzo, e il Subappenninico, posto nell’età del Bronzo Recente: alle notevoli diversità rilevabili nelle fogge vascolari e nelle tecniche decorative fanno riscontro forti differenze nell’economia, nell’organizzazione sociale e nelle relazioni con le contemporanee culture dell’Europa continentale, dei Balcani e dell’Egeo. M.A. Fugazzola Delpino, all’inizio degli anni Settanta del XX secolo, ha tentato di approfondire varie problematiche relative alla cultura A. nel suo complesso.
Lo studio di tutte le forme ceramiche ha offerto una visione chiara del patrimonio tipologico proprio di questa cultura nel corso delle sue differenti fasi. È stata operata una distinzione in vari periodi: a un momento arcaico, in cui si diffondono le forme più antiche ancora prive della caratteristica decorazione, denominato Preappenninico (parallelizzabile in parte al periodo definito Protoappenninico B da F.G. Lo Porto) e assegnato a un periodo anteriore alla metà del XVI sec. a.C., succedono, durante la media età del Bronzo, fasi definite A. Antico (databile tra gli inizi o la seconda metà del XVI sec. a.C. e all’incirca l’ultimo quarto del XV o gli inizi del XIV sec. a.C., più o meno contemporaneo alla fase evoluta della cultura di Capo Graziano) e A. Recente (che arriverebbe alla fine del XIV o agli inizi del XIII sec. a.C. e che può essere messo in parallelo con le culture di Thapsos in Sicilia e del Milazzese nelle Isole Eolie) e infine, durante l’età del Bronzo Recente, il cosiddetto Subappenninico (che terminerebbe verso la fine del XIII sec. a.C. e sarebbe in parte coevo dell’Ausonio I nelle Isole Eolie).
Gli insediamenti dell’A. Antico, a volte con vasi importati del Miceneo IA, IIA e IIIA 1 e con tipi della cultura di Capo Graziano, sono solitamente situati sulle coste o in prossimità di queste. Con l’A. Recente molti abitati precedenti vengono abbandonati e ne sorgono numerosi altri nelle zone più interne; in questo stesso periodo nelle Isole Eolie si assiste al sorgere dei villaggi della cultura del Milazzese, ubicati in località interne, in posizioni naturalmente fortificate e ben difendibili. Sono importate ceramiche del Miceneo IIIA e B e vasi di tipo appenninico giungono numerosi nei villaggi eoliani del Milazzese e in Corsica, oltre che sporadicamente in Sicilia e in Italia settentrionale e forse sulle coste della Francia e della Spagna; anche per alcuni vasi rinvenuti in Grecia è stata ipotizzata una provenienza dall’Italia peninsulare “appenninica”. Con la fase del Subappenninico si ha il definitivo abbandono di molti dei centri sorti durante i periodi Preappenninico e A. Antico, mentre sembrano prosperare quasi tutti quelli fondati durante l’A. Recente e ne sorgono nuovi; numerose sono le importazioni di ceramica del Miceneo IIIB e C1. Gli insediamenti, posti quasi sempre nei pressi di uno o più corsi d’acqua, sono costituiti da capanne o “case” circolari, ovali, rettangolari o quadrate (a volte provviste anche di un avancorpo), più spesso poggianti su di un semplice battuto, ma a volte invece scavate nella roccia. Gli usi funerari attestati mostrano che il passaggio dal rito dell’inumazione – sia collettiva, in grotte artificiali o naturali e in tumuli monumentali, sia singola, in monumenti megalitici dolmenici e in ipogei – al rito dell’incinerazione avvenne con gradualità e non in modo uniforme in tutte le regioni.
U. Rellini, Le stazioni enee delle Marche di fase seriore e la civiltà italica, in MonAnt, 34 (1932), pp. 129-282.
R. Peroni, Per una definizione dell’aspetto culturale “subappenninico” come fase cronologica a sé stante, Roma 1959.
S.M. Puglisi, La civiltà appenninica, Firenze 1959.
M.A. Fugazzola Delpino, Testimonianze di cultura appenninica nel Lazio, Firenze 1976.
L’età del bronzo in Italia nei secoli dal XVI al XIV a.C. Atti del Convegno Internazionale (Viareggio, 26-30 ottobre 1989), Firenze 1992.
di Giovanni Lilliu
Cultura che prende il nome dal villaggio (regione del Logudoro, prov. di Sassari) presso il quale, in località Corona Moltana, fu rinvenuto nel 1889 un ipogeo con materiali archeologici caratteristici.
Quella di B. è infatti una cultura riferita alla prima e alla seconda età del Bronzo, distinta in due periodi, B. I e B. II o Sub-B., l’uno con datazione dal 1800 al 1550 a.C. e l’altro dal 1550 al 1300 a.C. A sua volta B. II viene suddiviso in due sottoperiodi, corrispondenti al Bronzo Medio (BM) I (1550-1450) e al BM II (1450-1300 a.C.). Per B. I (Bronzo Antico, BA) si ha una datazione 14C da una abitazione a Funtana ‘e Casu - Sa Turricola (Muros): 1510±50 a.C. Più recenti e meno infrequenti le date radiocarboniche di materiale organico di B. II: 1460±200 a.C. di Su Nuraxi (Barumini), 1390±50 a.C. dell’area M del nuraghe Ortu Comidu (Sardara), 1300/1270±70 a.C. del nuraghe Pitzinnu (Posada).
L’aspetto più remoto della cultura di B. emerge con maggiore presenza nell’Algherese - Sassarese nel Nord-Ovest e nel Sulcis-Iglesiente nel Sud-Ovest. Persistono, anche se con interventi innovativi, le forme tombali originatesi nelle precedenti culture neo-eneolitiche. Nel Sassarese e nel Goceano si contano 33 ipogei caratterizzati dalla comparsa, sul fronte di roccia, d’uno spartito architettonico a disegno di stele arcuata nel mezzo e di esedra con bancone alla base, che trovano il simile in costruzione nelle cosiddette “tombe dei giganti”. Altro particolare lo costituisce un rialzo, alla sommità dello spartito, nel quale sono scolpiti tre incavi contenenti piccoli betili, conservati ancora nell’ipogeo VII di Sos Furrighesos (Anela). Altra forma di sepolcro è la cosiddetta tomba dei giganti, che rappresenta l’evoluzione della “cista” dolmenica e della allée couverte eneolitica, quale si osserva, con l’evidenza dell’incorporazione delle antiche strutture nelle nuove, nelle tombe di giganti di Cuaddu de Nixias (Lunamatrona), Li Lolghi e Su Coddu Vecciu (Arzachena) e Su Monte de s’Ape (Olbia). È questo il momento nel quale entra nella scena architettonica, come nel paesaggio della Sardegna, il nuraghe, che si presenta nelle forme iniziali del nuraghe cosiddetto “a corridoio” e del protonuraghe. In tema di prodotti materiali, la cultura di B. I presenta scarsa industria litica, nella quale si distingue il brassard (bracciale da arciere) di tradizione campaniforme (beaker). Si riconoscono, nella ceramica, una quindicina di forme, generalmente lisce tranne poche eccezioni con ornato in stile campaniforme. Tripodi e recipienti con ansa a gomito con prolungamento asciforme sono associati, in qualche caso, con bicchieri campaniformi. Nell’insieme si osserva una certa rispondenza formale e stilistica alla ceramica della cultura di Polada I. È presente il metallo (rame, bronzo, argento) di cui sono costituiti almeno una quarantina d’oggetti (pugnali, pugnaletti, lesine), che trovano riscontro in Polada I, in esemplari calcolitici del Gard e dell’Aude, in altri protoenei della cultura iberica di El Argar e in quelli delle culture centro-europee di Adleberg e Straubing. Gli oggetti d’ornamento sono sia in argento, rame e bronzo, sia ricavati da valve di molluschi e denti e ossa d’animali. Degli ultimi tempi di B. I sono accette a margini rialzati e il ricco insieme di spade, daghe e pugnali in lega di rame arsenicale, che corredava i guerrieri sepolti nell’ipogeo di Sant’Iroxi (Decimoputzu). È durante il periodo del B. II (BM) che vigoreggia, diffondendosi nel territorio, l’erezione dei nuraghi ormai definiti nella forma classica, ma soltanto come torre semplice. Le poche dimore rilevate sono costruite in muratura, a vano rotondo con integrazione di legno e frasche nella copertura, intonacata all’interno con fango rappreso nel quale sono rimaste le impronte della stramaglia (Trobas - Lunamatrona, Faurras - Villamàr: BM II). Una quindicina di tombe di giganti possono sicuramente ritenersi usate nel B. II, alcune già costruite e funzionanti nel B. I, altre di nuova fattura che si distinguono per l’aspetto curato delle strutture murarie (Domu S’Orku di Siddi, S’a Grotta di Santu Giuanni a Gonnosfanadiga). Si seppellisce pure in grotticelle artificiali di tempi ormai lontani (neo- eneolitici e del BM I). Nel BM II, nella caverna Pirosu (Santadi), si attivò il più remoto luogo di culto di età nuragica testimoniato da un gruppo di vasi di offerta alla divinità ctonia.
È notevole la quantità di ceramiche, trovate in abitati, nuraghi, tombe megalitiche e luoghi di culto. Il prodotto evolve in qualità e si coglie un ritorno alla decorazione. Nella classe inornata si osservano pithoi, orcioli, ciotole e tazze, coppe, bicchieri, piatti e spiane. Spiccano i vasi-contenitori a tesa interna con ornato a punteggiato o a costole e quelli biconici o cilindrici con nervature. Tutta la produzione, liscia e decorata è di fattura locale; verso la fine del BM appaiono le ceramiche d’importazione micenea. Si tratta di una kylix dipinta, vicina al Rhodian Pictorial Style (Tardo Elladico, TE, IIIA 2, XIV sec. a.C.), rinvenuta nella grotta naturale del Guano (Pozzomaggiore) e di un alabastron (Furumark Shape 94), contemporanea alla kylix, dal nuraghe Orrubiu (Orroli). Tra gli oggetti di lusso, si distingue il frammento di applique d’avorio a forma di testa di guerriero con elmo e denti di cinghiale, dal villaggio di Mitza Purdia (Decimoputzu), del TE/Tardo Miceneo IIIA 2 (1400-1340 a.C.).
G. Lilliu, La civiltà dei Sardi dal Paleolitico all’età dei nuraghi, Torino 1988, passim.
G. Ugas, La tomba dei guerrieri di Decimoputzu, Cagliari 1990.
L. Vagnetti, L’alabastron miceneo, in F. Lo Schiavo - L. Vagnetti, Alabastron miceneo del nuraghe Arrubiu di Orroli, in RendLinc, ser. 9, 4, 1 (1993), pp. 121-48.
di Raffaele Carlo De Marinis
Termine utilizzato in passato per designare la civiltà della tarda età del Bronzo in gran parte dell’Europa, caratterizzata dall’adozione del rito funerario della cremazione con raccolta delle ossa combuste entro un’urna cineraria, in genere fittile, chiusa da una ciotola capovolta o da una lastrina di pietra e de-posta in una semplice buca scavata nel terreno. Queste tombe formavano degli estesi campi di urne da cui deriva il nome attribuito alla cultura.
In seguito prevalse la concezione che elemento fondamentale di questa cultura non fosse tanto il rito funerario quanto una caratteristica decorazione a scanalature e bugne coniche della ceramica, spesso dalla superficie lucente e di aspetto quasi metallico; l’origine di questa “volontà formale” veniva rintracciata nell’area lusaziana, tra l’Elba e la Vistola, da dove si sarebbe diffusa verso i Balcani, l’Italia, la Germania meridionale e la Francia. La diffusione della ceramica lusaziana, che espandendosi avrebbe dato luogo a diverse varietà della cultura dei C.d.U. per assimilazione dei substrati locali, veniva più o meno strettamente ricollegata alle migrazioni dei popoli illirici, italici e celtici verso le rispettive sedi storiche. L’espansione di gruppi della cultura dei C.d.U. in direzione della Grecia, dell’Anatolia e del Vicino Oriente sarebbe stata responsabile di un periodo di crisi e di instabilità, che avrebbe condotto alla fine della civiltà micenea e dell’impero hittita e alla cosiddetta “invasione” dei Popoli del Mare in Egitto. Questa concezione, in auge soprattutto nel periodo tra le due guerre mondiali, è stata completamente abbandonata e il significato del termine C.d.U. viene ormai utilizzato per indicare soltanto una determinata cultura archeologica dell’Europa centrale, o meglio un gruppo di culture tra loro affini, escludendo la cultura lusaziana, quelle dello spazio carpato-balcanico, anche se incineratrici (Piliny, Gava -Pecica, Dubovac - Žuto Brdo, Cirna - Girla Mare), e dell’Italia (culture di tipo protovillanoviano), la cultura nordica e le culture a urne delle Isole Britanniche.
Nell’ambito del territorio centro-europeo subito a nord delle Alpi si individuano una sfera orientale dei C.d.U. comprendente il gruppo boemo-bavarese (culture di Knovíz e Milavče), il gruppo medio-danubiano (culture di Baierdorf - Velatice - Vál) e quello di Umstrut nella Turingia e una sfera occidentale, comprendente la cosiddetta süddeutsche Urnenfelderkultur (gruppo tirolese o di Hötting - Morz, i campi di urne dell’alta Baviera, da Riegsee a Kelheim, il gruppo Unter Main - Schwaben con numerose varianti) e il vasto gruppo denominato Reno - Svizzera - Francia orientale, articolato in diverse unità (Yonne - Seine, Saint-Gond, Haguenau, stazioni palafitticole dei laghi nordalpini).
La cultura dei C.d.U. ha avuto una durata di circa cinque-sei secoli. La periodizzazione in uso nell’Europa centrale, stabilita per la prima volta da P. Reinecke e poi perfezionata da H. Müller-Karpe, comprende una fase iniziale (Bronzo D, XIII sec. a.C.), un periodo antico (Hallstatt [Ha] A1, XII sec. a.C. e Ha A2, XI sec. a.C.), un periodo tardo (Ha B1, X sec. a.C., Ha B2, IX sec. a.C., Ha B3, VIII sec. a.C.). La tripartizione dell’Ha B operata da H. Müller-Karpe non è condivisa dalla maggior parte dei ricercatori, che riconoscono solo due fasi, Ha B1 (X sec. a.C.) e Ha B2 (IX e inizi VIII sec. a.C.), corrispondente all’Ha B3 di H. Müller-Karpe. In Francia le stesse fasi cronologiche sono denominate Bronzo Finale I, II-a, II-b, III-a e III-b. Recentemente, grazie anche alle datazioni dendrocronologiche rese possibili da numerosi abitati palafitticoli, si è tornati a una tripartizione del periodo Ha B, ma con significati differenti rispetto a quelli originari: Ha B1, seconda metà dell’XI sec. a.C.; Ha B2, fine XI, X sec. a.C.; Ha B3, IX sec. a.C. La ricerca archeologica degli ultimi decenni ha dimostrato che quasi ovunque la diffusione della cultura dei C.d.U. è frutto di un’evoluzione locale dalla precedente cultura dei Tumuli della media età del Bronzo. La ricerca più recente si è concentrata maggiormente sui fenomeni di carattere economico e sociale che contraddistinguono l’età dei C.d.U. I ritrovamenti archeologici documentano in modo chiaro una grande espansione dell’areale insediativo, una moltiplicazione degli abitati e quindi un incremento demografico di notevoli proporzioni, attestato anche dalle dimensioni delle necropoli, che possono contare diverse centinaia di tombe. Un altro dato evidente è lo spettacolare aumento della produzione metallurgica. Lo sviluppo dell’agricoltura è ben documentato dalle analisi polliniche che indicano quasi ovunque una marcata deforestazione e l’aumento dei cereali e dalle analisi pedologiche condotte nella Repubblica Ceca, in Slovacchia e nella Germania orientale, che hanno messo in luce per questo periodo una fase di più rapida formazione dei suoli come conseguenza di una più intensa attività agricola. In ambito continentale si diffuse la coltivazione del miglio, resistente alla siccità, e verso la fine del periodo quella della segale, che si adatta a climi freddi e umidi.
Al di là della peculiarità delle singole culture, si realizza in questo periodo una notevole omogeneità culturale dell’Europa, specialmente a livello delle élites sociali. L’immagine di una società scarsamente differenziata e quasi egualitaria è stata a volte erroneamente tratta dalle necropoli dei C.d.U., uniformi per la struttura e per il corredo funerario. In realtà tombe che si staccano dalla norma per la struttura, la posizione topografica separata dai cimiteri della gente comune, il ricco corredo con armi, servizi per bere in ceramica e metallo, a volte anche con carri a quattro ruote e determinati aspetti del rito funerario, si incontrano frequentemente, a testimonianza del fatto che le gerarchie sociali, già presenti nelle precedenti epoche del Bronzo Antico e Medio, continuano a esistere, anzi si rafforzano ulteriormente. La fabbricazione di vasellame metallico e di un armamento difensivo di lusso, da parata, testimonia di per sé l’esistenza di uno strato sociale egemone. Nel gruppo mediodanubiano sono state scoperte tombe che possono definirsi principesche o reali, come quelle di Čaka e di Očkov. La società europea dell’età dei C.d.U. appare caratterizzata da comunità tribali dominate da capi il cui potere, secondo alcuni autori (P. Brun, K. Kristiansen, ecc.), si fondava essenzialmente sul controllo della rete degli scambi delle materie prime e di beni rari e preziosi. Secondo altri autori (J. Bintliff, A. Gilman), tale controllo sarebbe stato piuttosto la conseguenza del potere raggiunto dall’aristocrazia barbarica grazie al possesso del bestiame e degli schiavi e al controllo delle terre coltivabili. Nell’età dei C.d.U. la guerra sembra divenire un fattore essenziale, come dimostrano l’enorme aumento nella produzione di spade e lance e il moltiplicarsi di abitati fortificati a difesa dello stoccaggio dei cereali e dei metalli.
W. Kimmig, Die Urnenfelderkultur in Baden, Berlin 1940.
H. Müller-Karpe, Beiträge zur Chronologie der Urnefelderzeit nördlich und südlich der Alpen, Berlin 1959.
G. von Merhart, Hallstatt und Italien, Mainz a.Rh. 1969.
P. Brun, La civilisation des Champs d’Urnes. Étude critique dans le bassin parisien, Paris 1986.
E. Plesl - J. Hrala (edd.), Die Urnefelderkulturen Mitteleuropas, Praha 1987.
S. Hochuli - U. Niffeler - V. Rychner (edd.), Die Schweiz vom Paläolithikum bis zum frühen Mittelalter, III. Bronzezeit, Basel 1998.
di Sebastiano Tusa
Cultura dell’antica età del Bronzo che prende il nome dalla località eponima all’estremità orientale dell’isola di Filicudi, nell’arcipelago delle Eolie.
L’insediamento si concentra principalmente in due nuclei distinti: più recente quello sito sulle balze cacuminali del piccolo promontorio della Montagnola di Capo Graziano, più antico l’altro sulla sella (Piano del Porto, Filo Braccio e Case Lopez) che collega quest’ultima al resto dell’isola. L’insediamento della Montagnola di Capo Graziano era costituito da capanne circolari tendenti all’ovale. La fattura dei muri perimetrali è accurata anche per l’uso di blocchetti al posto di pietrame informe, nonché per la frequenza della peculiare struttura muraria di affinità egea a “lisca di pesce”. I battuti pavimentali sono anch’essi di affinità egea, poiché spesso ricoperti di frammenti ceramici e leggermente ribassati rispetto al suolo esterno.
La fase più antica della facies di C.G. è caratterizzata da una ceramica a pareti sottili e superficie levigata, lucida e nera. Tra le forme più frequenti si annoverano le ollette e le scodelle carenate, le tazze-attingitoio e gli orci globulari. La decorazione, esclusivamente incisa, non eccessivamente diffusa, è formata prevalentemente da motivi lineari isolati e da cordoni plastici taccheggiati. Le ceramiche della seconda fase presentano una maggiore incidenza della classe d’impasto grossolano a superfici brune mal levigate, o d’impasto fine, a superficie lucida.
L’industria litica è abbondante e quasi totalmente costituita da lame d’ossidiana. Tracce di questa facies sono state identificate anche nelle altre isole dell’arcipelago eoliano: a Lipari nella contrada Diana, sull’acropoli e in fondo al mare presso Pignataro, a Panarea, alla Calcara, a Salina nel villaggio del Serro dei Cianfi, ad Alicudi nell’insediamento di contrada Fucile e a Stromboli, infine, nei due insediamenti di Pianicelli, a nord di Ginostra e presso la chiesa di S. Vincenzo.
I collegamenti a medio raggio con Malta, Sicilia e penisola si inquadrano nel più vasto fenomeno dei contatti che le genti eoliane intrattennero con l’Egeo, come provano le ceramiche micenee databili fra il Mesoelladico e il Miceneo I, II e IIIA rinvenute quasi esclusivamente nei contesti seriori della cultura di C.G. Secondo L. Bernabò Brea, esisterebbero forti legami tipologici tra le ceramiche eoliane e quelle della Grecia continentale databili tra il Protoelladico III e l’inizio del Mesoelladico (principalmente quelle rinvenute presso l’Altis di Olimpia), tali da far ritenere la facies di C.G. come il prodotto dell’immigrazione degli Eoli menzionati nelle fonti che, oltre a occupare la pianura di Metaponto, diedero il nome all’arcipelago. In base a questo ragionamento, la genesi della cultura di C.G. viene rialzata alla fine del III millennio a.C. (inizi del Protoelladico III).
L. Bernabò Brea - M. Cavalier, Meligunis Lipara, III. Stazioni preistoriche delle isole Eolie. Panarea, Salina, Stromboli, Palermo 1968.
Iid., Meligunis Lipara, VI. Filicudi. Insediamenti dell’età del Bronzo, Palermo 1992.
di Sebastiano Tusa
Tipica produzione ceramica che prende nome dalla località nell’entroterra di Noto indagata da P. Orsi alla fine dell’Ottocento.
Diffusa in gran parte della Sicilia tra la fine del III e la prima metà del II millennio a.C., come evidenziato anche da alcune datazioni radiometriche dal sito della Muculufa, è caratterizzata da forme peculiari, quali la coppa su alto piede o a “clessidra” e l’anfora con anse soprelevate e da una decorazione dipinta in bruno-nerastro, con motivi geometrici e lineari.
Una delle aree più densamente costellata di presenze castellucciane è l’estremità sud-orientale dell’isola. La presenza di insediamenti è sempre indiziata da più o meno numerosi gruppi di tombe rupestri. I corredi tombali sono generalmente omogenei, anche per la pratica frequente di riaprire il sepolcro per successive inumazioni e comprendono vasi, ornamenti e industria litica. L’industria litica è in genere di tipo Campignano, anche se forte è l’incidenza di semplici lame che si trovano anche nei corredi tombali presso il capo dei defunti di sesso maschile.
Tra i complessi insediamentali più noti si ricordano, in territorio di Comiso, quelli di Monte Sallia - Monte Tabuto da mettere in relazione anche con lo sfruttamento dei filoni selciferi, e quello di C., caratterizzato da ampie capanne absidate. Taluni insediamenti, come quelli di Thapsos e Petraro di Melilli, erano muniti di muro di cinta con torri semicircolari; quello di Monte Grande in territorio di Palma di Montechiaro, caratterizzato da grandi recinti, ha restituito ceramiche d’importazione egea e cipriota. L’unico villaggio castellucciano interamente scavato è quello di Manfria presso Gela, dove una capanna centrale ovale, più grande delle circostanti, doveva servire come luogo di riunione per i capi-villaggio o come vera e propria abitazione del capo-tribù.
Una parte, minoritaria, di tale cultura appare proiettata all’esterno, come testimoniano la presenza di materiali importati e oggetti esotici quali i famosi ossi a globuli, il pomello di spada da Monte Sallia o i piccoli gioghi di bilancia in bronzo e di particolari costumanze funerarie (enchytrismòs a San Papino e Boccetta nel Messinese). Il tipo di tomba che si ripete in centinaia di esemplari da un luogo all’altro dell’isola è quello a semplice grotticella ogivale con fondo piatto, scavata nella roccia non più dall’alto, come nel periodo precedente, bensì da una parete più o meno verticale. Talvolta la tomba aveva un piccolo vestibolo o antecella. In pochi casi i prospetti esterni erano arricchiti da pilastri scolpiti in modo da dare l’impressione di un porticato che inquadrava l’ingresso del sepolcro (C., Cava Lazzaro). In tre casi, tutti localizzati nel sito eponimo di Castelluccio, i sepolcri erano chiusi da lastre scolpite simboleggianti, con linguaggi diversi, l’atto sessuale. In queste raffigurazioni, come nei prospetti scolpiti, si trovano significativi elementi di contiguità stilistica, ma probabilmente anche di contenuto, con le realizzazioni della grande civiltà megalitica maltese, caratterizzata dai templi di Tarxien, Mnaidra, ecc. A Malta (facies di Tarxien Cemetery) riportano anche numerosi frammenti ceramici rinvenuti sia a Castelluccio sia in altri insediamenti della costa sud-orientale della Sicilia.
P. Orsi, La necropoli sicula di Castelluccio (Siracusa), in BPI, 18 (1892), pp. 1-94.
R.R. Holloway, Scavi archeologici alla Muculufa e premesse per lo studio della cultura castellucciana, in Atti della II giornata di studi sull’archeologia licatese e della zona della bassa valle dell’Himera (Licata, 19 gennaio 1985), Palermo 1986, pp. 69-81.
G. Castellana, Un decennio di ricerche preistoriche e protostoriche nel territorio agrigentino, Palermo 1990.
S. Tusa, Castelluccio (Siracusa), in A.M. Bietti Sestieri - M.C. Lentini - G. Voza (edd.), XIII International Congress of Prehistoric and Protohistoric Sciences (Forlì, 8-14 September 1996), Forlì 1995, pp. 331-37.
di Šime Batović
Cultura che prende il nome dall’omonimo fiume e dal villaggio alle sue sorgenti dove sono stati scoperti i più ricchi reperti nei numerosi tumuli scavati da Marović dal 1953 al 1968. Si estende nella parte centrale del litorale adriatico orientale, in Dalmazia, Erzegovina e nella Bosnia sudorientale e si è sviluppata sulla base delle tradizioni locali del tardo Neolitico, assumendo alcuni aspetti della cultura contemporanea di Vinkovci, in particolare i pugnali di bronzo. C. rappresenta la più importante cultura dell’antica età del Bronzo sulla sponda orientale dell’Adriatico. Alcuni tra i siti più importanti sono Cetina, Čitluk, Obrovac presso Sinij, Bajagić, Èkarin Samograd, Podrovšje presso Ražanac, Ervenik, Vrsi, Zaton presso Nin, Dragovija, presso Vid (Narona), le grotte di Grabak e Marco (Grapceva e Markova spilja) nell’isola di Hvar (Lesina), la grotta di Gudnja presso Ston in Dalmazia, la grotta di Ravlić, Velika gradina a Varvara nell’Erzegovina occidentale, Gradac a Kotorac presso Sarajevo oltre a diversi tumuli nel territorio di Glasinac in Bosnia. È divisa in tre fasi e in alcune varianti locali riconosciute in Dalmazia, in Erzegovina (Posusje) e in Bosnia.
L’economia si basava sull’allevamento del bestiame. I morti venivano prevalentemente sepolti in tumuli di pietra. Era anche praticata la cremazione dei defunti i cui resti venivano deposti all’interno di urne. Questa è, d’altra parte, l’unica cultura con cremazione nella preistoria della Dalmazia.
Nella I fase di questa cultura appare evidente l’eredità del tardo Neolitico e in modo particolare quella della tarda cultura di Vučedol nonché della cultura dei Vasi Campaniformi e cominciano a formarsi elementi generici e propri della cultura di C.
Nella II fase prevalgono le caratteristiche particolari e specifiche di questa cultura che si manifesta nella ceramica riccamente decorata.
Nella III fase la cultura degenera e si impoverisce; appaiono singoli elementi che si svilupperanno in seguito, come le anse a forma di lingua o di ascia, la decorazione a solcature, ecc. Alcuni elementi di questa cultura, ad esempio alcuni recipienti ceramici, venivano esportati nell’Italia meridionale, come dimostrano le tombe scoperte a Laterza. In base al numero dei tumuli esplorati a Cetina e Čitluk si può calcolare che il loro diametro variasse da 3 a 28 m, e la loro altezza da 30 cm a 3,4 m. Di solito si trovano in gruppi da tre a dieci, talora anche fino a venti e talvolta più tumuli in una stessa località. All’interno di ogni tumulo si trovavano da 1 a 4 sepolture.
A Cetina e Čitluk prevalgono tumuli con incinerazione (50) su quelli con inumazione (21), ma in altre località sono contemporaneamente presenti entrambi i rituali, con una prevalenza dell’inumazione.
I. Marović, Rezultati dosadaènjih istraživanja kamenih gomila oko vrela rijeke Cetine u god. 1953, 1954, 1958, 1966, 1968 (Résumé: Les résultats des fouilles dans les tumuli autours de la source du fleuve Cetina en 1953, 1954, 1958, 1966 et 1968), in Materijali XII Saveza arheologije druètava Jugoslavije, IX Kongres arhheologie Jugoslavije 1972, Zadar 1976, pp. 55-75.
Id., Istraživanja kamenih gomila cetinske kulture u srednjoj Dalmaciji (Zusammenfassung: Die Erforschung der Steinhugel der Cetinakultur in Mitteldalmatien), in Vjesnik za arheologiju i historiju Dalmatinsku 84, Split 1991, pp. 15-214.
di Šime Batović
Nome che deriva dalle più importanti località della Iugoslavia nord-orientale: Dubovac, presso Kovin in Vojvodina e Žuto Brdo a Usje nella Serbia settentrionale.
È diffusa nella regione danubiana serba e nella Vojvodina sud-orientale. Le sue varianti locali si estendono lungo il Danubio, nelle regioni danubiane rumena e bulgara, per cui in Romania (Oltenia sudoccidentale) viene chiamata Ghirla Mare, mentre nella Bulgaria nord-occidentale si chiama Novo Selo ovvero Orsoa. S. Morintz nel 1978 propose di dare il nome a tutto il complesso Žuto Brdo - Ghirla Mare.
La cultura di D.-Z.B. rappresenta la media e tarda età del Bronzo (Reinecke Br. B-D, Ha A) ed è caratterizzata da una ceramica incrostata di eccezionale valore estetico nonché dalla ricca coroplastica.
Gli abitati sono situati sui terrazzi fluviali del Danubio e dei suoi vari affluenti, con abitazioni a forma di capanne rettangolari sopraelevate costruite con pali e intrecci vegetali. Le necropoli sono conosciute in modo più approfondito. Era praticata la cremazione. Nei corredi tombali è frequente la ceramica decorata con figure di uccelli o umane, mentre gli oggetti di metallo sono assai rari. Sono ben conosciuti i ricchi e vari ornamenti rappresentati sulle statuette, come collane e pendagli; i corredi risultano inoltre caratterizzati dalla presenza di pugnali di bronzo, asce da combattimento e asce a cannone. Si trovano inoltre ornamenti d’oro quali pendagli, anelli, perle, ecc. La produzione ceramica è rappresentata da ciotole coniche e biconiche, piccoli vasi profilati, bicchieri con anse cornute, vasi a doppio tronco, piedistalli cilindrici simili a quelli del gruppo di Vatin; frequenti risultano inoltre i vasi zoomorfi.
La plastica costituisce la parte più importante di questa cultura. Le figure antropomorfe si dividono in due tipi principali: quelle stilizzate e quelle a testa di uccelli. Le figure maschili sono stanti con le braccia conserte sul petto, in abiti dalla gonna a campana. Sono caratterizzate per la ricchezza della decorazione figurativa degli abiti e degli ornamenti, accanto al disco solare e alla svastica. Alcune figure sono poste su carretti decorati con protomi di uccelli.
In generale questa cultura viene inclusa nel complesso della ceramica incrostata dell’area pannonica, che si sviluppa a partire dagli inizi dell’età del Bronzo.
M.M. Vasić, Žuto brdo, Starinar N.R. II, Beograd 1907.
V. Trbuhović, Plastika vršačko-žutobrdske grupe [La plastica del gruppo Vršač-Žuto Brdo], Starinar, n.s. 7-8 (1956-57).
M. Garašanin, Dubovačko-žutobrdska grupa [Il gruppo Dubovac-Žuto Brdo], in Praistorija jugoslavenskih zemalja, IV. Bronzano doba [Preistoria delle regioni iugoslave, IV. Età del Bronzo], Sarajevo 1983, pp. 520-35.
B. Čović, Zaključna razmatranja [Osservazioni conclusive], ibid., pp. 807-29.
di Dirce Marzoli
Cultura dell’antica e media età del Bronzo nel Sud-Est della Penisola Iberica, che deriva il nome dal giacimento di El Argar, situato presso Antas (prov. di Almería), scoperto e scavato negli anni Ottanta dell’Ottocento dai fratelli L. e H. Siret, alla cui intensa attività archeologica svolta nelle province di Almería e Murcia si deve la conoscenza dei giacimenti della cultura argarica tutt’ora più importanti, come Fuente Alamo, Gatas, El Oficio, Lugarico Viejo, Fuente Vermeja, Ifre e Zapata.
M. Tarradell ha definito i limiti geografici della cultura di E.A., che comprendono le provincie di Almería e Murcia e parti di quelle di Alicante, Granada, Jaen e Ciudad Real.
Il centro si trova nel bacino di Vera (prov. di Almería). I giacimenti, la cui estensione varia da 1, 2 a 3 ha, sono situati in cima a ripide colline, eccezionalmente anche nei fondovalle, sempre nelle immediate prossimità di sorgenti e fiumi e nei dintorni delle zone metallifere più ricche della Penisola Iberica. I giacimenti periferici, come Cerro de la Encina, Cuesta del Negro, Penalosa, sono muniti di fortificazioni; Fuente Alamo ed El Officio sono provvisti di cisterne e Gatas di postierle. I defunti venivano sepolti negli abitati stessi, al di sotto dei pavimenti o nei pressi delle case. Durante la fase più antica predominano tombe a camera e a cista, in un momento più avanzato vengono invece utilizzati dei pithoi. Le deposizioni sono singole, doppie (uomo e donna o donna e bambino), eccezionalmente anche triple (uomo, donna e bambino). I corredi tombali rispecchiano un’accentuata stratificazione sociale e permettono una suddivisione cronologica di E.A. in una fase A (2000/1900-1650/1600 a.C.) e in una fase B (1650/1600-1400/1350 a.C.), proposta da B. Blance e poi accettata anche da altri. La ceramica è standardizzata e caratterizzata da coppe e forme carenate con una superficie lucida. Il fattore prevalente dell’economia della cultura di E.A. è la metallurgia, principalmente dell’argento e del rame, seguita dall’agricoltura con coltivazioni di legumi e cereali.
E. Siret - L. Siret, Les Premiers Ages du Metal dans le Sud-Est de l’Espagne, Antwerpen 1887.
V. Lull, La “Cultura” del El Argar. Un modelo para el estudio de las formaciones economico-sociales prehistoricas, Madrid 1983.
O. Arteaga, Tribalizacion, jerarquizacion y estado en el territorio de El Argar, in Spal, Revista de Prehistoria y Arqueologia de la Universidad de Sevilla, 1 (1993), pp. 179- 208.
di Šime Batović
Cultura che prende il nome dall’omonimo altopiano nella Bosnia sud-orientale, dove sono stati individuati 54 castellieri e 100 giacimenti con circa 4200 tumuli. Il suo sviluppo, articolato in cinque fasi, copre un arco cronologico ampio, compreso tra l’età del Bronzo (fasi I-III) e l’età del Ferro (fasi IV-V). All’interno dei tumuli i defunti venivano sepolti in posizione distesa e accompagnati da un corredo di ornamenti.
La I fase (inizi età del Bronzo) è caratterizzata dalla presenza di asce-martelli da guerra e pugnali di bronzo. Nella II fase (media età del Bronzo) troviamo spilloni, bracciali, collane con ricca decorazione geometrica, diademi con punte a spirale, pendagli a occhiali con centro tabulare, tutti di bronzo. Nella III fase (Bronzo Recente e Finale), che va dal XIII al IX secolo, aumenta la densità della popolazione e la cultura è caratterizzata dalla presenza di fibule ad arco di violino, spilloni a forma di clava, collane assai larghe, dischi ornamentali decorati con motivi geometrici, bracciali costolati, pendagli a occhiale con centro tubulare, torques, fibule ad arco con piede triangolare.
Durante le due ultime fasi la cultura di G. si è ormai diffusa su tutta la Bosnia orientale, la Serbia occidentale, il Montenegro settentrionale. Intensi sono in questo periodo i rapporti commerciali con la Grecia e con l’Italia. È questa l’epoca in cui alcuni tumuli assumono una tale ricchezza da essere denominati principeschi. A partire dalla fine del VI secolo venne praticata la incinerazione e nel corredo funebre compaiono anche le armi. La IV fase, sviluppatasi dall’800 al 500 a.C., si distingue per le fibule ad arco con due ingrossamenti di tipo dalmatico, fibule ad arco con due occhi e il piede triangolare o quadrangolare, fibule con staffa a forma di scudo beotico, fibule a disco, fibule ad arco crestato, a occhiali di ferro, ganci di cinturone a disco, grossi bracciali con punte trasbordate, torques, diademi, spilloni, spade rettilinee o ricurve, coltelli, lance, asce, vasi di bronzo e, in ceramica, bicchieri con due anse e decorati con solcature verticali e ciotole emisferiche con solcature trasversali.
All’inizio della V fase, compresa tra il 500 e il 250 a.C., venne importata la ceramica greco-italica e sono presenti vasi di bronzo, elmi di tipo greco-illirico, fibule costolate con staffa trapezoidale, fibule ad arco con staffa quadrangolare, fibule di tipo Certosa e La Tène I, braccialetti con decorazione a sbalzo e braccialetti con teste di serpenti.
Š. Batović, Osvrt na područje Dubrovnika u prapovijesti (Rückblick auf das Gebiet von Dubrovnik in der Urgeschichte), in Arheološka istraživanja u Dubrovniku i dubrovačkom području, Dubrovnik 1984, Zagreb 1988, pp. 51-77.
di Enrico Pellegrini
Facies della media età del Bronzo (XIV e XIII sec. a.C.) presente sulla costa nord-orientale della Sicilia e nelle isole Eolie, definita da L. Bernabò Brea e M. Cavalier sulla base delle indagini condotte sul promontorio di Capo Milazzese nell’isola di Panarea.
La cultura del M., analogamente a quanto si verifica nella coeva cultura di Thapsos diffusa sulla costa orientale della Sicilia, con la quale sono attestati stretti contatti, si caratterizza per la presenza di importazioni ceramiche di tipo Miceneo IIIA e IIIB. Relativamente alle strutture abitative, l’insediamento nel sito eponimo di Panarea mostra un fitto addensamento di capanne a pianta prevalentemente ovale con muretto di ciottoli (circa 50 unità), situate nella parte centrale del promontorio e raggruppate intorno a una struttura a pianta rettangolare con i muri perimetrali accuratamente realizzati (capanna XVI). Altre testimonianze abitative sono note sull’acropoli di Lipari, nel villaggio di Portella a Salina, e in quello della Montagnola di Filicudi, dove le strutture del M. si sovrappongono a quelle della precedente cultura di capo Graziano. Il rito funerario è quello dell’inumazione entro pithoi o grandi anfore (enchytrismòs) adagiate sul suolo, documentato a Milazzo, a Messina, ma per il momento non attestato nell’arcipelago eoliano.
La produzione metallurgica è quasi completamente assente, mentre ben documentata appare la produzione vascolare, che annovera, analogamente a Thapsos, grandi coppe e bacili su alto piede a tromba e, inoltre, brocche e bottiglie a corpo ovoidale con grande ansa a nastro verticale. La decorazione è, per lo più, incisa, ma è attestata anche una serie di segni (ca. 200) per i quali è stata avanzata l’ipotesi di marcatore numerico o di proprietà. Nell’ambito della produzione fittile sono anche attestati corni, ganci fittili a una o più punte e idoletti. L’aspetto più dinamico della cultura del M. è attestato dalle importazioni delle ceramiche micenee insieme a quelle della cultura Appenninica dell’Italia continentale. L’abitato di Panarea mostra i segni di una distruzione violenta, che sancisce la fine dell’occupazione dell’isola fino al periodo storico.
L. Bernabò Brea - M. Cavalier, Meligunís Lipára, IV. L’acropoli di Lipari nella preistoria, Palermo 1980.
S. Tusa, La Sicilia nella preistoria, Palermo 1983, pp. 425-42.
di Enrico Pellegrini
Facies culturale dell’antica età del Bronzo della Campania, i cui siti sono contraddistinti dall’essere stati sepolti da una stessa eruzione vulcanica, detta delle Pomici di Avellino, intorno al XVIII sec. a.C.
Caratteristica appare la produzione vascolare, già indirizzata verso forme specializzate. Sono presenti tazze carenate, boccali, scodelle con orlo a tesa, i peculiari sostegni a clessidra, calefattoi e, tra le forme più direttamente legate alle attività della produzione primaria, bollitoi per il latte con coperchi e grandi olle; sono attestate inoltre fusaiole discoidali. L’economia era basata sull’allevamento e sui prodotti derivati, oltre che sull’agricoltura.
Le necropoli risultano ancora scarsamente conosciute: era praticata l’inumazione individuale in semplice fossa (S. Pietro-Torre d’Elia). Maggiori informazioni sono disponibili per gli abitati, che assommano ormai a oltre quaranta siti, tra i quali quello eponimo di Palma Campania, Pratola Serra, Monte Fellino, Sarno, ecc.
Nuovi ed eccezionali dati sono recentemente emersi dallo scavo del villaggio di Croce del Papa (Nola), datato 1880-1680 a.C., anch’esso sommerso dall’eruzione del Vesuvio. A oltre 6 m di profondità sono state messe in luce tre grandi capanne che conservavano al loro interno vasi (alcuni dei quali con il loro contenuto: spighe di grano, farina, mandorle ) e suppellettili (ceste di vimini). Le capanne, a pianta rettangolare allungata con un’estremità absidata e l’altra rettilinea, nella quale era situato l’ingresso, erano realizzate con elementi lignei ricoperti di paglia o giunchi; le falde del tetto, in forte pendenza, poggiavano in terra.
All’interno le strutture erano variamente ripartite: la capanna più grande, la n. 4 (lungh. 15,6 x 4,6 m), era suddivisa mediante tramezzi in tre ambienti; quello dell’estremità absidata, nel quale è stato rinvenuto molto vasellame, fungeva da dispensa, mentre in quello centrale, provvisto di forno e piastra di cottura, si doveva svolgere la maggior parte delle attività domestiche.
C. Albore Livadie, Palma Campania (Napoli). Resti di un abitato dell’età del bronzo antico, in NSc, 1980, pp. 59-101.
Id., Nola: la Pompei de la Préhistoire. Recherches en cours sur un site du Bronze ancien détruit par l’éruption des Ponces d’Avellino (3500 B.P.), in J.-P. Raynal - C. Albore Livadie - M. Piperno (edd.), Hommes et volcans. Actes du symposium XVe organisé par la Commission 31 de l’Union des Sciences Préhistoriques et Protohistoriques dans le cadre du XIVe Congrés UISPP (Liège, 2-8 septembre 2001), Clermont-Ferrand 2002, pp. 57-65.
di Isabella Damiani
Cultura diffusa in gran parte dell’Italia settentrionale durante il Bronzo Antico (2300-1700 ca. a.C.), individuata nei depositi archeologici conservati in bacini lacustri, paludosi e torbosi delle vallate alpine e subalpine.
La maggiore concentrazione dei reperti archeologici e dei caratteri tipici della facies è localizzata nel territorio corrispondente all’odierno Trentino, al Veneto occidentale e alla Lombardia orientale. Nel settore orientale del Veneto e nel Friuli, a una complessiva minore densità delle presenze archeologiche fa riscontro una diminuzione dei caratteri tipici della cultura di P. La presenza in quest’area di una produzione vascolare, che mostra stringenti affinità con gli aspetti coevi dell’Austria Inferiore e dell’Ungheria, indica l’esistenza di stretti contatti con le comunità transalpine.
Modalità insediativa caratteristica della cultura di P., come anche delle vallate immediatamente a settentrione dell’arco alpino, è l’occupazione delle sponde e dei bacini di laghi e paludi, ma sono documentati anche insediamenti su rilievo (ad es., Montesei di Serso). Numerose e spesso difficili da ricostruire nei caratteri specifici, certamente legate alle modificazioni ambientali, sono le modalità di realizzazione delle strutture a carattere abitativo e di servizio, a volte su impalcato ligneo, a volte su bonifica con opere di contenimento e difesa dalle acque. Scavi estensivi in numerosi insediamenti (ad es., Fiavè in Trentino) mostrano una continuità di occupazione durante le successive fasi dell’età del Bronzo, che in alcuni casi si dovette attuare, come è stato ipotizzato (ad es., per Ledro), con spostamenti successivi lungo le sponde del lago. Le condizioni ambientali particolarmente favorevoli alla conservazione di resti organici, caratteristiche delle aree torbose, rendono gli insediamenti della cultura di P. (ad es., Mercurago e Ledro) particolarmente ricchi di informazioni sui diversi aspetti dell’economia, grazie alla presenza di manufatti lignei altrimenti non conservati: aratri a uncino di vari tipi, ruote di legno raggiate, piroghe monossili, numerosissimi tipi di recipienti e attrezzi lignei, oltre che tessuti. Caratteristici della facies di P., per quanto riguarda l’aspetto ceramico, sono i boccali e le tazze, talvolta decorati con motivi geometrici, spesso muniti di anse a gomito e, tra i vasi per conservare, le anfore.
Molto numerose sono le testimonianze relative alla produzione metallurgica, innanzitutto con la presenza di forni per l’estrazione del rame, generalmente isolati, talvolta anche all’interno di insediamenti (Montesei di Serso). La diffusione di modelli di manufatti (asce a margini rialzati, pugnali, spilloni) molto simili su distanze molto ampie, che superano i confini stessi della facies di P., ha portato a ipotizzare per questo periodo la massima diffusione degli artigiani itineranti, figure specializzate che si spostavano all’interno di un determinato territorio e risultavano distinte dalla compagine sociale delle diverse comunità. L’importanza della produzione di manufatti di metallo è ben percepibile grazie alla presenza dei ripostigli, gruppi di oggetti di bronzo sepolti intenzionalmente la cui analisi statistico-combinatoria ha anche consentito l’individuazione di orizzonti cronologici in parte correlabili con le sequenze stratigrafiche degli abitati. Sporadicamente è attestata l’utilizzazione dell’oro, con un ornamento presente in una sepoltura femminile della necropoli di Valserà di Gazzo Veronese che riporta all’ambiente nord-alpino.
Non molto numerosi sono i dati relativi all’aspetto funerario, caratterizzato dal rito inumatorio con deposizione rannicchiata su di un lato, in continuità con le attestazioni eneolitiche riferibili alla cultura di Remedello.
R. Peroni, L’Italia alle soglie della storia, Roma 1996.
G.L. Carancini -R. Peroni, L’età del Bronzo in Italia: per una cronologia della produzione metallurgica, Perugia 1999.
di Isabella Damiani
Aspetto archeologico caratteristico delle fasi non avanzate del Bronzo Medio (BM: 1700-1500 a.C. ca.), diffuso nella porzione meridionale della penisola italiana.
Il termine, originariamente utilizzato da F.G. Lo Porto (con la partizione in “P. a” e “P. b”) per indicare le facies dell’area pugliese della prima età dei metalli, ha successivamente identificato le manifestazioni archeologiche dei territori compresi tra le odierne Marche meridionali e il Lazio meridionale a settentrione e la Calabria settentrionale a mezzogiorno.
La cultura del P. non si può considerare una realtà unitaria, mostrando specifiche peculiarità nei modi dell’insediamento, nelle tradizioni funerarie e nella caratterizzazione locale di taluni elementi ceramici; il territorio nella quale è diffusa è caratterizzato dalla condivisione di una tradizione ceramica inornata incentrata, nelle forme da mensa, sulla produzione di tazze con anse con sopraelevazioni nastriformi di varie fogge e di sostegni a clessidra, all’interno del quale è possibile distinguere uno sviluppo diacronico con almeno due orizzonti cronologici. La presenza, nelle aree periferiche del territorio della facies, di elementi ceramici che fanno riferimento a tradizioni culturali diverse, ad esempio la cultura di Capo Graziano nella Calabria settentrionale, indica inoltre la ricchezza e varietà dei rapporti tra comunità limitrofe e l’assenza di netti confini almeno per quanto riguarda il sottosistema espresso dalla produzione ceramica.
Lo sviluppo delle ricerche, in particolare nell’area campana, ha messo in luce una notevole continuità tra la cultura del P. e l’orizzonte avanzato dell’antica età del Bronzo, in quest’area detto di Palma Campania, che conobbe comunque una cesura per l’attività vulcanica testimoniata dalle cosiddette Pomici di Avellino. Sul versante pugliese, in particolare nel Salento, un’analoga situazione si riscontra in insediamenti, come Cavallino e Spigolizzi, dove un aspetto avanzato del Bronzo Antico è seguito dalla fase del P.
Allo stesso tempo si assiste, in buona parte del territorio considerato, alla nascita di insediamenti destinati a sopravvivere per tutta l’età del Bronzo, collocati in posizione nevralgica per il controllo del territorio e delle vie di passaggio o dotati di condizioni particolarmente favorevoli all’approdo e, quando sia possibile stabilirlo, fortificati (con mura a secco di varia tipologia, con aggere e fossato). Significativa è la presenza di ceramiche importate dall’area egea non solo nei siti costieri, ma anche in altri collocati lungo direttrici interne. Tra i siti egemoni di lunga durata si possono ricordare La Starza in Irpinia, Toppo D’Aguzzo in Basilicata, Coppa Nevigata nel Foggiano, Scoglio del Tonno, Porto Perone e Torre Castelluccia nel Golfo di Taranto. In altri casi, come Vivara nelle Isole Flegree, l’importanza del sito come centro di scambi tra genti egee e comunità locali, testimoniato da ingenti quantità di ceramica importata databile tra il Tardo Elladico (TE) I e il TE IIB/IIIA, si esaurisce con il passaggio al BM III.
Le informazioni relative alla sfera funeraria provengono per la stragrande maggioranza dal basso versante adriatico, dove sono documentate diverse tipologie architettoniche e dove l’inumazione costituisce il rito esclusivo. Sono presenti tombe a dolmen (ad es., Giovinazzo nel Brindisino), tombe a camera ipogee di varie tipologie (S. Vito dei Normanni, Tumarola di Cristiano), grotticelle (Madonna di Grottole di Polignano a Mare, Cappuccini di Matera). Caratteristica dell’area materana e del Tavoliere è l’utilizzazione a scopo rituale di ambienti ipogei (Toppo D’Aguzzo, S. Ferdinando di Puglia) che in un periodo successivo (Ipogeo dei Bronzi di Trinitapoli) furono utilizzati a scopo funerario.
I. Damiani, La facies protoappenninica, in Aspetti culturali della media età del bronzo nell’Italia centro-meridionale, Firenze 1995, pp. 398-427.
R. Peroni, L’Italia alle soglie della storia, Roma 1996.
A.M. Tunzi Sisto, Ipogei della Daunia. Preistoria di un territorio, Foggia 1999.
di Isabella Damiani
Principale aspetto culturale del Bronzo Finale diffuso, a eccezione del territorio corrispondente all’odierno Trentino Alto Adige e alla Venezia Giulia, nella penisola italiana e nelle Isole Eolie (prima metà del XII sec. a.C. - 1020/960 a.C.).
Considerato come entità unitaria negli studi degli anni Sessanta del Novecento, successivamente ne sono stati piuttosto messi in luce le differenziazioni in ambiti regionali che vengono a corrispondere, nei diversi sottosistemi considerati, a facies funerarie, cerchie metallurgiche, ecc.
Elemento unificante del periodo, in particolare della fase più antica, è il rito incineratorio che raggiunge la massima diffusione con la presenza di necropoli che assumono talvolta una notevole consistenza quantitativa. Nonostante non sia mai possibile stabilirne con certezza le dimensioni complete, in alcuni casi vengono raggiunte cifre ragguardevoli: nell’area padana orientale le due necropoli di Frattesina, Fondo Zanotto e Narde documentano oltre 600 sepolture, mentre a Pianello di Genga nelle Marche ne sono state stimate tra 1000 e 2000. Questo fenomeno nasconde comunque realtà insediative molto diverse, ai cui estremi possono collocarsi l’insediamento stesso di Frattesina, esteso oltre 20 ha e Pianello, considerato come un sepolcreto relativo a diverse comunità stanziate nella zona circostante.
Diverse sono le vicende del popolamento: in area padana si assiste a una netta cesura rispetto al periodo precedente, con l’abbandono delle aree di pianura precedentemente occupate dagli insediamenti terramaricoli e una contrazione del loro numero anche nel settore nord-orientale. Nell’Italia centro-meridionale, in particolare nel distretto medio-tirrenico e nella Calabria settentrionale ionica, territori entrambi ben indagati, è stato riconosciuto un processo di selezione e concentrazione degli insediamenti che ha privilegiato le sedi naturalmente difendibili e ha determinato la formazione di strutture territoriali complesse con centri egemoni e centri satelliti. Per quanto riguarda gli aspetti dell’artigianato, caratteristica comune è la ceramica nero-lucida decorata con motivi a solcature, cuppelle e costolature. La forma principale, nota maggiormente in ambito di necropoli, è il vaso biconico; numerose sono anche tazze e ciotole decorate in modo analogo. Aspetto molto importante della cultura del P. è la forte crescita dell’artigianato metallurgico collegata allo sfruttamento delle risorse minerarie del comprensorio dei Monti della Tolfa. Indicativa a questo proposito è la presenza di depositi di manufatti bronzei, i cosiddetti ripostigli, interpretabili come depositi di artigiani o come offerta cultuale. Caratteristica del comparto meridionale è la presenza di ripostigli composti da un ridotto numero di classi di manufatti (ad es., asce a occhio) che dovrebbero aver rivestito un valore premonetale.
Nella porzione sud-orientale della penisola la tradizione della ceramica tornita realizzata nel periodo precedente è rilevabile nella presenza di grandi dolii torniti ma anche nella produzione di classi di ceramica depurata e dipinta cosiddetta “protogeometrica”. La lavorazione dell’avorio, ben attestata a Frattesina, si colloca tra le attività specializzate legate alla circolazione su lunghe distanze di materiali pregiati, tra i quali si ricorda l’ambra. Grani di collana di questo materiale sono ben attestati nelle sepolture con corredi complessi e beni di lusso e risultano particolarmente diffusi nel comparto medio-tirrenico nella fase recente del Bronzo Finale, detta di Allumiere; essi indicano l’esistenza di élites analogamente alla presenza di grandi edifici seminterrati che si differenziano dalle capanne di forma ovale, entrambi documentati nell’insediamento di Luni sul Mignone nello stesso ambito territoriale.
C.M.S. Arenoso Callido - P. Bellintani, Dati archeologici e paleoambientali del territorio di Frattesina di Fratta Polesine (Roi) tra la tarda età del bronzo e la prima età del ferro, in Padusa, 30 (1994), pp. 7-65.
R. Peroni, L’Italia alle soglie della storia, Roma 1996.
V. Bianco Peroni - R. Peroni A. Vanzetti, La necropoli di Pianello di Genga, in Piceni, Popolo d’Europa, Roma 1999, pp. 47-54.
di Isabella Damiani
Facies archeologica che identifica l’età del Bronzo recente nella penisola italiana e nelle Isole Eolie, collocabile tra la fine del XIV e la prima metà del XII sec. a.C.
Caratteristiche unificanti di tale aspetto culturale sono alcune produzioni artigianali diffuse anche in territori precedentemente estranei alla circolazione di fogge di provenienza centro-italica, come la Pianura Padana centro-orientale. La presenza di materiali di facies sub-appenninica al di sopra di quelli della cultura del Milazzese negli strati dell’insediamento dell’Acropoli di Lipari è, d’altro canto, uno dei rari casi concordemente interpretati come segno di un’invasione delle Isole Eolie da parte di genti provenienti dalle coste della penisola, gli Ausoni della tradizione storica.
L’uniformità delle produzioni artigianali, caratterizzate per la ceramica da fogge vascolari inornate con anse munite di appendici plastiche di varia foggia e per i bronzi da classi di armi, ornamenti e utensili, la cui diffusione oltrepassa di gran lunga il territorio italiano nell’ambito della vasta koinè comprendente l’Europa barbarica e l’Egeo, nasconde solo in parte i forti dislivelli di complessità socio-economica delle comunità del Bronzo Recente. Il comparto sud-orientale della penisola italiana conosce infatti, in questo periodo, la massima integrazione con la componente egea: negli insediamenti pugliesi e calabresi (ad es., Scoglio del Tonno, Porto Perone, Broglio di Trebisacce, Torre Mordillo), oltre alla presenza di ceramica importata vengono prodotte manifatture che presumono la presenza in loco di artigiani specializzati: una classe di ceramica fine, cosiddetta italo-micenea, i grandi contenitori per derrate torniti anch’essi d’ispirazione egea, una particolare classe realizzata al tornio, detta “pseudominia” o più correntemente ceramica grigia, nella quale elementi tipologici di tipo miceneo si sommano ad altri locali, subappenninici. Mentre queste produzioni sono limitate al comparto meridionale della penisola, ampia è la diffusione di vasellame importato lungo il versante adriatico, nelle Marche (Treazzano di Monsampolo, Tolentino) fino alla Pianura Padana orientale (ad es., Castello del Tartaro, Fondo Paviani) e, sul versante tirrenico, in alcuni siti del Lazio. Il riconoscimento negli insediamenti padani, insieme a ceramica di fabbricazione egea, di una produzione analoga ma importata dall’area pugliese, accresce l’importanza del ruolo svolto dalle comunità locali nelle attività di scambio lungo la penisola. Tali traffici dovevano essere gestiti da élites il cui emergere è testimoniato, oltre che dalla presenza stessa di vasellame esotico, anche da alcuni edifici di dimensioni particolarmente rilevanti, tra i quali si possono ricordare quelli seminterrati di Monte Rovello nel Lazio settentrionale e di Torre Santa Sabina nel Brindisino.
Gli aspetti insediativi mostrano significative differenze da un’area all’altra: lungo il versante medio-tirrenico, nel territorio romagnolo, e in misura meno marcata nelle Marche, a una capillare diffusione degli insediamenti nel Bronzo recente segue un netto decremento nella fase successiva; nel comparto medio-tirrenico netta è la diminuzione della quantità di insediamenti rispetto al periodo precedente come a quello successivo; nella Sibaritide è infine documentata una sostanziale stabilità. Per quanto riguarda gli aspetti funerari, in questo periodo il rito dell’incinerazione risulta documentato, oltre che nell’Italia meridionale (necropoli di Canosa - Pozzillo), anche nell’area centrale della penisola (ad es., la necropoli di Cavallo Morto presso Anzio).
I. Damiani, Aspetti ceramici dell’età del bronzo recente in Italia peninsulare e nelle isole Eolie: la facies subappenninica a trent’anni dalla sua definizione, in DialA, III, 9 (1991-92), 1-2, (1993), pp. 5-33.
R. Peroni, L’Italia alle soglie della storia, Bari 1996.
R. E. Jones et al., Mycenaean Pottery from Northern Italy. Archaeological and Archaeometric Studies, in SMEA 44, 2 (2002), pp. 221-61.
di Isabella Damiani
Cultura diffusa tra Bonzo Medio (BM) e Bronzo Recente (BR 1700-1250 a.C. ca.), che prende nome da un tipo di insediamento caratteristico dell’Emilia centro-occidentale, noto dalla seconda metà dell’Ottocento, quando l’estrazione a scopo agricolo della terra nera (marna) che componeva le stratificazioni archeologiche ne consentì la scoperta e l’indagine.
Oggetto di ricostruzioni in parte fantasiose che hanno nuociuto alla veridicità del modello inizialmente proposto, successivamente vittima di un rigetto da parte della comunità scientifica, lo studio della cultura terramaricola ha vissuto una nuova stagione di ricerca a partire dagli anni Ottanta del Novecento, quando ricerche geo-pedologiche, ricognizioni di superficie e scavi estensivi hanno permesso di ricostruire i modi e i caratteri del popolamento dell’area compresa tra la pianura emiliana e, oltre il Po, la bassa pianura mantovana e le Valli Grandi Veronesi.
Elemento principale per la ricostruzione dell’antico paesaggio è stata l’individuazione della rete idrografica attiva nell’età del Bronzo, in relazione alla quale si collocavano gli insediamenti, traendone direttamente, o attraverso un canale, l’acqua che alimentava i fossati perimetrali. Fondamentale per la ricostruzione dei caratteri e dello sviluppo degli insediamenti della pianura sono i risultati dello scavo della terramara di Santa Rosa di Fodico di Poviglio (Reggio Emilia) che hanno messo in evidenza come le strutture insediative e di difesa siano state oggetto di numerosi rifacimenti. Nella fase più antica, databile al BM II, l’insediamento era già perimetrato ma di ridotte dimensioni. In una fase successiva, la costruzione di un nuovo, più ampio villaggio, con abitazioni su impalcato ligneo, inglobò il precedente dal quale era separato con un fossato. Una serie di rifacimenti nel corso del BR potenziò le strutture difensive e sostituì le abitazioni su impalcato con altre su piattaforma.
In base all’analisi topografica e al calcolo delle dimensioni degli insediamenti è stato possibile stabilire che i villaggi nacquero nel BM seguendo un disegno pianificato che ha fatto parlare di colonizzazione della pianura e che erano posti a distanze molto ravvicinate, talvolta non più di 2-3 km. Tale struttura territoriale era necessariamente collegata a forme di organizzazione socio-politica a base territoriale che mostrano una struttura gerarchizzata, con siti egemoni di dimensioni maggiori, nel corso del BR. Di tale sistema doveva far parte anche l’area collinare, popolata da insediamenti di piccole dimensioni dotati di opere di difesa e posti a controllo delle valli dell’Appennino. La cultura delle T. corrisponde a un lungo periodo di sfruttamento a scopo produttivo della regione padana, con un’attività agricola incentrata sulla produzione di cereali, ortaggi e frutti e l’allevamento di caprovini, suini e bovini.
I depositi archeologici terramaricoli hanno restituito un’ingente quantità di reperti ceramici, di bronzo, osso, corno, legno, che forniscono un’informazione esaustiva sulle attività artigianali svolte all’interno degli insediamenti. Gli aspetti ceramici sono caratterizzati da una prima fase databile al BM I, denominata di S. Pietro in Isola e correlabile alle facies a sud dell’Appennino, e dallo sviluppo delle forme tipicamente terramaricole, caratterizzate da specifici tipi vascolari, motivi a solcature e anse plastiche progressivamente più complessi tra BM II (fase di Tabina di Magreta) e BM III. Nel BR si affermano, accanto a sviluppi di tradizione locale, elementi di tipo subappenninico provenienti da meridione.
Di queste popolose comunità sono note anche le necropoli a incinerazione, talvolta veri e propri campi di urne caratterizzati da un notevole rigore rituale e da corredi molto esigui (ad es., Montata, Casinalbo). La situazione di affaticamento ambientale indiziata dalla deforestazione insieme a tensioni sociali tra le comunità, della quale sono indizio le molteplici opere di difesa, sono fra le cause ipotizzate per spiegare il collasso della cultura terramaricola nel corso del XII sec. a.C.
M. Bernabò Brea - A. Cardarelli - M. Cremaschi (edd.) Le Terramare. La più antica civiltà padana, Modena 1997.
di Enrico Pellegrini
Cultura definita da P. Orsi sulla base degli scavi da lui condotti alla fine dell’Ottocento sul sito eponimo, nella piccola penisola di Magnisi, tra Augusta e Siracusa.
Diffusa prevalentemente sulla costa orientale della Sicilia, la cultura di Th. segna in quest’area il passaggio alla media età del Bronzo (XIV e XIII sec. a.C.) e si caratterizza per gli intensi contatti con le popolazioni egee, documentati dai numerosi oggetti d’importazione e dalle articolate strutture presenti nell’abitato eponimo. Queste ultime, pertinenti alla seconda delle due fasi cronologiche individuate nell’abitato, sono costituite da due complessi formati da vani rettangolari raggruppati intorno a una corte, fiancheggiate da viottoli e difesi da un muro di cinta, i quali sostituiscono le capanne circolari ad ambiente unico della prima fase; altre strutture a pianta rettangolare sono state rinvenute, ad esempio, a Cannatello e Milena. L’aspetto funerario di Th. è più conosciuto; numerose sono le necropoli (Thapsos, Plemmirio, Molinello d’Augusta, Cozzo Pantano, ecc.), nelle quali il rito funerario prevalente è quello dell’inumazione collettiva entro tombe a grotticella artificiale, a camera circolare o quadrangolare con nicchie e banchine funebri, che imitano la struttura a tholos; sono inoltre attestate le sepolture a enchytrismòs, con i vasi deposti orizzontalmente. Se questo ultimo tipo di rito funerario non prevede la presenza di corredo, numerosi e di alto livello sono gli oggetti rinvenuti nelle tombe a grotticella artificiale. Tra questi si segnalano i vasi d’importazione egea databili al Tardo Elladico IIIA e IIIB, armi, soprattutto spade, che si ispirano a tipologie cipriote ed egee, vasellame bronzeo, oggetti d’ornamento in pasta vitrea e oro.
La ceramica locale si caratterizza per la presenza di bacini su alto piede e tazze-attingitoio con alte anse a nastro verticale, decorate con incisioni lineari; sia la ceramica che i bronzi di manifattura locale denotano la presenza di un artigianato specializzato. La cultura di Th. mostra strette affinità con quella, in parte coeva, del Milazzese diffusa nella Sicilia settentrionale e nelle Eolie.
S. Tusa, La Sicilia nella preistoria, Palermo 1983, pp. 389-425.
A.L. D’Agata, L’unità culturale e i fenomeni di acculturazione: la media età del Bronzo, in S. Tusa (ed.), Prima Sicilia. Alle origini della società siciliana, Palermo 1997, pp. 447-57.
di Enrico Pellegrini
Cultura dell’antica età del Bronzo, diffusa principalmente nella Moravia settentrionale e nella Boemia orientale (Repubblica Ceca), importante per la notevole produzione metallurgica, che influenza fortemente anche quella delle vicine facies locali. Sulla base della ceramica sono state individuate cinque fasi equivalenti alle fasi A1 e A2 di P. Reinecke (2300-1800 a.C.). Nella fase più antica di Ú. (Aunjetitz nella terminologia tedesca), i manufatti in bronzo risultano ancora poco diffusi, ma ben presto, con lo sfruttamento dei locali giacimenti di rame e stagno (Erzgebirge), ha inizio una ricca e raffinata produzione di oggetti, molti dei quali sono di ornamento (spilloni, braccialetti, orecchini ed elementi su lamina) o costituiscono oggetti di prestigio e provengono dai corredi funerari: pugnali con ricca decorazione incisa e intarsi di osso e ambra sull’impugnatura; punte di lancia, asce e asce-martello da parata; sono lavorati anche l’oro e l’argento. Contatti a lunga distanza sono attestati da spilloni con testa a nodo ciprioti, pietre dure e ambra provenienti dall’area del Baltico. I manufatti litici sono quasi del tutto assenti.
La produzione ceramica della fase antica comprende tazze e ciotole con orlo svasato, vasi polipodi quasi tutti privi di decorazione; la decorazione vascolare compare durante il periodo medio per poi scomparire nuovamente nell’orizzonte finale. Nell’economia primaria l’allevamento riveste un’importanza particolare, non solo per i prodotti primari (carne, pelli), ma anche per il latte e la lana, come attestano, per quest’ultima la grande quantità di fusi e fusaiole e piccole riproduzioni di ovini. Nella dislocazione degli insediamenti si può osservare una gerarchia che comprende due livelli: siti di piccole dimensioni in posizione strategica, naturalmente difesi, ma muniti anche di fossati, palizzate e cinte murarie situati a controllo di percorsi fluviali, le cui necropoli hanno restituito ricchi corredi; siti più ravvicinati, dislocati in valli di secondaria importanza, a carattere agricolo. La struttura delle abitazioni note prevede case a pianta rettangolare di piccole dimensioni (10 x 45 m) articolate in più ambienti, munite di forno e focolare.
Il tipo di struttura funerario e in particolare il corredo, insieme agli altri elementi precedentemente delineati, sottolineano l’esistenza di marcate differenziazioni sociali. Le sepolture maschili ricche sono più numerose di quelle femminili e, come attestano le sepolture di bambino con ricco corredo, il rango è trasmesso attraverso il lignaggio. Il rito funerario prevalente è quello dell’inumazione singola in una fossa ovale; sono tuttavia attestate sepolture in tronchi di legno scavati e sepolture multiple; a Moravská Nová Ves-Hruèky la fossa di una sepoltura doppia presentava buchi di palo ai quattro angoli, probabilmente per sostenere una copertura lignea.
S.J. Shennan, Settlement and Social Change in Central Europe, 3500-1500 B.C., in JWorldPrehist, 7 (1993), pp. 121-62.
A.F. Harding, European Societies in the Bronze Age, Cambridge 2000.
J.H. Greenfield, European Early Bronze Age, in P.N. Peregrine - M. Ember (edd.), Encyclopedia of Prehistory, IV. Europe, New York 2001, pp. 139-56.
di Enrico Pellegrini
Cultura dell’antica età del Bronzo (inizi del II millennio a.C.) dell’Inghilterra meridionale conosciuta prevalentemente sulla base di testimonianze funerarie.
Sono note circa 100 sepolture, prevalentemente sotto tumulo a pianta circolare; i tumuli possono essere isolati o raggruppati in necropoli. Caratteristica principale della cultura di W. è la presenza di un ricco corredo funerario, che comprende armi e oggetti di metallo insieme a manufatti in materiali preziosi (oro e ambra). Il tumulo di Bush Barrow (necropoli di Wilsford, Wiltshire, nei pressi di Stonehenge) ha restituito una delle sepolture più ricche. Il corredo, associato a un individuo maschile adulto inumato, il cui corpo era stato deposto direttamente sul terreno, comprendeva una testa di mazza di pietra con immanicatura in osso decorata; un’ascia di bronzo; tre pugnali, uno dei quali con l’impugnatura rivestita di filo d’oro; ribattini di rame e di bronzo probabilmente pertinenti a un elmo di cuoio; due lamine decorate a sbalzo e un gancio di cintura tutti e tre d’oro. Altre sepolture hanno restituito spilloni di bronzo, perle e ornamenti d’ambra e faïence; tra i reperti fittili sono stati riconosciuti sia vasi di tradizione locale sia prodotti d’importazione.
Quando nel 1938 S. Piggott definì la cultura di W., la presenza degli oggetti preziosi nel tumulo di Bush Barrow e la foggia dei pugnali fu spiegata ipotizzando l’esistenza di contatti con il mondo miceneo; a questi stessi contatti si faceva risalire la costruzione di Stonehenge, situato poco distante. Attualmente, sulla base della calibrazione delle date 14C, questi contatti, anche se possibili, non sono più ritenuti essenziali nello sviluppo della cultura di W., così come lo studio dei materiali, supportato da analisi chimico-fisiche e nuovi rinvenimenti rendono più verosimile la realizzazione degli oggetti nel solco di una tradizione artigianale locale.
Alcuni studiosi, sulla base della tipologia dei pugnali e del rituale funerario, hanno proposto una suddivisione della cultura di W. in due fasi. W. I (fase delle Tombe Reali) sarebbe caratterizzata dal rito prevalente dell’inumazione con il corpo del defunto deposto, nella maggior parte dei casi, in posizione rannicchiata in una fossa all’interno del tumulo, dalla presenza di oggetti d’oro e dal pugnale a base triangolare; nella fase W. II, nella quale sarebbe prevalente il rito dell’incinerazione, con le ceneri raccolte in un’urna fittile, gli oggetti d’oro nei corredi diminuiscono o sono del tutto assenti mentre il pugnale è caratterizzato dalla base ogivale; su questa proposta manca tuttavia un consenso ampio.
S. Piggott, The Early Bronze Age in Wessex, in ProcPrehistSoc, 4 (1938), pp. 52-106.
J. Coles - J. Taylour, The Wessex Culture: a Minimal View, in Antiquity, 45, 1971, pp. 6-14.
S. Gerloff, The Early Bronze Age Daggers in Great Britain and a Reconsideration of the Wessex Culture, München 1975.