Repertorio di siti dell'Europa protostorica
di Ian M. Stead
Il toponimo A., che oggi indica una semplice fattoria, ancora durante il Medioevo si riferiva a un villaggio della Gran Bretagna situato 35 km a est di York, sulla sommità delle Wolds, le alture calcaree dello Yorkshire orientale. Sul sito, all’inizio del XIX secolo, erano peraltro ancora visibili un centinaio di mounds, piccole sepolture a tumulo. I primi studi vennero condotti da eruditi locali tra il 1815 e il 1817; sotto ciascun tumulo furono rinvenute tombe a sepoltura individuale con corredi databili all’età del Ferro. Una di queste sepolture venne convenzionalmente definita Tumulo della Regina, a causa della considerevole ricchezza del corredo. Altre due sepolture, dette rispettivamente Tumulo del Re e Tumulo dell’Auriga, restituirono resti frammentari di carri. Scavi più accurati, condotti nel 1959 hanno consentito di accertare che alcuni tumuli avevano forma quadrata ed erano delimitati da fosse, anch’esse ad andamento quadrato. Le particolari caratteristiche di questo sepolcreto, con tombe a inumazione individuale coperte appunto da tumuli e caratterizzate a volte da resti di carri a due ruote, hanno consentito di assegnare a quest’area circoscritta il termine di “cultura di A”. Questa definizione ha trovato sostegno in una successiva ricognizione aerofotografica che ha confermato la presenza nell’area di migliaia di piccoli tumuli quadrati, perlopiù riuniti in sepolcreti raggruppati sulle Wolds e nell’area circostante. La maggiore concentrazione si ha sul versante orientale; due di essi sono stati oggetto di scavi relativamente recenti: tra il 1967 e il 1978 sono state scavate 250 sepolture tra Burton Fleming e Rudston e, tra il 1975 e il 1987, altre 500 presso Garton-on-the-Wolds.
La maggior parte delle tombe custodiva uno scheletro orientato in direzione nord-sud, accompagnato spesso da un piccolo corredo: un fermaglio, saltuariamente del vasellame, più raramente un braccialetto. Le 54 sepolture rinvenute a Rudston hanno caratteri marcatamente diversi e sembrano datarsi a un periodo più tardo. I corpi si trovavano in posizione distesa anziché rannicchiata e orientati in senso est-ovest; le sepolture presentavano corredo funerario differente: spade, punte di lancia, coltelli, fusaiole. Un particolare rito funerario, ricorrente in 14 tombe, prevedeva che il corpo del defunto venisse trafitto con le lance al momento della sepoltura. Sei sepolture, scavate recentemente, hanno evidenziato resti di carri. Le ruote erano solitamente disposte in senso orizzontale sul fondo della tomba, con il corpo del defunto adagiato sopra di esse. Una sola sepoltura recava le ruote appoggiate alle pareti della tomba. Accanto al defunto veniva deposto il giogo, mentre la stanga e l’asse delle ruote venivano sovrapposte al corpo, che veniva poi coperto con il carro rovesciato. Tra gli oggetti in metallo sono stati rinvenuti anelli per le redini, cerchioni in ferro, fasce e chiavette fermamozzo. Spade con foderi decorati si trovavano presso due scheletri, uno dei quali recava i resti di una tunica in maglia di ferro, che costituisce uno dei primi esempi noti di questo tipo di armatura.
La maggior parte delle sepolture della cultura di A. è databile al II sec. a.C., ma tale tradizione funeraria ebbe inizio a partire dal IV sec. a.C. e continuò fino al I sec. d.C. Le sepolture di carri e i tumuli di A. risentono dell’influenza di analoghi costumi europei, ma alcuni aspetti del rito funebre così come i manufatti (salvo una sola eccezione) sono pertinenti a una cultura tipicamente locale. Considerata un tempo testimonianza di un fenomeno migratorio, oggi la cultura di A. appare come una manifestazione di carattere eminentemente britannico, anche se, ovviamente, non priva di riferimenti di tipo continentale.
I.M. Stead, The Arras Culture, York 1979.
Id., La cultura di Arras, in S. Moscati (ed.), I Celti (Catalogo della mostra), Milano 1991, pp. 58790 (con bibl. prec.).
di Ian M. Stead
Necropoli dell’età del Ferro nel Kent, situata 50 km a sud-est di Londra, a cui si fa riferire una precisa facies culturale.
Si tratta di un’importante necropoli a incinerazione le cui sepolture hanno restituito ossa, tre fermagli di bronzo posti all’interno di un secchiello ligneo cinto da fasce bronzee decorate, una brocca e un tegame, sempre in bronzo, nonché diverso vasellame. Altre tombe a incinerazione erano raggruppate in “circoli” più o meno regolari. Si deve a A.J. Evans lo scavo di un gruppo di sei sepolture riunite in quello che lo studioso definì un “complesso a carattere familiare”. A. conta complessivamente nove gruppi di sepolture. Nel 1921, a Swarling (Kent), in circostanze analoghe venne ritrovato un altro sepolcreto dalle caratteristiche simili a quello di A. con 19 tombe, scavate da J.P. Bushe-Fox. Necropoli a incinerazione, come quelle di A. e Swarling, ricorrono in una precisa area dell’Inghilterra sud-orientale, che ha il suo centro nell’Hertfordshire e nell’Essex e che si estende, a nord del Tamigi, nel Bedfordshire, nel Cambridgeshire e nel Suffolk e, a sud del Tamigi, nel Kent. I corredi comprendono esemplari di ceramica eseguita al tornio, tra i più antichi della Gran Bretagna, urne con basamento, ceramica gallo-belgica sia d’importazione sia d’imitazione locale e fermagli databili a un momento successivo all’età di Cesare. Tali necropoli caratterizzano la cultura di A., espressione dell’influsso gallico che, nei riti funerari, è riscontrabile nell’Inghilterra meridionale anche dopo la conquista romana.
La più rilevante tra le necropoli della cultura di A. è quella di King Harry Lane a Saint-Albans, dove tra il 1966 e il 1968 sono state scavate 472 tombe nelle immediate vicinanze della città romana di Verulamium. Come nel caso di A., molte sepolture si trovavano riunite in gruppi, concentrate spesso intorno a una tomba centrale e racchiuse da una fossa poco profonda delimitante uno spazio quadrato o rettangolare. In un caso la tomba centrale e le altre 46 sepolture a incinerazione di contorno erano racchiuse in un’area, delimitata da una fossa, di 14 x 16 m. La maggior parte delle tombe accoglieva un’urna contenente le ossa cremate del defunto, associata a volte ad alcuni recipienti di corredo; in altre sepolture, invece, le ossa erano raccolte in mucchi depositati direttamente sul fondo. I rinvenimenti comprendono oltre 700 vasi (10 dei quali in una singola tomba), corredi in metallo nei quali si contano 237 fermagli, 15 coltelli (tra cui 6 lame triangolari di rasoio) e 6 specchi; in 5 sepolture sono stati rinvenuti strumenti da toeletta. Le sepolture si datano tra l’1 e il 60 d.C. circa.
Ancora più spettacolari delle sepolture di King Harry Lane sono quelle appartenenti al tipo cosiddetto Welwyn: grandi tombe rettangolari a incinerazione con corredo costituito da vasellame, da contenitori metallici o di vetro importati e, occasionalmente, da alari. Queste sepolture, come quelle della cultura di A., non erano sovrastate da tumuli. A Welwyn Garden City (Hertfordshire) vennero alla luce 5 anfore, 36 recipienti, 1 coppa d’argento, 2 contenitori in bronzo, i resti di 4 recipienti lignei e un pregevole completo di pedine da gioco in vetro. Numerosi sono i recenti rinvenimenti di sepolture proprie della cultura di A.: tra il 1984 e il 1989 è stata scoperta a Deal, nel Kent, una necropoli con una singolare, se non unica, fase di tombe a inumazione; ad Alkham, sempre nel Kent, è venuta alla luce nel 1989 una piccola necropoli con due ricche sepolture a pozzetto; a Stanway (Essex) e a Saint-Albans (Hertfordshire) tra il 1991 e il 1992 sono emerse grandi tombe al centro di vastissime delimitazioni rettangolari; infine a Westhampnett (Sussex) è stata scoperta una necropoli di oltre 150 tombe, la maggior parte delle quali è databile a un’epoca anteriore a quella della necropoli di King Harry Lane.
A.J. Evans, On a Late-Celtic Urn-Field at Aylesford, Kent, in Archaeologia, 52 (1890), pp. 315-88.
I.M. Stead - V. Rigby, Verulamium, the King Harry Lane Site, London 1989.
Id., I popoli belgi del Tamigi, in S. Moscati (ed.), I Celti (Catalogo della mostra), Venezia 1991, pp. 591-94.
di Ermanno Gizzi
Città (Mont Beauvray) della Gallia Comata, presso Autun, in Francia. L’insediamento, attestato su un’altura nettamente distaccata dalle colline dell’Haut Morvan che si conclude in un altopiano, gode di una vantaggiosa posizione topografica naturalmente difesa e risulta dotato di diverse sorgenti d’acqua. B., posta nei pressi di importanti vie commerciali e fluviali, assunse definitivamente il ruolo di capitale degli Edui, alleati di Roma fin dal 121 a.C., nel periodo di La Tène finale (LT III); la prima testimonianza letteraria riporta al 58 a.C., quando è citata da Cesare (Bell. Gall., I, 23, 1). Il sito fu progressivamente abbandonato a partire dal 25 a.C. in seguito alla fondazione di Augustodunum,che ne ereditò le funzioni politiche e commerciali. Scavi regolari ebbero luogo fra il 1867 ed il 1907, soprattutto a cura di J.G. Bulliot e J. Déchelette. I lavori di scavo sono ripresi solo nel 1984.
La più antica occupazione del sito, limitata a un’area a sud-est fra le due quote più elevate (La Terrasse e Le Porrey) risale al Neolitico finale; alcuni dei materiali rinvenuti, estranei alla zona del Morvan, mostrano già un’economia di scambio e d’importazione di prodotti finiti. Dell’età del Bronzo e di Hallstatt (1800-450 a.C.) sono stati rinvenuti scarsi materiali; fino a quest’epoca l’abitato copriva una superficie di soli 12 ha. Nel corso del II sec. a.C., con l’affermarsi della “civiltà degli oppida”, B. emerse (nel periodo di La Tène finale) come un potente oppidum protetto da una cinta muraria del tipo murus gallicus. Questa, al massimo della sua estensione, raggiunge i 5 km di lunghezza, inglobando vari rilievi di differente altitudine sui quali si imposta l’abitato. La fortificazione presenta quattro porte principali e due posterule, tutte del tipo a tenaglia (Zangentor), con doppia anta; l’esempio meglio noto è quello della Porte du Rebout situata a nord-est e della quale sono state individuate ben cinque fasi. Sulla via principale che da essa si svolge internamente, le ricerche hanno individuato nelle zone della Côme-Chaudron e dello Champlain un quartiere industriale, destinato alla lavorazione dei metalli.
Abitazioni e botteghe hanno rivelato una varia tipologia di tecniche costruttive: pali collegati da tavolati o pisé; con un basamento di pietre e dei montanti in legno che formano l’armatura del pisé e della copertura; con muri costruiti in pietre miste a frammenti d’anfore e tegole, il tutto legato con malta; le coperture sono solitamente di paglia o talvolta tegole alla maniera romana. Nel cuore dell’oppidum (zone del Parc aux Chevaux e della Roche Salvée) si è individuato un grande quartiere residenziale (metà I sec. a.C.): le dimore dei nobili Edui risultano costruite in base a criteri strutturali, tecnici e planimetrici del tutto aderenti alla maniera romana. A ovest la terrazza del Teureau de la Roche avrebbe ospitato in epoca romana il culto di Mercurio Negotiator. A sud della Terrasse è un “recinto quadrato”, tipico santuario celtico a cielo aperto; La Chaume è invece luogo di mercati e fiere. Qui all’inizio del I sec. d.C. venne eretto un fanum riccamente decorato, a corpo turriforme contornato da un porticato su pilastrini lignei, tipico tempio di tradizione celtica, comparabile al cosiddetto “tempio di Giano” di Autun; frequentato fino al IV sec. d.C., venne riutilizzato nel Medioevo da una cappella dedicata a s. Martino.
J.-G. Bulliot, Fouilles du Mont Beauvray (ancienne Bibracte), de 1867 à 1885, Autun 1899.
F. Beck et al., Les fouilles du mont Beauvray. Rapport biennal 1984-1985, in RAE, 38 (1987), pp. 285-300.
D. Bertin -J.-P. Guillaumet, Bibracte. Une ville gauloise sur le mont Beauvray, Paris 1987.
J.M.J. Gran-Aymerich, Les premières phases d’occupation du Mont Beauvray. Données anciennes et recherches en cours, in M. Ulrix-Closset M. Otte (edd.), La civilisation de Hallstatt. Bilan d’une rencontre, Liège 1987, Liège 1989, pp. 343-55.
M. Almagro Gorbea et al., Les fouilles du mont Beauvray. Rapport biennal 1988-1989, in RAE, 42 (1991), pp. 271-98.
O. Büchsenschütz et al., Die Chronologie des Oppidum Bibracte. Vorbericht,in Die römische Okkupation nördlich der Alpen zur Zeit des Augustus (Kolloquium Bergkamen, 1989), Münster 1991, pp. 33-40.
di Barry Cunliffe
Insediamento fortificato d’altura (hillfort) dell’età del Ferro nell’Inghilterra centro-meridionale (Hampshire, Wessex). La fortificazione è stata oggetto di estese campagne di scavo, condotte in 20 riprese tra il 1969 e il 1988. Il 57% dell’area principale del sito è stato indagato, con particolare riguardo alle strutture difensive (di cui sono state rilevate le sezioni) e alle 2 porte d’accesso. I resti archeologici di D. rispecchiano la complessa storia del sito, compresa tra l’VIII sec. a.C. e il I sec. d.C. Il più antico insediamento, sulla sommità della collina, risale all’VIII-VII sec. a.C., come attesta un fossato che racchiude la collina entro una superficie di 16,2 ha. D. conobbe fasi di crescente occupazione a partire dal VI sec. a.C. fino all’inizio del I sec. a.C. Questa fase di occupazione intensiva venne a cessare in concomitanza di un incendio che distrusse la porta principale. Il sito continuò comunque a essere abitato, sebbene in misura minore, fino al I sec. d.C.
I vari stadi di occupazione possono essere suddivisi, sulla base della tipologia ceramica ricalibrata dalle datazioni al radiocarbonio, in cinque “fasi ceramiche” (dalla III alla VII), comprese tra il 550 e il 100 a.C. circa. Sulla scorta di questa griglia cronologica è possibile analizzare le fasi evolutive dei meccanismi sociali ed economici del forte. Appare di particolare rilevanza osservare come il sito conobbe un’occupazione costante durante tutto il suo periodo di vita, con un sistema viario che continuò a servire l’insediamento fino al suo definitivo abbandono. Abitazioni circolari in legno occupavano la zona perimetrale a ridosso del bastione, mentre l’area centrale era in larga parte riservata al deposito del grano, che veniva immagazzinato entro fosse o in granai a quattro o sei pilastri. Un complesso di sei piccole sepolture rettangolari, in legno, si trova verso il centro di questa zona, vicino alla strada principale.
Nel corso dell’occupazione è riscontrabile un aumento della densità abitativa, come attesta la crescente quantità e varietà di manufatti, nonché di depositi ossei animali e di ceramica. Bronzo, lingotti di ferro e sale in contenitori di argilla pervenivano al forte da zone esterne al suo territorio, per essere poi redistribuiti nell’ambito di un meccanismo di scambio che prevedeva la cessione delle eccedenze di cereali e lana prodotti localmente e che venivano immagazzinate all’interno della cinta difensiva. Abbondanti sono inoltre i dati che testimoniano complesse pratiche cultuali, le quali implicavano la deposizione di diverse categorie di oggetti, con prevalenza di carcasse umane e animali, nelle fosse da immagazzinaggio, dopo che queste avevano esaurito la loro funzione di silos per il grano. È ipotizzabile che tali depositi avessero significato propiziatorio, nel contesto di un sistema religioso che presupponeva una forma di dominio esercitato dalle divinità ctonie sulle sementi della comunità.
D. è, con Quarley Hill,Bury Hill e Figsbury,uno dei quattro hillforts che dominavano un’altura tra i fiumi Bourne e Test. L’occupazione è attestata per tutti e quattro già nella prima età del Ferro, vale a dire tra il VI e il V sec. a.C., ma a partire dal IV sec. a.C. solo D., le cui strutture difensive vennero rafforzate, rimase in vita quale fulcro di un esteso territorio. Intorno al 100 a.C., però, dovettero scoppiare tensioni sociali sia a D. che altrove; fu infatti in questo periodo (100-50 a.C.) che gli hillforts della regione videro progressivamente diminuire il loro potere e il loro prestigio socio-economico a vantaggio di altri siti in pianura, in grado di dominare il sistema viario in prossimità degli oppida che venivano man mano sorgendo.
B. Cunliffe, Danebury, Hampshire. First Interim Report on the Excavations, 1969-70, in AntJ, 51 (1971), pp. 240-52.
Id., Danebury, Hampshire. Second Interim Report on the Excavations, 1971-75, ibid., 56 (1976), pp. 198-216.
Id., Danebury, Hampshire. Third Interim Report on the Excavations, 1976-80, ibid., 61 (1981), pp. 238-53.
Id., Danebury, an Iron Age Hillfort in Hampshire. The Excavations 1966-1978, I. The Site; II. The Finds, London 1984.
R. Palmer, Danebury, an Iron Age Hillfort in Hampshire, III. An Aerial Photographic Interpretation of its Environs, London 1984.
B. Cunliffe, Hengistbury Head, Dorset, I. The Prehistoric and Roman Settlement, 3500 BC-AD 500, Oxford 1987.
B. Cunliffe, Gli hillforts, in S. Moscati (ed.), I Celti (Catalogo della mostra), Milano 1991, pp. 583-85.
B. Cunliffe - C. Poole, Danebury, an Iron Age Hillfort in Hampshire, IV. The Excavations 1979-88. The Finds, London 1991.
B. Cunliffe, Danebury, London 1993.
Id., Danebury. The Anatomy of a Hillfort Re-Exposed, in P. Bogucki (ed.), Case Studies in European Prehistory, Boca Raton 1993, pp. 259-86.
Id., Danebury, an Iron Age Hillfort in Hampshire, VI. A Hillfort Community in Perspective, London 1995.
di Daniele Vitali
A una decina di chilometri a ovest di Ludwigsburg (Baden-Württemberg), nel 1978 e nel 1979 è stato esplorato integralmente un tumulo funerario che in origine aveva un diametro di 60 e un’altezza di 6 m.
Il tumulo di E.-H. fa parte di un sistema di tombe monumentali che si levano ai piedi della cittadella principesca di Hohenasperg (da 1 fino a 10 km e oltre di distanza da questa) tra le quali i tumuli più famosi sono quelli di Grafenbühl, Kleinaspergle e Ditzingen-Hirschlanden. La regione occupata da questo tipo di tombe principesche, che va dalla grande ansa del Neckar, tra Tubinga e Heidelberg, fino a Francoforte sul Meno, si caratterizza anche per la documentazione di statue-stele antropomorfe in pietra, quasi unica nel mondo celtico transalpino. Il contenuto della tomba è giunto fino a noi intatto perché la camera di legno (4,7 m di lato e 2 m di profondità) fu inglobata in una solida cassa esterna, sempre di legno e di 7,40 m di lato, con l’intercapedine riempita di pietre. Anche il tumulo ebbe diversi apprestamenti: nel perimetro a nord, due muri a L formarono un corridoio di 6 m di larghezza diretto verso la camera centrale; in una fase finale l’intero tumulo ebbe il perimetro rinforzato da pietre e legno e da un anello di pali verticali di quercia distanziati tra loro con muretti di pietra.
Lo scavo ha recuperato una grande quantità di materiali organici inglobati dagli ossidi degli oggetti metallici del corredo. Il pavimento, le pareti, il divano, il carro erano rivestiti o ricoperti da tessuti decorati e da pelli animali. Il titolare della tomba, morto a circa 40 anni, era disteso sopra un divano di lamina bronzea lungo 2,75 m sostenuto da otto piedi antropomorfi, formati ciascuno da una kore con le braccia sollevate e una ruota girevole tra le caviglie. Lo schienale è decorato da un grande pannello nel quale con puntini a sbalzo sono raffigurate tre coppie di duellanti con spada e piccolo scudo e alle due estremità un carro a quattro ruote tirato da due cavalli e un guerriero con scudo e giavellotto in piedi sopra la cassa. Anche le korai sono riccamente decorate con incrostazioni di corallo. L’inumato è accompagnato da oggetti d’oro: un collare, un bracciale, due fibule serpeggianti, i rivestimenti delle due calzature, di una placca di cintura e di un fodero contenente un pugnale ad antenne. Altri elementi di status sono costituiti da utensili per la caccia e la pesca, cioè una faretra con quattordici frecce a cuspide di varia tipologia e tre ami da pesca di bronzo; il servizio da toletta è formato da un rasoio e da un nettaunghie di ferro contenuti entro un piccolo sacco di cuoio. Un cappello conico di scorza di betulla si trovava dietro la testa dell’inumato che appoggiava sopra un cuscino formato da steli di fiori intrecciati; cinque perle d’ambra rossa formavano una collana posta intorno al collo.
Ai piedi del divano era un calderone di bronzo della capacità di 500 litri, di produzione magno-greca, sostenuto da un tripode di legno. Intorno all’orlo reca tre anse mobili alternate a tre leoni accovacciati, uno dei quali fu prodotto da un atelier celtico in sostituzione dell’originale greco perduto. Sul fondo del vaso si è trovata una grande percentuale di pollini di miele fatto con fiori della regione e utilizzato per la preparazione di idromele, che all’epoca della chiusura della tomba doveva riempire il recipiente. La bocca del calderone era ricoperta da tessuti ricamati che sostenevano una coppa emisferica di lamina d’oro, la cui funzione probabilmente fu quella di attingitoio. Alla parete lignea che stava dietro la testa dell’inumato erano appesi a uncini di ferro nove corni potori, uno molto grande (5,5 l) formato da segmenti tubolari di ferro e gli altri di corno di uro, decorati da fascette d’oro e di bronzo. Nella metà della camera opposta al divano era collocato un carro a quattro ruote con timone, lungo 4,5 m, in gran parte rivestito da appliques di ferro decorate, sopra la cui cassa erano collocati un giogo di legno con appliques di bronzo, la bardatura di morsi e falere per due cavalli e un lungo stimolo di legno. Sopra di essa erano inoltre impilati nove piatti di bronzo con orlo decorato e tre bacili a due anse; accanto vi erano degli utensili per tagliare le carni (una grande ascia e un coltello di ferro). Oltre alla tomba principale, nel tumulo sono state trovate altre tre tombe, una (tomba 2) più tarda di quella centrale e due (tombe 3 e 4) collocate durante la costruzione del tumulo. Di altre tombe secondarie distrutte dall’erosione del tumulo in terra restano materiali erratici. La tomba principale si data intorno al 530 a.C. ed è per il momento la più antica tra quelle scoperte intorno a Hohenasperg.
J. Biel, Das frühkeltische Fürstengrab von Eberdingen-Hochdorf, Landkreis Ludwigsburg, in DenkmPflBadWürt, 7 (1978), pp. 168-75.
Id.,Treasure From a Celtic Tomb, in NatGeogrMag, 157 (3) (1980), pp. 428-38.
Id., The Late Hallstatt Chieftain’s Grave at Hochdorf, in Antiquity, 55(1981), pp. 16-18.
Id., Ein Fürstengrabhügel der späten Hallstattzeit bei Eberdingen-Hochdorf, Kr. Ludwigsburg (Baden-Württemberg), in Germania ,60 (1982), pp. 61-104.
P. Eichhorn, Das keltische Fürstengrab von Hochdorf: Problemstellungen für die Restauratoren, in ArbBlRest, 15 (1982), pp. 116-29.
Der Keltenfürst von Hochdorf: Methoden und Ergebnisse der Landesarchäologie (Catalogo della mostra), Stuttgart 1985.
J. Biel, DerKeltenfürst von Hochdorf, Stuttgart 1985.
H. Küster - U. Körber-Grohne, Hochdorf, I. Neolithische Pflanzenreste aus Hochdorf, Gemeinde Eberdingen (Kreis Ludwigsburg). Die biologischen Reste aus dem hallstattzeitlichen Fürstengrab von Hochdorf, Gemeinde Eberdingen (Kreis Ludwigsburg), Stuttgart 1985.
P. Eichhorn, Die Restaurierung des Bronzekessels aus demkeltischen Fürstengrab von Hochdorf: mit Anmerkungen über dieHerstellungstechniken, in ArbBlRest, 9 (1986), pp. 169-85.
J. Biel - C.F.E. Pare, Der Wagen aus dem Fürstengrabhügel von Hochdorf, in F.E. Barthet al., Vierrädrige Wagen der Hallstattzeit. Untersuchungen zu Geschichteund Technik, Mainz 1987, pp. 121-33.
J. Biel et al., Le tumulus princier celtique de Hochdorf, in Trésors des princes celtes (Catalogo della mostra), Paris 1987, pp. 95-188.
U. Veit, Des Fürsten neue Schuhe: Überlegungenzum Befund von Hochdorf, in Germania, 66 (1988), pp. 162-69.
J. Biel, Vorgeschichtliche Siedlungsreste in Eberdingen-Hochdorf, Kreis Ludwigsburg, in AAusgrBadWürt, 1989, pp. 97-99.
O.-H. Frey, Zur Kline von Hochdorf, in Gli Etruschi a nord del Po. Atti del Convegno (Mantova, 4-5 ottobre1986), Mantova 1989, pp. 129-45.
J. Biel, Fortsetzung der Siedlungsgrabungin Eberdingen-Hochdorf, Kreis Ludwigsburg, in AAusgrBadWürt, 1990, pp. 89-93.
Id., Weitere Grabungen in Eberdingen-Hochdorf, KreisLudwigsburg, in AABadWürt, 1991, pp. 97-102.
H.W. Smettan, Einpollenanalytischer Beitrag zur Geschichte von Hochdorf, Gemalde Eberdingen,Kreis Ludwigsburg, in FuBerBadWürt, 16 (1991), pp. 631-37.
T. Bader, Architecture expérimentale et archéologie expérimentale au Musée Celte (Keltenmuseum) de Hochdorf (Allemagne), in BprHistFr, 90 (1993), pp.128-30.
J. Biel, Abschliessende Untersuchungen in Eberdingen-Hochdorf, Kreis Ludwigsburg, in AAusgrBadWürt, 1993, pp. 97-99.
D. Krauße, Trinkhorn und Kline. Zur griechischen Vermittlung orientalischer Trinksittenan die frühen Kelten, in Germania, 71 (1993), pp. 188-97.
J. Banck, DieTextilfunde aus dem Hallstattzeitlichen Fürstengrab von Hochdorf, Gemeinde Eberdingen (Kreis Ludwigsburg), in Archäologische Textilfunde -Archaeological textiles. Textilsymposium (Neumünster, 4.-7. Mai 1993), Neumünster 1994, pp. 43-52.
L. Roeder Knudsen, Analysis and Reconstruction of Two Tabletwoven Bands from the Celtic Burial at Hochdorf, ibid., pp. 53-60.
T. Bader, Prähistorische Rekonstruktionen und experimentelle Archäologie im Keltenmuseum Hochdorf, Bundesrepublik Deutschland, in ActaArchHung, 47 (1995), pp. 149-213.
J. Biel, Die Siedlung derSpäthallstatt-Frühlatènezeit von Hochdorf, Kreis Ludwigsburg, in Fürstensitze, Höhenburgen, Talsiedlungen. Bemerkungen zum frühkeltischenSiedlungswesen in Baden-Württemberg, Stuttgart 1995, pp. 30-37.
H.-P.Stika, Ackerbau und pflanzliche Nahrungsmittel zur Keltenzeit in Südwestdeutschland, in Fürstensitze, Höhenburgen, Talsiedlungen. Bemerkungenzum frühkeltischen Siedlungswesen in Baden-Württemberg, Stuttgart 1995, pp. 80-87.
J. Biel (ed.), Experiment Hochdorf Keltische Handwerkskunstwiederbelebt, Stuttgart 1996.
D. Krausse - G. Längerer, Hochdorf, III. Das Trink- und Speiseservice aus dem späthallstattzeitlichen Fürstengrabvon Eberdingen-Hochdorf (Kr. Ludwigsburg), Stuttgart 1996.
H.-P. Stika, Traces of a possible Celtic Brewery in Eberdingen-Hochdorf, Kreis Ludwigsburg, Southwest Germany, in Vegetation History and Archaeobotany, 5 (1996), pp. 81-88.
T. Bader (ed.), Die Welt der Kelten: Vortragsreihen in Hochdorf1991-1997. Zusammenfassung von 30 Vorträgen, Eberdingen 1997.
J.Biel, Le Hohenasperg et l’habitat de Hochdorf, in P. Brun - B. Chaume (edd.), Vix et les Éphémères Principautés Celtiques. Les VI et V siècles avant J.-C. en Europe centre-occidentale. Actes du colloque de Châtillon-sur-Seine(27-29 octobre 1993), Paris 1997, pp. 17-22.
J. Banck-Burgess, Kostbare Stoffe im Fürstengrab, in ADeutschl,1 (1998), pp. 18-20.
K. Schmitt,Befunde um das Fürstengrab, ibid., 3 (1998), pp. 1-38.
K. Schmitt - U.Seidel, Neue Ausgrabungen in Eberdingen-Hochdorf, Kreis Ludwigsburg, in AausgrBadWürt, 1998, pp. 103-104.
J. Banck-Burgess et al., Hochdorf, IV. Die Textilfunde aus dem späthallstattzeitichen Fürstengrab von Eberdingen Hochdorf (Kreis Ludwigsburg) und weitere Grabtextilien aus hallstatt- undlatènezeitlichen Kulturgruppen, Stuttgart 1999.
J. K. Koch, Der Wagen und das Pferdegeschirr aus dem späthallstattzeitlichen Fürstengrab von Eberdingen-Hochdorf (Kr. Ludwigsburg) (Diss. Christian-Albrechts Universität), Kiel 1999.
D. Krausse, Der “Keltenfürst” von Hochdorf: Dorfältester oderSakralkönig? Anspruch und Wirklichkeit der sog. Kulturanthropologischen Hallstatt-Archäologie, in AKorrBl, 29 (1999), pp. 339-58.
G. Kurz, Weitere Ausgrabungen beim Fürstengrabhügel in Eberdingen-Hochdorf, KreisLudwigsburg, ibid., (1999), pp. 70-72.
Principi etruschi tra Mediterraneo ed Europa (Catalogo della mostra), Venezia 2000, pp. 384-86, 397-401(con ult. bibl.).
U. Veit, König und Hohepriester? Zur These einer sakralenGründung der Herrschaft in der Hallstattzeit, in AKorrBl, 30 (2000), pp.549-68.
Der Hochdorfer Fürstenhügel in H. Schickler, Heilige Ordnung: Zukeltischen Funden im Württembergischen Landesmuseum, Stuttgart 2001,pp. 131-74.
G. Bieg - P. Eichhorn - W. Gauer, Hochdorf, V. Der Bronzekesselaus dem späthallstattzeitlichen Fürstengrab von Eberdingen-Hochdorf (Kr.Ludwigsburg). Griechische Stabdreifüße und Bronzekessel der archaischen Zeitmit figürlichem Schmuck, Stuttgart 2002.
di Martine Schwaller
Oppidum sito su una collina che domina da più di 100 m di altezza la pianura verso il litorale della Linguadoca, tra Béziers e Narbona, a 10 km dalle rive del Mediterraneo.
Questa favorevole posizione all’incrocio di strade strategiche (la via Eraclea, poi la via Domitia, la strada per l’Aquitania) fu il presupposto affinché il luogo divenisse un centro di contatti, un oppidum-mercato intermediario tra la cultura iberica e quella ligure, punto di contatto tra il mondo mediterraneo e l’entroterra montagnoso. L’altopiano di E. era delimitato in origine sul lato settentrionale e su quello occidentale da due stagni (oggi prosciugati): lo stagno di Montady, celebre per il suo drenaggio a forma di stella risalente al XIII secolo, e lo stagno di Capestang.
Ignoriamo l’antico nome di E., le fonti scritte sono mute al riguardo e la menzione più antica risale all’Alto Medioevo. Il sito, abbandonato all’inizio del I sec. d.C., non è mai stato rioccupato (ad eccezione di una piccola cappella realizzata nel V secolo sulla parte inferiore dei pendii sud-occidentali), fino alle prime prospezioni archeologiche della metà del XIX secolo. La prima vera campagna di scavi ha avuto inizio nel 1915 con la scoperta di una vasta necropoli a incinerazione di cui sono state studiate più di 500 tombe. Le ricerche condotte fino al 1966 hanno permesso di portare alla luce gran parte del sito, facendo pertanto di E. uno tra i più compiuti esempi di insediamenti preromani nel sud della Francia. Le vestigia occupano la totalità dell’altopiano superiore e una gran parte delle terrazze nord e sud, ma per completare lo studio di questo sito restano da esplorare ancora vaste zone.
L’occupazione di E. è stata suddivisa in tre grandi fasi che coprono una gran parte della prima età del Ferro, l’intera seconda età del Ferro e i primi tempi della romanizzazione. Dal momento che la fase antica della prima età del Ferro qui non è attestata, l’insediamento iniziale coincide senza dubbio alcuno con il processo intensivo di sviluppo degli insediamenti elevati, verificatosi verso la metà del VI sec. a.C. Il primo insediamento, verosimilmente poco esteso, era concentrato sull’altopiano e sulle zone superiori dei versanti della collina ed era costituito da capanne in materiale deperibile di cui restano scarsissime tracce; vasti spazi separavano queste case di modeste dimensioni, realizzate in argilla, sassi e paglia. I frammenti di ceramica più antichi, anfore vinarie e cantari etruschi, ceramica punica e della Grecia orientale, nonché prime ceramiche attiche a figure nere, mostrano l’esistenza sin dalla prima età del Ferro di scambi tra E. e il mondo mediterraneo.
A partire dalla fine del V secolo, l’insediamento si amplia e si organizza: si percepisce una lenta trasformazione che riguarda in particolar modo l’urbanistica e i costumi domestici. La città è circondata da mura fortificate erette in grossi blocchi con un legante a base di terra, che comprendono tutto l’insediamento nella parte più elevata: a nord è ancora visibile una postierla, ma la maggior parte degli elementi che costituivano questa fortificazione sono crollati sui ripidi pendii. Di recente, un tratto della cinta muraria è stato parzialmente restaurato per ridare a E. una parte del suo aspetto originario. Profondi mutamenti colpiscono l’urbanistica e le modalità di costruzione: i muri sono in pietra e le abitazioni fiancheggiano ampie strade generalmente in direzione est-ovest. Quest’organizzazione strettamente legata alla topografia sarà ancora più evidente a partire dal III secolo. Per qualche secolo, tuttavia, la disposizione interna delle unità domestiche conoscerà una relativa evoluzione: i silos per il grano sono poco a poco sostituiti dai dolia, ma le case continuano ad avere una stanza unica.
L’elemento dominante della seconda età del Ferro è l’apogeo della cultura detta “ibero-languedocana”; in effetti si possono notare numerose convergenze tra la Linguadoca occidentale e la Catalogna che trovano la loro espressione in un’identità di cultura materiale e di scrittura. In questa osmosi culturale è preponderante il ruolo svolto dalla città greca di Ampurias. I contatti con il sud non costituiscono comunque la sola rete di approvvigionamento. Dal mondo celtico provengono alcune ceramiche, ma soprattutto numerosi oggetti metallici: fibbie per cinture a partire dal V secolo e panoplie di guerriero complete deposte nelle tombe. Probabilmente è la necropoli di E. che offre le più numerose testimonianze concrete di questa seconda fase: si trova a 400 m dall’insediamento, al confine occidentale del sito. Il rito funerario adottato durante tutto il periodo in cui questo cimitero è stato utilizzato, tra la fine del V e la metà del III sec. a.C., è quello della incinerazione. Si sono potute definire le epoche a cui risalgono le sepolture, ma le tombe più numerose sono databili alla prima metà del III secolo: dopo la cremazione le ceneri erano deposte in un ossuario disposto al centro di una fossa scavata nel terreno. Numerosi recipienti di corredo, parti dell’armamento, gli oggetti personali del defunto e offerte alimentari completano in genere la deposizione.
Dopo l’abbandono, la necropoli di E. è stata ricoperta da un quartiere dell’abitato che riflette la massima estensione della città in seguito alla romanizzazione; compaiono abitazioni complesse la cui pianta si svolge intorno a un cortile. L’influenza greco-romana è sensibile anche per quanto concerne la sfera delle tecniche costruttive, degli ornamenti, degli utensili e degli oggetti legati alla vita quotidiana. Poco a poco, nel corso del I sec. d.C., gli abitanti di E. abbandonano la collina per lo sfruttamento agricolo della pianura.
J. Jannoray, Ensérune, contribution à l’étude des civilisations préromainesde la Gaule méridionale, Paris 1955.
H. Gallet de Santerre, Les civilizations classiques en Languedoc méditerranéen et Roussillon, principalement d’aprèsles fouilles d’Ensérune, in Le rayonnement des civilisations grecque et romainesur les cultures périphériques. Huitième congrès international d’archéologieclassique (Paris, 1963), Paris 1965, pp. 625-38.
Id., Fouilles dans le quartier ouest d’Ensérune, insula X, in RANarb, 1 (1968), pp. 39-83.
H. Gallet de Santerre, Ensérune, Paris 1978.
J.-J. Jully, Céramique laconienne et céramique attique de l’habitat de hauteur languedocien d’Ensérune (Hérault), fouilles1929-1967, in DialHistAnc, 4 (1978), pp. 347-61.
Ensérune, les silos de laterrasse est, Paris 1980.
A.-F. Laurens - M. Schwaller, Vases attiques importéssur l’oppidum d’Ensérune. Essai d’approche anthropologique, in REA, 89, 3-4 (1987), pp. 385-95.
A. Rapin - M. Schwaller, Contribution à l’étude del’armement celtique, la tombe 163 d’Ensérune (Hérault), in RANarb, 20(1987), pp. 155-83.
M. Schwaller, L’abitato e la necropoli di Ensérune, in S. Moscati (ed.), I Celti (Catalogo della mostra), Milano 1991, pp. 360- 61.
M. Schwaller, Ensèrune. Carrefour de civilisations protohistoriques, Paris1994.
M. Schwaller - H. Duday - T. Janin, Cinq tombes du deuxiéme âgedu fer à Ensérune (Nissan-lez-Ensérune, Hérault), in P. Arcelin - M. Bats - D. Garcia (edd.), Sur les pas des Grecs en Occident. Hommages à AndréNickels, Paris 1995, pp. 205-30.
C. Dubosse, CVA France, XXXVII. Muséenational d’Ensérune, 2, Paris 1998.
di Alessandra Costantini
Centro fortificato celtico con tombe principesche nella regione del Baden-Württemberg (Germania), appartenente ai cosiddetti Fürstensitzen. In base alle indicazioni fornite da Erodoto e da Ecateo di Mileto sulla Keltiké dell’alto Danubio, il sito è stato messo in relazione con l’antica Pyrene.
Situata sopra la valle percorsa dal fiume, la cittadella di H., che si estende per circa 300 m con un’ampiezza di 150 m, dominava l’antica strada commerciale del Danubio che correva in direzione ovest-est. Gli scavi sulla collina, indagata sistematicamente dall’Istituto di Preistoria e Protostoria dell’Università di Tübingen, hanno messo in luce differenti fasi di vita dell’abitato. Le prime testimonianze archeologiche risalgono al Bronzo Medio - Tardo (1500-1200 a.C.), a cui seguì, nel VII sec. a.C., un insediamento protoceltico che, nella seconda metà del V sec. a.C., venne completamente distrutto da un incendio. L’impianto rimase disabitato, tranne brevi occupazioni in età tardo-celtica, finché, nel corso dell’Alto Medioevo (VIII-IX sec. d.C.), conobbe una nuova fioritura. La complessa stratigrafia della fortezza hallstattiana comprende ben quattordici livelli: dopo una fase di avvio, il centro raggiunse il suo apogeo nella prima metà del VI sec. a.C:, epoca a cui risale la cinta muraria in mattoni crudi, su uno zoccolo di pietra, che circondava l’intero perimetro della fortezza. Il muro, alto 4 m e munito di torri a pianta quadrata, riflette, nella sua concezione, un’origine mediterranea. I legami con tale area sono inoltre attestati dal rinvenimento di frammenti di ceramica attica a figure nere e greco-orientali associati ad anfore da trasporto massaliote. Il muro fu distrutto dallo stesso incendio che devastò il sito nella seconda metà del VI sec. a.C e non venne più ricostruito; al suo posto furono eretti sistemi difensivi che si ricollegano all’antica tradizione europea delle costruzioni in legno, pietra e terra, da cui, in seguito, si svilupperà il murus gallicus. Annientata nuovamente dal fuoco, la fortezza hallstattiana fu ricostruita ancora, ma un ultimo catastrofico incendio la cancellò definitivamente nella seconda metà del V sec. a.C.
A nord della collina fortificata esisteva un ampio insediamento esterno coevo al periodo di massima fioritura di H. e a esso strettamente correlato. Cancellato dall’incendio del VI sec. a.C., non fu mai più ricostruito; l’area su cui sorgeva venne spianata e utilizzata come luogo di sepoltura dai nuovi signori della fortezza. I resti degli edifici dell’insediamento vennero impiegati per la costruzione di quattro tumuli funerari i cui corredi, ricchi d’oro, forniscono importanti dati sulla posizione sociale dei defunti. Il principale, che è anche uno dei più grandi d’Europa, è quello cosiddetto Hochmichele, alto 13 m. La camera funeraria, a struttura lignea, conteneva una sepoltura bisoma, maschile e femminile; del corredo dell’uomo, sepolto con la testa orientata a sud-est, sono state rinvenute due fibule in bronzo, un grosso anello di ferro e una cintura in bronzo. Sopra la testa era collocata, di traverso, una faretra con i resti delle punte delle frecce e, vicino, un pugnale. Alla destra del defunto era un carro a quattro ruote, accanto al quale sono stati trovati i resti dei finimenti del secondo cavallo. Sotto il carro giaceva la donna, ornata di una collana con perle di vetro e ambra.
In generale:
K. Bittel - A. Rieth, Die Heuneburg an der oberen Donau, ein frühkeltischer Fürstensitz, Stuttgart 1951.
S. Schieck, Vorbericht über die Ausgrabung des vierten Fürstengrabhügels bei der Heuneburg, in Germania, 37 (1959) pp. 117-31.
G. Riek, Der Hochmichele. Ein Fürtstengrabhügelder späten Hallstattzeit bei der Heuneburg, Stuttgart 1962.
K. Bittel - W. Kimmig - S. Schiek, Die Kelten in Baden-Württemberg, Stuttgart 1981, pp. 369-83 (con bibl. prec.).
W. Kimmig, Die Heuneburg an deroberen Donau, Stuttgart 19832 (con bibl. prec.).
In particolare:
G. Riek, Heuneburgstudien, I. Der Hochmichele. Ein Fürstengräberhügel der spätenHallstattzeit bei der Heuneburg, Berlin 1962.
G. Mansfeld, Heuneburgstudien, II. Die Fibeln der Heuneburg 1950-1970. Ein Beitrag zur Geschichte der Späthallstattfibel, Berlin 1973.
A. Lang, Heuneburgstudien, III. Die geriefte Drehscheibenkeramik der Heuneburg 1950-1970 und verwandte Gruppen, Berlin 1974.
H.W. Dämmer, Heuneburgstudien, IV. Die bemalte Keramikder Heuneburg. Die Funde aus den Grabungen von 1950-1973, Mainz a.Rh.1978.
S. Sievers, Heuneburgstudien, V. Die Kleinfunde der Heuneburg. DieFunde aus den Grabungen von 1950-1979, Mainz a.Rh. 1984.
E. Gersbach, Heuneburgstudien, VI. Ausgrabungsmethodik und Stratigraphie der Heuneburg, Mainz a.Rh. 1989.
H. van der Boom - D. Fort-Linksfeiler, Heuneburgstudien, VII. Keramische Sondergruppen der Heuneburg. Die Schüsseln und Schalender Heuneburg, Mainz a.Rh. 1989.
H. van den Boom, Heuneburgstudien, VIII. Grossgefässe und Töpfe der Heuneburg, Mainz a.Rh. 1991.
E. Gersbach- H. van den Boom - H. Drescher, Heuneburgstudien, IX. Baubefunde der Perioden IVc - IVa der Heuneburg, Mainz a.Rh. 1995.
W. Kimmig (ed.), Heuneburgstudien, XI. Importe und mediterrane Einflusse auf der Heuneburg, Mainz a.Rh. 2000 (con bibl. prec.).
di Enrico Pellegrini
Collina in Gran Bretagna (140 m s.l.m.) situata in una valle percorsa da due fiumi (presso Dorchester, nel Dorset) sulla quale furono realizzate imponenti strutture durante il Neolitico e nell’età del Ferro.
Il sito fu indagato negli anni Trenta dell’Ottocento da M. Wheeler con una serie di campagne che contribuirono, tra l’altro, allo sviluppo della metodologia dello scavo archeologico stratigrafico. La prima fase di occupazione di M.C. risale al Neolitico (IV millennio), periodo nel quale furono realizzati due fossati concentrici del tipo causewayed camp (campo a strade rialzate) che racchiudono un’area di circa 7 ha nel settore orientale della collina. La struttura risulta essere stata deliberatamente riempita con centinaia di frammenti ceramici, riconducibili in prevalenza allo stile di Hembury del Neolitico antico, asce di pietra, ossa di animali e migliaia di manufatti litici, molti dei quali scarti di lavorazione. Successivamente all’abbandono del causewayed camp fu realizzato un tumulo di forma allungata (ca. 550 m di lunghezza e 1,5 m di altezza), sovrapposto in parte ai fossati, che conteneva due bambini inumati collocati all’estremità orientale. Alla facies del Bicchiere Campaniforme (fine III - inizi del II millennio a.C.) sono riferibili due tumuli sepolcrali circolari.
La collina di M.C. fu nuovamente occupata nell’età del Ferro (V sec. a.C. - I sec. d.C.), periodo durante il quale il sito, con la realizzazione di opere difensive successivamente ampliate, assume il caratteristico aspetto di “forte collinare” (hillfort), il più grande delle Isole Britanniche e tra i più rilevanti esempi di fortificazioni celtiche in Europa. Il primo impianto difensivo, situato nella parte orientale della collina, delimitava un’area di soli 7 ha ed era costituito da un baluardo rivestito di legno di circa 33 m di larghezza; nel corso del II sec. d.C. le fortificazioni ebbero diversi rifacimenti. Nell’ultima fase la cinta difensiva era costituita da un baluardo con tre file di difesa all’estremità settentrionale e con quattro file in quella meridionale; nel settore settentrionale la larghezza complessiva delle linee di difesa raggiungeva 94,5 m; i due accessi alla sommità della collina erano di tipo complesso e comprendevano diverse opere di difesa, posti di guardia e postazioni per il lancio delle frombole. Nell’area interna alla fortificazione gli scavi hanno individuato diverse abitazioni, focolari, forni e aree per la lavorazione del metallo.
Nel 44 d.C. il forte collinare di M.C. fu conquistato dalle legioni romane e la popolazione fu costretta a spostarsi nel nuovo insediamento di Durnovaria, impiantato poco distante. Lo scavo di un cimitero riferibile all’evento bellico, situato in prossimità di M.C., ha restituito i corpi di 38 combattenti. L’ultima fase di frequentazione del sito è riferibile al IV sec. d.C., quando sulla collina di Maiden Castle fu eretto un tempio romano-celtico.
R.E.M. Wheeler, Maiden Castle, Dorset, London 1943.
J. Forde-Johnston, Hillforts of the Iron Age in England and Wales, Liverpool 1976.
N. Sharples, Maiden Castle Project 1985. An Interim Report, Dorchester 1987.
A. J. Lawson, The Prehistoric Hinterland of Maiden Castle, in AntJ, 70 (1990), pp. 271-87.
N. Sharples, La fortezza di Maiden Castle, in S. Moscati (ed.), I Celti (Catalogo della mostra), Milano 1991, pp. 607-608.
di Daniele Vitali
Vasto oppidum celtico, oggi in parte ricoperto dall’attuale e omonimo paese di M., 50 km a nord di Monaco, in Bassa Baviera, posto su un terrazzo pianeggiante del Danubio, che scorre più a nord; il sito è delimitato a ovest dal Paar e sugli altri lati da zone acquitrinose.
Una cinta artificiale lunga 7 km, larga alla base 25-30 m e alta oltre 4 m racchiude un’area circolare di 380 ha occupata in parte dall’abitato. La fortificazione è interrotta da alcune porte; quella est è la più nota per le dimensioni imponenti e la forma a tenaglia (Zangentor); altre ne sono note sul lato sud e in altri punti manomessi o disturbati da lavori in tempo di pace e di guerra. Nella fortificazione sono riconosciute due fasi: nella prima (ca. 140 a.C.) la facciata è formata da un muro di pietre del Giura e ossatura di travi lignee orizzontali, incrociate e tenute insieme con caviglie di ferro (il tipico murus gallicus); sul lato interno è addossata una rampa di terra; nella seconda (104±10 a.C., LaTène DI), che ingloba la precedente, la facciata esterna è formata da una sequenza continua di soli pali verticali (tipo Kelheim o Pfostenschlitzmauer); all’esterno vi è un fossato. La facciata lignea fu incendiata, ma successivamente ricostruita con la stessa tecnica.
Lo spazio interno risulta pianificato; l’occupazione è capillare nella parte centrale e più rarefatta verso la periferia. Si calcola un numero di abitanti compreso tra 5.000 e 10.000. Un asse stradale in direzione est-ovest, in rapporto con la porta est, organizza l’orientamento di isolati ed edifici rettangolari, interamente di legno, di dimensioni e funzioni diverse: le abitazioni hanno i lati di 7 x 17 m, mentre gli edifici, lunghi oltre 50 m e a due navate, sono considerati magazzini o stalle. Molto noto il cosiddetto “complesso B”, un isolato di 80 m di lato, con portico e sette edifici interni considerati residenze aristocratiche. Nella parte centrale dell’oppidum sono documentate numerose attività artigianali: metallurgiche, particolarmente fabbrili (attrezzi di ferro in corso di fabbricazione, scorie), lavorazione del vetro, del legno, cuoio, tessuti, produzione ceramica. La posizione strategica di M. all’incrocio di vie terrestri e fluviali, spiega in parte il successo del commercio e degli scambi: molte anfore vinarie, probabilmente dell’Etruria tirrenica, documentano strette relazioni col mondo mediterraneo.
Altri edifici a pianta poligonale, inseriti in uno spazio rettangolare delimitato da un fossato, sono interpretati come luoghi di culto. Almeno tre santuari (A-C) sono identificati all’interno della cinta, mentre un quarto (D), tipo Viereckschanze, si trova a 1,5 km a sud-ovest. Dai santuari A-C provengono armi latèniane di ferro, ripiegate o sacrificate volontariamente (come a Gournay-sur-Aronde), la testa in ferro di una statua di cavallo, un alberello di legno e bronzo con foglie di lamina d’oro. Si hanno anche alcune necropoli, una alla sinistra del Paar (Steinbichel), databile a partire dal La Tène B2 e un’altra all’interno della cinta (Hundsrucken) del La Tène C. Complessivamente si riconoscono in M. tre fasi: la prima (metà del III sec. a.C.) con un abitato aperto formato da edifici agricoli e artigianali; la seconda degli inizi del II secolo con un aumento della superficie abitata e un’organizzazione rigorosa in isolati; la terza (La Tène DI) in cui l’abitato ha la massima estensione, ma una perdita della struttura per isolati e un diverso orientamento generale. In quest’ultima fase nasce e si evolve la fortificazione. L’abbandono progressivo dell’oppidum di M., le cui ragioni non sono chiare, è completo nella seconda metà del I sec. a.C.
I resoconti di scavo per aree e i relativi ritrovamenti per classi di materiali sono dettagliatamente esposti nei volumi Die Ausgrabungen in Manching, I-XV, Stuttgart - Wiesbaden 1970-92.
In particolare:
W. Krämer, Die Grabfunde von Manching und die latènezeitlichen Flachgräber in Südbayern. Die Ausgrabungen in Manching, IX, Stuttgart 1985.
D. van Endert, Das Osttor des Oppidums von Manching. Die Ausgrabungen in Manching, X, Stuttgart 1987.
Ulteriori risultati di scavo:
Manching, 2-5, in Germania, 40 (1962); 43 (1965); 50 (1972); 63 (1985).
Inoltre:
W. Krämer, Ein Vindelikischen Oppidum an der Donau, in Neue Ausgrabungen in Deutschland, Berlin 1958, pp. 175-202.
Id., Zwanzig Jahre Ausgrabungen in Manching, 1955 bis 1974, in Ausgrabungen in Deutschland, gefördert von der deutschen Forschungsgemeinschaft, 1950-1975, I. Vorgeschichte-Römerzeit, Mainz a.Rh. 1975, pp. 287-97.
F. Schubert, Vortrag zur Jahressitzung 1983 der Römisch-Germanischen Kommission. Neue Ergebnisse zum Bebauungsplan von Manching, in BerRGK, 64 (1983), pp. 5-19.
M. Egger, Keltische Funde aus Manching, III, in JNG, 34 (1984), pp. 135-61.
F. Maier, Vorbericht über die Ausgrabung 1985 in dem Spätkeltischen Oppidum von Manching, in Germania, 64 (1986), pp. 1-43.
W. Krämer, Das eiserne Ross von Manching. Fragmente einer mittellatènezeitlichen Pferplastik, in Germania, 67 (1989), pp. 519-39.
S. Sievers, Die Waffen von Manching unter Berücksichtigung des Übergangs von LT C zu LT D. Ein Zwischenbericht, ibid., pp. 97-100.
F. Maier, Das Kultbäumchen vom Manching. Ein Zeugnis hellenisticher und Keltischer Goldschmledekunst aus dem 3. Jahrhundert v. Chr., in Germania, 68 (1990), pp. 129-65.
C. Dobiat - S. Sievers - T. Stöllner (edd.), Dürrnberg und Manching Wirstschaftsarchäologie im ostkeltischen Raum. Akten des Internationalen Kolloquiums in Hallein - Bad Dürrnberg (7-11 Oktober 1998), Bonn 2002.
di Daniele Vitali
La necropoli di M.-R. è situata alla periferia sud-orientale del centro di Münsingen, lungo l’Aare, tra Bema e Thun.
Le prime scoperte si ebbero nel 1904 quando una cava di ghiaia iniziò a sfruttare il terrazzo alluvionale anticamente occupato dal sepolcreto. Lo scavo sistematico fu curato da J. Wiedmer-Stern, vicedirettore del Bernisches Historisches Museum, che tra il 1904 e 1906 mise in luce 217 tombe a inumazione costituenti uno dei maggiori sepolcreti latèniani non solo della Svizzera, ma di tutta l’Europa. Nel 1908 si ebbe la prima pubblicazione degli scavi. Wiedmer-Stern propose una classificazione tipo-cronologica dei corredi latèniani di M.-R. ispirandosi alla suddivisione di O. Tischler, ma affinando ulteriormente tale schema cronologico: egli articolò in tre fasi il La Tène Antico (LT IA, IB, IC) e in due il La Tène Medio (LT IIA, IIB), riconoscendo poi una precisa stratigrafia orizzontale della necropoli che dal settore di più antico impianto a nord si era sviluppata con progressione verso sud dove si trovano le tombe più recenti. La necropoli di M.-R. contiene tombe di bambini, adolescenti, adulti di sesso maschile e femminile, generalmente con corredi significativi, formati da elementi di parures, di abbigliamento e, nel caso dei guerrieri, armi. Si hanno offerte carnee mentre raro è il vasellame ceramico, assente quello metallico. La varietà delle fogge di fibule, braccialetti, anelli da caviglia e delle composizioni delle parures ha fatto e fa tuttora di M.R. un caposaldo della cronologia del periodo La Tène in Europa, compresa l’Italia settentrionale.
Lo studio cronologico è stato ripreso a partire dagli anni Cinquanta del Novecento. Nel 1968 F.R. Hodson parte da una nuova definizione formalizzata di tipi (talora discutibili) che si concretizzano nella diagonale di una matrice statistica a due entrate, dove sono combinati i tipi e e l’associazione di questi in insiemi chiusi. Hodson identifica nella necropoli di M.-R. 22 “orizzonti” (A-V) raggruppati in 6 fasi principali e 3 di transizione corrispondenti al La Tène A avanzato fino alla fine del La Tène C2. A parte alcuni dettagli, risultano confermate le intuizioni generali di Wiedmer-Stern, della continuità nello sviluppo del sepolcreto. Altri studi hanno privilegiato particolari classi di materiali: i torques a pastiglie, i braccialetti di vetro, gli anelli tubolari decorati, lo smalto come elemento decorativo. Alla necropoli di M.-R. può essere affiancata quella di Münsingen-Tägermatten che ha restituito 26 tombe dello stesso periodo di M.-R.
Le ricerche più recenti segnalano tra Berna e Münsingen circa 400 tombe appartenenti a una cinquantina di nuovi sepolcreti coevi a M.-R. e numerose tombe del La Tène finale che mancherebbero a M.-R. Secondo alcuni autori (P. Jud, G. Kaenel) la “ricchezza” dei corredi che accompagnano gli inumati di M.-R. o della necropoli di Saint-Sulpice indicherebbe non i caratteri ordinari e comuni della società celtica locale, bensì solo dei personaggi investiti da uno status sociale particolare e quindi soltanto di una porzione di tale società.
J. Wiedmer-Stern, Das gallische Gräberfeld bei Münsingen (Kt. Benil), in Archives des historischenvereins des Kantons Bern, 18 (1908), pp. 269-361.
F.R. Hodson, The La Tène Cemetery at Münsingen-Rain: Catalogue and Relative Chronology, Bern 1968.
I. Stork, Neue Beobachtungen zum Gräberfeld Münsingen-Rain, in JbSchwUrgesch, 57 (1972-73), pp. 169-74.
S. Martin-Kilcher, Zur Tracht- und Beigabensitte im keltischen Gräberfeld von Münsingen-Rain (Kt. Bern), in ZSchwA, 30 (1973), pp. 26-39.
P. Hinton, An Analysis of Burial Rites at Münsingen-Rain: an Approach to the Study of Iron Age Society, in Aquitania, suppl. 1 (1986), pp. 351-68.
G. Kaenel - F. Müller, L’Altipiano svizzero, in S. Moscati (ed.), I Celti (Catalogo della mostra), Milano 1991, pp. 251-58.
G. Kaenel, Objets, parures, société, politique... L’exemple de l’âge du Fer, in Bulletin du Centre Genevois d’Anthropologie, 4 (1993-94), pp. 23-41.
F. Müller (ed.), Münsingen-Rain, ein Markstein der keltischen Archäologie. Akten Internationales Kolloquium “Das keltische Gräberfeld von Münsingen-Rain 1906-1996” (Münsingen -Bern, 9-12 Oktober 1996), Bern 1998.
di Cinzia Vismara
Il Mont-Lassois, una collina che sovrasta V. e la Senna, fu densamente popolato sin dalla preistoria; ricerche aeree condotte a partire dal 1961 hanno consentito di individuare, sulle pendici meridionali, recinti con fossati semplici o doppi, resti di un grande tumulo, piccoli recinti quadrangolari, una grande cinta di pianta quadrata con ingresso, fossati, altre strutture, fori di pali. Più lontano sono stati riconosciuti i grandi assi di comunicazione di età protostorica e romana, strutture funerarie e altri resti.
L’occupazione protostorica, che ha conosciuto due grandi fasi (Hallstatt D2-D3 e La Tène C2-La Tène D1), sembra interrompersi alla fine del Bronzo Finale IIIb e riprendere nel periodo Hallstatt D1. Lo iato nella sequenza cronologica in La Tène A e l’assenza di tombe fastose nell’area dipendono verosimilmente da una riorganizzazione dei rapporti di potere tra centro e periferia e da un indebolimento del ruolo politico-economico che questa residenza principesca giocava alla fine dello Hallstatt finale; il vuoto demografico di La Tène B2-C va probabilmente messo in relazione con l’emigrazione delle popolazioni celtiche che occupavano la regione.
Nel 1953 fu scoperta una tomba principesca di eccezionale importanza: al centro di un tumulo distrutto già in età romana era la camera funeraria cubica (lungh. 3 m) con pareti e soffitto rivestiti in legno, nella quale era una sorta di carro-lettiga in legno con decorazioni bronzee le cui ruote erano state smontate, protette con stoffe e collocate lungo una parete. All’interno della cassa era la deposizione di una donna con ricchissimi gioielli: un diadema in oro (480 gr) di fattura greco-scita sormontato da un arco nascente da zampe leonine su sfere e cavalli alati, un torques bronzeo a spirale, una collana di ambra e diorite, numerose fibule con decorazioni in corallo, ambra e oro, bracciali in scisto e perle d’ambra, cavigliere in bronzo. In un angolo era un gigantesco cratere in bronzo (alt. 1,64 m, peso 208,6 kg), composto da elementi messi in opera con l’ausilio di lettere incise, che M. Guarducci ha attribuito all’alfabeto di Locri o a quello di Siracusa; l’attacco delle anse a volute è configurato in forma di Gorgone anguipede. La decorazione figurata, sul collo, è costituita da una teoria di carri alternati a opliti, eseguiti singolarmente e applicati sul fondo liscio. Il vaso era provvisto di un coperchio concavo traforato, con maniglie, che presentava al centro una statuetta femminile panneggiata; su di esso erano state collocate una coppa apoda in argento con umbilice in oro, una attica a figure nere (Droop cup) con amazzonomachia e un’altra a vernice nera. Sul pavimento erano due bacini, una oinochoe in bronzo di fabbricazione etrusca e un grande lebete. I materiali consentono di datare la sepoltura alla fine del VI sec. a.C. o agli inizi del successivo. La scoperta, nel 1991, di statue di personaggi eroizzati in un santuario di necropoli contemporaneo alla vicinissima tomba principesca ha aperto interessanti prospettive sul ruolo di questo complesso cultuale nella strutturazione della società e del territorio.
R. Joffroy, Le trésor de Vix. Histoire et portée d’une grande découverte, Paris 1962.
B. Chaume, Vix, le Mont Lassois: état de nos connaissances sur le site princier et son environnement, in P. Brun - B. Chaume (edd.), Vix et les ephémères principautés celtiques. Les VIe et Ve siècles avant J.-C. en Europe centre-occidentale, Actes du colloque de Châtillon-sur-Seine (27-29 octobre 1993), Paris 1997, pp. 185-200, 347-63 (con bibl. prec.).
R. Goguey, Vix: les données de l’archéologie aérienne sur le site et son environnement, ibid., pp. 179-84.
B. Chaume, Vix et son territoire à l’âge du fer. Fouilles du Mont Lassois et environnement du site princier, Montagnac 2001.
Vix. Le cinquantenaire d’une decouverte, in DossAParis, 284 (2002).
C. Rolley, Le tombe princière de Vix, Paris 2003.