Repertorio delle culture dell'Europa preistorica. Paleolitico inferiore e medio
di Grazia Maria Bulgarelli
Denominazione introdotta da G. de Mortillet nel 1872 per indicare le industrie a bifacciali rinvenute nel sito di Saint- Acheul, nella valle della Somme presso Amiens.
Caduti in disuso i termini di Chelleano e Abbevilliano, con i quali successivamente furono indicate industrie ritenute più antiche di quelle di Saint-Acheul, tutti i complessi litici con bifacciali precedenti il Paleolitico medio sono stati definiti col nome di A., non solo in Europa, ma anche in Africa e in Asia. Caratteristici dell’A. sono gli strumenti bifacciali, amigdale e hachereaux, presenti in percentuali variabili accanto agli strumenti su ciottolo (choppers, poliedri, sferoidi) e su scheggia (raschiatoi, denticolati, intaccature).
Le industrie acheuleane più antiche sono state rinvenute in Africa. L’industria (bifacciali, hachereaux, picchi triedrici, schegge) rinvenuta nel sito di Konso Gardula (Etiopia) riferibile a poco meno di 1,5 milioni di anni fa circa, rappresenta la più antica testimonianza oggi nota dell’A., che si diffuse attraverso il Vicino Oriente, come documenta il sito di Ubeidiya in Israele (1,4 m.a. ca.), in Europa e in Asia. In questo continente, industrie a bifacciali sono note nel sito di Bose, nella Cina meridionale, intorno a 800.000 anni fa. Le testimonianze più antiche dell’A. europeo sono datate a Notarchirico (Basilicata) intorno a 650.000 anni fa, mentre il limite cronologico superiore si colloca attualmente intorno a 200.000 anni fa.
A. Broglio - J.K. Kozłowski, Il Paleolitico, Milano 1986.
P. Villa, Middle Pleistocene Prehistory in Southwestern Europe: the State of our Knowledge and Ignorance, in JAnthrRes, 47, 2 (1991), pp. 193-217.
B. Asfaw et al., The Earliest Acheulean from Konso Gardula, in Nature, 360 (1992), pp. 732-34.
A. Tuffreau (ed.), L’Acheuléen dans l’Ouest de l’Europe. Actes du colloque (Saint-Riquier 1989), Lille 1992.
di André Debénath
Termine creato da F. Bordes per designare un’industria litica musteriana abbondantissima nella valle della Charente, nella Francia centro-occidentale e in Dordogna.
Si differenzia nettamente dal Musteriano propriamente detto e comprende due facies: il Musteriano tipo Ferrasie e il Musteriano tipo Quina. Il primo, definito nel sito di La Ferrasie (Dordogna), e caratterizzato da una tecnica Levallois, che produce supporti sottili per gli strumenti con conseguente economia di materia prima e da un’alta percentuale di raschiatoi (quasi il 70% degli strumenti), nella maggior parte dei casi laterali e solo molto raramente trasversali. Definito a partire dal giacimento, scoperto nel 1872 ai piedi della falesia di La Quina (Charente), il Musteriano di tipo Quina ha una distribuzione geografica notevole ed e particolarmente frequente nel Sud-Ovest della Francia. Non è mai di tecnica Levallois e utilizza come supporti per gli strumenti schegge spesse, più larghe che lunghe con tallone generalmente liscio.
Mentre i coltelli a dorso e i bifacciali sono molto rari e di cattiva fattura, i raschiatoi, che a volte costituiscono oltre il 75% dello strumentario su scheggia, sono molto diversificati, con raschiatoi semplici convessi abbondantissimi e raschiatoi trasversali ben sviluppati; numerosi raschiatoi presentano un ritocco bifacciale. Nel Musteriano di tipo Quina si sviluppa una particolare tecnica di ritocco, a scaglie, ripido, che mette in risalto lo spessore degli strumenti. Alcune schegge allungate e alcune lame, per il loro ritocco, evocano i manufatti dell’Aurignaziano antico. È da sottolineare che in questa facies, mentre sono ancora presenti alcuni manufatti con intaccature, i bifacciali sono rarissimi, atipici o completamente assenti; compaiono, inoltre, alcuni tipi di strumenti che si svilupperanno nel Paleolitico superiore, quali i bulini e i grattatoi. Non conosciamo manufatti su osso, tuttavia alcune ossa intere o frammentarie possono essere state utilizzate come strumenti di fortuna o impiegate nella produzione di strumenti litici: falangi di cavallo o di bovini sono servite senza dubbio come ritoccatoi o piccole incudini.
A. Debenath, Le Paléolithique moyen récent et le début du Paléolithique supérieur dans le bassin de la Charente, in MemMusPrehistIleFr, 3 (1991), pp. 223-33.
A. Debenath - J.F. Tournepiche (edd.), Néanderthal en Poitou- Charentes, Angouleme 1992.
di Alberto Broglio
Termine introdotto da O. Hauser nel 1916 per designare l’insieme delle industrie del giacimento de La Micoque (Dordogna).
Si tratta di depositi di pendio, spessi complessivamente fino a 7 m e costituiti prevalentemente da detriti, sabbie e limi, che hanno dato almeno due complessi ben distinti stratigraficamente, al più recente dei quali è stato mantenuto il termine di M., mentre il più antico è stato chiamato Tayaziano.
La maggior parte degli Autori ritiene che nel giacimento eponimo il M. si collochi nell’ultimo Interpleniglaciale o all’inizio del Glaciale di Wurm; l’industria è caratterizzata dalla presenza di piccoli bifacciali a base spessa, che mostrano una sagoma lanceolata, associati a uno strumentario su schegge non-Levallois, costituito soprattutto da raschiatoi che trovano stretti confronti nel Musteriano. A causa della presenza di bifacciali dello stesso tipo, F. Bordes attribui al M. anche industrie di tecnica levalloisiana come quelle provenienti dalle cave di Le Tillet e di Houppeville (lungo il corso della Marna e della Senna). La presenza di bifacciali micocchiani indusse G. Bosinski a utilizzare il termine M. per designare alcune industrie di tecnica non-levalloisiana dell’Europa media centro-orientale, nonostante la lacuna territoriale che le separa dall’areale del M. occidentale e la diversa collocazione cronologica (eta wurmiana). Il M. orientale è caratterizzato anche da coltelli- raschiatoi asimmetrici a lavorazione bifacciale, che per la varietà di forme consentono l’identificazione di entità territoriali: l’alto Bacino del Danubio e la Renania, dove è presente il coltello a dorso tipo Bockstein; la parte centrale della Grande Pianura europea, col coltello-raschiatoio di Pradnik; le regioni dell’Europa orientale, dove bifacciali asimmetrici sono associati a varie forme di punte foliate. Industrie di questo tipo penetrarono anche nei Carpazi e in Ucraina.
D. Peyrony, La Micoque - Les fouilles récentes - leur signification, in BPrHistFr, 35 (1938), pp. 257-88.
G. Bosinski, Die mittelpaläolitischen Funde im westlichen Mittel-Europa, Koln -Wien 1967.
E. Patte, L’industrie de La Micoque, in Anthropologie, 75, 5-6 (1971), pp. 369-96.
di Alberto Broglio
Nella sua classificazione del Paleolitico G. de Mortillet definì l’epoque du Moustier in riferimento alle industrie del Riparo “classico” (o superiore) di Le Moustier (Dordogna, Francia).
Gli scavi condotti fin dall’inizio del XX secolo, soprattutto in Dordogna e nella Charente, mostrarono la notevole variabilita del M. delle regioni atlantiche dell’Europa occidentale e indussero i ricercatori a suddividere il complesso in più facies, differenziate cronologicamente o su base tipologica. Ampi consensi raccolse la classificazione di F. Bordes (1953), fondata sia sulle tecniche di scheggiatura (levalloisiana o non-levalloisiana) sia sulla composizione dello strumentario. Vennero cosi distinti un M. di tradizione acheuleana, un M. tipico, un M. Charentiano a sua volta suddiviso in M. Quina classico (di scheggiatura non-levalloisiana, con supporti spessi e a tallone liscio) e in M. Ferrassie (di scheggiatura levalloisiana), infine un M. denticolato. Nella interpretazione di Bordes ogni entità tassonomica esprimerebbe una tradizione culturale di un gruppo umano.
Più recentemente sono stati proposti modelli interpretativi diversi per spiegare sia la differenziazione sia l’interstratificazione del M. dell’Europa occidentale, basati anche sull’approfondimento dello studio delle tecniche di scheggiatura e della tipologia, sull’introduzione di elementi di valutazione quali l’accessibilità alle materie prime e la loro qualità, la funzionalità dei siti, l’analisi delle tracce d’uso e la sperimentazione.
In Europa e nel Vicino e Medio Oriente il termine M. è largamente utilizzato per designare le industrie del Paleolitico medio, prodotte dai Neandertaliani (e nel Vicino Oriente anche dai Protocromagnonoidi) nell’Interglaciale riss-wurmiano e nel Glaciale di Wurm fino alla comparsa dell’Aurignaziano e dei “complessi di transizione” (Castelperroniano, Uluzziano, Szeletiano, ecc.). Recentemente si è affermato l’uso del termine M. anche per designare le industrie di età rissiana che presentano caratteristiche tecno-tipologiche proprie del M.
Nell’Europa meridionale e nella parte centro-occidentale dell’Europa centrale sono diffuse industrie che rientrano nel quadro tipologico di M. tipico, M. Quina e M. Ferrassie; industrie musteriane a bifacciali sono invece presenti in una fascia latitudinale che va dalla Cantabria e dalla Catalogna all’Europa orientale, senza interessare le regioni centro-meridionali della Spagna, le regioni mediterranee della Francia e le penisole italiana e balcanica. Il Vicino e Medio Oriente sono occupati dal Mustero-Levalloisiano, caratterizzato dalla produzione di supporti Levallois e dalla loro elaborazione in punte e raschiatoi.
F. Bordes, Essai de classification des industries “moustériennes”, in BPrHistFr, 50 (1953), pp. 457-66.
J.M. Geneste - E. Boeda - L. Meignen, Identification des chaines opératoires lithiques du Paléolithique ancien et moyen, in Paléo, 2 (1990), pp. 43-80-
H. Dibble - P. Mellars (edd.), The Middle Palaeolithic: Adaptation, Behaviour and Variability, Philadelphia 1992.
di Grazia Maria Bulgarelli
Definizione introdotta da A.C. Blanc nel 1937 per caratterizzare la facies delle industrie musteriane rinvenute nella Grotta del Fossellone (Monte Circeo, Latina); tale definizione fu successivamente estesa ai complessi del Paleolitico medio del litorale Pontino, nei quali l’industria litica fu prodotta su una materia prima costituita quasi esclusivamente da ciottoli silicei di piccole dimensioni.
Ai caratteri tecnici individuati inizialmente, rappresentati dalla frequente utilizzazione di spicchi e calotte di ciottolo per la produzione degli strumenti, si aggiunse una definizione tipologica del P., avvicinato da M. Taschini al Musteriano del gruppo Charentiano di tipo Quina in base allo studio approfondito del complesso litico di Grotta Guattari (Monte Circeo). Le industrie pontiniane sono caratterizzate tipologicamente da un’alta frequenza di raschiatoi, in particolare convessi e trasversali con ritocco Quina e semi-Quina, debole presenza di punte musteriane, bassa percentuale di denticolati, piccolissimi choppers mono- e bifacciali e nuclei discoidali. I complessi meglio noti, oltre a quello di Grotta Guattari, sono quelli di Grotta Breuil, Grotta dei Moscerini, Canale delle Acque Alte e Grotta di S. Agostino. È da segnalare che alla Grotta dei Moscerini alcuni strumenti furono ottenuti da valve della conchiglia Callista chione.
L’impiego della tecnica Levallois in questa facies, considerato molto scarso dalla maggior parte degli autori, è stato recentemente riesaminato con metodi di studio più dettagliati che, come documenterebbero i numerosi nuclei a distacchi centripeti, ritengono rilevante la presenza di operazioni tecnologiche di tipo Levallois.
Cronologicamente il P. si sviluppa dal Wurm I all’Interstadio II-III; alcuni autori lo considerano geograficamente esteso anche alle aree litorali di Toscana, Campania e Puglia.
A.C. Blanc, Nuovi giacimenti paleolitici del Lazio e della Toscana, in StEtr, 11 (1937), pp. 321-48.
M. Taschini, L’industrie lithique de Grotta Guattari au Mont Circé (Latium): définition culturelle, typologique et chronologique du Pontinien, in Quaternaria, 21 (1979), pp. 179-247.
A. Bietti - S. Kuhn, Techno-Typological Studies on the Mousterian Industry of Grotta Guattari, in Quaternaria Nova, 1 (1990-91), pp. 193-211.