CECA, REPUBBLICA.
– Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Storia. Architettura. Letteratura. Bibliografia. Cinema. Bibliografia
Demografia e geografia economica di Silvia Lilli. – Stato dell’Europa centrale. La popolazione al censimento del 2011 risultava essere di 10.436.560 ab. (10.740.468 ab. nel 2014, secondo una stima UNDESA, United Nations Department of Economic and Social Affairs), con un lieve incremento rispetto al censimento del 2001, risultato di un tasso di crescita molto basso (0,5% nel quinquennio 2005-10). La maggioranza etnica ceca risulta decisamente ridimensionata (64,3% nel 2011, contro il 90% del 2001); tra le minoranze, le più consistenti restano quella morava (5%) e quella slovacca (1,4%), seguono più contenute comunità ucraine, polacche, vietnamite, tedesche, silesie e rom. La popolazione urbana costituisce circa il 73% del totale, distribuita principalmente nella capitale Praga (1.243.201 ab.) e nei centri urbani di Brno, Ostrava, Plzeň e Liberec.
Condizioni economiche. – L’economia ceca è fortemente orientata verso il settore industriale, che copre il 37% del PIL e della forza lavoro. Il settore trainante è quello delle esportazioni, con la Germania quale partner principale (31,8%); i prodotti esportati sono quelli dell’industria automobilistica (circa l’80% della produzione è destinata all’esportazione) e l’energia elettrica, per la quale la R. C. è al settimo posto tra i Paesi esportatori. I servizi, che coprono il 60% del PIL, sono in crescita, specialmente nel settore del turismo, che costituisce una fonte notevole di entrate valutarie (7758 dollari nel 2012); sempre nel 2012 sono stati registrati 8.908.000 ingressi, provenienti in gran parte dai Paesi dell’Unione Europea (UE) e diretti principalmente verso Praga e le città storiche. L’ingresso del Paese nell’UE, avvenuto nel 2004, ha rafforzato ancora più l’integrazione con il mercato europeo, così come la libera circolazione degli individui, disposta dalla convenzione di Schengen, che la R. C. ha accolto nel 2007. Nel complesso, l’economia ceca è tra le più floride dei Paesi ex sovietici, con un PIL pro capite a parità di poteri d’acquisto (PPA) di 28.446 $ (2014) e una disoccupazione contenuta (6,4% nel 2014).
Dopo una crescita sostenuta nei primi anni Duemila, tuttavia, il PIL ha registrato una decisa contrazione, in conseguenza della crisi economica nel 2009 (−4,1%), soprattutto per via della forte dipendenza dell’economia dalle esportazioni. Dopo una ripresa piuttosto immediata nel biennio 2010-11 (+2,1%), il PIL ha subito ancora una lieve contrazione nel biennio 2013-14. La politica economica ceca continua a muoversi in direzione dell’adozione della moneta unica europea, inizialmente auspicata per il 2012; tale previsione è stata però corretta soprattutto per via dell’instabilità del deficit pubblico e dell’inflazione, che sono risultati nel 2012 oltre i limiti imposti dal trattato di Maastricht. Nel 2014, secondo il Rapporto di convergenza della BCE (Banca Centrale Europea), l’inflazione registrata è dello 0,9%, mentre il disavanzo delle amministrazioni pubbliche è del −1,9%, entro i limiti imposti per il 2014 (rispettivamente, 1,7% e −3%). L’andamento positivo dell’economia, insieme alla decisione del governo ceco nel 2014 di approvare il piano fiscale europeo per la stabilità di bilancio, sembrano fornire i presupposti per l’adozione dell’euro intorno all’anno 2020.
Storia di Samuele Dominioni. – Le elezioni parlamentari del giugno 2006 produssero una situazione di stallo politico. Dopo alcuni vani tentativi di trovare una maggioranza di governo, Mirek Topolanek riuscì a formare una coalizione che includeva il Partito civico democratico (ODS), l’Unione cristiano democratica (KDU-ČSL) e il Partito verde (SL). La fiducia al governo fu votata nel gennaio del 2007, grazie alla defezione di due deputati originariamente eletti con il Partito socialdemocratico (ČSSD), i quali si dichiararono indipendenti.Seguirono crisi interne ai partiti di maggioranza che furono sfruttate dall’opposizione per attaccare duramente il governo cercando di farlo cadere. Nonostante la sua fragilità, l’esecutivo presieduto da Topolanek riuscì a resistere a quattro mozioni di sfiducia; la quinta – nel marzo 2009 – fu tuttavia approvata e costrinse il premier alle dimissioni, mentre il Paese esercitava per la prima volta la presidenza semestrale dell’Unione Europea. I maggiori partiti furono concordi sulla nomina – a capo di un governo tecnico – di Jan Fischer, presidente dell’Istituto ceco di statistica e apprezzato soprattutto per la capacità di muoversi in contesti internazionali.
Nel suo discorso al Parlamento, prima di ottenere la fiducia, Fischer espresse la sua intenzione di limitarsi all’amministrazione della burocrazia e a rilanciare l’economia del Paese, preparando la strada alle privatizzazioni. Il nuovo esecutivo, che ottenne la fiducia il 7 giugno 2009, avrebbe dovuto restare in carica fino alle elezioni parlamentari previste per l’autunno; queste furono tuttavia posticipate alla primavera successiva dopo che la legge costituzionale approvata dal Parlamento per ridurre la durata del mandato della Camera dei deputati e consentire l’immediata convocazione delle elezioni, fu bocciata dalla Corte costituzionale. Il programma del governo Fischer dovette così essere modificato e cominciò ad assumere una dimensione più politica.
Tale nuova impostazione cambiò tuttavia la percezione che l’opinione pubblica aveva dell’esecutivo, in particolare con l’avvicinarsi delle elezioni. Nel Paese iniziavano a emergere una diffusa voglia di cambiamento e un forte malcontento per i partiti storici come ČSSD e ODS.
Nelle elezioni del maggio 2010, il ČSSD fu la prima forza politica del Paese, pur con un calo di dieci punti percentuali (da più del 32% a circa il 22%) rispetto alle ultime elezioni del 2006. L’importante perdita di consensi portò il segretario del partito Jiří Paroubek alle dimissioni; poiché inoltre il ČSSD non disponeva dei numeri per formare l’esecutivo, questo fu costituito da una coalizione di partiti di centrodestra composta da ODS, TOP 09 (partito fondato nel giugno 2009) e Affari pubblici (VV). L’incarico di primo ministro fu affidato al leader dell’ODS Petr Nečas.
Il nuovo governo, forte dell’ampio voto di fiducia ricevuto dal Parlamento, annunciò il suo impegno per il consolidamento fiscale del Paese. Nel corso del biennio seguente, nonostante una timida crescita economica, il governo aumentò le tasse e le aliquote dell’IVA, seguendo un programma di austerità che comportò una compressione delle politiche sociali.
L’impopolarità del governo raggiunse l’apice quando scoppiarono scandali legati a fenomeni di corruzione e abusi di potere che coinvolsero anche personalità vicine al primo ministro Nečas. Il 17 giugno 2013 il premier rassegnò le sue dimissioni e al suo posto fu nominato Jiří Rusnok, che guidò un governo tecnico fino alle elezioni parlamentari dell’ottobre 2013. Il voto vide la conferma del ČSSD come primo partito del Paese, seguito dalla nuova forza politica ANO 2011 guidata dal miliardario Andrej Babiš e dal Partito comunista di Boemia e Moravia; l’ODS si attestò invece sul 7,7% rispetto al 20,2% delle elezioni del 2010. Nel gennaio 2014, il presidente della Repubblica Miloš Zeman affidò al leader socialdemocratico Bohuslav Sobotka l’incarico di formare il governo. Oltre al ČSSD, parteciparono al nuovo esecutivo anche il KDU-ČSL e ANO 2011, il cui leader Babiš assunse l’incarico di vice-premier e ministro delle Finanze.
Architettura di Chiara Puri Purini. – Con un patrimonio costruito straordinariamente vasto e variegato, la R. C. presenta una forte identità architettonica che ha assunto espressioni molto particolari all’interno del panorama dell’Europa centrale. A capolavori gotici, rinascimentali, barocchi, neorinascimentali e novecenteschi (segnatamente del periodo della Secessione), si affiancano importanti esempi risalenti al periodo delle avanguardie storiche, dal Cubismo al Funzionalismo, che ne hanno rivoluzionato l’immagine architettonica: fra i protagonisti di tali vicende, ancora oggi noti e studiati, si ricordano Jan Kotěra (1871-1923), Josef Gočár (1880-1945), Pavel Janák (1881-1956), Josef Chochol (1880-1956), Emil Králíček (1877-1930) e Matěj Blecha (1861-1919).
Nel panorama contemporaneo spiccano le figure diAlena Šrámková, Josef Pleskot, Ivan Kroupa, ADR studio,
A.D.N.S. studio: progettisti che, partendo dall’eredità del modernismo e lavorando in maniera creativa su materiali diversi, dal metallo al legno al vetro, hanno offerto numerosi esempi dell’interessante rinnovamento intrapreso dalla cultura progettuale ceca, a sua volta frutto di profondi cambiamenti politici, sociali ed economici. Tra le opere più significative si ricordano: i due edifici religiosi costruiti dello studio Fránek Architects per la Chiesa evangelica Czech Brethren, la maggiore confessione protestante del Paese, a Praga e a Litomyšl, entrambi del 2009; la biblioteca tecnica statale di Praga (2009), progettata dagli studi Projektil e Helika; il centro congressi della scuola Masaryk (2010, con A.I. Design s.r.o.) nel centro di Zlin, opera dello studio di Eva Jiřičná, celebre progettista e interior designer ceca con studi a Londra e a Praga; l’osservatorio e il planetario (2011) di Rudiš-Rudiš Architekti s.r.o. a Brno; il restauro del bastione del Crocifisso (2011) nella fortezza medievale realizzata nel 1348 dall’imperatore Carlo IV a difesa della città di Praga, opera di MCA atelier s.r.o.; il centro culturale UFFO a Trutnov di Vision Architecture, inaugurato nel 2011; il faro e museo Jára Cimrman (2013), opera lignea sperimentale dello studio Hut’ Architectury Martin Rajniš a Příchovice; l’abbazia di Pannonhalma (2006-12) e il laboratorio del monastero di Nostra Signora di Nový Dvůr, in Boemia (2008-14), essenziali e raffinati progetti dell’apprezzato architetto inglese John Pawson.
Letteratura di Massimo Tria. – Superati gli entusiasmi post-totalitari e la delusione per la successiva commercializzazione della cultura, la letteratura ceca dell’ultimo decennio ha visto molte conferme e interessanti nuove scoperte. Le nuove tecnologie hanno agevolato la diffusione di esordienti e di libri anche di piccola tiratura, ma il lettore medio ha spesso avuto difficoltà a orientarsi nella vasta offerta editoriale. Va registrata la scomparsa di alcuni autori divenuti ormai dei classici, Josef Škvorecký (1924-2012), Arnošt Lustig (19262011) e Václav Havel (1936-2011); si sono spente due icone dell’underground, Egon Bondy (1930-2007) e Ivan Martin Jirous (1944-2011), nonché la pensosa voce lirica di Viola Fischerová (1935-2010), ed è scomparso, neanche quarantenne, Jan Balabán (1961-2010).
Esauritosi il ruolo dell’autore-coscienza della nazione, alcuni dei nomi che si sono evidenziati sono quelli che hanno saputo adeguarsi alle condizioni di mercato, dando vita al ‘mainstream letterario’, una letteratura lontana dalla sperimentazione, ma con procedimenti poetico-stilistici autoriali: il maggiore autore di successo ceco Michal Viewegh (n. 1962) ha continuato a coltivare il proprio successo commerciale con il primo ‘libro interattivo’ scritto insieme ai lettori, o con Biomanželka (2010; trad. it. La bio-moglie, 2010), satira sulle ultime mode ambientaliste; a metà fra produzione di genere e critica sociale, Miloš Urban (n. 1967) si è ancora dedicato alla storia di Praga (Lord Mord, 2008; Praga Piccola, 2012).
Molti i romanzi su temi storici irrisolti: sempre interessante, ma poco prolifico, Jáchym Topol (n. 1962) ha proseguito la sua riflessione sui totalitarismi (Chladnou zemí, 2009; trad. it. L’officina del diavolo, 2012); Radka Denemarková (n. 1968) con Peníze od Hitlera (2006; trad. it. I soldi di Hitler, 2012) ha dato un’immagine dolorosa dei contrasti ceco-tedeschi.
Segno di sprovincializzazione è stata l’apertura ad aree geografiche lontane: si vedano Martin Ryšavý (n. 1967) con il suo Cesty na Sibiř (2008, Viaggi in Siberia) o Stanice Tajga (2008, Stazione taiga) di Petra Hůlová (n. 1979), uno dei nomi femminili più rilevanti (si veda anche il suo Umělohmotný třípokoj, 2006; trad. it. Trilocale di plastica, 2013). Come in parte anche la Hůlová, Jakuba Katalpa (n. 1979) si è segnalata per la franchezza pornografica di alcune sue pagine, con il suo debutto Je hlína k snědku? (2006, La terra si mangia?). A questi nomi femminili vanno accostati quelli di Markéta Pilátová (n. 1973) o Irena Dousková (n. 1964) e Věra Nosková (n. 1947), che hanno costruito piccole saghe letterarie.
Il postmodernismo ha mostrato un po’ la corda: minore è stato l’impatto dell’opera di Jiří Kratochvil (n. 1940) o di Patrik Ouředník (n. 1957), il quale ha comunque prodotto due notevoli testi dalla struttura aperta, Příhodná chvíle, 1855 (2006; trad. it. Istante propizio, 1855, 2006) e Ad acta (2006). Fra le voci più mature spiccano quelle di Daniela Hodrová (n. 1946) e Sylvie Richterová (n. 1945), tra le più giovani promettenti autrici tradotte in italiano si segnalano Kateřina Tučková (n. 1980; Vyhnání Gerty Schnirch, 2009; trad. it. L’espulsione di Gerta Schnirch, 2011) e Petra Soukupová (n. 1982; Zmizet, 2009; trad. it. Sparire, 2013), o ancora Tomáš Zmeškal (n. 1966) e Jiří Hájíček (n. 1967), vincitore nel 2013 del Magnesia Litera, uno fra i premi letterari più importanti.
Della recente poesia ceca è stato detto che è riuscita a creare solo una ‘quasi-generazione’, e che la sua immagine d’insieme rimane frammentaria. Fra i nomi arrivati sul mercato italiano o vincitori di premi: Petr Hruška (n. 1964), premio Jan Skácel nel 2009, ma anche premio Ciampi nel 2014 con Auta vjíždějí do lodí (2007; trad. it. Le macchine entrano nelle navi, 2014), Jakub Řehák (n. 1978) e Radek Malý (n. 1977), vincitori del Magnesia Litera per la poesia rispettivamente nel 2013 e nel 2006, o ancora Jan Těsnohlídek (n. 1987) e Ondřej Buddeus (n. 1984), ai quali è andato il premio Orten per i poeti giovani rispettivamente nel 2010 e nel 2013.
Bibliografia: Rapporti di errore. Sedici voci nuove della poesia ceca contemporanea, a cura di P. Král, Milano 2010; Czech literature guide, ed. J. Balvin, V. Debnar, Praha 2011; L. Bratánková, La voce del trauma. Il caso di Petra Soukupová, «LEA. Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente», 2013, 2, pp. 231-51; S. Mella, Memorie e ferite storiche. Il caso de L’espulsione di Gerta Schnirch, «LEA. Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente», 2013, 2, pp.285-303; V souřadnicích mnohosti. Česká literatura první dekády jednadvacátého století v souvislostech a interpretacích (Le coordinate della molteplicità. La letteratura ceca del primo decennio del 21°secolo: contesti e interpretazioni), a cura di A. Fialová, Praha 2014.
Cinema di Francesco Pitassio. – Dopo la Rivoluzione di velluto (1989), il cinema prodotto in Cecoslovacchia e, dal 1993, nella R. C. ha risentito del passaggio traumatico dall’economia statalizzata a quella di mercato. La trasformazione del quadro normativo, degli assetti societari e della organizzazione della filiera audiovisiva è avvenuta molto rapidamente (1990-93). Sul piano delle infrastrutture, questa fase si è caratterizzata per la privatizzazione dei centri produttivi e il noleggio per la più redditizia realizzazione di produzioni televisive, pubblicitarie e straniere, con riguardo per quelle hollywoodiane ad alto budget (runaway productions). Quest’ultima attività ha avuto particolare rilevanza tra la metà degli anni Novanta e la fine del primo decennio del 2000, per poi ridursi, dislocandosi in altre nazioni dell’Europa orientale.
La privatizzazione della produzione è avvenuta contemporaneamente alla drastica riduzione del finanziamento pubblico e a un innalzamento dei costi di produzione. Il dato, unito al numero contenuto di coproduzioni, prevalentemente con la Slovacchia, e alla limitata esportazione dei prodotti, è stato un fattore critico per il cinema ceco. L’emittenza televisiva nazionale (Česká Televize) è divenuta il principale finanziatore per la produzione.
La produzione ceca ha saputo incontrare l’interesse del pubblico nazionale: per tutti gli anni Novanta i film cechi hanno dominato le classifiche, con il caso eccezionale di Kolja (1996; Kolya) di Jan Svěrák, vincitore, tra gli altri, nel 1997, del Golden globe e dell’Oscar, entrambi come miglior film straniero. La tendenza si è confermata nell’ultimo decennio: in testa agli incassi sono risultati Román pro ženy (2005, noto con il titolo From subway with love) di Filip Renč, Účastníci zájezdu (2006, I gitanti) di Jiří Vejdělek, Vratné lahve (2007; Vuoti a rendere) di Svěrák, Bathory (2008) di Juraj Jakubisko, Líbáš jako Bůh (2009, Baci da dio) di Marie Poledňáková, Ženy v pokušení (2010, Donne in tentazione) e Muži v naději (2011, Uomini speranzosi) entrambi di Vejdělek, e Babovřesky (2013) di Zdeněk Troška. Oltre a questi titoli, bisogna considerare i numerosi film cechi che si sono posizionati tra i primi dieci incassi stagionali e la consistente fascia della produzione che ha goduto di attenzione sul mercato nazionale.
Nel complesso, nell’ultimo decennio, il cinema ceco ha conquistato una quota di incassi derivanti dall’esercizio cinematografico oscillante tra il 20 e il 40%. Occorre però anche considerare la contrazione del mercato avvenuta negli anni Novanta e la scarsa esportazione. I film cechi si rivolgono infatti a un pubblico locale, insufficiente a produrre introiti rilevanti in quanto tale destinazione ne riduce la rilevanza internazionale. Due le linee fondamentali nella produzione: le farse popolari, con protagonisti soprattutto maschili, caratterizzate da ridotta articolazione narrativa e successione di gag, e una produzione media con sceneggiature forti, toni tragicomici, spesso incentrata sulla storia nazionale del Novecento. In questo ambito sono emerse le personalità di Svěrák, Jan Hřebejk, Petr Nikolaev, Bohdan Sláma o Petr Zelenka. I film di questi autori, riconosciuti dalla critica e dal premio di categoria (Český lev), presentano caratteristiche estetiche prevedibili e sono più consoni a un passaggio televisivo che alla circolazione nelle sale o nell’ambito festivaliero. Caso a sé sono due figure emerse negli anni Sessanta, e tuttora attive: il documentarista Karel Vachek e l’animatore Jan Švankmajer. Personalità entrambe legate al movimento surrealista praghese e riottose al compromesso estetico, risultano a tutt’oggi le figure più originali.
Bibliografia: F. Pitassio, La norma senza eccezioni. La cinematografia ceca dopo la normalizzazione, «Europa Orientalis», 2009, 28, pp. 49-78; P. Hames, The Czech and Slovak Republics.The velvet Revolution and after, in Cinemas in transition in Central and Eastern Europe after 1989, ed. C. Portuges, P. Hames, Philadelphia 2013, pp. 40-74.