Repubblica
La Repubblica Centrafricana (Rca) è uno stato indipendente dal 1960, e tuttavia la sua storia non ha mai smesso di essere travagliata. Lontana dai traguardi minimi della democrazia, la Rca ha visto alternarsi governi fortemente autoritari e accentratori, che hanno indugiato in una gestione delle risorse del paese fortemente personalistica, non esitando a fare appello a combattenti ed appoggi internazionali pur di ottenere e rimanere al potere. Le prossime elezioni generali, previste per il 2015, ma probabilmente rimandate vista l’incompleta pacificazione, saranno le seconde votazioni libere dalla data dell’indipendenza. La posizione geografica della Rca contribuisce alla fragilità del paese: gli stati confinanti – Ciad, Sudan, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica del Congo e, in misura minore, Camerun – sono caratterizzati da forte instabilità e attraversati da lunghi conflitti irrisolti. Le frontiere porose del paese e la morfologia del territorio, costituito da ampie zone scarsamente abitate e da foreste, hanno favorito la mobilità e la costituzione di basi di fazioni ribelli di vari paesi, dal Ciad, ai jihadisti dal Sudan e dal Darfur, e persino di appartenenti al Lord’s Resistance Army (Lra) che, in fuga dall’Uganda, si sarebbero rifugiati nel sud della Rca. Il movimento di combattenti è ovviamente interconnesso al traffico di armi, rappresentando un altissimo rischio sia per la Rca che per i paesi limitrofi . L’instabilità permanente, la mancanza di sbocchi sul mare e la netta prevalenza del settore primario sul PiL del paese, hanno fatto sì che la Rca venisse ingiustamente trascurata dalle potenze internazionali, a eccezione della Francia, che ha da sempre intessuto forti relazioni con Bangui, influenzando considerevolmente gli eventi politici del paese, e della Cina, che è il secondo partner economico della Rca per quanto concerne le esportazioni e che vede nel paese uno snodo essenziale per l’oleodotto Ciad-Camerun. In realtà la Rca può contare su risorse naturali strategiche, dai diamanti, all’oro, all’uranio, al ferro, al rame, e soprattutto sulla straordinaria biodiversità delle sue foreste. In Rca vivono i pigmei aka, che insieme ad altre etnie mantengono vivo uno speciale rapporto con l’ambiente circostante, rinnovando riti sopravvissuti al mondo globale, anche grazie all’isolamento delle zone rurali del paese. Dopo tre tumultuosi decenni di malgoverno – per lo più da parte di organi militari –, un governo civile è stato finalmente istituito nel 1993, ma è durato soltanto per un decennio. Nel marzo 2003, il governo di Ange-Félix Patassé è stato infatti rovesciato dal colpo di stato condotto dal generale François Bozizé, con l’appoggio del presidente ciadiano Idriss Deby Itno. Il governo di transizione guidato da Bozizé è stato inizialmente appoggiato dalla Francia e condannato dall’Unione Africana e dalle Nazioni Unite. Le due organizzazioni internazionali hanno riconosciuto la nuova leadership della Rca solo nel 2005, quando Bozizé ha indetto e vinto le elezioni presidenziali e legislative con il partito Convergence Nationale ‘Kwa Na Kwa’. Bozizé ha potuto contare ripetutamente sul sostegno francese: nel 2006 Parigi è intervenuta nel conflitto interno contro le forze ribelli stanziate nel nord-est, off rendo appoggio logistico all’esercito centrafricano, fino all’accordo tra governo e guerriglieri firmato nel 2007 grazie alla mediazione della Libia. Il governo francese è stato anche il principale promotore dell’operazione Eufor Ciad-Car, avviata nel 2008 e poi sostituita dalla missione di peacekeeping delle Nazioni Unite Minurcat, finalizzata a promuovere la pace nella regione di confine tra Ciad e Rca, permettere agli operatori umanitari di soccorrere le migliaia di sfollati sudanesi scampati alla guerra del Darfur e proteggere i civili da possibili ritorsioni dell’esercito sudanese. Con l’avvio di accordi bilaterali tra il Sudan e i paesi confinanti, le Nazioni Unite hanno deciso per il ritiro delle truppe e la fi ne della missione (31 dicembre 2010); la situazione tra Khartoum e Bangui è però rimasta tesa e si è complicata con la proclamazione di indipendenza e la guerra civile del Sud Sudan. L’intervento della Minurcat e la riconciliazione con l’opposizione del Front Démocratique du Peuple Centrafricain (FDPc) ha permesso di avviare un processo di reinserimento degli ex ribelli nel sistema politico, compiutosi nel gennaio 2009 con un governo di unità nazionale. Anche quest’ultimo governo, che era stato riconfermato alle elezioni del 2011, ha avuto durata decennale e Bozizé, da artefi ce, è diventato vittima di un nuovo atto di forza. Una coalizione di gruppi armati, chiamata Séléka, con a capo Michel Djotodia, militare e musulmano convertito, appartenente all’Unione delle forze democratiche per l’unità (UfDr), ha marciato su Bangui partendo da nord e ha spodestato il presidente in carica. Il 24 marzo 2013 Djotodia si è autoproclamato presidente della Repubblica Centrafricana, costituendo un Consiglio nazionale di transizione (Cnt). I Séléka hanno avuto il sostegno informale di Déby: infatti, nonostante il presidente ciadiano abbia affermato fin da subito di volersi impegnare per la stabilizzazione del paese, di fatto ha permesso l’infiltrazione di combattenti ciadiani nel territorio di Bangui (ordinando ai soldati di N’Djamena impegnati nella MicoPaX – la missione per il consolidamento della pace nel paese guidata dalla Comunità economica degli stati dell’Africa centrale, Eccas – di non intervenire). Probabilmente anche il Sudan ha giocato un ruolo nell’organizzazione dei Séléka: lo stesso Djotodia è stato per molti anni console a Nyala, capoluogo del sud del Darfur. I Séléka, durante la loro avanzata, hanno commesso violenze ed esazioni, la cui gravità ha scosso la comunità internazionale, che ha esortato il presidente a intervenire. Nel settembre 2013, Djotodia ha sciolto unilateralmente il movimento dei Séléka, nel tentativo di ovviare alla sua incapacità di controllare il gruppo ribelle. Questa decisione non ha tuttavia arrestato violenze e soprusi sulla popolazione civile, ma ha anzi esasperato la frammentazione della già fragile catena di comando del movimento, causando una situazione di pressoché totale impunità. I Séléka hanno preso di mira i cristiani del paese, commettendo esecuzioni cruente di civili e bruciando abitazioni e luoghi di culto. La connotazione religiosa della coalizione ribelle è spiegata dal fatto che i Séléka, oltre ad ospitare fra le loro fila jihadisti provenienti dagli stati vicini, hanno reclutato fra le province musulmane del nord, cioè quelle più colpite dalla disoccupazione, dalla povertà e dalla reiterata marginalizzazione fin dai primi anni di governo di François Bozizé. L’emergere di una pericolosa frattura religiosa fra cristiani (l’80% della popolazione) e musulmani (circa il 10%), di difficile ricomposizione nel lungo periodo, è stata una conseguenza, più che la causa, del conflitto: gli insorti del movimento Séléka hanno rivendicato la loro identità islamica, impiegando tecniche estremamente violente apprese probabilmente dai gruppi jihadisti. Le esazioni e i crimini perpetrati sulla popolazione civile, anche in nome dell’Islam, hanno portato alla creazione di milizie di autodifesa cristiane (anti-balaka, gli ‘anti-machete’) allo scopo di contrastare l’azione dei Séléka. Gli atti degli anti-balaka non sono stati meno cruenti di quelli dei ribelli, portando a un’escalation di violenza intercomunitaria accompagnata da saccheggi di esercizi commerciali e abitazioni e da uccisioni di massa, come dimostrato dalla recente scoperta di fosse comunitarie in zone remote. Alcune personalità internazionali di rilievo, politici e attivisti dei diritti umani, hanno pertanto parlato di un vero e proprio genocidio in corso.
Gli scontri interreligiosi hanno generato circa 500.000 rifugiati interni (di cui 84.000 alloggiati in differenti campi a Bangui), che si sommano ai circa 160.000 che hanno ripiegato nei campi profughi in Congo Kinshasa, Congo Brazaville, Ciad e Camerun, rendendo concreto il rischio di emergenza alimentare. La forza multinazionale in Africa Centrale (Fomac) non è riuscita a disarmare i Séléka. Dopo un attacco che ha provocato 130 morti provocato dalle milizie anti-balaka a Bangui, nel dicembre 2013 le Nazioni Unite hanno autorizzato l’istituzione della Mission Internationale de Soutien à la Centrafrique (Misca) sostenuta dall’Au, che comprende 5800 uomini fra militari e forze di polizia. In seguito alle ripetute accuse di violazione dei diritti umani e di favoreggiamento dei Séléka, nel 2014 Deby ha ritirato il contingente ciadiano dalla Misca. Nel 2014 la missione è stata potenziata con circa 12.000 caschi blu. All’inizio di dicembre 2013, François Hollande ha unilateralmente deciso di intervenire militarmente nel paese, con un contingente di 1600 soldati che avevano il mandato di affiancare la Misca nelle operazioni di peacekeeping, acquartieramento dei ribelli, disarmo e stabilizzazione. Dopo qualche esitazione, nel secondo semestre del 2014 anche l’Eu ha autorizzato la missione Eufor Rca, poi rinnovata per il 2015.
In gennaio 2013 il presidente Djotodia, abbandonato sia da Parigi che da N’djamena, è stato costretto a dimettersi. Supportato dall’Eccas il Cnt ha provveduto all’elezione di un nuovo presidente. Catherine Samba-Panza, sindaco di Bangui, è diventata il nuovo capo di stato e ha provveduto a insediare un nuovo governo di transizione. Né il governo, dimostratosi troppo debole e senza una precisa strategia, né i contingenti internazionali sono riusciti a fermare gli scontri in Rca, nonostante nel luglio 2014 sia stato firmato un cessate il fuoco tra i Séléka (a eccezione di alcune fazioni che hanno rifiutato di negoziare) e il governo. 300.000 musulmani hanno lasciato la Rca e a Bangui i 3000 musulmani rimasti sono costretti a vivere barricati in un solo quartiere della città. L’aeroporto internazionale della capitale, dove è stato installato uno dei più grandi campi rifugiati, è stato teatro di molti scontri a fuoco, l’ultimo dei quali verificatosi dopo la firma della tregua.
La Corte penale internazionale ha aperto un fascicolo sulle violenze commesse in Rca, ma si tratterà di un processo lungo e complesso. Nel frattempo il volume degli aiuti internazionali erogati al paese è ancora lontano da quello promesso e stabilizzazione e ricostruzione paiono ipotesi lontane, tanto più che Samba-Panza non è nemmeno riuscita ad andare in visita nel nord del paese.
I conflitti che hanno attraversato la Rca dalla sua indipendenza hanno impedito l’attuazione di qualsiasi piano di sviluppo e costituito un forte ostacolo alla rivitalizzazione economica del paese. Nel 2009 il Fondo monetario internazionale ha lavorato a stretto contatto con il governo per istituire un programma di riforme ma, sebbene qualche miglioramento sia stato apportato nella trasparenza del bilancio, rimangono altri ingenti problemi da superare. Lo sviluppo economico del paese è frenato da debolezze strutturali quali infrastrutture di trasporto carenti, una forza lavoro in gran parte non qualificata e un retaggio di politiche macroeconomiche inadeguate. L’economia resta quindi prevalentemente basata su un’agricoltura di sussistenza e su attività che sfuggono alla contabilità nazionale: è diffusa, infatti, la pratica dell’esportazione e del commercio individuale illegale di materie prime, soprattutto diamanti. Si stima così che l’economia informale della Rca sia percentualmente maggiore di molte altre economie formali di altri paesi limitrofi. Il paese registra uno dei tassi di povertà più alti al mondo, collocandosi agli ultimi posti nella classifica dell’Indice di sviluppo umano. L’aspettativa di vita è ferma a poco più di 49 anni e il tasso di mortalità è tre volte superiore alla soglia che definisce l’emergenza umanitaria.
Il colpo di stato del 2012, grazie al quale Michel Djotodia è riuscito ad autoproclamarsi presidente mettendo fine al lungo governo di Bozizé, salvo poi perdere completamente il controllo della situazione, è l’ennesimo e ultimo prodotto di una combinazione di elementi di forte criticità, che, ciclicamente, minacciano la solidità della Rca. I leader che si sono susseguiti al potere hanno approfittato, sfruttato e, se possibile, peggiorato le fragilità della nazione, negando però l’assenza di conflitti e spaccature una volta al governo.
La guerra civile centrafricana, la cui violenza e virulenza è parsa inspiegabile, è invece il frutto di un insieme di fattori che comprendono gli irrisolti conflitti precedenti, la collocazione geografica del paese, che, suo malgrado, risente della forte instabilità dei paesi vicini, la forte percezione di disuguaglianza di alcuni gruppi etnici e l’affermarsi di un vero e proprio mestiere delle armi, cioè della consistente percentuale di giovani che scelgono di arruolarsi in eserciti ribelli o informali in mancanza di alternative d’impiego, un fenomeno che sfocia spesso nel banditismo.
Per risalire alle cause del conflitto bisogna guardare al 2001, quando Bozizé, dopo avere tentato un colpo di stato contro Patassé, si è rifugiato in Ciad, e, appoggiato dal presidente ciadiano, è riuscito a costituire un esercito di combattenti ai suoi ordini. Deby ha fornito a Bozizé persino elementi della sua guardia presidenziale. Il Ciad, che ha sempre giocato un ruolo centrale nelle vicende del Centrafrica, mirava a contrastare la presenza di ribelli ciadiani nel territorio della Rca, presenza precedentemente tollerata da Patassé. L’esercito di Boazizé era anche composto da musulmani del nord della Rca, da ciadiani di gruppi etnici transfrontalieri e da ciadiani che si erano precedentemente insediati in Rca per sfuggire alla guerra civile e alla repressione organizzata da Hissene Habré. Allo stesso tempo anche Patassé ha reclutato alcune milizie ciadiano-centrafricane, oltre a fare appello ai suoi alleati internazionali. Tra questi figura il Movimento per la liberazione del Congo (Mlc), che si è poi spinto ripetutamente oltreconfine per appoggiare il suo governo, e la Libia, che lo ha sostenuto tacitamente. Patassé è stato sconfitto da Bozizé anche perche i suoi appoggi internazionali sono venuti meno.
Quando Bozizé è giunto al potere ha cercato di liberarsi della ingente componente ciadiana di cui era composto il suo esercito e di disfarsi di molti dei combattenti che lo avevano portato al governo, millantando ricompense in cambio della smobilitazione o del rientro in Ciad dei soldati e riservando invece un trattamento speciale agli gbaya, sua etnia di origine. I combattenti, insoddisfatti, hanno dapprima cercato la mediazione di N’Djamena, e si sono in seguito rifugiati nel nord ovest, intraprendendo attività di banditismo, e nel nord-est, dove hanno raggiunto le fila del movimento di opposizione Unione delle forze democratiche per l’unità (Ufdr), in cui hanno finito per ritrovarsi ex sostenitori di Patassé ed ex sostenitori di Bozizé. Alcuni combattenti di origine ciadiana si sono invece diretti verso il Darfur, una delle basi degli oppositori di Deby. Bozizé non è mai riuscito a controllare veramente i territori del nord, un’area che il suo governo ha ampiamente trascurato. Nel 2006-07 è riuscito a sedare la rivolta settentrionale solo grazie all’intervento francese.
La coalizione dei ribelli Séléka è quindi il prodotto della riorganizzazione dei combattenti centrafricani rimasti a mani vuote, senza indennizzi e senza reintegrazione, durante l’era Bozizé, ma anche ciadiani e sudanesi che si sono mossi attraverso le frontiere estremamente porose della Rca. Allo stesso tempo Michel Djotodia è riuscito nel suo intento per lo più grazie al fatto che gli alleati di Bozizé, dal Ciad alla Francia, hanno fatto mancare il proprio appoggio (anzi l’esercito ciadiano ha favorito, non contrastandola, l’avanzata dei Séléka a Bangui). I Séléka hanno reclutato fra i giovani del nord, integrando altri uomini durante la loro avanzata. Unicef ha stimato in 6000 il numero di bambini e ragazzi soldato che hanno combattutto con la coalizione.
La componente etnica del conflitto si è invece innestata in un secondo momento, causata dal meccanismo di reclutamento e dalla strategia del terrore adottata dai Séléka, che hanno fatto dell’esaltazione della loro identità di musulmani sia un modo per attrarre altri giovani e convincerli a schierarsi contro un governo che non li ha mai adeguatamente sostenuti, sia uno strumento di rivendicazione contro la maggioranza cristiana. Le uccisioni e le esazioni subite dai cristiani (in dicembre 2013 sono stati uccisi più di mille cristiani a Bangui in una sola notte) sono state la ragione della formazione degli anti-balaka. Con gli anti-balaka, tuttavia, si sono schierati soldati appartenenti all’esercito regolare, perpetuando la pericolosa logica della guerra come opportunità.